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domenica 31 luglio 2016

Libia - Migranti - A Luglio più di 120 corpi restituiti dal mare recuperati vicino Sabratha

Blog Diritti Umani - Human Rigths
Il sindaco di Sabratha in Libia Hussein Thwadi ha comunicato che più di 120 corpi di persone che sono morte cercando di attraversare il Mediterraneo verso l'Europa sono state ritrovate intorno alla città nel mese di Luglio

Ha detto anche che i corpi sono stati recuperati ogni giorno nel corso del mese, con 53 trovati in un solo giorno la settimana scorsa. Le vittime sono principalmente africani sub-sahariani e 23 tunisini.
Volontari della Mezzaluna Rossa e funzionari locali sono stati impegnati nel recupero dei corpi e per la sepoltura in un cimitero a Sabratha per i resti non identificati.

"Tutta la costa è pattugliata ma non hanno sufficienti capacità per affrontare questa crisi.
La migrazione illegale esisteva prima, ma con l'insicurezza e la mancanza di autorità statali la crisi è diventata peggiore."

Sabratha è il tratto di mare da cui la maggior parte delle imbarcazioni partono per cercare di arrivare in Europa.

Fonte: Reuters

Roma, gli imam alla messa di Sant'Egidio a Trastevere

La Repubblica
In prima fila i tre rappresentanti della moschea di Centocelle e delle sale di preghiera di Magliana e via Candia nei loro abiti tradizionali. I tre si sono scambiati un segno di pace con altri fedeli anche cristiani


Una delegazione della comunità islamica sta assistendo alla messa domenicale nella chiesa di Santa Maria in Trastevere per portare solidarietà alla Comunità di Sant'Egidio dopo i fatti di Rouen. Seduti in prima fila, davanti all'altare, tra gli altri, l'imam delle Moschea di via dei Frassini (Centocelle) e rappresentante dell'Ucoii, Mohammed ben Mohammed, l'imam della sala di preghiera di Magliana, Sami Salem, e l'imam della sala di preghiera di via Candia, Mohammed Hassan Abdelghaffar. Indossano i loro abiti tradizionali e all'ingresso, prima che iniziasse la liturgia, hanno salutato il rappresentante della Comunità di Sant'Egidio don Riccardo Mensuale. Durante la funzione i tre imam si sono scambiati un segno di pace con altri fedeli anche cristiani.


"Siamo qui per testimoniare solidarietà dopo l'attentato di Rouen - ha detto Mohammed ben Mohammed prima di entrare in chiesa - per esprimere vicinanza e unità. Nel discorso di venerdì ho invitato i fedeli a denunciare chiunque sia intenzionato a fare un danno alla società. Tra i fedeli sono sicuro che c'è chi è pronto a denunciare. Le moschee non sono luoghi in cui i fanatici si radicalizzano, le Moschee fanno il contrario del progetto di terrorismo: diffondono pace e dialogo".

Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani, ecco la mappa degli orrori

La Repubblica
Nel dossier "Piccoli schiavi invisibili" di Save the Children un dato inquietante: nel nostro Paese il commercio di persone costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico di armi e droga


Minori nigeriane in attesa la confine Niger-Libia
Roma - Ragazze nigeriane e romene buttate per strada. Minori egiziani, bengalesi e albanesi costretti a spacciare. Giovani somali ed eritrei, "in transito" nel nostro Paese, vittime di sfruttamento. Alla vigilia della Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani (che si celebra il 30 luglio), Save the Children mappa gli orrori del 2016 nel dossier "Piccoli schiavi invisibili". A partire da un dato: nel nostro Paese la tratta di persone costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico di armi e droga.

Sbarchi: il boom dei bambini soli. I minori vittima di schiavitù nel mondo sarebbero un milione e 200mila. Una vittima di tratta su cinque è un bambino o un adolescente. "Quello della tratta è un fenomeno estremamente complesso - si legge nel dossier - soprattutto in Italia, che spesso coinvolge minori stranieri non accompagnati, cioè senza adulti di riferimento, molti dei quali sono in transito nel nostro Paese e si spostano da una città all'altra. Basti pensare che in Italia, tra gennaio e giugno 2016, sono arrivate via mare 70.222 persone in fuga da guerre, fame e violenze. Di queste 11.608 sono minori, il 90% dei quali (10.524) non accompagnati, un numero più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (4.410 da gennaio a giugno 2015)".

Ragazze in vendita e baby spacciatori. Tra i minori vittima di tratta e sfruttamento in Italia, molte sono le ragazze nigeriane, romene e di altri Paesi dell'Est Europa, sempre più giovani, costrette alla prostituzione su strada o in luoghi chiusi. Attraverso le attività delle unità mobili, Save the Children ha anche intercettato gruppi di minori egiziani, bengalesi e albanesi inseriti nei circuiti dello sfruttamento lavorativo e nei mercati del lavoro in nero, costretti a fornire prestazioni sessuali, spacciare droga o commettere altre attività illegali. A destare particolare preoccupazione sono poi i minori "in transito", tra i quali spiccano eritrei e somali che, una volta sbarcati sulle nostre coste, in assenza di sistemi di transito legali e protetti, si allontanano dai centri di accoglienza e si rendono invisibili alle istituzioni nella speranza di raggiungere il Nord Europa, divenendo facili prede degli sfruttatori.

Il business degli sfruttatori. Nel nostro Paese, la tratta di persone costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico di armi e di droga. Il numero dei procedimenti a carico degli sfruttatori, e soprattutto quello delle condanne in via definitiva, rimane però limitato. In Italia, dal 2013 al 2015, sono stati denunciati per reati inerenti la tratta e lo sfruttamento un totale di 464 individui, alla maggior parte dei quali viene contestato il reato di riduzione in schiavitù. Per lo specifico reato di tratta di persone sono stati arrestati più di 190 soggetti di nazionalità prevalentemente romena, albanese e nigeriana. Secondo i dati riportati dal ministero della Giustizia, il 12% degli autori di reati connessi alla tratta e allo sfruttamento sono di nazionalità italiana.

Il caso delle schiave nigeriane. Il numero delle minori nigeriane arrivate in Italia è in continuo aumento: nei primi sei mesi del 2016, sono state registrate 3.529 donne di nazionalità nigeriana sbarcate sulle nostre coste, tutte molto giovani, e 814 minori non accompagnati. "Questo dato riflette un trend in aumento che ha visto un incremento del 300% degli arrivi di ragazze nigeriane nel nostro Paese tra il 2014 e il 2015". La maggior parte di loro sono adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni, con un numero crescente di bambine di 13 anni. Secondo le testimonianze raccolte da Save the Children, le ragazze vengono adescate nel circuito della tratta tramite conoscenti, vicini di casa, compagne di scuola o spesso anche sorelle maggiori già arrivate in Italia. Una volta reclutate, vengono costrette a un giuramento tramite i riti dello juju o del voodoo, con cui si impegnano a restituire allo sfruttatore il proprio debito, che si aggira tra i 20.000 e i 50.000 euro. Spesso vengono costrette alla prostituzione già durante il viaggio che le porterà in Italia, mentre attraversano il Niger e durante la successiva sosta in Libia. Molte ragazze vengono indotte alla prostituzione già nelle aree limitrofe ai centri di accoglienza, oppure vengono trasferite dai trafficanti in Campania per essere smistate e distribuite nelle principali città italiane. Le ragazze sono costrette a pagare un affitto sia per il luogo in cui vivono che per il marciapiede, con un costo per quest'ultimo che va dai 100 ai 250 euro al mese.

I ragazzini egiziani. I ragazzi egiziani condividono l'esigenza di dover mandare soldi a casa per pagare il debito contratto dalla famiglia prima della partenza e questo li trasforma in facili reclute del lavoro nero. A Milano e Torino, la maggior parte viene sfruttata in pizzerie, panifici o mercati ortofrutticoli. A Roma, sono tantissimi i minori egiziani che lavorano all'interno dei mercati generali della frutta e verdura, nelle pizzerie, negli autolavaggi o nelle frutterie. Vengono pagati pochissimi euro e a volte non vengono proprio retribuiti, con la scusa che il lavoro svolto costituisca un apprendistato. In alcuni casi, sono anche vittime di sfruttamento sessuale o coinvolti in attività illegali come lo spaccio di sostanze stupefacenti.

di Vladimiro Polchi

Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani. Nel 2016 Telefono Azzurro 61,9% di segnalazioni sono per minori stranieri

In Salute News
Telefono Azzurro gestisce il 116.000, numero unico europeo per i bambini scomparsi. Nel primo semestre del 2016, il 61,9% dei casi gestiti dall’associazione ha riguardato minori stranieri non accompagnati


Roma - I dati raccolti dalle linee di ascolto europee per i minori scomparsi rivelano che i minori stranieri accompagnati sono esposti ad un elevato rischio di diventare vittime della tratta, di traffici illeciti e devianti, impiegati nelle maglie della criminalità, del lavoro nero e dello sfruttamento sessuale.

