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venerdì 30 novembre 2018

Appello al Burundi: “Liberate, Germain Rukuki, difensore dei diritti umani condannato a 32 anni”

Africa Express
La colpa di Germain Rukuki è stata di essere un difensore dei diritti umani e per questa ragione ha avuto una condanna pesantissima: 32 anni di prigione. Questo dopo aver passato oltre cinquecento giorni in detenzione arbitraria.

Germain Rukuki
Rukuki, arrestato nel luglio 2017 a Bujumbura, è stato accusato di assassinio, distruzione di edifici pubblici e privati, ribellione, minaccia alla sicurezza dello stato e attacco all’autorità dello stato.

Cadute le accuse di assassinio e distruzione di edifici pubblici, davanti all’Alta Corte di Ntahangwa, è stato riconosciuto colpevole delle altre imputazioni. La sua unica colpa pare invece quella di aver fatto parte di ACAT-Burundi Associazione Cattolica per i Diritti Umani e contro Tortura e dell’Associazione dei Giuristi Cattolici (AJCB).

Dura presa di posizione di Amnesty International attraverso Joan Nyanyuki, responsabile per l’Africa orientale, Corno d’Africa e Grandi Laghi: “Il tribunale dovrebbe annullare la sua condanna e liberarlo immediatamente e incondizionatamente. Germain è stato processato e imprigionato semplicemente perché lavorava per un’organizzazione per i diritti umani”.

Rukuki, lo scorso giugno, dopo un intervento chirurgico aveva richiesto il rilascio provvisorio per poter ricevere cure mediche e riabilitazione. Ma fino ad oggi dalle autorità non è stata comunicata nessuna decisione.

Amnesty ha ricordato alle autorità burundesi che “hanno l’obbligo di prestare assistenza a Germain Rukuki mentre è sotto la loro custodia e devono assicurarsi di ottenere un trattamento completo per le sue ferite, comprese le necessarie cure post-operatorie”.

Appelli per annullare la condanna e per la sua immediata liberazione sono giunte anche dall’ong Frontline Defenders e perfino gli esperti ONU Clement Nyaletsossi Voulé e David Kane – senza successo – hanno esortato il governo del Burundi a lasciar lavorare i difensori dei diritti civili.

Ma Rukuki non è l’unico difensore dei diritti umani a subire il carcere nel piccolo Stato africano. Aimé Constant Gatore, Marius Nizigama ed Emmanuel Nshimirimana, dell’associazione Parole e Azioni per il Risveglio delle Coscienze e l’Evoluzione delle Mentalità (PARCEM), l’8 marzo scorso, sono stati condannati a dieci anni di carcere.

Il 13 agosto Nestor Nibitanga, dell’Associazione per la Protezione di Diritti Umani e Persone Detenute (APRODH) è stato condannato a cinque anni di carcere. Sono tutti ritenuti colpevoli di “minacciare la sicurezza dello Stato”.
Nel 2015, nell’ex colonia belga, Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005, presentandosi per la terza volta alle elezioni presidenziali è stato accusato di violare la Costituzione che prevede solo due mandati.

Ha ridotto lo spazio civico e stroncato l’opposizione ed è stato eletto il 21 luglio 2015 con elezioni giudicate dall’ONU non credibili per l’assenza di osservatori internazionali ai seggi.

Dopo l’elezione di Nkurunziza, la Corte Penale Internazionale aveva aperto un procedimento nei confronti del Burundi per crimini contro l’umanita sulle violenze del 2015. Nel 2016 il parlamento del Burundi ha votato a maggioranza l’uscita dalla CPI.

Sandro Pintus

30 novembre - "Cities for life" - 2.000 città si illuminano contro al pena di morte.

santegidio.org
Il 30 novembre del 1786 venne abolita, per la prima volta, la pena di morte in uno Stato, il Granducato di Toscana. Da allora molta strada è stata fatta nel cammino che porta alla liberazione dalla pena capitale nel mondo. Ma tanto si può e si deve fare ancora contro questo strumento altamente inumano oltre che inutile, dato che non funziona come deterrente e riduce gli Stati a meri esecutori di ingiustizia.


La Comunità di Sant’Egidio, che negli ultimi anni ha portato avanti una campagna in tutti i continenti per giungere ad una moratoria universale, invita tutti il 30 novembre, alle 18.00 a una grande manifestazione al Colosseo a Roma.

Nello stesso giorno ci saranno eventi in centinaia di città del mondo intero. Infatti, sono oltre 2.000 i comuni che partecipano a “Città per la Vita” e che illumineranno i loro monumenti per dire di “no” alla pena di morte. 

Si tratta ormai di un movimento che coinvolge migliaia di persone in tutti i continenti e che è riuscito, attraverso un paziente impegno collettivo e rapporti con i diversi governi, a diminuire il numero dei Paesi mantenitori, a partire dall’Africa che potrà essere, in futuro, il secondo continente libero dalla pena di morte.

Pena di morte. La Bielorussia, unico paese in Europa che compie esecuzioni, mette a morte Siamion Berazhnoy e Ihar Hershankou

Blog Diritti Umani - Human Rights
La Bielorussia è ormai l'ultimo paese europeo che condanna a morte e fa esecuzioni.
Le famiglie di due detenuti nel braccio della morte hanno comunicato la condanna a morte di Siamion Berazhnoy e Ihar Hershankou, sono state eseguite con un colpo di arma da fuoco.
Siamion Berazhnoy
Nel luglio 2017, il tribunale regionale di Mahilioŭ aveva condannato a morte Berazhnoy, e Ihar Hershankou, con l'accusa di omicidi multipli commessi per coprire i piani di una frode immobiliare.

Quest'anno, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva accolto l'appello del prigioniero Berazhnoy chiedendo alla Bielorussia di sospendere l'esecuzione in attesa di una decisione definitiva da parte del Comitato. Tuttavia, le autorità bielorusse non hanno risposto alla richiesta. Un reclamo simile era stato registrato per quanto riguarda la situazione dell'altro detenuto Ihar Hershankou.

La madre Siamion Berazhnoy e Ihar Hershankou hanno ricevuto la notifica ufficiale dal tribunale regionale di Mahilio, che affermava che il loro figlio era stato messo a morte. In precedenza, la madre 
Ihar aveva detto che non riceveva nessuna email dal prigioniero da oltre un mese.

Quattro persone sono state uccise in Bielorussia nel 2018 con la pena di morte. A metà maggio la Bielorussia aveva giustiziato Aliaksei Mikhalenia e Viktar Liotau.

Ezio Savasta

Fonte: Viasna

martedì 27 novembre 2018

Stati Uniti. Caccia ai migranti della carovana, arresti e cariche da polizia USA e deportazioni dal Messico

Il Manifesto
Trump torna a minacciare la chiusura totale del confine con il Messico. La commissione diritti umani: serve un dialogo. Il sogno americano della carovana dei migranti per ora conta 42 persone arrestate dalla polizia di frontiera statunitense, e 98 deportazioni che la polizia migratoria messicana ha "messo in scena".


Il tutto dopo che domenica, attorno alle 11.00 del mattino, centinaia di centro-americani hanno provato a superare il doppio muro nei pressi di Tijuana. Alcuni migranti sono stati colpiti da proiettili di gomma, la polizia Usa ha sparato gas lacrimogeni anche in territorio messicano e elicotteri da guerra a stelle e strisce hanno sorvolato per ore i cieli fuori dalla loro competenza. 

Una vera aggressione extra territoriale che mette in pratica le minacce che il presidente Donald Trump ha più volte twittato. Diversi migranti sono stati arrestati e nella mattinata di lunedì espulsi: 36 dei deportati sono honduregni e sono stati arrestati dalla polizia municipale della città di confine. Gli altri 62 sono stati invece fermati dalla polizia federale. Tra loro, molte donne.

Il giorno dopo le cariche e gli arresti il campo d'accoglienza "Benito Juarez" si è trovato circondato, già dall'alba, dalla polizia federale messicana in assetto antisommossa. Immediatamente è scattato l'allarme, poi rientrato, di una possibile retata di massa per perseguire chi aveva provato a scalvare il confine. Alfonso Navarrete Prida, segretario di Stato del governo uscente, Peña Nieto, ha dichiarato al termine delle tensioni domenicali che i 500 migranti che avevano provato a passare per materializzare il loro sogno americano sarebbero stati riportati d'origine a forza. Ha inoltre dichiarato in diretta tv che, oltre ai 100 già arrestati, sarebbero stati attivamente ricercati e catturati anche gli altri 400.

La Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh) - che ha già preventivamente chiesto un incontro con il nuovo presidente del Messico che si insedierà il 1 dicembre, Andres Manuel Lopez Obrador - ha duramente criticato la gestione della piazza a Tijuana e lungo il muro di confine. Denunciando sia la violenza della polizia locale sia l'uso di gas lacrimogeni e di proiettili di gomma da parte della polizia di frontiera statunitense. La Cndh, presieduta da Luis Raúl González Pérez, ha poi invitato il governo uscente a continuare il dialogo con Trump per evitare nuove tensioni al confine.

Per Trump il dialogo è fatto di minacce e provocazioni "dovrebbero rimpatriare nei loro Paesi quei migranti come bandiere sventolanti - ha detto ancora utilizzando Twitter - molti sono spietati criminali. Lo facciano con gli aerei, con i bus o come vogliono, ma quelle persone non entreranno mai negli Stati Uniti". Quindi ha nuovamente intimato la chiusura definitiva della frontiera, non solo per le persone ma anche per i mezzi.

Tijuana è una polveriera: il centro d'accoglienza è troppo piccolo per ospitare i 5.000 della carovana. E altri "caravanisti" stanno per arrivare dalla vicini città di Mexicali. Per tutti ci sono solo sei docce a disposizione. Nonostante la repressione e le parole del presidente Usa l'assemblea generale della carovana ha rinnovato l'intenzione di resistere e di continuare a cercare un modo per attraversare il confine. Certamente resta impensabile accettare i tempi con cui la burocrazia nordamericana affronta le richieste d'asilo: a fronte degli oltre 2.000 messicani in lista d'attesa, a cui si aggiungono i partecipanti della carovana e le migliaia di haitiani bloccati al confine dopo il passaggio di governo da Obama a Trump, vengono esaminate non più di 100 domande al giorno. Significa aspettare mesi.

Mesi insostenibili dopo oltre 4mila km e un mese di sofferenze e soprattutto senza che nessun governo - della città, dello Stato e della nazione (tanto meno quello Usa) - offra condizioni degne e umane di attesa. Domenica abbiamo comunque visto le potenzialità politiche e collettive che l'inedita forma di mobilitazione della carovana ha creato: una manifestazione con migliaia di persone che aveva l'obiettivo politico di far pressione sulle autorità Usa. E il superamento di quella barriera rappresenterebbe il fallimento del sogno primatista dei vari Trump.

Andrea Cegna

Emirati Arabi. Il presidente al Nahyan grazia 785 detenuti per la festa nazionale

Nova
Il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Khalifa bin Zayed Al Nahyan, ha ordinato la scarcerazione di 785 detenuti presenti in tutto il paese in vista delle celebrazioni del 47mo anniversario della Giornata Nazionale. 

La liberazione dei prigionieri e la risoluzione dei loro debiti e multe riflettono l'intenzione del presidente emiratino di concedere ai detenuti "un'altra possibilità per una nuova vita e per alleviare le loro difficoltà familiari", secondo quanto si legge in una nota dell'agenzia di stampa emiratina "Wam".

Roma - 28 novembre: XI Incontro internazionale dei ministri della Giustizia per "Un mondo senza pena di morte" alla Camera dei Deputati

santegidio.org
Il 28 novembre, si svolge a Roma, presso la Nuova Aula dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati, l'undicesimo Incontro internazionale dei ministri della Giustizia per “Un mondo senza pena di morte”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio insieme al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, alla Confederazione Svizzera e all'Organizzazione Internazionale della Francofonia.




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lunedì 26 novembre 2018

India chiuse 539 strutture di accoglienza per presunti abusi sui bambini

La Stampa
Ben 539 strutture di accoglienza per bambini in difficoltà sono state chiuse in India su indicazione del dicastero per lo sviluppo della condizione delle donne e dell’infanzia, guidato dalla signora Maneka Gandhi. 


La maggior parte della case sigillate, 377, si trovavano in Maharastra, 78 in Andra Pradesh e 32 nel nuovo stato di Telangana. Tutti i bambini ospiti delle case dove si sospettava i piccoli fossero abusati, sono stati affidati alle cure di altre strutture. 

Le chiusure sono avvenute nelle scorse settimane e hanno fatto seguito a delle ispezioni condotte, a livello nazionale, dalla commissione per la protezione dei diritti dell’infanzia.

I controlli erano partiti all’inizio del mese di agosto, dopo la scoperta di ripetuti abusi sessuali ai danni di bambine e bambine, in una casa di accoglienza a Muzaffarpur, in Bihar, e a Deoria, in Uttar Pradesh. 

Il ministro ha spiegato che la gran parte delle strutture che sono state chiuse non offrivano gli standard di vita richiesti, molte non rispondevano alle norme e altre non erano neppure registrate. Sempre su richiesta del ministero, tutti gli istituti esistenti dovranno ora registrarsi entro due mesi in una anagrafe nazionale per essere sottoposti a controlli.

Già nel luglio scorso il governo indiano aveva ordinato l’ispezione di tutti gli orfanotrofi e le case di un istituto religioso a seguito di sospetti abusi su minori.

In quell’occasione il ministro Maneka Gandhi aveva dato mandato ai governi di tutti gli stati di «ispezionare subito in tutto il paese ogni casa per la cura dei bambini».

domenica 25 novembre 2018

25 novembre - Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne #nonenormalechesianormale

Blog Diritti Umani - Human Rights


Carovana migranti a Tijuana. Il sindaco chiede aiuto all'Onu: c'è una crisi umanitaria

Globalist
Nella cittadina messicana al confine con gli Stati Uniti si sono riversati oltre 5 mila migranti centro-americani. Il primo cittadino sposa una posizione xenofoba: non li aiuteremo con i nostri soldi.


Juan Manuel Gastélum, sindaco di Tijuana (la città messicana al confine con gli Stati Uniti dove nelle ultime settimane si sono riversati oltre 5'000 migranti centroamericani), ha chiesto aiuto all'Organizzazione delle Nazioni Unite sostenendo che il territorio da lui governato si trova in piena «crisi umanitaria».
Il primo cittadino, accusato da parte dell'opinione pubblica di incoraggiare una posizione xenofoba nei confronti delle varie carovane di esuli, ha affermato che non «comprometterà la fornitura di servizi pubblici» ai residenti per accogliere gli stranieri.
«Non ho intenzione di spendere il denaro dei contribuenti locali, né di fare indebitare il Comune di Tijuana», ha aggiunto il sindaco, esponente del partito conservatore Acción Nacional.
Gastélum ha stimato una spesa di 500'000 pesos al giorno (circa 250000 dollari) per il mantenimento dei migranti centroamericani, per lo più raccolti in un accampamento, ormai saturo, situato nel centro sportivo Benito Juarez.
Il sindaco ha poi rivolto pesanti critiche anche al ministro degli Interni, Alfonso Navarrete, e al presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto, per aver «abbandonato» al proprio destino Tijuana.
La cittadina ha tra l'altro vissuto nuovi momenti di forte tensione dopo che alcune decine di partecipanti alla carovana hanno marciato verso il valico di frontiera di San Ysidro per manifestare contro la mancanza di volontà del governo degli Stati Uniti di soddisfare le loro richieste di asilo.
Il presidente Usa, Donald Trump, ha autorizzato le truppe americane inviate al confine col Messico di usare «la forza letale se sarà necessario per fermare i migranti che cercheranno di entrare nel Paese».

25 Novembre - Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne - Condanniamo con forza la violenza che colpisce le donne in ogni parte del mondo e ricordiamo le spose bambine

Africa Rivista
Spose bambine, l’altra faccia della violenza sulle donne
Nel mondo, più di 700 milioni di donne e bambine si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni. Più di una su 3, circa 250 milioni, si è sposata prima dei 15 anni; a livello globale circa la metà delle ragazze tra i 15 e i 19 anni tende a giustificare chi picchia la moglie o la partner in alcune circostanze come rifiutare un rapporto sessuale; uscire di casa senza permesso, litigare, trascurare i bambini o bruciare la cena.

Sono i dati forniti dall’Unicef (Agenzia Onu che si occupa di infanzia) sulla condizione femminile. Una tragedia, quella della violenza sulle donne (oggi si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne) che tocca da vicino anche il continente africano. 

