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lunedì 30 novembre 2015

Cities for life 2015. Giornata Internazionale "Città per la vita - Città contro la pena di morte". A Roma e in 2000 città nel mondo

www.santegidio.org
Lunedì 30 Novembre ore 17.00. A Roma 
il Colosseo si illumina contro la pena di morte 


  • Più di 2.000 città del mondo partecipano alla giornata di CITIES FOR LIFE per dire NO alla pena di morte. Un movimento mondiale della società civile e delle amministrazioni cittadine che da quattordici anni chiede con sempre maggior forza 
  • A Roma, appuntamento al Colosseo - Testimonianze dai bracci della morte e di l’abolizione della pena capitale e la moratoria universale delle esecuzioni protagonisti della campagna per l’abolizione della pena capitale 

La Giornata Internazionale CITIES FOR LIFE, “Città per la Vita, Città contro la pena di morte”, si celebra ogni 30 novembre su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, in ricordo dell’anniversario della prima abolizione per legge della pena capitale decisa da uno stato europeo, il Granducato di Toscana, nel 1786. 

E’ un’iniziativa straordinaria che negli anni ha riunito amministrazioni locali e società civili di ogni parte del mondo, unite in questa battaglia di civiltà e per la vita. Assieme alla Giornata Mondiale che si celebra ogni 10 ottobre, è la più estesa mobilitazione mondiale dell’anno contro la pena capitale, e oggi coinvolge più di 2000 città.

A Roma, Lunedì 30 novembre al Colosseo, alle ore 17.30 si svolgerà l’evento conclusivo che vedrà il suo culmine nella simbolica illuminazione del Colosseo – luogo emblematico delle esecuzioni capitali negli albori della storia – per dire NO ad ogni omicidio di stato. 

La serata sarà condotta da Max Giusti, con la partecipazione di Sister Helen Préjean .Per la parte musicale si segnala la presenza di Amir Issaa e del Coro Gospel “Seven Hills”. Saranno presenti ex condannati, parenti di vittime, attivisti della battaglia per l’abolizione della pena di morte. Parteciperà anche una delegazione del parlamento del Nebraska, che nel maggio del 2015 ha votato per l’abolizione della pena di morte nel paese.

domenica 29 novembre 2015

Arabia Saudita - Sentenza sospesa per blogger diritti umani Raif Badawi. Avviata procedura di grazia.

TVA Nouvelle
Ensaf Haidar, moglie del blogger per i diritti umani Raif Badawi detenuto in Arabia Saudita, auspica che possa avere successo la procedura di grazia per il marito condannato a 10 anni di carcere e 1.000 frustate .

Il segretario di stato svizzero per gli Affari Esteri, Yves Rossier ha detto la sentenza contro il  blogger
31enne "è stata sospesa."

"E' in atto una procedura di grazia presso il Capo di Stato, e presso il re 
Salmane ben Abdelaziz al-Saoud". Il quotidiano di Friburgo, La Liberté, ha precisato che è stata sollevata la questione nella sua visita ufficiale a Riad questa settimana.
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Français


«Procédure de grâce» en cours pour Raif Badawi
Ensaf Haidar, l'épouse du blogueur saoudien emprisonné Raif Badawi, a exprimé samedi son espoir de voir aboutir favorablement la «procédure de grâce» pour son mari condamné en Arabie saoudite à 10 ans de prison et 1000 coups de fouet.

Plus tôt samedi, le secrétaire d'État suisse aux Affaires étrangères, Yves Rossier a indiqué que la sentence à l'encontre du blogueur de 31 ans «a été suspendue».

«Une procédure de grâce est maintenant en cours auprès du chef de l'État, donc du roi Salmane ben Abdelaziz al-Saoud», a-t-il confié au quotidien de Fribourg, La Liberté, précisant avoir évoqué cette affaire lors de sa visite officielle à Ryad cette semaine.


Venezuela «Non mi sparerebbero mai» Suor Neyda, missionaria in una delle prigioni più violente del mondo

Tempi
Il carcere venezuelano di Guarico, a due ore di macchina dalla capitale Caracas, è solitamente descritto come «l’inferno in terra». È una terra di nessuno dove domina la violenza, popolato da oltre 3.000 detenuti, anche se la capienza massima è di 750 prigionieri. Le guardie lasciano campo libero ai prigionieri, che dispongono di armi e fanno rispettare a modo loro le regole. Questo «inferno» però è anche terra di missione, almeno per suor Neyda Rojas.