In Italia, Telefono Azzurro, in coordinamento con il Ministero dell’Interno dal 2009, gestisce il servizio 116.000, numero unico europeo per minori scomparsi, in quanto membro di Missing Children Europe, il network di 29 Organizzazioni Non Governative attive in 24 Paesi europei, che gestiscono altrettante linee telefoniche per bambini scomparsi. Una linea, attiva 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, con l’obiettivo di offrire un sostegno sempre maggiore ai minori non accompagnati, dal supporto psicologico fino ai consigli per questioni pratiche, legali e sociali.

Nel primo semestre del 2016, il 61,9% dei casi gestiti da Telefono Azzurro ha riguardato minori stranieri non accompagnati. Di questi il 92,3% sono di sesso maschile, mentre l’86,2% di loro ha tra i 15 e i 17 anni.

Coerentemente all’analisi di dati internazionali, l’aumento della scomparsa di minori stranieri non accompagnati di età compresa tra i 15 ed i 17 anni sembrerebbe andare nella direzione dei fenomeni di tratta e sfruttamento di esseri umani.

Approfondimenti tematici, infatti, suggeriscono che ragazzi appartenenti a tali fasce di età rappresentino plausibilmente i target d’elezione per i circuiti illegali di criminalità, lavoro minorile, prostituzione, etc. ai quali, purtroppo, i MSNA sono maggiormente esposti per una vulnerabilità sensibilmente aumentata a tali rischi, per loro stessa condizione.

Le regioni dalle quali sono arrivate più segnalazioni di scomparsa sono la Sicilia e la Sardegna, mentre si registra un aumento della frequenza di segnalazioni ricevute dall’estero. I primi Paesi di origine dei minori per le quali arrivano le segnalazioni sono Somalia, Egitto, Guinea, Etiopia, Gambia e Benin.

A segnalare al servizio sono per lo più Prefetture, Carabinieri e Questure. Un dato che indica la stretta collaborazione con le forze dell’ordine su tutto il territorio nazionale.

Anche secondo quanto riportato da Europol di recente, i minori stranieri non accompagnati sono sempre più presi di mira dai trafficanti e vengono coinvolti in attività criminali e di sfruttamento. La relazione della Commissione europea sui progressi compiuti nella lotta contro la tratta di esseri umani ha inoltre registrato un aggravamento del traffico di minori dovuto all’intensificarsi della crisi migratoria.

Telefono Azzurro è membro di SUMMIT (Safeguarding Unaccompanied Migrant Minors from going Missing by Identifying Best Practices and Training Actors on Interagency Cooperation), coordinato di Missing Children Europe, con l’obiettivo di ridurre il numero dei minori non accompagnati scomparsi.

Gran Bretagna: nelle carceri inglesi nuova impennata di suicidi

west-info.eu
Il numero di suicidi nelle carceri di Inghilterra e Galles ha toccato un nuovo record storico. Tra giugno 2015 e giugno 2016, infatti, 105 detenuti si sono tolti la vita. 

23 in più rispetto ai 12 mesi precedenti, il che equivale ad un incremento del 28%. I dati appena pubblicati dal ministero della Giustizia inglese mostrano che, confrontando i due periodi di tempo presi in considerazione, è cresciuto in modo particolare il numero delle donne che si sono uccise in carcere: da 1 a 11. 

Carenza di personale e sovraffollamento tra le ragioni principali per spiegare l'inquietante fenomeno.

sabato 30 luglio 2016

Turchia: la marcia dei giornalisti in manette ultima indecenza del regime

Il Manifesto
Venti dei 42 giornalisti contro cui è stato spiccato un mandato d'arresto ieri portati in tribunale a Istanbul. Decapitato l'esercito: il 44% dei generali turchi sono in custodia, 178 su 35. Impossibile scorrere le foto pubblicate ieri su Twitter dal giornalista Mahir Zeynalov (@MahirZeynalov), poi riprese dai media, e non provare un brivido. Giornalisti, reporter, colleghi, scendono una scalinata circondati da poliziotti che li tengono per le braccia. Alcuni sfidano con lo sguardo, altri hanno la testa bassa.


Gli arresti che il regime di Erdogan ha ordinato negli ultimi giorni, sulla base di supposti legami con i golpisti del 15 luglio e il movimento dell'imam Gülen, non hanno giustificazione. Dei 42 giornalisti contro i quali è stato spiccato un mandato d'arresto, 11 sono andati all'estero e 9 sono ricercati. Gli altri sono in manette: 20 di loro ieri scendevano la scalinata della corte di Istanbul che ne ha confermato la detenzione.
Tra loro la famosa commentatrice tv Nazli Ilicak, il reporter di Hurriyet Arda Akin, Bulent Mumay (che pochi giorni fa ricordava come negli anni è stato tacciato dal governo di ogni possibile simpatia, dai kurdi del Pkk ai marxisti del Dhkp-C fino al presidente siriano Assad), il giornalista investigativo Bunyamin Koseli, l'esperta di cronaca giudiziaria Busra Erdal (con reportage che non sono piaciuti al governo dell'Akp, l'editorialista di al Monitor Ufuk Sanli. E via a scorrere, lungo la linea tracciata dalla paranoia autoritaria.
La campagna di punizione collettiva prosegue inesorabile, come nulla fosse. Dopotutto l'alleato europeo che versa miliardi di euro nelle casse di Ankara non fiata. Mentre i giornalisti venivano portati in tribunale, venivano pubblicati i numeri sugli arrestati nell'esercito. Alle forze armate turche è saltata la testa: di 358 generali, 178 sono agli arresti. Il 44% dei vertici dell'esercito è evaporato: 87 generali delle forze di terra, 30 dell'aviazione, 32 della marina, 7 della gendarmeria e uno della guardia costiera. Un numero che non combacia con quello dei soldati considerati coinvolti nel tentato golpe: secondo l'esercito vi hanno preso parte 8.651 militari, l'1,5% del totale.
Delle due, l'una: o i vertici golpisti contavano solo sulle proprie forze o la loro espulsione era in programma da tempo. È ormai chiaro che Erdogan non ha dovuto aspettare il 30 agosto (data classica di pensionamento nelle forze armate) per la pulizia che aveva già in mente. Ora il passo successivo è scontato: assumere il controllo definitivo dell'esercito con figure a lui vicine, stessa procedura adottata nell'università. 

E mentre ieri il terzo ufficiale si toglieva la vita in custodia, il premier Yildirim annunciava la chiusura delle basi militari ad Ankara e Istanbul utilizzate dai golpisti. Andranno sostituite e la soluzione c'è già: aprirne di nuove lontano dalle grandi città. E a chi muove critiche, 
Erdogan risponde con rabbia: il generale Votel, capo del Comando Centrale dell'esercito Usa, è stato accusato dal presidente di essere a fianco dei golpisti per aver detto che simili epurazioni di massa danneggiano la guerra all'Isis.

Anche i musulmani italiani domenica 31 luglio visiteranno le chiese

Ansa
L'iniziativa, partita dalla Francia, di proporre ai musulmani di partecipare alla Messa, è sostenuta anche dalla comunità italiana

Un musulmano osserva un minuto di silenzio davanti alla
chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray - Ansa/Epa
La comunità musulmana di Saint-Etienne-du-Rouvray ha negato la sepoltura ad Adel Kermiche, uno due assassini del prete Jacques Hamel. Lo riferisce Le Parisien. "Quello che ha fatto è un gesto impuro. Non vogliamo macchiare l'islam", ha detto Mohammed Karabila, presidente del consiglio regionale islamico della Normandia e direttore della moschea Yahya di Saint-Etienne-du-Rouvray. "Non parteciperemo né al lavaggio, né alla sepoltura nel caso in cui venga richiesto dalla famiglia", ha aggiunto.