Sposarsi in età precoce comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce, e dunque pericolosa sia per la neo-mamma che per il suo bambino. Le gravidanze precoci provocano ogni anno 70.000 morti fra le ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni, e costituiscono una quota rilevante della mortalità materna complessiva. A sua volta, un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che debba soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici.

Le statistiche dicono quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo settore. Un lavoro non solo di protezione delle donne che hanno subito violenza, ma anche culturale. «Questi dati parlano di una mentalità che tollera, perpetra e giustifica la violenza e dovrebbero far suonare un campanello d’allarme in ognuno di noi, ovunque – spiega Giacomo Guerrera il presidente dell’Unicef Italia –. I dati dimostrano quanto sia indispensabile garantire alle bambine e alle donne il diritto fondamentale a un’istruzione di qualità. 

Vorrei ricordare le parole di Malala, Premio Nobel per la pace: “Un bambino, un maestro, un quaderno e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. La scuola è un luogo reale di protezione dagli abusi, dallo sfruttamento, dai matrimoni e dalle gravidanze precoci, che mettono letteralmente a rischio la vita delle bambine e delle ragazze, soprattutto in alcuni Paesi del mondo in via di sviluppo dove le bambine e le donne sono ancora fortemente discriminate”».

Corridoi umanitari di Sant'Egidio: altri 21 rifugiati siriani arrivati il 22 novembre a Parigi

santegidio.org
ll 22 novembre a Parigi sono arrivati 21 nuovi rifugiati siriani dal Libano - tra cui 10 bambini - in tutta sicurezza con i corridoi umanitari. Salgono così a 228 il numero di persone accolte in Francia dal luglio 2017 (60 famiglie).


"Un grandissimo benvenuto a tutti voi!": sono le parole di una famiglia di Roissy che ha deciso di ospitarne alcuni. All'arrivo erano presenti le autorità cittadine, le associazioni che insieme a Sant'Egidio hanno iniziato il progetto dei corridoi umanitari (Conferenza episcopale francese, Caritas Francia, Federazione protestante di Francia e Federazione di mutua assistenza protestante).

Appena scesi dall'aereo i rifugiati sono stati accolti da applausi, abbracci, fiori, bevande calde e giochi per bambini. Un piccolo sollievo per le famiglie che hanno vissuto il trauma della guerra in Siria e che ora possono iniziare una nuova vita. Vincent Picard di Sant'Egidio ha detto: "La Francia è il vostro nuovo paese, non sarete mai soli".

I comuni francesi coinvolti nell'accoglienza sono 7: Vernoux en Vivarais, Saint-Mamert-du Gard, Champigny-sur-Marne, Châteaudun, Vaison-la-Romaine, Vésinet, Bouscat in Deux-Sèvres.

sabato 24 novembre 2018

Brasile - Con Bolsonaro a rischio i diritti dei discendenti degli schiavi della comunità quilombola

Globalist
La storia della comunità quilombola, legata a quella del colonialismo, è fatta di lotte per la terra e per il riconoscimento della propria identità.

La storia di Maria de Lourdes, 76 anni, e di suo marito Severino, 73, come quella della loro comunità “Grilo”, nello stato del Paraíba, è quella di tanti quilombolas, ossia discendenti degli schiavi deportati dall’Africa al Brasile. 

Un racconto costellato di lotte per la terra e per il riconoscimento della propria identità. Battaglie concluse a volte con vittorie, altre con soprusi e violenze. Un cammino per il rispetto dei diritti che non si è ancora concluso e che rischia di fare pericolosi passi indietro con la vittoria di Jair Messiah Bolsonaro alle ultime presidenziali.
La storia dei quilombo si intreccia con quella del colonialismo, che in tre secoli ha portato quasi 4 milioni di schiavi africani in Brasile. Queste comunità, infatti, sono state fondate proprio da questi ex schiavi, che col tempo riuscivano a scappare dai loro padroni e a riunirsi per difendere cultura, tradizione e religione.

Il legame con la terra. Gli afrodiscendenti brasiliani chiedono il rispetto del diritto a un territorio. "Il quilombo per sopravvivere ha bisogno del territorio, che non significa soltanto sostentamento economico, ma fa riferimento a un patrimonio di storia, antropologia, cultura, radici, consapevolezza", dice Luigi Zadra, ex missionario comboniano, oggi volontario laico a Grilo.

Quanti sono. Secondo una stima della Coordinazione nazionale di articolazione delle comunità nere rurali quilombolas (Conaq), oggi ci sono circa 2.847 comunità ufficialmente riconosciute. Inoltre, ci sono altri 1.533 processi che devono ancora essere definiti. E il riconoscimento è condizione per l’accesso ai programmi sociali.

In lotta per i diritti. La prima grande conquista di questo popolo risale alla Costituzione brasiliana del 1988, che ha riconosciuto il diritto alla proprietà territoriale collettiva. Ma da allora è successo di tutto. A cominciare dal 2001, quando l’esecutivo Cardoso aveva imposto alle comunità di dare prove della loro esistenza dal 1888, ossia da quando era stata abolita la schiavitù, fino al 1988. Passando poi per il primo governo Lula, che nel 2003 aveva cancellato questa richiesta e l’anno dopo aveva avviato un programma in loro favore.

Razzismo, violenza e l’arrivo di Bolsonaro. Gli ultimi dati mostrano che il razzismo e la violenza sono in crescita (il numero di quilombolas uccisi tra il 2016 e il 2017 è aumentato del 350%). Il governo uscente di Michel Temer, inoltre, ha fermato il riconoscimento di nuove comunità. E la vittoria dell’ex militare populista di estrema destra Bolsonaro preoccupa. Ad aprile 2017, tra l’altro, aveva dichiarato: "Sono stato in un quilombo. Non fanno niente. Penso che gli afrodiscendenti non servano più nemmeno per procreare".

Guerre dimenticate - Yemen. "Non arriviamo sui barconi, perciò siamo invisibili"

Il Manifesto
Mentre ad Hodeidah gli Houthi accoglievano l'Onu e davano il loro via libera al dialogo, a Roma Med 2018 si è parlato del paese dimenticato e degli interessi globali intorno alla guerra. 




"Dal mio paese non arrivano in Europa barconi di fuggitivi. Ecco forse perché è a lungo mancata la volontà di risolvere questa guerra che, secondo me, è stata il prezzo pagato per l'accordo con l'Iran. In cambio del quale l'allora presidente statunitense Barack Obama ha dato il via libera in Yemen ai sauditi, storici alleati". 

È molto polemico l'analista yemenita Farea al Muslimi, relatore ieri a uno degli eventi di Rome Med 2018 - Dialoghi mediterranei, organizzato dalla Farnesina e dall'Ispi.

Tra poche settimane si aprirà in Svezia un nuovo negoziato sulla peggiore catastrofe umanitaria di questi anni: ieri l'inviato Onu Griffiths era nella città di Hodeidah dove ha ottenuto dai ribelli Houthi il sì al piano delle Nazioni Unite. Da fine marzo 2015 una coalizione a guida saudita ed emiratina bombarda indiscriminatamente il paese, in appoggio al governo del presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi, considerato legittimo dalla "comunità internazionale" (ma alle elezioni era stato candidato unico e le sue funzioni dovevano essere a interim), contro gli Houthi che Riyadh considera longa manus di Tehran. Hodeidah continua a essere bombardata dalla coalizione e se il suo porto smettesse di funzionare, avvertono le agenzie dell'Onu, lo Yemen non riceverebbe più né gli aiuti sanitari e medici né il combustibile necessario a estrarre acqua vitale da pozzi profondissimi.

Comunque, l'omicidio del giornalista saudita Jamal Kashoggi (a suo tempo sostenitore delle bombe sullo Yemen) sembra aver attirato l'interesse anche sulla povera repubblica yemenita. 

Antonia Calvo-Puerta, capo delegazione della Ue per lo Yemen, ha spiegato nel corso dell'incontro romano la complessità della frammentazione interna al paese precisando però che "se finissero le interferenze esterne, il conflitto interno sarebbe risolto in pochi mesi". Nei negoziati, "la strategia europea prevede di parlare con tutti. 

È stato un grande errore non parlare con gli Houthi, sono in una fase di disponibilità a compromessi ma chiedono garanzie e osservatori per essere certi di non subire un genocidio".