Suor Neyda Rojas
«Non mi sparerebbero mai». La religiosa cattolica dell’ordine di Santa Maria della Mercede ha 52 anni e visita il carcere da più di 17. Ai detenuti insegna a leggere e scrivere, «così possono sapere che cosa c’è scritto sui documenti ufficiali dei loro processi», e parla dell’amore che Dio ha anche per loro. La Bbc l’ha seguita un giorno nel carcere e racconta di come suor Neyda cammini tranquilla tra le celle senza aver paura. «Sono sicura che non mi sparerebbero mai», spiega. «Dio è con me. Non mi farebbero mai del male. Anzi, mi proteggono. Questa gente ha perso la libertà, ma non la dignità. Sono sempre figli di Dio e il mio compito è quello di servirli in prigione».

La goccia bianca. Nel carcere è soprannominata “la goccia bianca”, per via della veste candida, e le guardie armate vedendola entrare la chiamano così rispondendo alla sua benedizione: «Amen, sorella». Tra le celle, la suora viene apostrofata senza troppe gentilezze: «Tirati su la sottana!». Lei non si scompone e risponde: «Vieni a spendere un bel pomeriggio con me. Ti aspetto in classe».
La giornalista si spaventa quando in carcere cominciano a sentirsi spari indiscriminati, ma suor Neyda la rassicura: «Non ti preoccupare, stanno solo testando le loro armi. Va tutto bene». La religiosa procura medicine ai malati, cerca di intercedere con le autorità per quelli che sono in condizioni più gravi e ha anche svolto il lavoro dell’ostetrica aiutando una detenuta dell’ala femminile a partorire.
Un carcerato vedendola passare la ringrazia: «Suor Neyda mi ha allargato il cuore, ci dà lezioni di spiritualità e umanità». In un luogo dove regnano solo crimine e violenza, lei tratta i detenuti in modo diverso: «Molti di loro sono stati abbandonati. Ma hanno noi missionarie. Io ho sempre visto il volto di Dio nelle loro facce».

sabato 28 novembre 2015

Vietnam. Eliminata pena di morte per corruzione ed altri 7 reati

Blitz Quotidiano
Eliminata in Vietnam dal primo luglio la pena di morte per corruzione previa restituzione del 75% delle somme percepite illegalmente. Il provvedimento prevede anche l'abolizione della pena capitale per altri sette reati tra cui la contraffazione alimentare, alcuni reati di droga e le rapine.
Thaikandia, Bangkok – Il Vietnam ha eliminato la corruzione tra i reati per cui è prevista la pena di morte, commutando le condanne in ergastolo a fronte della restituzione di almeno il 75% delle somme percepite illegalmente. Lo riferisce la stampa vietnamita citando il nuovo regolamento del Codice Penale rivisto all’unanimità dall’Assemblea nazionale. Il codice, che entrerà in vigore il primo luglio, prevede anche l’abolizione della pena capitale per altri sette reati tra cui la contraffazione alimentare, alcuni reati di droga e le rapine.

Tragedia senza fine - Naufragi di migranti in Turchia, morti 6 bimbi

La Stampa
Due fratellini siriani di uno e quattro anni annegano al largo di Bodrum. Altri 4 corpi ripescati dopo l’affondamento di un barcone ad Ayvacik
Nuova tragedia delle migrazioni nelle acque tra Turchia e Grecia. Sei bambini sono annegati la scorsa notte in due naufragi di gommoni stracarichi di persone, rovesciatisi a causa delle difficili condizioni meteorologiche.

Bodrum, 23 novembre 2015: il corpo di
una bimba di 4 anni ripescato in mare
Il primo episodio poco dopo la mezzanotte: la Guardia costiera turca riceve una richiesta di soccorso per un gommone diretto all’isola greca di Lesbo con a bordo 55 persone, di nazionalità siriana e afghana. L’intervento ne trae in salvo 51, ma i 4 corpi di bimbi afghani verranno trovati poco dopo senza vita al largo di Ayvacik, nella provincia nordoccidentale di Canakale. Qualche ora più tardi, un altro gommone si rovescia circa 400 km più a sud, sempre nel mar Egeo. I corpi di due fratellini siriani di 1 e 4 anni, Diven Halil Hussein e Beren Halil Hussein, vengono trovati al largo di Bodrum, nella provincia di Mugla, dopo il naufragio del loro gommone diretto a Kos. Altre 15 persone sono tratte in salvo, mentre almeno 3 risultano disperse.