La Coreis (Comunità Religiosa Islamica) Italiana "sostiene e condivide pienamente la presa di posizione espressa nel comunicato dell'Ihei, organo che partecipa attivamente alle concertazioni con il ministero dell'Interno della Repubblica Francese, e darà seguito anche in Italia a questa iniziativa di testimonianza di fratellanza spirituale: domenica 31 luglio - annuncia una nota -, prima della Santa Messa, delegati della Coreis porteranno il saluto in chiesa al vescovo e al parroco nelle seguenti città: Roma, Milano, Novara, Genova, Verona, Sondrio, Ventimiglia, Brescia, Vicenza, Fermo, Siena, Piacenza, Brindisi, Palermo e Agrigento".

"Ci sembra fondamentale in questo momento drammatico - sottolinea La Coreis - dare con questo saluto dei musulmani d'Italia un segno concreto di profondo rispetto della sacralità dei riti, dei ministri e dei luoghi di culto del Cristianesimo dove i fedeli e i cittadini ricevono le benedizioni della comunione spirituale".
Intervistato da Skytg24 il cardinal Bagnasco ha proposito dei rischi che provengono dal terrorismo anche per i luoghi di culto cattolici, ha detto di non vedere il motivo "di una militarizzazione delle chiese". Secondo l'Arcivescovo di Genova, anche dopo i fatti di Rouen, emerge che "l'Italia ha sempre mostrato grande capacità di accoglienza ma anche di attenzione e intelligence. Naturalmente non si può abbassare la guardia, bisogna essere sempre attenti, collaborare con l'Europa. Ma non bisogna avere paura, perché altrimenti si fa il gioco", di questi "fanatici omicidi".

Portavoce Cei: 'Sarebbe gesto enorme se musulmani'
L'appello del Centro per il culto musulmano francese, fatto proprio anche dall'italiana Coreis, affinché i musulmani siano domenica a messa per dare ai cattolici un segno di solidarietà "è un gesto enorme, mette fuori gioco chi vuole dividere, chi vuole una strategia del terrore". Così il portavoce Cei, don Ivan Maffeis, commenta con l'ANSA l'invito delle comunità musulmane ai fedeli per domenica. "Il presidente Bagnasco aveva chiesto un segno, di far sentire la loro voce" perché "la strada non sono i muri" ed "è arrivato".

"Il gesto è di alto valore simbolico, però si dovrebbe unire ad un'azione di vera conoscenza reciproca". Così Omar Camilletti, della Grande Moschea di Roma, commenta l'iniziativa.

"Penso che bisogna andare oltre questo. Faccio un esempio: qui alla moschea - dice Camilletti a Radio Vaticana - riceviamo circa 30 mila visitatori l'anno. Quest'anno il numero è sensibilmente diminuito, forse la metà. Sono scuole di tutta Italia, tutta Europa. Penso che una vera azione sarebbe quella di portare dei ragazzi musulmani, dei fedeli musulmani, in visita alle chiese tutto l'anno - dice il rappresentante della Grande Moschea di Roma -, non solo questa domenica, perché molti ragazzi, molte ragazze ignorano il fatto che questo Paese abbia migliaia di chiese e che l'identità cristiana sia comunque l'identità religiosa della maggioranza del Paese. Quindi bisogna favorire ogni proposizione di incontro".

venerdì 29 luglio 2016

Invito Cfcm - I musulmani di Francia: domenica tutti a Messa per essere vicini ai cristiani

Globalist
La comunità islamica ha condannato duramente l'assassinio di padre Jacques Hamel



E' un gesto forte. Denso di significato, che forse qualcuno cercherà di strumentalizzare in un senso o nell'altro: il consiglio francese del culto musulmano ha invitato i responsabili delle moschee, gli Imam e i fedeli musulmani di recarsi "domenica mattina", 31 luglio, a messa, magari nella chiesa più vicina a casa loro, per esprimere "solidarietà e cordoglio" dopo il "vile assassinio" di padre Jacques Hamel.
E' il contenuto di una nota diffusa dallo stesso Cfcm.
Per l'organismo si tratta di un modo per esprimere "nuovamente" l'appoggio della comunità dei "musulmani di Francia" "ai nostri fratelli cristiani".

Il silenzio di Papa Francesco ad Auschwitz

Blog Diritti Umani - Human Rights


Il silenzio di Papa Francesco ad Auschwitz


Papa Francesco in preghiera nella cella di Padre Kolbe











Indonesia - Ignorati gli appelli, eseguite 4 condanne a morte. Un indonesiano e 3 nigeriani

Blog Diritti Umani - Human Rights
Indonesia - L'Indonesia ha eseguito quattro persone condannate per reati di droga, nonostante le proteste internazionali, e ha annunciato che in seguito deciderà per almeno altri 10 condannati.
Sono un indonesiano e tre nigeriani che sono stati uccisi da un plotone di esecuzione poco dopo la mezzanotte ora locale, mentre piogge torrenziali colpivano l'isola-prigione di Nusa Kambangan che ospita i condannati a morte.
Il governo aveva annunciato all'inizio della settimana che 14 persone nel braccio della morte, per lo più stranieri, sarebbero stati giustiziati per reati di droga.

Sono stati eseguiti un indonesiano Freddy Budiman e i nigeriani Seck Osmane, Michael Tito e Humphrey Jefferson.

I parenti, gruppi per i diritti e governi stranieri avevano sollecitato l'Indonesia di risparmiare le 14 vite. Avvocati e gruppi per i diritti umani hanno sollevato seri dubbi sulla legittimità della condanna di Jefferson, che era stato in prigione per più di un decennio.

E' stata la terza serie di esecuzioni sotto il presidente Joko Widodo che è stato eletto nel 2014 facendo  promesse per migliorare i diritti umani in Indonesia.

L'anno scorso, il governo ha eseguito14 persone condannate per reati di droga, per lo più stranieri, innescando un enorme clamore all'estero e in particolare in Australia, che aveva due cittadini tra i condannati.

Le ultime esecuzioni non hanno attirato lo stesso livello di attenzione dei media all'estero, ma l'Unione europea, U.N. Ufficio per i diritti umani, il governo australiano e altri hanno continuato prendere posizione contro l'uso della pena di morte in Indonesia.

I corpi di Osmane e Tito per loro desiderio torneranno nel loro paese di origine e Jefferson sarà sepolto in Indonesia.

Il governo precedente non ha effettuato esecuzioni tra il 2009 e il 2012, ma sono riprese nel 2013.

ES

Fonte: AP

giovedì 28 luglio 2016

Rouen: Altre condanne del mondo islamico: la moschea di Roma, l'imam di Saint-Etienne

Blog Diritti Umani - Human Rights
Di fronte agli atti di terrorismo che si susseguono tragicamente si sono registrate diverse reazioni di condanna da parte del mondo dell'Islam che contengono delle novità: Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di Al-Azhar, l'importante appello di Tahar Ben Jelloun e altre che seguono. E' utile raccoglierle in quanto rappresentano un fermento degli uomini di fede islamica che colpiti anche loro da questi attentati vogliono reagire.
Fedeli musulmani nella
Grande Moschea di Roma

La moschea di Roma
"Estirpare il radicalismo che alimenta il terrorismo"
"Le parole sembrano inutili, ma il silenzio è peggio. Vicini al popolo francese, aumentiamo gli sforzi per combattere il radicalismo"
>>> L'Articolo

L'imam di Saint-Etienne 
"Così i nuovi barbari vogliono dividerci"
Mohammed Karabilia, guida spirituale della moschea, ricorda "l'amico Jacques" che "predicava la fratellanza". "I terroristi non sono musulmani e non devono essere confusi con noi"
>>>L'intervista

Appello Tahar Ben Jelloun: Non più sufficiente dire che Islam è pace, scendere nelle piazze. Liberiamo l'Islam dalle grinfie di Daesh

Blog Diritti Umani - Human Rights
L'appello di Tahar Ben Jelloun

Lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun
L'Islam ci ha riuniti in una stessa casa, una nazione. Che lo vogliamo o no, apparteniamo tutti a quello spirito superiore che celebra la pace e la fratellanza. Nel nome "Islam" è contenuta la radice della parola "pace". Ma ecco che da qualche tempo la nozione di pace è tradita, lacerata e calpestata da individui che pretendono di appartenere a questa nostra casa, ma hanno deciso di ricostruirla su basi di esclusione e fanatismo. Per questo si danno all'assassinio di innocenti. Un'aberrazione, una crudeltà che nessuna religione permette.