Mentre l'Italia continua a fare il pesce in barile, la Danimarca ha appena sospeso future approvazioni di esportazioni militari a Riyadh; forse un indizio, tra gli altri, della "consapevolezza da parte di certi paesi europei che fra qualche tempo potrebbero incorrere in seri problemi. Sono in ballo crimini di guerra", ha fatto osservare Calvo-Puerta. Sottolineando che "questa guerra è un colpo terribile all'immagine" per quelli che chiama comunque "i nostri alleati nella regione": sauditi e soci.


Marinella Correggia

venerdì 23 novembre 2018

Iran - Pena di morte, rischia l'esecuzione Mohammad Reza Haddadi condannato a 15 anni

Amnesty International
Mohammad Reza Haddadi è stato arrestato nel 2004, quando aveva solo 15 anni.
Il tribunale penale di Kazeroun, nella provincia di Fars, lo ha condannato alla pena di morte con l’accusa di omicidio.
Mohammad Reza Haddadi
In particolare, Mohammad è accusato di aver ucciso un autista in un incidente in cui, oltre a lui, erano coinvolti altri tre adulti.
Mohammad ha subito un processo ingiusto.

Durante gli interrogatori, infatti, il ragazzo iraniano aveva confessato la sua colpevolezza solo perché i suoi due coimputati si erano offerti di dare i soldi alla sua famiglia.

Nel corso del processo Mohammad ha ritrattato la sua confessione dichiarandosi innocente e sostenendo di non aver preso parte all’omicidio. Tesi sostenuta anche dagli altri coimputati che hanno ritirato le parti della loro testimonianza che riguardavano il coinvolgimento del ragazzo.
Mohammad potrebbe essere messo a morte da un momento all’altro.

Per sei volte è stata annunciata la sua esecuzione. Solo grazie alle proteste pubbliche, l’esecuzione è stata ogni volta posticipata.
Dopo l’ultimo rinvio, tra dicembre 2013 e gennaio 2014 Mohammad ha presentato domanda per un nuovo processo. La Corte Suprema dell’Iran ha rifiutato di prendere in considerazione la richiesta.

Mohammad ha trascorso tutta la sua vita da giovane adulto nel braccio della morte. Il suo caso esemplifica l’uso abominevole della pena di morte da parte dell’Iran nei confronti di individui al di sotto dei 18 anni di età, in violazione alle norme internazionali sui diritti umani.

Firma ora e chiedi anche tu di annullare la condanna a morte per Mohammad. >>>

Sgombero Baobab, M5S boccia ordinanza per servizio di accoglienza. Risultato? Migranti per strada sotto la pioggia.

Globalist
L'Assemblea capitolina ha bocciato, con sette voti favorevoli, un contrario e 21 astenuti (tutti cinque stelle) una mozione proposta dalla capogruppo del Misto ed esponente di Dema (Democrazia e Autonomia) Cristina Grancio e sottoscritta anche da Forza Italia, Lista Marchini, Sinistra Italiana e Pd e che impegnava Virginia Raggi ad anticipare l'inizio del servizio di accoglienza notturna prevista nell'ambito del Piano freddo al fine di accogliere le persone sgomberate dall'area di piazza Maslax organizzata da Baobab Experience. 


Agnese Catini, presidentessa (M5s) della commissione Politiche sociali del Campidoglio ha così giustificato l'astensione: "Non bisogna confondere il Piano freddo, intervento specificatamente per l'inverno e sono gia' state avviate le procedure per partire dai primi di dicembre oltretutto con un piano ampliato nei numeri di ore e nei posti, con il circuito dell'accoglienza. Sul fatto che a seguito degli sgomberi ci sono delle persone per strada rassicuro Grancio che nel caso del Baobab abbiamo accolto ben 144 persone, l'ultima risale a ieri, nelle strutture di Roma Capitale e stiamo continuando a contattarli. Mi dispiace che ci sia molta approssimazione nel capire la problematica e viene fatto un minestrone".

Critica la proponente Grancio: "Anche la destra di Salvini ha votato a favore, solo il M5S si è tirato indietro e non ha permesso l'approvazione della mozione".

giovedì 22 novembre 2018

Arabia Saudita. "Donne attiviste in carcere torturate con le scosse elettriche" tra loro Samar Badawi

La Stampa
Le denunce del Washington Post e di Amnesty International: "Ancora violazioni dei diritti umani dopo il caso Khashoggi". Le attiviste arrestate lo scorso maggio con l'accusa di "attività sovversive" sarebbero state torturate e molestate in carcere. 

L'attivista di fama internazionale, Samar Badawi una delle donne arrestate
Sono le principali personalità che si sono battute per il diritto alla guida, contro il velo obbligatorio e l'obbligo di uscire accompagnate da un uomo. La maggior parte sarebbe ancora in carcere e il Washington Post ha raccolto testimonianze su quattro di loro. 

Sono state sottoposte a molestie sessuali, scosse elettriche e fustigazioni. Alcune "non riuscivano a stare in piedi" durante i colloqui con i parenti, avevano tremori incontrollabili e altri segni di tortura. I nomi non sono stati rivelati per proteggere i famigliari che hanno accettato di testimoniare a patto di rimanere anonimi.

Movimenti femministi sotto tiro - "Appena poche settimane dopo l'uccisione di Jamal Khashoggi - ha commentato Lynn Maalouf, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente - questi rapporti su torture, molestie sessuali e altre forme di maltrattamenti, se confermati, mettono in luce ulteriori scandalose violazioni dei diritti umani da parte delle autorità saudite". Secondo Amnesty, almeno una dozzina di donne e uomini legati ai movimenti femministi sauditi sono in carcere da maggio. Fra le persone arrestate nell'ultimo anno e mezzo ci sono attivisti noti a livello internazionale, come Samar Badawi, Aziza al-Yousef e Loujain al-Hathloul.

[...]

Migranti, l'Alto Commissariato Onu accusa il governo: "Criminalizza le ong"

La Repubblica
Le nuove critiche sulle politiche per l'accoglienza dopo l'inchiesta con sequestro della nave Aquarius.


L'Alto Commissariato dell'Onu torna a bacchettare il governo italiano sulle politiche di accoglienza dei migranti. E non a caso lo fa all'indomani dell'inchiesta con sequestro della nave Aquarius per lo smaltimento di scarti e vestiti infetti dei migranti come rifiuti ordinari.

L'organismo, a questo proposito, esprime preoccupazione "per le continue campagne diffamatorie contro le organizzazioni della società civile impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, così come la criminalizzazione del lavoro dei difensori dei diritti dei migranti".

Il governo italiano - denuncia l'Onu - ha reso quasi impossibile per le navi delle Ong continuare a salvare i migranti nel Mar Mediterraneo. Questo ha comportato un aumento dei migranti che muoiono in mare o che scompaiono. 


Gli esperti dell'Alto Commissariato Onu per i diritti umani hanno contattato il governo italiano in merito alle loro preoccupazioni e "attendono una risposta".

"Il governo deve rispettare i valori sanciti dalla Costituzione italiana e gli impegni internazionali sottoscritti", avverte l'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani, secondo cui "l'Italia ha proposto un inasprimento delle norme sull'immigrazione che avrà un grave impatto sulla vita dei migranti e sono di grave preoccupazione". L'Onu sollecita il governo italiano a invertire la rotta.

Per l'Alto Commissariato "l'abolizione dello status di protezione umanitaria, l'esclusione dei richiedenti asilo dall'accesso ai centri di accoglienza incentrati sull'inclusione sociale e la durata prolungata della detenzione nei Cie minano fondamentalmente i principi internazionali dei diritti umani e condurranno certamente a violazioni di diritti umani internazionali".

"Da quando è entrato in carica nel giugno 2018 - prosegue l'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani - il nuovo governo italiano ha attuato le misure anti migranti per cui si batteva. Il Decreto legge sicurezza arriva mentre in Italia c'è un clima di odio e discriminazione, sia nei confronti dei migranti e di altre minoranze, sia nei confronti della società civile e dei privati che difendono i diritti dei migranti. 
Durante la recente campagna elettorale, alcuni politici hanno alimentato discorsi che abbracciavano spudoratamente la retorica razzista e xenofoba anti-immigrati e anti-stranieri. Le persone di origine africana e Rom sono state particolarmente colpite. Durante e subito dopo la campagna elettorale, le organizzazioni della società civile hanno registrato 169 episodi di matrice razzista, 126 dei quali riguardano l'incitamento all'odio razziale, anche in manifestazioni pubbliche. In 19 casi si sono registrati episodi di violenza".


mercoledì 21 novembre 2018

Libia. Abusi sui minori nei campi profughi finanziati dall'Ue: "Un inferno in terra"

Il Giornale
Un'inchiesta del Guardian fa luce sugli abusi nei campi profughi finanziati anche dall'Unione europea. Malnutrizione e violenze sono all'ordine del giorno. In Libia, i campi profughi finanziati anche dall'Unione europea attraverso il Fondo per l'Africa, sono un "inferno in terra". Secondo l'ultima inchiesta del Guardian, i minori detenuti nei campi libici subiscono violenze e maltrattamenti all'ordine del giorno.