Due incidenti in poche ore provocati anche dalle piogge intense e dal forte vento da sud-ovest che hanno investito la zona. Il bilancio di una nottata drammatica nelle acque di fronte alla costa egea della Turchia parla di altri 357 migranti salvati. Tra loro anche una bimba di 4 anni, ritrovata da sola. Subito portata in ospedale, è adesso in buone condizioni.

Il flusso di disperati verso le coste greche non accenna a diminuire neppure con l’arrivo del freddo. Tra 48 ore il premier turco Ahmet Davutoglu sarà a Bruxelles per il summit straordinario con l’Ue sull’immigrazione, da cui si attende una nuova strategia coordinata per ridurre le partenze e gli incidenti in mare. «L’Ue è stata impreparata ad affrontare i flussi dei rifugiati, l’Italia lo ha detto: è un problema europeo», ha spiegato oggi l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa della Ue, Federica Mogherini. «C’è voluta l’ondata di rifugiati sulla rotta balcanica per renderci conto che c’è bisogno di una risposta europea. Il regolamento di Dublino praticamente non è più vigente, è giunto il momento che anche i governi si rendano conto che è necessario prendere una decisione seria sui flussi migratori e dei rifugiati. L’Europa non si può permettere che le persone muoiano sul nostro territorio per lentezza», ha avvisato Mogherini.

Secondo gli ultimi dati forniti da Ankara, rispetto all’anno scorso i salvataggi sull’Egeo sono aumentati di oltre il 500%, passando da 14.961 in 574 interventi a 79.489 in 2.133 operazioni. Ma i morti su questa rotta sono quasi 600 e la Turchia resta sotto accusa per un filtro alle frontiere giudicato insufficiente da molti governi europei. 


«In Turchia non c’è controllo sui migranti, sui profughi, o sui terroristi. E da alcune informazioni nasce il sospetto fondato che ci sia anche una cooperazione con i trafficanti - è l’accusa del presidente greco Prokopis Pavlopoulos, in visita oggi a Roma -. La Turchia deve rispettare i suoi obblighi, se vuole proseguire il suo percorso europeo».

Saudi Arabia: letter to the King from mothers of 5 Shi'a activists on death row

Amnesty International
More than 50 people are at increased risk of imminent execution following reports in national media outlets close to the Saudi Arabian authorities that they will soon be put to death in a single day, warns Amnesty International

The mothers of five Shi’a Muslim activists who are among the prisoners have implored King Salman for clemency, after learning that preparations potentially associated with impending executions have taken place.

“Saudi Arabia’s macabre spike in executions this year, coupled with the secretive and arbitrary nature of court decisions and executions in the kingdom, leave us no option but to take these latest warning signs very seriously,” said James Lynch, Deputy Director of the Middle East and North Africa Programme at Amnesty International.

“Three of those six activists were sentenced for ‘crimes’ committed while they were children and have said that they were tortured to confess. Given what we know about the deep flaws in the Saudi Arabian criminal justice system, we have serious concerns about the fairness of death penalty trials in the country.”
 [...]
The mothers went public with their fears after learning this week that their sons had been subjected to a “random” medical examination in prison, which they believe is potentially a sign of impending execution. Four of the five have been kept in solitary confinement, in a prison wing housing death row inmates, since they were moved to al-Ha’ir prison in Riyadh in early October.

In the letter, they call for their sons’ convictions to be quashed and retrials to be carried out in public proceedings that meet international fair trial standards, with independent observers allowed to attend.



Alla luce degli eventi di Parigi – Intervista a Mario Marazziti sul nuovo libro “Life - Da Caino al Califfato verso un mondo senza pena di morte”

Blog Diritti Umani - Human Rights
“La pace è sempre possibile, con la guerra si perde sempre tutto. I fatti di Parigi mostrano che c'è una escalation. C'è una situazione terribile ma non è con la guerra che si vincono le guerre. Nella pena di morte l'idea di far sparire la morte uccidendo è un'illusione e penso che sia la stessa illusione terribile di chi pensa davanti ai fatti di Parigi che ci vuole più guerra e più morte. Se si prendessero i colpevoli che si farebbe: pena di morte o no?
L'unica cosa chiara e che il Califfato ha un culto della morte, vuole la morte, non ha paura della morte, sono attacchi suicidi. Noi dobbiamo essere diversi. E' l'unica cosa che possiamo fare.”

venerdì 27 novembre 2015

Libia: Comitato diritti umani, escalation di rapimenti e omicidi ad Ajdabiya. Giornalisti, religiosi, politici e attivisti.