Oggi hanno superato una linea rossa: entrare nella chiesa di una piccola città della Normandia e aggredire un anziano, un prete, sgozzarlo come un agnello, ripetere il gesto su un'altra persona, lasciandola a terra nel suo sangue tra la vita e la morte, gridare il nome di Daesh e poi morire: è una dichiarazione di guerra di nuovo genere, una guerra di religione. Sappiamo quanto può durare, e come va a finire. Male, molto male.

Perciò dopo i massacri del 13 novembre a Parigi, la strage di Nizza e altri crimini individuali, siamo tutti chiamati a reagire: la comunità musulmana dei praticanti e di chi non lo è, voi ed io, i nostri figli, i nostri vicini. Non basta insorgere verbalmente, indignarsi ancora una volta e ripetere che "questo non è l'Islam". Non è più sufficiente, e sempre più spesso non siamo creduti quando diciamo che l'Islam è una religione di pace e di tolleranza. Non possiamo più salvare l'Islam - o piuttosto - se vogliamo ristabilirlo nella sua verità e nella sua storia, dimostrare che l'Islam non è sgozzare un sacerdote, allora dobbiamo scendere in massa nelle piazze e unirci attorno a uno stesso messaggio: liberiamo l'Islam dalle grinfie di Daesh. Abbiamo paura perché proviamo rabbia. Ma la nostra rabbia è l'inizio di una resistenza, anzi di un cambiamento radicale di ciò che l'Islam è in Europa.

Se l'Europa ci ha accolti, è perché aveva bisogno della nostra forza lavoro. Se nel 1975 la Francia ha deciso il ricongiungimento famigliare, lo ha fatto per dare un volto umano all'immigrazione. Perciò dobbiamo adattarci al diritto e alle leggi della Repubblica. Rinunciare a tutti i segni provocatori di appartenenza alla religione di Maometto. Non abbiamo bisogno di obbligare le nostre donne a coprirsi come fantasmi neri che per strada spaventano i bambini. Non abbiamo il diritto di impedire a un medico di auscultare una donna musulmana, né di pretendere piscine per sole donne. Così come non abbiamo il diritto di lasciar fare questi criminali, se decidono che la loro vita non ha più importanza e la offrono a Daesh.

Non solo: dobbiamo denunciare chi tra noi è tentato da questa criminale avventura. Non è delazione, ma al contrario un atto di coraggio, per garantire la sicurezza a tutti. Sapete bene che in ogni massacro si contano tra le vittime musulmani innocenti. Dobbiamo essere vigilanti a 360 gradi. Perciò è necessario che le istanze religiose si muovano e facciano appello a milioni di cittadini appartenenti alla casa dell'Islam, credenti o meno, perché scendano nelle piazze per denunciare a voce alta questo nemico, per dire che chi sgozza un prete fa scorrere il sangue dell'innocente sul volto dell'Islam.

Se continuiamo a guardare passivamente ciò che si sta tramando davanti a noi, presto o tardi saremo complici di questi assassini.
Apparteniamo alla stessa nazione, ma non per questo siamo "fratelli". Oggi però, per provare che vale la pena di appartenere alla stessa casa, alla stessa nazione, dobbiamo reagire. Altrimenti non ci resterà altro che fare le valigie e tornare al Paese natale.

(traduzione di Elisabetta Horvat)

Fonte: La Repubblica

Rouen: al Azhar, autori attacco privi dei valori Islam, ordiniamo rispetto per i luoghi di culto

Ansa Med
Noi ordiniamo rispetto tutti luoghi culto, sradicare terrorismo
Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di Al-Azhar, ricevuto in Vaticano da papa Francesco nel maggio scorso
Il Cairo - Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di Al-Azhar, la massima istituzione dell'Islam sunnita con sede al Cairo, ha condannato "l'attacco terrorista" contro la chiesa in Normandia. 
"Gli autori di questo attacco barbaro si sono spogliati dei valori dell'umanità e dei principi tolleranti dell'Islam che predica la pace e ordina di non uccidere gli innocenti". "L'Islam ordina il rispetto di tutti i luoghi di culto dei non musulmani", ha aggiunto rinnovando l'appello a unirsi per far fronte al "cancro del terrorismo".
"Al Azhar intende proseguire nella sua lotta contro l'ideologia estremista per sradicare il terrorismo - prosegue la nota, scrive l'agenzia Mena - e porge le sue condoglianze al presidente Francois Hollande, all'arcivescovo di Rouen, Dominique Lebrun, alla famiglia della vittima e alla Repubblica francese amica, ma anche al governo e al popolo francese".

mercoledì 27 luglio 2016

Gravi abusi ai minori detenuti in Australia "stile Abu Grahib"

Il Post
La rete televisiva ABC ha trasmesso una serie di filmati in cui si vedono i maltrattamenti di alcuni detenuti "stile Abu Grahib"

Dylan Voller, detenuto di 17 anni, legato 
a una sedia e incappucciato da alcuni agenti.
Un’inchiesta della rete televisiva australiana ABC andata in onda lunedì 25 luglio ha mostrato una serie di abusi subiti dai detenuti di una prigione minorile nel nord del paese. 

I filmati trasmessi nel corso del programma Four Corners mostrano un detenuto legato a una sedia e incappucciato, in una maniera che a molti ha ricordato la prigione di Abu Grahib, in Iraq, dove alcuni militari americani e contractor civili abusarono dei detenuti nel 2004. In un altro filmato si vedono gli agenti usare lacrimogeni contro alcuni detenuti chiusi nelle loro celle, mentre in un altro ancora si vede un detenuto denudato mentre alcune guardie lo tengono bloccato al suolo. Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull ha detto di essere profondamente scioccato dalle immagini e ha annunciato un’inchiesta sugli episodi. Il Guardian ha scritto che sei detenuti della prigione denunceranno i maltrattamenti subiti.

Gli abusi mostrati da ABC sono avvenuti tra il 2014 e il 2015 nel centro di detenzione Don Dale, vicino Darwin, nel Northern Territory, nel nord dell’Australia. Si tratta di una regione dove da tempo il sistema penitenziario minorile è sotto accusa per gli abusi subiti dai detenuti, in particolare da quelli minorenni. Tutti i detenuti mostrati dai filmati erano di origine indigena. Si tratta di un gruppo che costituisce il 96 per cento dei minori che si trovano in strutture di detenzione e il 30 per cento del totale della popolazione carceraria. I filmati, ha scritto il Guardian, hanno riaperto il dibattito sui rapporti tra il governo australiano e la popolazione indigena e quello sull’approccio molto duro utilizzato dal governo del Northern Territory per gestire la criminalità.

Il primo ministro Turnbull ha detto che l’inchiesta non riguarderà soltanto le accuse al centro di detenzione Don Dale, ma sarà estesa anche al resto del sistema penitenziario del Northern Territory. Turnbull ha detto che l’obbiettivo della commissione è scoprire: «Se esiste una cultura diffusa in tutto il sistema penitenziario del Northern Territory o se gli abusi sono limitati a un centro di detenzione specifico». I dettagli su come opererà la commissione non sono ancora molto chiari, mentre alcuni hanno sottolineato il ritardo della decisione di Turnbull, visto che il sistema penitenziario del Northern Territory è sotto accusa oramai da molto tempo. Il primo ministro della regione, Adam Giles, ha detto di aver guardato i filmati con “orrore” e che nel sistema penitenziario esiste una cultura che ha contribuito a tenere nascosti gli abusi subiti dai detenuti. Giles ha aggiunto che la competenza sul sistema penitenziario sarà tolta al procuratore generale John Elferink, una figura controversa i cui metodi molto duri sono stati spesso criticati.

Uno dei filmati più impressionanti mostra Dylan Voller, un detenuto di 17 anni, mentre viene legato a una sedia da alcuni agenti. Voller indossa un cappuccio e ha un collare che gli tiene legata la testa allo schienale della sedia. Secondo ABC, Voller è rimasto bloccato sulla sedia per due ore. Sedia, cappuccio e collare fanno parte degli strumenti di “restrizione” regolarmente approvati dal governo del Northern Territory. L’UNICEF Australia ha detto che quello che è avvenuto al Don Dale «potrebbe essere considerato una forma di tortura».