Secondo i testimoni, i minori vengono picchiati violentemente dalla polizia e dalle guardie che controllano i campi, vengono lasciati senza cibo per giorni ed è vietato loro avere qualsiasi tipo di contatto con l'esterno. 

Come spiega il quotidiano britannico, in Libia ci sono 26 campi profughi. Non esistono cifre esatte che dicano il numero dei bambini e dei minori detenuti in questi centri. L'idea è che siano probabilmente già oltre il migliaio.

L'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) stima che in questi campi, attualmente, ci siano almeno 5.400 migranti detenuti in totale su tutto il territorio libico. Ovviamente si parla solo di una parte, e probabilmente anche quella minore. 

A questi 5.400, si aggiungono infatti i centri clandestini, gestiti dai trafficanti di persone e con la complicità delle milizie locali e di gruppi terroristi. Tra le testimonianze raccolte dal Guardian, che sono state pubblicate nella Giornata mondiale dell'infanzia, c'è quella, tragica, di un rifugiato eritreo di 13 anni, detenuto, più che ospitato, in uno di questi campi finanziati dall'Ue vicino Tripoli, capitale della Libia.

Il ragazzo ha raccontato che le persone ricevono una piccola porzione di pasta in bianco al giorno, in condizioni igienico-sanitarie certamente molto precarie. Molti sono affamati e denutriti. Nei campi, serpeggiano diverse malattie, fra cui la tubercolosi. Tante persone, specialmente ragazzi e bambini, sono vestiti solo una maglietta e dei pantaloncini: e l'arrivo dell'inverno rischia di provocare congelamenti, malattie e morti.

Renato Zuccheri

Carovana, un giudice sfida Trump: "I migranti possono chiedere asilo negli Usa"

La Repubblica
Congelato l'ordine del presidente di respingere tutti coloro che non entrano legalmente negli Stati Uniti: era pensato per fermare gli immigrati bloccati in Messico.


Los Angeles — Donald Trump perde una battaglia nella sue guerra personale contro la carovana di migranti che dal Sud America sta cercando di raggiungere gli Stati Uniti. Un giudice federale ieri ha ordinato all'Amministrazione di accettare le domande di asilo dei migranti senza prencere in considerazione il luogo dove le domande stesse vengono presentate.

Il 9 novembre Trump aveva vietato l'accettazione di domande di asilo che non fossero state presentate a un punto di ingresso ufficiale negli Usa: di fatto, solo chi entrava legalmente negli Stati Uniti in questo modo poteva presentare domanda. Nel farlo, il presidente aveva invocato le possibilià che venivano attribuite al suo ruolo dalle leggi sulla sicurezza nazionale e sottolineato che agiva per proteggere il suolo americano.

La norma era pensata per respingere le migliaia di migranti che premono al confine meridionale degli Usa e che Trump ha inviato l'esercito a fermare. "Qualunque sia l'autorità del presidente, non può riscrivere le leggi sull'immigrazione facendo passare norme che il Congresso ha espressamente condannato", ha scritto nelle motivazioni della sentenza il giudice Jon S. Tigar di San Francisco.

La sua scelta implica che, fino a quando non ci sarà un ricorso, i migranti potranno chiedere asilo negli Usa.

Razzismo e hate speech on line: un libro ci spiega come contrastarli

Corriere della Sera
La copertina dice quasi tutto. Il libro, quasi 200 pagine preziose, stimolanti e ricche di annotazioni, toglie il “quasi”.



Lo ascoltate nel pigro chiacchiericcio dei treni, nel livore dei passeggeri degli autobus, nei bar o in taxi, nelle telefonate ai programmi radiofonici. Lo leggete sempre più spesso sui social media.

Si chiama “hate speech”: odio online, razzismi 2.0, azioni e linguaggi violenti sul Web.

La cultura convergente e la partecipazione, caratteristiche insite nel social media, diffondono e normalizzano sempre più contenuti dichiaratamente ostili o violenti, tra deresponsabilizzazione degli utenti e banalizzazione delle pedagogie d’odio.

Stefano Pasta, dottore di ricerca in Pedagogia, è assegnista presso il Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia (CREMIT) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è esperto d’interventi a contrasto delle discriminazioni, e in particolare della presenza di rom e sinti in Italia, su cui ha realizzato la guida multimediale “Giving memory a future”. Nel 2011 ha vinto per l’Italia il premio “EU journalism Award – Together against discrimination!” della Commissione Europea.

Ora, nel suo “Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online”, Pasta descrive le diverse forme di razzismo (alcune di ritorno, favorite dalla mediazione di uno schermo e di una tastiera ma persino ostentate, altre nuove) presenti sui social media, scarsamente e inadeguatamente sanzionate.

Se un’associazione che dal 1961 lotta per l’affermazione della libertà d’espressione, come Amnesty International, si sta interessando al fenomeno attraverso una task force sull’hate speech e tavoli di esperti per individuare strategie e comportamenti per contrastare l’odio, vuol dire che siamo di fronte a un problema serio.

Parole ieri impronunciabili vengono pronunciate, vocabolari offensivi vengono in soccorso di chi cerca espressioni per esprimere il suo astio. Il tutto amplificato da un’eco (maiuscolo e genere femminile, perché Eco aveva già preannunciato come sarebbe andata a finire sulla Rete) che rimbalza e propaga frasi intrise di odio contro vecchie e nuove minoranze.

Pasta spiega i meccanismi che assecondano la diffusione dell’odio on line ma dedica molto spazio all’analisi di buone pratiche per contrastarlo. L’analisi è sociologica, la proposta è educativa e risponde ad alcuni attuali interrogativi: come si risponde all’odio verso l’altro? Come si crea la responsabilità per l’uso del linguaggio? Come promuovere gli anticorpi presenti nella Rete e l’attivismo digitale?

Un testo da non perdere, per non perdersi nell’odio e nel razzismo 2.0.

“Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online” (Scholé-Morcelliana, 2018), con prefazione di Pier Cesare Rivoltella, direttore del CREMIT ( Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università Cattolica, e con postfazione di Milena Santerini, direttrice del Centro di Ricerca sulle Relazioni Intercultuali dell’Università Cattolica.

martedì 20 novembre 2018

20 Novembre - #WorldChildrensDay

Blog Diritti Umani - Human Rights

Tragedia senza fine di migranti. Barcone diretto alle Canarie affonda davanti alle coste del Marocco. 22 dispersi

AGI
Drammatico naufragio di un barcone di migranti davanti alle coste del Marocco, vicino alla città meridionale di Tiznit: sono almeno 22 i dispersi, ha riferito l'agenzia marocchina Map. 


Tre migranti sono riusciti a nuotare fino a una spiaggia e a dare l'allarme, prima di essere trasportati in ospedale. Il barcone era diretto verso le isole spagnole delle Canarie che distano un centinaio di chilometri dalla costa del Marocco.

Le autorità del paese nordafricano hanno avviato un'operazione di ricerca e salvataggio ed è stata aperta un'inchiesta sul naufragio. Nei primi anni dopo il 2000 le Canarie erano diventate una meta frequente per i migranti diretti in Europa ma ora per arrivare in Spagna puntano soprattutto sullo Stretto di Gibilterra. 

In 50.500 sono arrivati sulla costa spagnola da inizio anno e in 566 somno morti tentando la traversata.

Tra gennaio e settembre le autorita' marocchine hanno bloccato 68.000 tentativi di emigrazione clandestina e hanno smantellato 122 "reti criminali" di trafficanti di esseri umani.

Indagata Nave Aquarius di MSF di nuovo dalla Procura di Catania. Sequestrata per inchiesta su gestione dei rifiuti.

Avvenire
Rifiuti pericolosi a rischio infettivo, sanitari e non, scaricati in maniera indifferenziata nei porti italiani come se fossero rifiuti urbani: è l'accusa nei confronti della Ong Medici Senza Frontiere e di due agenti marittimi che ha fatto scattare il sequestro preventivo dell'Aquarius (attualmente nel porto di Marsiglia) e di 460 mila euro. 