Agenzia Nova
Tripoli - La Commissione nazionale libica per i diritti umani ha denunciato “un’escalation di rapimenti e di omicidi” che si registra nella zona di Ajdabiya, nell’est della Libia. Questi crimini vengono commessi in modo particolare contro giornalisti, politici, attivisti della società civile e religiosi della zona. 

In una nota diffusa alla stampa, la Commissione aggiunge che “è alta la preoccupazione per gli omicidi premeditati a cui abbiamo assistito di recente. Solo nell’ultima settimana ci sono stati dieci omicidi e otto sequestri di persona che hanno coinvolto due giornalisti e quattro militari”. Dietro questi reati quasi sempre ci sono i miliziani dello Stato islamico che controllano la strada che da Ajdabiya conduce a Sirte.

Sant'Egidio - Il 30 novembre, in tutto il mondo, si accenderanno le luci delle #Citiesforlife per dire No alla pena di morte

www.santegidio.org

A Roma l'evento centrale al Colosseo trasmesso il 30 novembre in Streaming (ore 17,30). Eventi collegati in più di 2000 città. Consulta la mappa interattiva

Il 30 novembre, in ogni parte del mondo, monumenti, piazze, università, licei, scuole, si illuminano per dire a un mondo che soffre tensioni e violenza che ogni vita è degna di essere vissuta, che non si può toglierla per nessun motivo, che la pena di morte è ingiusta e imbarbarisce le società.

Alle porte del Giubileo della Misericordia chiediamo di tenere conto del cuore dell'uomo e della donna, come ha detto Papa Francesco: "La necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione".



L'evento centrale è a Roma, al Colosseo alle ore 17,30 

Verrà trasmesso LIVE in STREAMING su www.santegidio.org

giovedì 26 novembre 2015

Iran - Death Penalty - Young Prisoner Hanged in Public in Northern Iran

Iran Human Rights
A young prisoner charged with rape was hanged to death in public in Meyami, Semnan.
Iranian state-run media Javan News has identified the prisoner by the initials A.M. and stated his age as "about 30 years old."

Iranian officials have not released any more information about the case, making it unclear whether the prisoner was over the age of 18 at the time of his arrest.

Commenting on the execution, Abbas Ali Akbari, the head of Meyami's Judiciary, says: "The offender was arrested for committing several counts of rape and was sentenced to lashings and death."



Arabia Saudita: presto 55 esecuzioni, tra loro forse Al-Nimr. Si mobilitano le mamme per 5 minori

AdnKronos/Aki
Roma - L'Arabia Saudita manderà al patibolo nei prossimi giorni 55 persone condannate a morte per "reati contro lo Stato". Lo riporta il sito locale Okaz, senza annunciare i nomi dei condannati né la data esatta della loro esecuzione. Il sito precisa solo che alcune delle persone che saranno decapitate sono originarie della provincia orientale di al-Sharqiyya, dove risiede una nutrita comunità sciita. Si teme che tra i 55 che saranno giustiziati possano esserci cinque ragazzi condannati per reati commessi quando erano minorenni.

Si tratta di Mohammed al-Shioukh, Abdullah al-Zaher, Ali al-Rebh, Dawood al-Marhoon e Ali al-Nimr. Il nome di quest'ultimo è balzato all'attenzione della comunità internazionale dopo la mobilitazione di molte ong. Al-Nimr, nipote di un oppositore sciita, è stato condannato alla decapitazione e alla crocifissione del cadavere fino alla putrefazione. Tutti e cinque i giovani sono stati arrestati tra il 2011 e il 2012, in seguito a manifestazioni di protesta organizzate dalla minoranza sciita.

Martedì scorso le madri dei cinque ragazzi hanno diffuso un appello congiunto in cui si afferma che la possibile esecuzione dei loro figli rappresenterebbe un evento "unico nella storia della giustizia saudita". "Le autorità saudite hanno sottoposto i nostri figli a numerose forme di ingiustizia", recita il comunicato, che accusa le autorità di aver arrestato i cinque giovani in modo arbitrario e di averli sottoposti a torture, oltre che a un processo ingiusto.

"Chiediamo - si legge ancora nel comunicato, rilanciato dal sito Middle East Eye - che il governo saudita ritiri le sentenze e ordini un nuovo processo. I processi devono essere pubblici, nel rispetto dei principi internazionali, e devono essere monitorati da osservatori neutrali". "Rimarremo in silenzio - avvertono infine le cinque madri, con una presa di posizione insolita nel paese - solo se ci uccideranno insieme ai nostri figli".