Martedì 26 luglio l’avvocato di Voller, Peter O’ Brien, ha diffuso una lettera manoscritta del ragazzo, in cui Voller ringrazia “tutti gli australiani per il supporto” ai detenuti e alle loro famiglie, e aggiunge: “voglio cogliere quest’occasione per scusarmi con la comunità per i miei sbagli. Non vedo l’ora di uscire e rimediare”. O’ Brien ha detto che attualmente Voller è detenuto in una prigione per adulti, ma dovrebbe essere rilasciato immediatamente: “l’impatto di questi anni di sevizie deve essere subito valutato, e Dylan necessita di assistenza immediata. Ogni ragazzo rinchiuso in isolamento nel Northern Territory deve essere subito liberato”.

In un altro filmato si vedono alcuni detenuti venire spruzzati con gas lacrimogeno. L’episodio è avvenuto nell’agosto del 2014 e all’epoca il governo del Northern Territory spiegò che il gas era stato utilizzato per bloccare un tentativo di fuga da parte dei detenuti. Il filmato di ABC, però, mostra che soltanto uno dei sei ragazzi colpiti dal gas stava cercando di fuggire. Gli altri cinque si trovavano ancora chiusi nelle loro celle.

L’Italia senza immigrati: - 20% di bambini nati, - 68.000 insegnanti, - 448.000 imprese

Tendenze On Line
La fotografia del Censis: avremmo il 20% di bambini nati in meno nell’ultimo anno, una scuola pubblica con 35mila classi e 68mila insegnati in meno, saremmo senza 693mila lavoratori domestici e 449mila imprese. I numeri del modello di integrazione italiano che funziona


Come sarebbe l’Italia senza gli immigrati? Sarebbe un Paese con 2,6 milioni di giovani under 34 in meno e sull’orlo del crac demografico. Gli immigrati sono mediamente più giovani degli italiani e mostrano una maggiore propensione a fare figli. 
Le nascite da almeno un genitore straniero in Italia fanno registrare un costante aumento: +4% dal 2008 al 2015, a fronte di una riduzione del 15,4% delle nascite da entrambi i genitori italiani. Dei 488mila bambini nati in Italia nel 2015, anno in cui si è avuto il minor numero di nati dall’Unità d’Italia, solo 387mila sono nati da entrambi i genitori italiani, mentre 73mila (il 15%) hanno entrambi i genitori stranieri e 28mila (quasi il 6%) hanno un genitore straniero.

È vero che il nostro sistema di gestione dei flussi migratori ha dovuto affrontare crescenti difficoltà. Il numero complessivo degli ospiti nelle strutture di prima e seconda accoglienza è passato dai 22.118 del 2013 ai 123.038 al 6 giugno 2016, con un aumento del 456 per cento. Ma il nostro modello di integrazione degli stranieri che si stabilizzano sul territorio nazionale funziona.

Gli alunni stranieri nella scuola (pubblica e privata) nel 2015 erano 805.800, il 9,1% del totale. Senza gli stranieri a scuola (la maggioranza dei quali sono nati in Italia) si avrebbero 35mila classi in meno negli istituti pubblici e saremmo costretti a rinunciare a 68mila insegnanti, vale a dire il 9,5% del totale.

Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani

Anche sul mercato del lavoro la perdita degli immigranti significherebbe dover rinunciare a 693mila lavoratori domestici (il 77% del totale), che integrano con servizi a basso costo e di buona qualità quanto il sistema di welfare pubblico non è più in grado di garantire.

Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani. Nel primo trimestre del 2016 i titolari d’impresa stranieri sono 449mila, rappresentano il 14% del totale e sono cresciuti del 49% dal 2008 a oggi, mentre nello stesso periodo le imprese guidate da italiani diminuivano dell’11,2 per cento.

Anche i trattamenti previdenziali confermano che il rapporto tra «dare» e «avere» vede ancora i cittadini italiani in una posizione di vantaggio. Gli immigranti che percepiscono una pensione in Italia sono 141mila: nemmeno l’1% degli oltre 16 milioni di pensionati italiani. Quelli che beneficiano di altre prestazioni di sostegno del reddito sono 122mila, vale a dire il 4,2% del totale.

Tutti segnali di quel modello di integrazione dal basso, molecolare, diffuso sul territorio che ha portato oltre 5 milioni di stranieri (che rappresentano l’8,2% della popolazione complessiva), appartenenti a 197 comunità diverse, a vivere e a risiedere stabilmente nel nostro Paese e che, alla prova dei fatti, ha mostrato di funzionare bene e di non aver suscitato i fenomeni di involuzione patologica che si sono verificati altrove in Europa, dove i territori ad altissima concentrazione di immigrati sono esposti a più alto rischio di etnodisagio. Dei 146 comuni italiani che hanno più di 50mila abitanti, solo 74 presentano una incidenza di stranieri sulla popolazione che supera la media nazionale. Tra questi, due si trovano al Sud: Olbia in Sardegna, con il 9,7% di residenti stranieri, e Vittoria in Sicilia, con il 9,1 per cento. Brescia e Milano sono i due comuni italiani con più di 50mila residenti che presentano la maggiore concentrazione di stranieri, che però in entrambi i casi è pari solo al 18,6% della popolazione. Seguono Piacenza, in cui gli stranieri rappresentano il 18,2% dei residenti, e Prato con il 17,9 per cento.

Andrea Riccardi - Terrorismo, martirio, vera fede. La messa non è finita

Avvenire
Andrea Riccardi
Una chiesa profanata dalla violenza; un prete ucciso mentre celebra la Messa; fedeli e religiose colpiti... L’abbiamo visto in tutto il mondo, l’abbiano già visto anche in Francia quando frére Roger fu accoltellato a morte durante la preghiera dei vespri a Taizé. Non avremmo mai voluto vederlo ancora, qui, in Europa. Ma è accaduto. 

Il prete 86enne Jacques Hamel
È un gesto rivelatore della disumanità dei terroristi e della loro assoluta mancanza di senso religioso, che invece abita in molti musulmani con il rispetto degli «uomini di Dio» e della preghiera. 

Giovani, folli, ingabbiati nella logica totalitaria dell’odio e nella propaganda del Daesh, hanno compiuto questo atto cruento. Odiosa esibizione di violenza brutale. Espressione di una primordiale volontà di terrorizzare la società francese per farla precipitare in reazioni inconsulte. Saggiamente, il presidente dei vescovi francesi, monsignor Pontier, ha dichiarato che è neces! sario non cadere nella paura. Saggiamente i vescovi italiani hanno ricordato subito che non ci si può arrendere a «logiche di chiusura o di vendetta».

Perché un attacco a una chiesa? Si tratta di una di quelle parrocchie che presidiano la Francia periferica e rurale: una chiesa che ha conosciuto le vicende secolari del cattolicesimo normanno. Oggi la servono un parroco congolese, aiutato da un ottantaquattrenne prete francese, Jacques Hamel, ucciso sull’altare mentre celebrava. Mancano preti in Francia. Ma non c’è una Chiesa morta o agonizzante. Anzi tiene con coraggio e vive la sua missione con l’aiuto di laici e suore. Anche con la dedizione di un prete anziano che aveva celebrato cinquant’anni di sacerdozio nel 2008, ma non si era fermato. Questi sono i nostri preti: gente che vive tutta la vita come servizio, non ben pagati, talvolta soli, ma impregnati di spirito di servizio. Oggi, si deve esprimer! e rispetto per la Chiesa di Francia che, pur passata tra tant! e difficoltà, tiene aperte le chiese, predica e celebra con grande dignità e comunicatività evangelica.