L'indagine di Guardia di Finanza e Polizia, coordinata dalla Procura di Catania, avrebbe accertato uno smaltimento illecito in 44 occasioni per un totale di 24 mila kg di rifiuti.

Sono complessivamente 24 gli indagati. Secondo l'accusa i soggetti coinvolti, a vario titolo, avrebbero "sistematicamente condiviso, pianificato ed eseguito un progetto di illegale smaltimento di un ingente quantitativo di rifiuti pericolosi a rischio infettivo, sanitari e non, derivanti dalle attività di soccorso dei migranti a bordo della Vos Prudence e dell'Aquarius e conferiti in modo indifferenziato, unitamente ai rifiuti solidi urbani, in occasione di scali tecnici e sbarco dei migranti" in 11 porti: Trapani, Pozzallo, Augusta, Catania e Messina in Sicilia, Vibo Valentia, Reggio Calabria e Corigliano Calabro in Calabria, Napoli e Salerno in Campania, Brindisi in Puglia.

20 Novembre - Giornata mondiale dell’infanzia: diritti negati in tutto il mondo #WorldChildrensDay

Nuova Ecologia
Mortalità infantile, malnutrizione, violenze, malattie, matrimoni precoci, lavoro minorile. UNICEF racconta con i numeri le emergenze che si consumano nel silenzio generale e vedono coinvolti i più piccoli. Anche in Italia.





Per la Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, celebrata oggi in tutto il mondo, UNICEF dà voce ai numeri per far capire quanto ancora debba essere fatto in ogni angolo del pianeta per tutelare i diritti dei più piccoli.

Mortalità infantile
A livello globale ogni 5 secondi muore un bambino sotto i 15 anni (6,3 milioni nel 2017) spesso per cause prevenibili. La maggior parte di queste morti – 5,4 milioni – avvengono nei primi 5 anni di vita, e circa la metà sono di neonati. Il numero di bambini che muoiono sotto i 5 anni è diminuito fortemente dai 12,6 milioni del 1990 ai 5,4 milioni del 2017. Nel 2017, 2,5 milioni di neonati sono morti nel loro primo mese di vita.

Focus Italia
In Italia il tasso di mortalità sotto i 5 anni nel 1990 era di 10 morti ogni 1.000 nati vivi, mentre nel 2017 è calato a 3 morti ogni 1.000 nati vivi. Nel 1990 il tasso di mortalità sotto 1 anno era di 8 morti ogni 1.000 nati vivi, mentre nel 2017 è calato a 3. Nel 1990 il tasso di mortalità neonatale nel 1990 era di 6 morti ogni 1.000 nati vivi, mentre nel 2017 è calato a 2.

Malnutrizione
Ogni anno la malnutrizione è concausa della morte di circa 3 milioni di bambini sotto i 5 anni. Oltre 200 milioni sono i bambini malnutriti in tutto il mondo. In Yemen, ogni anno 30.000 bambini sotto i 5 anni muoiono per malattie che hanno come concausa la malnutrizione. 1,8 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di questi 400.000 bambini rischiano la vita e un totale di 18,5 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare. In Repubblica Democratica del Congo 2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta grave.

Emergenze
A livello globale 1 bambino su 4 vive in un paese colpito da conflitti o disastri naturali. Inoltre, 117 milioni di persone vivono in situazioni di conflitto e disastri senza accesso ad acqua sicura.

Violenza
A livello globale, poco più di 1 studente su 3 fra 13 e 15 anni è vittima di bullismo e circa la stessa percentuale è coinvolta in scontri fisici. Tre studenti su 10 in 39 paesi industrializzati ammettono di esercitare bullismo sui loro coetanei. Circa 720 milioni di bambini in età scolastica vivono in paesi in cui le punizioni fisiche a scuola non sono completamente proibite. In Italia, il 37% degli studenti fra i 13 e i 15 anni hanno riferito di essere stati vittime di bullismo a scuola almeno una volta negli ultimi due mesi e/o di essere stati coinvolti in scontri fisici almeno una volta nei 12 mesi passati. In questa stessa fascia di età, il 12% degli studenti ha subito atti di bullismo (a scuola almeno una volta negli ultimi due mesi) e il 31% è stato coinvolto in atti di violenza fisica (almeno una volta negli ultimi 12 mesi).

Allattamento
Nel mondo, circa 7,6 milioni di bambini ogni anno non vengono allattati, soprattutto nei paesi ricchi; infatti, nonostante i benefici dell’allattamento, 1 bambino su 5 nei paesi ad alto reddito non viene mai allattato, rispetto ad 1 bambino su 25 nei paesi a basso e medio reddito.

Bambine
A livello globale 131 milioni di ragazze nel mondo sono fuori dalla scuola. Una giovane ragazza su 3, rispetto a 1 ragazzo su 6, tra i 15 e i 29 anni, non lavora, non riceve un’istruzione o corsi di formazione. Nel mondo, circa 15 milioni di ragazze adolescenti tra i 15 e i 19 anni sono state costrette a rapporti sessuali o altri tipi di violenza sessuale durante la loro vita;

Matrimoni precoci
Nel mondo, circa 650 milioni di donne in vita oggi si sono sposate da bambine. Ogni anno 12 milioni di ragazze diventano spose bambine. La percentuale di donne che hanno contratto matrimonio da bambine è diminuita del 15% nell’ultimo decennio, da 1 su 4 a circa 1 su 5. Senza un’ulteriore accelerazione, oltre 150 milioni di ragazze in più si sposeranno prima del loro 18esimo compleanno entro il 2030;

Migranti
Sono 30 milioni i bambini sfollati al mondo a causa di conflitti, il numero più alto dalla Seconda Guerra mondiale. Almeno 300.000 bambini non accompagnati e separati sono stati registrati in circa 80 paesi tra il 2015 e il 2016, rispetto ai 66.000 nel 2010-2011. I bambini rappresentano circa il 28% delle vittime di tratta a livello globale. In regioni come Africa Subsahariana e America Centrale e Caraibi, i bambini costituiscono una percentuale anche maggiore delle vittime di tratta identificate, rispettivamente il 64% e 62%.

Istruzione
Nei paesi colpiti da conflitti o disastri 1 bambino su 3 è fuori dalla scuola, in totale sono 104 milioni. Nel mondo, 303 milioni di bambini e giovani tra i 5 e i 17 anni non vanno a scuola. Un bambino su 5 tra i 15 e i 17 anni che vive in paesi colpiti da conflitti o disastri non è mai entrato in una scuola e 2 su 5 non hanno mai completato il ciclo di istruzione primaria

HIV/AIDS
Nel 2017, ogni ora, circa 30 adolescenti – tra i 15 e i 19 anni – sono stati contagiati da HIV. Di questi due terzi sono ragazze. Ogni tre minuti un’adolescente viene contagiata dall’HIV. L’anno scorso, 130.000 bambini e adolescenti sotto i 19 anni sono morti a causa dell’AIDS, mentre 430.000 – circa 50 all’ora – hanno contratto il virus dell’HIV. Gli adolescenti tra i 10 e i 19 anni rappresentano circa i due terzi dei 3 milioni di persone – tra 0 e 19 anni – che vivono con HIV. Anche se, dal 2010, le morti per tutti gli altri gruppi di età, compresi gli adulti, sono diminuite, tra gli adolescenti (15- 19 anni) non ci sono state riduzioni. Nel 2017 circa 1,2 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni vivevano con HIV – 3 su 5 erano ragazze.

Acqua e servizi igienico sanitari
Nel mondo 900 milioni di bambini non hanno accesso, o un accesso limitato, a servizi per il lavaggio delle mani a scuola. Circa il 66% delle scuole hanno bagni con servizi di base. Circa una scuola primaria su 5 e una scuola secondaria su 8 non hanno servizi igienico-sanitari. Il 23% delle scuole nel mondo non ha servizi igienico-sanitari.

Lavoro minorile
Nei paesi meno sviluppati, circa 1 bambino su 4 – dai 5 ai 17 anni – è coinvolto in lavori considerati dannosi per la sua salute e il suo sviluppo. La più alta percentuale di bambini lavoratori si trova in Africa subsahariana – il 29% di quelli tra i 5 e i 17 anni; seguono: America Latina e i Caraibi (11%) e Medio Oriente e Nord Africa, dove meno di 1 bambino su 10 (7%) in questo gruppo di età svolge lavori potenzialmente pericolosi.

lunedì 19 novembre 2018

Cile. Ucciso dai corpi speciali Camillo Catrillanca, nuovo abuso contro del popolo mapuche

Il Manifesto
Proteste a Santiago per la morte di Camillo Catrillanca, a cui i carabinieri del corpo antiterrorismo hanno sparato alle spalle mentre guidava il suo trattore. Si aggiunge un nuovo capitolo, l'ennesimo, alla storia di violenza e abusi nei confronti del popolo mapuche. 



L'ultima vittima, appena 24enne, era un weichafe (un "guerriero" della causa mapuche) della comunità di Temucuicui, a Ercilla, nell'Araucanía: Camillo Catrillanca - questo il suo nome - era il nipote di Juan Segundo Catrillanca, lonko (guida) della comunità, e figlio di Marcelo Catrillanca, storico attivista per i diritti indigeni.

Il 14 novembre Camillo stava a bordo del suo trattore accanto a un adolescente, di ritorno dai campi, quando il Comando Jungla - il corpo antiterrorista dei carabinieri cileni - gli ha sparato alla nuca, nel quadro di un'operazione scattata in seguito al furto di tre veicoli nella zona. 

La reazione del ministro dell'Interno Andrés Chadwick è stata quella che ci si poteva attendere: quanto accaduto non è che "un episodio di delinquenza comune, senza alcun nesso con il cosiddetto conflitto mapuche". Secondo le autorità, insomma, Camilo Catrillanca sarebbe stato coinvolto nel furto di auto e poi raggiunto da un proiettile durante lo scontro a fuoco tra i ladri e i carabinieri.

Non ha però spiegato, il ministro, come mai il giovane mapuche sia stato colpito alle spalle, né, soprattutto, per quale ragione un comando speciale con compiti di antiterrorismo si occupasse di un reato comune. Per non parlare del controverso ruolo del corpo dei carabinieri, addestrato in Colombia e poi spedito nell'Araucanía dal governo di Sebastián Piñera come se la realtà del narcotraffico e dei paramilitari colombiani possa essere anche solo lontanamente paragonata a quella della regione più povera del paese.

Subito smentito è stato anche l'intendente dell'Araucanía Luis Mayol, che aveva accusato Catrillanca di avere "precedenti per ricettazione di veicoli rubati", malgrado la fedina penale del giovane comunero, come ha dimostrato il deputato socialista Leonardo Soto, dicesse tutt'altro. La morte di Camilo, che lascia una figlia di 6 anni e una moglie incinta, va così ad aggiungersi a un lungo elenco di vittime, come Alex Lemum, Matias Catrileo, Mendoza Collio, tutti giovanissimi, assassinati durante l'occupazione di terreni rivendicati dalle loro comunità.

Solo briciole dei 5 milioni di ettari usurpati dallo Stato cileno e rivenduti all'oligarchia o alle multinazionali, di cui i mapuche esigono la restituzione, insieme al riconoscimento della propria identità culturale e al risarcimento per il genocidio realizzato durante più di 150 anni nel sud del Cile e dell'Argentina, il Wallmapu, il Paese Mapuche dalla terra fertile e generosa.

E se il nuovo omicidio ha scatenato un'ondata di proteste nel paese (giovedì, a Santiago, la storica Plaza Italia si è riempita di manifestanti contro il governo), la promessa del ministro dell'Interno di investigare sull'accaduto - fondamentale sarà la testimonianza dell'adolescente che era accanto a Catrillanca sul trattore - andrà probabilmente ad aggiungersi a tutte le altre promesse mancate.
Claudia Fanti

Florida - pena di morte - Clemente Aguirre-Jardin, 14 anni da innocente nel braccio della morte

Corriere della Sera
Nello stato americano della Florida negli ultimi 45 anni sono stati rilasciati perché innocenti 28 condannati a morte, uno ogni anno e mezzo: un record nella storia contemporanea della pena di morte negli Usa.
Clemente Aguirre-Jardin dopo il rilascio (Foto Orlando Sentinel)
L’ultimo che potrà raccontare gli anni, ben 14, trascorsi nel braccio della morte si chiama Clemente Aguirre-Jardin (nella foto dell’Orlando Sentinel).

Era “il condannato perfetto”: uno straniero proveniente dall’Honduras, entrato negli Usa senza documenti. Accusato di un delitto efferato, un duplice omicidio con oltre 130 coltellate, dalle reali autrici, la figlia e la nipote delle vittime che per cinque volte, a quattro persone diverse, avevano confessato le loro responsabilità.

Sull’innocenza di Clemente Aguirre-Jardin ha lavorato molto l’Innocence Project, un’associazione statunitense che si occupa di detenuti condannati ingiustamente.

La Corte suprema della Florida, all’inizio della settimana, ha posto fine a questo calvario, annullando la condanna a morte.

domenica 18 novembre 2018

Libia: “79 migranti a bordo della nave “Nivin” nel porto di Misurata non vogliono sbarcare per evitare le condizioni disumane dei campi di detenzione”. L'Europa ignora!

Amnesty Italia
L’8 novembre il mercantile “Nivin”, battente bandiera panamense, ha soccorso nel Mediterraneo centrale un gruppo di migranti e rifugiati, tra cui dei bambini, che cercava di raggiungere le coste europee. 


I "dannati" della nave "Nivin". Anche un bambino ...
Secondo quanto abbiamo appreso, in questa operazione sono state coinvolte le autorità marittime di Italia e Malta. Il “Nivin” ha fatto rotta verso la Libia, in evidente violazione del diritto internazionale, dato che quello non può essere considerato un paese sicuro dove effettuare lo sbarco.

Chiediamo alle autorità libiche, europee e panamensi di assicurare che gli almeno 79 migranti e rifugiati a bordo di un mercantile fermo nel porto di Misurata non siano costretti a sbarcare per essere portati in un centro di detenzione libico dove rischierebbero di subire torture e ulteriori violenze.

Quattordici persone che il 15 novembre hanno accettato di lasciare la nave (portando con loro un neonato di quattro mesi), sono stati trasferiti in un centro di detenzione.

La vicenda del mercantile “Nivin” si svolge proprio mentre dai centri di detenzione libici arrivano notizie di rifugiati e migranti che minacciano di suicidarsi, come ha tentato di fare un giovane eritreo alcuni giorni fa, o lo fanno, come un somalo che si è dato fuoco.

Le proteste a bordo del mercantile, ora ancorato nella rada di Misurata, dà una chiara indicazione delle condizioni terribili dei centri di detenzione libici per migranti e rifugiati, in cui torture, stupri, pestaggi, estorsioni e ulteriori violenze sono all’ordine del giorno”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“È davvero ora che le autorità libiche pongano fine alla brutale prassi di porre illegalmente in detenzione migranti e rifugiati. Nessuno dovrebbe essere respinto in Libia per essere sottoposto a condizioni di prigionia inumane e alla tortura”, ha aggiunto Morayef.

Come la maggior parte dei migranti e dei rifugiati che passano attraverso la Libia, le persone a bordo del “Nivin” hanno raccontato ad Amnesty International di aver subito trattamenti orribili, tra cui estorsioni, torture e obbligo di lavori forzati, così come documentato in passato dall’organizzazione per i diritti umani. Una di loro ha riferito di essere stato già trattenuto in otto diversi centri di detenzione e che preferirebbe morire piuttosto che tornarvi.

“Impossibilitati a tornare nel loro paese per il timore di subire persecuzioni e con assai scarse possibilità di essere reinsediati in un paese terzo, per la maggior parte dei rifugiati e dei richiedenti trattenuti nei centri di detenzione libici l’unica opzione è quella di rimanervi all’interno, col rischio di subire gravi violenze”, ha commentato Morayef.

“L’Europa non può più ignorare le catastrofiche conseguenze delle politiche che ha adottato per fermare le partenze attraverso il Mediterraneo. Le proteste in atto a bordo del mercantile devono suonare come una sveglia per i governi europei e per la comunità internazionale nel suo complesso: la Libia non è un paese sicuro per i migranti e i rifugiati”, ha sottolineato Morayef.
Denunciamo che migliaia di migranti e rifugiati continuano a essere intrappolati, in condizioni aberranti e senza via d’uscita, nei centri di detenzione libici.

Giornata mondiale dei poveri. Papa Francesco: "Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato ..."

Rai News
"Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi", ha detto Papa Francesco.