Perché una chiesa? – è la domanda che ritorna. È un simbolo cristiano. E oggi quella chiesa di Saint Etienne lo è ancora di più, bagnata dal sangue di martiri. Lo è per quella Messa interrotta dalla violenza. Con grande chiarezza, la Chiesa di Francia e quella universale – da Giovanni Paolo II a Francesco – non hanno mai riconosciuto l’esistenza di una guerra di religione tra Occidente (cristiano) e islam. Nel gennaio 2002, dopo gli attentati dell’11 settembre, papa Wojtyla chiamò i leader religiosi a pregare per la pace a Assisi. Prima, volle un giorno di digiuno dei cattolici in coincidenza con la fine del Ramadan. 
La Chiesa non scende in campo con i populisti contro l’islam. Ieri l’hanno colpita quanti sono imbevuti nell’odio della guerra santa, per trascinarla nello scontro e farla uscire dal suo atteggiamento sapiente e materno. 
Padre Jacques aveva scritto sul blog parrocchiale a proposito delle vacanze: «Un tempo per essere rispettosi degli altri, chiunque essi siano ». E aveva chiesto: «Pregate per coloro che sono più bisognosi, per la pace, per vivere meglio insieme…». Questo è il sentire profondo della Chiesa che, con il suo tessuto umano, favorisce l’incontro, penetra in ambienti difficili, aiuta chi sta male: vivere insieme con l’altro in pace. La Chiesa è uno spazio del gratuito e dell’umano in una società competitiva dove tutto ha un prezzo. Soprattutto uno spazio aperto.
La porta aperta delle nostre chiese – quella attraverso cui sono entrati gli assassini di padre Hamel – contrasta con il moltiplicarsi di chiusure, di cancelli, di muri, frutto della paura. Lì, in chiesa, entrano tutti: i poveri, i bisognosi, i cercatori di senso, chi domanda una parola o un gesto di! amicizia. In quella chiesa, come in molte altre in Francia e in Europa! , è nascosto il segreto di un mondo che non crede ai muri e non cede alla violenza. 
È una parte del continente che, forse, dà più dà fastidio ai violenti. Una parte dall’apparenza debole (come il vecchio prete), ma molto forte: «Gesù è venuto a farsi vulnerabile», aveva detto padre Jacques l’ultimo Natale.

Dopo il suo assassinio gli ha fatto eco monsignor Pontier: «Solo la fraternità, cara al nostro Paese, è la via che conduce a una pace duratura. Costruiamola insieme». Questi gesti di morte chiamano i cristiani a una rinnovata missione in mezzo a tante violenza in Europa. 

Bisogna avere il sogno di pacificare la società: integrare tanti rimasti ai margini, ostili, inquieti e estranei a un senso di destino comune. È una missione evangelizzante e pacificatrice. Non solo parole d’occasione, ma un’esigenza profonda del tempo, che si fa vocazione per la Chiesa. 
Va continuata, in mezzo alla gente, la Messa di padre Jacques interrotta dalla violenza.

martedì 26 luglio 2016

Summer school della Comunità di Sant'Egidio per i bambini rom di Castel Romano

www.santegidio.org
Dopo alcuni giorni in cui erano rimasti isolati a causa degli incendi che hanno interessato la via Pontina, finalmente i bambini in età scolare del campo rom di Castel Romano - il più grande del Lazio, dove vivono centinaia di famiglie - hanno potuto iniziare la Scuola estiva della Pace con i loro amici della Comunità di Sant'Egidio.


Questa settimana, il primo gruppo è arrivato a Rocca di Papa dove, per tutta l'estate, la Comunità terrà un soggiorno diurno con attività didattiche, tenuto da un gruppo di volontari: ci sono giovani, universitari, ma anche insegnanti e professionisti che hanno scelto di dedicare la loro estate a far vivere ai giovanissimi rom una sorta di "summer school".

L'iniziativa è nata con un duplice obiettivo: innanzitutto rompere l'isolamento umano e sociale del campo rom favorendo un'esperienza di integrazione, e, allo stesso tempo, aiutare il recupero scolastico dei bambini che durante l'anno hanno frequentato la scuola saltuariamente o comunque con difficoltà.

La scolarizzazione dei bambini rom infatti è un fattore decisivo per garantirne l'integrazione e per questo da alcuni mesi la Comunità di Sant'Egidio ha intensificato il suo impegno per favorire la presenza regolare a scuola dei bambini di Castel Romano. (Vai alla news del 14/03/2016)
Questo ha fatto sì che circa 80 bambini che avevano abbandonato la scuola abbiano ripreso a frequentarla.

Un risultato positivo che va consolidato. E l'estate può essere un tempo favorevole e opportuno per farlo.
La Scuola estiva della Pace, che ha avuto il sostegno della fondazione Migrantes e del Miur, è composta da cinque classi che prendono il nome dai colori dell'arcobalenoI bambini trascorrono insieme tutta la giornata, tra momenti di studio e giochi comuni. Si sta insieme in allegria e si imparano tante cose, che potranno essere messe a frutto nel prossimo anno scolastico.

La chiesa di don Santoro e la chiesa protestante di Malatya assalite nel dopo golpe della Turchia

Mondo Missione
Nel clima da resa dei conti del dopo golpe in Turchia colpiti anche due luoghi cristiani: la chiesa di Santa Maria a Trabzon dove fu ucciso nel 2006 don Andrea Santoro e la chiesa protestante di Malatya, dove nel 2007 vennero sgozzati tre cristiani evangelici. Solo danni lievi alle strutture ma il segnale intimidatorio è evidente
Don Andrea Santoro ucciso con due colpi di pistola mentre
pregava nella chiesa di Santa Maria a Trabzon il 
5 febbraio 2006
Nel clima incandescente del dopo golpe in Turchia – fatto anche di intimidazioni contro le minoranze – nel mirino finisce di nuovo anche la chiesa di Santa Maria a Trabzon, la chiesa dove il 5 febbraio 2006 fu ucciso don Andrea Santoro. E insieme a lei un altro luogo tragicamente segnato dal sangue dei cristiani in questi anni in Anatolia: la chiesa protestante di Malatya, la città dove il 18 aprile 2007, tre cristiani evangelici – i turchi Necati Aydin e Ugur Yuksel e il tedesco Tilmann Geske – vennero legati e sgozzati nella sede della casa editrice Zirve, di cui erano collaboratori.

A dare notizia degli assalti è stato sul suo sito internet Sat7Turk, il canale turco di Sat7, network che rappresenta la voce più significativa dei cristiani in tutto il Medio Oriente. I due episodi si sarebbero verificati sabato sera, durante le manifestazioni a sostegno di Erdogan. Secondo quanto riferito dal sito a Malatya sono state scagliate pietre contro le finestre della chiesa, mandandole in fratumi. A Trabzon – invece – dove le manifestazioni in favore dell’Akp sono state particolarmente imponenti, una decina di persone si sarebbero dirette verso la chiesa che fu di don Santoro cercando di forzarne l’ingresso. Non sarebbero però riuscite ad entrare grazie ad alcuni vicini (musulmani) che avrebbero lanciato l’allarme.

In entrambi i casi si è trattato solo di danni lievi a edifici in quel momento vuoti. Ma il carattere intimidatorio è lo stesso evidente; sia per il significato dei due luoghi sia per il fatto che non si tratta di episodi isolati. Per esempio anche nelle zone abitate dagli aleviti – minoranza molto significativa in Turchia – nelle ultime ore sono state segnalate violenze commesse dalla folla scesa in piazza a sostegno del presidente Erdogan.
Va anche aggiunto che proprio nelle ultime settimane era già giunto un nuovo segnale preoccupante proprio in relazione alla strage di Malatya: come raccontava l’agenzia Fides anche l’ultimo accusato detenuto per l’eccidio era stato rimesso in libertà, mentre il processo continua ad allungarsi all’infinito. E si intreccia proprio con lo scontro già in corso da tempo tra Erdogan e l’Hizmat, il movimento di Fetullah Gulen, oggi accusato apertamente dal presidente come mandante del golpe: alcune testimonianze puntano ad avvalorare la tesi secondo cui il processo per la strage dei cristiani a Malatya fosse stato manipolato da ambienti vicini a Fetullah Gulen, che avrebbero voluto utilizzarlo per far condannare i propri oppositori.
In questo scenario preoccupante oggi qualcuno in Turchia pare sentirsi nuovamente legittimato a mettere nel mirino i cristiani. O almeno a far loro avvertire che sono comunque nel mirino.

Giorgio Bernardelli

Amnesty - Fiaccolata a Roma a sei mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni

La Repubblica

A sei mesi dalla scomparsa in Egitto del ricercatore friulano Giulio Regeni, trovato poi morto con evidenti segni di tortura in una strada fuori dal Cairo, al Pantheon di Roma si è tenuta una fiaccolata per chiedere ancora una volta ai governi egiziano e italiano, di impegnarsi affinché emerga la verità sulle circostanze della morte del cittadino italiano

Migranti - Leggero calo di arrivi ma emergenza minori: sono il doppio i bambini senza genitori

Avvenire
Record di piccoli sui gommoni, sono il doppio del 2015.
A fronte di un leggero calo di arrivi rispetto all’anno scorso (sono 88.351, 600 in meno) esplode il fenomeno dei bambini che viaggiano senza genitori. Centri al collasso.

L’allarme che le organizzazioni umanitarie lanciano ormai da settimane ha preso forma nei dati ufficiali del Viminale soltanto ieri: nell’estate della sostanziale “parità” di sbarchi rispetto al 2015 (anzi, a ieri si sono contati persino 600 arrivi in meno, 88.351 per l’esattezza) a esplodere è l’emergenza dei minori non accompagnati. Che per il ministero dell’Interno al 15 di luglio erano 11.520, cioè già quasi quanto il totale raggiunto a dicembre dell’anno scorso (12.360). Ma che negli ultimi cinque giorni, con il drammatico record di 1.040 arrivi, hanno raggiunto i 12.520. Oltre il doppio del 2015.

Caso nigeriane. Proprio guardando agli ultimi sbarchi ci si rende conto della consistenza del fenomeno: su circa 8mila migranti salvati nel Mediterraneo dal 20 luglio, oltre 1.000 erano minori non accompagnati. Uno su otto. Con un fenomeno che Save the children denuncia con forza ad Avvenire: l’aumento esponenziale di ragazzine nigeriane sole. 

Le autopsie sui corpi delle 21 donne annegate nel gommone soccorso dall’Aquarius d’altronde lo confermeranno già nelle prossime ore: molte di quelle vittime erano minori. Sedici anni, in alcuni casi meno. Alle spalle l’orrore che i centri di detenzione libici. Davanti, per molte, la strada della tratta ad attenderle giù sulla banchina del porto, o appena fuori dai centri di accoglienza: «Per questo motivo ribadiamo con forza la necessità che per questi minori, i più vulnerabili fra i vulnerabili – spiega Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children – ci sia un percorso protetto, ben inquadrato, che la politica decida al più presto con una legge sul percorso di accoglienza che deve essere loro dedicato».
[..]
Viviana Daloiso

lunedì 25 luglio 2016

Turchia, "Manifestazione per la democrazia" migliaia in piazza Taksim del partito dell'opposizione Chp

Rai News
Migliaia di persone alla grande "manifestazione per la democrazia" organizzata dal principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp, dopo il fallito golpe in Turchia. Il raduno è stato autorizzato dal governo, che ha anche annunciato la sua partecipazione con alcuni esponenti del partito Akp. Il presidente Erdogan intanto fa sapere che gli arresti sono ormai più di 13mila

Migliaia di turchi si sono riuniti oggi a Piazza Taksim per affermare il loro impegno per la democrazia in Turchia, ma anche la propria opposizione allo stato di emergenza dichiarato dal presidente Recep Tayyp Erdogan dopo il fallito tentativo di colpo di Stato.
Nel mare di bandiere rosse agitate a Piazza Taksim, si notano anche i ritratti di Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Repubblica e figura tutelare del militanti di opposizione. "Difendiamo la Repubblica e la Democrazia", "La sovranità appartiene al popolo incondizionatamente", "No al colpo di Stato, sì alla democrazia", si legge su alcuni cartelli branditi dai presenti.

Al di là del rifiuto del colpo di stato, molte persone sembrano decise a esprimere la loro preoccupazione dopo l'imposizione dello stato di emergenza e la loro opposizione al presidente Erdogan: "Né colpo, né diktat, potere al popolo!", "La Turchia è laica e resterà così!", "Noi siamo i soldati di Mustafa Kemal", hanno scandito i manifestanti.

Piazza Taksim a Istanbul aveva iniziato a riempirsi di persone già due ore prima, tra rigide misure di sicurezza. La grande "manifestazione per la democrazia" è stata organizzata dal principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp, dopo il fallito golpe in Turchia ed è stata autorizzata dal governo, che ha anche annunciato la sua partecipazione con alcuni esponenti del partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, mentre il Comune ha assicurato la gratuità dei trasporti per i manifestanti.

Tunisia - Il Parlamento approva la legge contro la tratta degli esseri umani

ANSAmed
Tunisi - La Tunisia ha approvato la legge contro la tratta di esseri umani: dopo un lunghissimo lavoro di gestazione il Parlamento ha passato il disegno di legge 29/2015 con 127 voti a favore. Si tratta di una legge che "protegge i diritti dell'Uomo e la sua dignità", ha dichiarato subito dopo il voto il ministro della Giustizia tunisino, Omar Mansour, mettendo in risalto la preoccupazione per la Tunisia di applicare le leggi e le convenzioni internazionali ratificate in materia di rispetto e difesa dei diritti umani.

La legge contiene anche una parte di articoli che puniscono severamente chi si rende responsabile dei reati di tratta e sfruttamento delle persone, che prevedono fino a 10 anni di reclusione e 50 mila euro di multa.

Particolarmente soddisfatta dell'adozione della legge è l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), che in un comunicato rende noto come essa rappresenti una tappa fondamentale per la Tunisia, il termine di un processo politico e societario importante che si colloca nella tradizione umanista e antischiavista del Paese (primo al mondo ad aver abolito la schiavitù nel 1846), che rinvia alle conquiste della Costituzione del 2014.

La legge in questione si compone di 66 articoli, risponde alle esigenze degli standards internazionali sottoscritti dalla Tunisia, in particolare il protocollo di Palermo sul traffico di esseri umani nel 2003.

Sorpresa: il modello italiano sull’immigrazione è il migliore d’Europa. Almeno per adesso.

Italy Journal
Studi approfonditi del Censis hanno fatto risaltare come sono stati evitati accuratamente i disagi profondi presenti in altre città europee.
Ci ha pensato il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964, a certificare che una parte di integrazione, una gran parte, a dire il vero, è diventata in Italia, realtà nel pieno rispetto di ogni esigenza, anzi fornendo anche un modello originale. 

Tra coloro che mettono piede nella Penisola c’è grande differenza, ovviamente tra coloro che se ne vogliono andare in Germania e gli altri, che, invece, rimangono in Italia: la effervescenza di quest’ultimi è davvero dilagante, arrivando a costituire ben 450.000 imprese, che è il quattordici per cento del totale italiano. I settori di riferimento? Soprattutto due, il commercio, spesso ambulante, e l’edilizia, ed in questo caso sono in primis cittadini romeni ad operare ma integrati da altri, provenienti dall’Africa centrale.
I modelli iperbolici non sono reali ma propri di un centro studi come il Censis, che ha prefigurato come, in mancanza dei settecentomila lavoratori domestici stranieri, le badanti, il sistema del welfare sarebbe andato in tilt da un pezzo. 

Perché, a parte qualche caso isolato, l’assistenza che svolgono è di livello molto alto e comunque adeguata alle necessità. Ma se è vero che vi sono lavori che gli italiani non vogliono più fare è altrettanto vero che il bilancio tra i pro ed i contro previdenziali lascia un saldo attivo a favore degli italiani, i quali possono avere ancora delle buone pensioni con i contributi pagati dagli immigrati. 

Più contributi e più figli, cosa che in prospettiva può solo giovare alle casse dello Stato: il Censis ha calcolato che due milioni e mezzo di lavoratori sotto i trentacinque anni sono immigrati o loro figli. Così si sono mantenute le scuole, gli organici dei maestri e professori. Ma questi sono solo numeri. Il Censis invece parla del sistema di inclusione che ha definito “molecolare”, con una diffusione, che ha evitato accuratamente la creazione di ghetti come in Belgio, come in Francia, aspetto che ha limitato il disagio, sia italiano che degli immigrati. 

E dire che sempre per il Censis, vi sono città come Piacenza che hanno il 18 per cento di immigrati o Prato quasi con la stessa cifra, come Milano o Brescia.
Tutto bene, allora? Non proprio perchè l’arrivo degli immigrati ha generato un abbassamento dei prezzi nel mondo della ristorazione insieme a quello delle badanti, mestieri tra i più ricercati dagli immigrati. Come dire, gli italiani non vogliono fare quei lavori perché sottopagati non perché non gli piacciono.