La Giornata Mondiale dei poveri è stata istituita da Papa Francesco con la Lettera apostolica "Misericordia et misera", pubblicata il 21 novembre 2016, a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia. 

Dopo l'Angelus in Piazza San Pietro, il Papa ha partecipato al pranzo con circa 3.000 poveri, offerto da Rome Cavalieri-Hilton Italia in collaborazione con Ente Morale Tabor.

Contemporaneamente, nelle tante parrocchie che hanno aderito all'iniziativa, nei centri di volontariato e in alcuni Collegi e scuole, ognuno secondo le proprie possibilità, viene offerto un pranzo ai bisognosi. 

Il pranzo in Aula Nervi "In occasione dell'odierna Giornata Mondiale dei Poveri, ho celebrato - ha detto il Papa ai fedeli di piazza san Pietro - una Messa alla presenza dei bisognosi, accompagnati dalle associazioni e dai gruppi parrocchiali. 

Tra poco parteciperò al pranzo nell'Aula Paolo VI con tante persone indigenti". "Il grido dei poveri", ha continuato, "diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi". Poi ha chiesto di ascoltare questo grido che è quello "strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi, il grido di anziani scartati e lasciati soli, il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. 

È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L'ingiustizia è la radice perversa della povertà".

I bambini in Yemen conoscono solo la fame e non sanno cosa sia la pace. Sono morti in 6.000 per la guerra.

Globalist
La guerra in Yemen ignorata dal mondo ha fatto oltre 6000 vittime tra i bambini, secondo quanto si legge in una nota dell'Unicef.


La guerra in Yemen ha provocato 6000 morti e feriti tra i bambini, secondo quanto afferma Henrietta Fore, direttrice generale dell'Unicef: "Il numero crescente di appelli per un cessate il fuoco nello Yemen e la ripresa dei colloqui politici, offrono un barlume di speranza ai bambini yemeniti affinché la pace possa un giorno tornare nel loro paese", si legge in una nota.

"Sono i bambini a sopportare le conseguenze di una guerra dichiarata dagli adulti, vivendo in comunità devastate da violenza, colera e malnutrizione. Paura e dolore che durano tutta la vita sono stati incisi nei loro giovani cuori", prosegue.

"I bambini hanno sofferto terribilmente durante più di tre anni di conflitto - almeno 6.000 sono stati uccisi o gravemente feriti dai combattimenti, mentre oltre 11 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere", evidenzia Fore.

"I servizi di base come l'acqua, l'assistenza sanitaria e i servizi igienico-sanitari sono praticamente crollati, e con l'economia in caduta libera, le famiglie non possono permettersi di sfamare i propri figli o di portarli alle strutture sanitarie. Nello Yemen, un bambino muore ogni 10 minuti per cause prevenibili, tra cui la malnutrizione e le malattie a prevenibili con i vaccini", aggiunge.

"È mia sincera speranza che, mentre il Consiglio di sicurezza si è riunito" ieri "per discutere dello Yemen e riprendere i colloqui politici nelle prossime settimane, le parti in conflitto e coloro che hanno influenza su di loro ascoltino gli appelli per una pace duratura e pongano gli interessi dei bambini yemeniti davanti e al centro. Tutti i bambini hanno bisogno di pace", conclude.

Turchia: rilasciati accademici accusati legami con filantropo Kavala e eversione, meno uno, Yigit Aksakoglu

Ansa
Istanbul - In Turchia sono stati rilasciati tutti tranne uno i 14 fra accademici, imprenditori e giornalisti fermati a Istanbul per legami con l'associazione Anadolu Kultur, guidata dal noto filantropo e attivista per i diritti umani Osman Kavala, che è detenuto da oltre un anno per sospette attività eversive contro lo Stato.

Yigit Aksakoglu
L'agenzia Anadolu ha reso noto che è rimasto in detenzione l'accademico Yigit Aksakoglu, che lavora alla Bilgi University di Istanbul. Aksakoglu è anche il rappresentante in Turchia della fondazione privata Bernard van Leer per la promozione dell'infanzia.

Quanto a Kavala, Amnesty International e Human Rights Watch ne hanno chiesto più volte il rilascio, sottolineando tra l'altro che non è stato ancora presentato nei suoi confronti alcun atto d'accusa formale.

sabato 17 novembre 2018

Inghilterra - Carcere - Molti casi di donne che partoriscono in cella senza ostetrica.

FoxLife
Le testimonianze: "Avevo le doglie, ma nessuno mi credeva. Mi hanno dato del paracetamolo per non sentire il dolore".


In Inghilterra, alcune donne detenute nelle carceri britanniche hanno partorito in cella senza avere accesso ad adeguate cure mediche. A rivelarlo, è uno studio condotto dalla dottoressa Laura Abbott - ostetrica e docente presso l'Università dell'Hertfordshire - condivisa in anteprima con The Guardian.

La dottoressa ha analizzato la condizione in cui alcune detenute hanno partorito in tre carceri inglesi, di cui non vengono menzionati i nomi per non compromettere l'anonimato delle persone ascoltate dai ricercatori. La relazione ha documentato casi in cui alcune recluse hanno dovuto far nascere i propri bambini in cella, senza nemmeno il supporto di un'ostetrica.

Le esperienze raccolte dal team di ricercatori disegnano un quadro molto preoccupante per il benessere delle detenute in gravidanza e dei loro bambini, in un contesto in cui il personale infermieristico non sempre è in grado di capire se la donna è entrata in travaglio né è preparato a far fronte al caso di emergenza, qualora non venisse portata in ospedale per tempo.

Inghilterra: i parti in cella
Le nascite in cella non sono molto diffuse, anche se nessuno sa esattamente quante se ne verifichino, dato che né il Ministero della Giustizia né il servizio sanitario nazionale provvede alla raccolta dei dati.

Tuttavia, la mancanza di accesso diretto a un'ostetrica, anche solo per un consulto telefonico, costituisce un grosso rischio per una donna in gravidanza. "Questo è un settore che desta sempre più preoccupazione", ha dichiarato Naomi Delap, direttrice dell'ente benefico Birth Companions, che sostiene le donne in carcere da oltre 21 anni.

Da mesi, Delap chiede l'adozione di misure urgenti: "Abbiamo iniziato a sentire diverse storie sulle donne che partoriscono in prigione", ha spiegato. Tra le testimonianze raccolte, c'è quella di Layla (nome di fantasia), confermata anche dal personale carcerario.

Entrata in travaglio precoce, Layla aveva cercato di avvisare il personale senza però essere creduta. Le contrazioni si facevano sempre più forti, ma il problema principale restava quello di convincere gli infermieri: stava partorendo, ma nessuno, oltre a lei, se n'era reso conto. L'unico supporto che le era stato offerto si limitava a qualche farmaco a base di paracetamolo per non sentire il dolore.

Alla rottura delle acque, il panico: le infermiere presenti non sapevano come gestire la situazione, l'ambulanza non arrivava. Layla, dopo due ore di travaglio, dava alla luce sua figlia in una cella di prigione senza la presenza di personale specializzato.

La sua non è stata un'esperienza isolata: "Ho intervistato 10 membri del personale, 8 hanno avuto esperienze di nascite nelle celle o ne sono venuti a conoscenza", ha rivelato Abbott. Inoltre, in due delle prigioni esaminate non è presente un solo infermiere con una formazione specialistica in grado di gestire un parto in emergenza. Nella terza, erano presenti solo nell'unità madre-bambino.
Gravidanze in carcere
Secondo la Birth Companions, le donne incinte dovrebbero avere accesso telefonico a un'ostetrica 24 ore su 24. Inoltre, non dovrebbe spettare al personale carcerario, né agli infermieri, determinare se una donna abbia le doglie oppure no. Per l'organizzazione resta necessario incrementare il personale specializzato.

Altra questione che rende complicato affrontare il fenomeno: la scarsa documentazione. Non si conoscono i numeri delle detenute in gravidanza (stimate intorno alle 600), né dei parti in carcere o in ospedale, anche se si pensa siano circa 100 all'anno.

Nonostante i propositi del governo, la situazione nelle carceri inglesi resta un problema: "Sulla carta la strategia del governo dà le risposte più giuste. Tuttavia, a nostro avviso c'è un grande divario tra ciò che dovrebbe essere fornito e l'assistenza che effettivamente viene garantita. Le donne ricevono cure inadeguate che a volte possono essere pericolose per loro e per i loro bambini".