Libia: trovati 41 corpi di migranti su una spiaggia di Sabrata. Sarebbero morti cinque e sei giorni fa

Ansa
I corpi di 41 migranti sono stati rinvenuti sabato da volontari su una spiaggia di Sabrata, nell'ovest della Libia. Lo riferisce il Mail online. Un fonte locale ha riferito che i corpi sono stati trasferiti in un centro di medicina legale per il prelievo del dna e poi saranno sepolti. Sarebbero morti cinque o sei giorni fa. La stessa fonte ha specificato che si tratta di in un numero di corpi "eccezionalmente alto".


Alcuni corpi di migranti recuperati dai volontari sulle coste libiche
Di solito, ha fatto osservare la stessa fonte, vengono ritrovati uno o due corpi al giorno, quindi i 41 cadaveri ritrovati nella sola giornata di sabato costituiscono "un numero eccezionalmente elevato". Gruppi di volontari sono stati addestrati dalla municipalità di Sabrata, 70 km a ovest della capitale libica Tripoli, per cercare le vittime dei trafficanti di esseri umani, che in questo periodo dell'anno fanno affari d'oro sulla pelle delle migliaia di disperati in fuga verso l'Europa.

domenica 24 luglio 2016

Italia - Isernia - Ex condannato a morte incontra studenti Karl Louis Guillen

ANSA
Isernia - "Sono un uomo che è nato tre volte: quando ho emesso il primo vagito, quando sono uscito dal braccio della morte e quando ho spalancato le braccia lasciandomi alle spalle il Carcere dell'Arizona". Si è presentato così, a Isernia, Karl Louis Guillen vittima di un errore giudiziario negli Stati Uniti d'America che gli è costato oltre 20 anni di detenzione. E' arrivato in città accettando l'invito di una studentessa del Liceo Linguistico 'Cuoco'. Sara Fuoco, 19 anni, ha dedicato alla storia di Karl la tesina discussa davanti alla Commissione degli Esami di Stato, dopo aver letto i libri di Guillen: 'Il Tritacarne' e 'Il sangue d'altri'.
Karl Louis Guillen
"Ho provato una grande emozione - ha detto Karl - quando Sara mi ha contattato per annunciarmi la sua intenzione. Lei è giovane ed è importante che i giovani capiscano certi valori e li trasmettano per costruire un mondo diverso all'attuale". Karl entra in carcere a 20 anni per il tradimento di un amico e lì, poi, viene coinvolto in un omicidio non commesso e condannato alla pena di morte per iniezione letale. Comincia la sua battaglia per dimostrare l'innocenza e nel 2013, dopo un regolare processo, torna a essere un cittadino libero. Oggi vive in Italia, a Jesolo, dove ha trovato l'amore (si è sposato con Valentina) e l'accoglienza di un Comitato e di un l'associazione editoriale umanista (Multimage) che lo avevano sostenuto già quando era in carcere.

"Racconto l'ingiustizia del sistema carcerario americano - ha spiegato Karl - un sistema fondato sul profitto e la speculazione finanziaria. Lo faccio per tutti coloro che sono rinchiusi nelle prigioni statunitensi e non possono parlare. Sono stato fortunato e devo dare voce a chi non ha". A Isernia, oltre a Sara Fuoco, c'erano tante persone ad attenerlo. Con loro si è intrattenuto per due ore nello spazio culturale dell'ex Lavatoio. La domanda più ricorrente è stata: "Come ha fatto a non impazzire?". Karl ha risposto: "Ho sviluppato una dipendenza senza controindicazioni, ovvero la dipendenza dalla scrittura". (ANSA).

Roma, inutile prendersela con chi rovista nei cassonetti: combattiamo la povertà

Il Fatto Quotidiano
Secondo l’ultimo rapporto Istat, se nel 2014 in Italia viveva in povertà assoluta il 6,8% dei residenti, nel 2015 il dato è salito a una persone su 13 con il risultato che un milione e mezzo di nuclei familiari, pari a quasi 5 milioni di persone, non possono permettersi un’alimentazione adeguata, una casa riscaldata e il necessario per vestirsi, comunicare, istruirsi, curarsi, muoversi sul territorio. Nelle grandi città tali numeri risultano fortemente amplificati.

Roma, quartiere testaccio. Una anziana rovista nella spazzatura
Il 14 luglio, in contemporanea con l’uscita del rapporto, il neo assessore all’ambiente Paola Muraro del Comune di Roma ha dichiarato nel corso di uno sgombero: “C’è un fenomeno che va estirpato: il fatto che ci sono senza fissa dimora, che abitano praticamente dappertutto e che per forza di cose hanno comportamenti che non sono il massimo della civiltà. Poi – ha continuato – c’è il problema dei rom. […] C’è un fenomeno di rovistaggio da parte loro e poi di vendita dei rifiuti nei mercatini. Questo assolutamente non va bene!”.
Quelli dei senza fissa dimora e del rovistaggio sono fenomeni largamente diffusi nelle metropoli di mezzo mondo rappresentando un indicatore delle disuguaglianze socialipresenti e delle modalità operative inventate dai poveri per poter sopravvivere. In Italia come altrove non sono solo i rom a vivere sulla strada o a rovistare dentro i cassonetti o in cima a cumuli di spazzatura; lo sono piuttosto i poveri privi di reddito, con abitazioni precarie che, non avendo di che sfamarsi, optano per un lavoro informale che rappresenta spesso l’ultimo gradino oltre il quale non resta che l’attività delinquenziale.
A Buenos Aires, al tramonto, i cartoneros differenziano a mani nude la spazzatura prima del passaggio dei netturbini comunali. Sono un esercito di lavoratori, ingranditosi dopo la crisi economica del 2001, che si garantiscono la sopravvivenzaconsentendo alle loro famiglie di sfamarsi. 

A Città del Messico i raccoglitori dei rifiuti sono chiamati pepenadores e passano intere giornate attorno ad enormi discariche a stretto contatto con rifiuti altamente tossici. Non è un caso che la loro età media sia di 20 anni inferiore a quella nazionale.
Anche a Pechino, San Paolo e Manila le discariche sono abitate da centinaia di migliaia di persone che vivono con il ricicloinformale giornaliero. Da una parte il riutilizzo dei rifiuti rappresenta l’unica forma di sopravvivenza per intere categorie umane, dall’altro il loro lavoro garantisce alla collettività una forma di smaltimento dei rifiuti priva di costi. In numerosi casi gli “spazzini informali” delle periferie dimenticate, attraverso un graduale riconoscimento pubblico del valore sociale ed economico del loro lavoro, sono emersi dall’illegalità attraverso forme cooperativistiche incentivate dallo Stato. A beneficio di tutti.

Nella città di Roma, soprattutto dopo il 2008, vivono in povertà assoluta almeno 200.000 persone e i rom censiti negli insediamenti non superano le 8.000 unità. La povertà, che ha portato alla presenza dei senza fissa dimora e dei rovistatori, non abbraccia dunque la specifica etnia rom. Essa investe tantissimi altri cittadini e prolifera per cause multiple e strettamente correlate: la crisieconomico-finanziaria, le politiche di austerità, il taglio della spesa sociale, la scarsa attenzione al fenomeno migratorio.

E’ vero, come dice l’assessore Muraro, il rovistaggio e la presenza dei senza fissa dimora è un fenomeno che va estirpato. Non lo si fa però puntando il dito sui rom, che rappresentano il 4% della popolazione romana in condizione di povertà, ma incidendo sulle cause attraverso scelte politiche coraggiose e radicali in una lotta a tutto campo. A Roma, come altrove, va detto chiaramente che per combattere il fenomeno dei senza fissa dimora e del rovistaggio a nulla servono gli sgomberi e le azioni di pubblica sicurezza.

E’ strumentale accusare i rom ed è inutile anche dare la colpa ai piccoli gruppi di mendicanti e rovistatori, fatto di anziani e bambini, italiani e stranieri, rom e non rom, che ogni mattina si alzano senza sapere se la sera tornerà a casa con lo stomaco pieno. La responsabilità è in mano alla politica. Occorrono politiche per la casa, per la creazione di posti di lavoro, per diminuire la dispersione scolastica e per garantire a tutti le cure sanitarie. E questo riguarda tutti i romani, indistintamente. 

Dobbiamo rassegnarci: la povertà non guarda in faccia a nessuno, non ha colore e non è detenuta da una sola etnia.

Carlo Stasolla