Anche Reprieve, ong contro la pena di morte, ha parlato di una situazione "estremamente preoccupante". "Questi rapporti suggeriscono che i sauditi potrebbero essere a pochi giorni dall'esecuzione di gente messa sotto processo quando era minorenne, che chiedeva riforme politiche nel suo paese - ha detto Maya Foa di Reprieve - queste esecuzioni devono essere fermate".

Gli arresti si riferiscono alle proteste esplose nel 2011 nell'est dell'Arabia Saudita sulla scia della Primavera araba, organizzate in particolare dalla minoranza sciita, che chiedeva maggiori diritti. Il leader della protesta era lo sheikh Nimr al-Nimr, arrestato a luglio 2012, zio del giovane Ali al-Nimr. Per le autorità saudite, quella sciita non è stata una protesta non violenta, ma un movimento antigovernativo armato.

Nel 2015, 151 condanne a morte sono state eseguite in Arabia Saudita, quasi il doppio delle 88 eseguite in tutto il 2014.

Lo scorso gennaio, Middle East Eye ha pubblicato uno studio da cui emerge che il codice penale saudita coincide in gran parte con quello del sedicente Stato islamico (Is). Lo studio si basa su una lista di reati e sanzioni pubblicata il 16 dicembre 2014 dall'Is, a titolo di "chiarimento e avvertimento" per i residenti del 'califfato'.

Proprio come nel caso dell'Is, anche il codice penale dell'Arabia Saudita, che si basa su un'interpretazione letterale delle fonti giuridiche islamiche, prevede la condanna a morte per blasfemia, omosessualità, tradimento e omicidio, la lapidazione per gli adulteri sposati, le frustate per quelli non sposati e il taglio degli arti per furti e rapine.

Pena di morte: il 30 novembre con Sant’Egidio al Colosseo e in 2000 città

Onu Italia
Roma – Il rapper italiano Amir Issa, il conduttore tv Max Giusti e Sister Helen Prejan, la religiosa americana che ha ispirato il film “Dead Man Walking”: tre testimoni al Colosseo contro la pena di morte. Citta’ per la Vita, la manifestazione globale organizzata dalla Comunita’ di Sant’Egidio torna questo 30 novembre con manifestazioni e eventi in tutto il mondo per l’abolizione della pena capitale.
“Monumenti, piazze, università, licei, scuole, per dire che la pena di morte è ingiusta e imbarbarisce le società. Per chiedere al mondo intero di superare la vendetta di stato, per una giustizia che rispetti innanzitutto la vita”, e’ il messaggio lanciato dal movimento fondato da Andrea Riccardi alla fine degli anni Sessanta e soprannominato l'”Onu di Trastevere” per il suo lavoro di mediazione nei conflitti globali.

Il 30 novembre e’ il giorno che ricorda l’anniversario della prima abolizione della pena di morte dall’ordinamento di uno stato europeo il Granducato di Toscana nel 1786. Hanno aderito quest’anno oltre duemila citta’ e 12 testimoni in Europa che “ci aiutano a dare voce a chi non ce l’ha”, afferma la comunità’ rilanciando nell’occasione il messaggio di Papa Francesco: “La necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione”.

Pena di morte: Pakistan, sospesa impiccagione del paraplegico Abdul Basit in attesa di verifiche mediche

ANSA
In attesa di verificare condizioni mediche
Islamabad - Il presidente pachistano Mamnoon Hussain ha sospeso l'impiccagione di un sospetto criminale paraplegico che era prevista per oggi. Lo riferisce un comunicato ufficiale. La decisione, presa nella notte, stabilisce un rinvio di due mesi per permettere di verificare le condizioni di Abdul Basit, condannato a morte nel 2009 per omicidio e da cinque anni sulla sedia a rotelle.

mercoledì 25 novembre 2015

Giordania: La vita a Zaatari, il più grande campo di rifugiati del Medio Oriente

Melting Pop
Il campo di Zaatari ospita circa 100 mila rifugiati siriani scappati dalla guerra civile
In alcune parti della Giordania la popolazione è quasi raddoppiata a causa del rapido flusso di rifugiati siriani nel paese.


Il campo di Zaatari, che si trova al nord vicino al confine con la Siria, è diventato ormai uno dei più grandi campi di rifugiati al mondo. Secondo le rilevazioni che sono state fatte dall’UNHCR, a luglio del 2015 il campo ospitava circa 81.000 rifugiati.
Il campo, istituito nel 2012 e costruito in soli nove giorni, si è espanso in maniera gigantesca, come mostra l’UNHCR con un post su Twitter. Attualmente è il campo di rifugiati più grande del Medio Oriente.
I rifugiati stanno iniziando ad adattarsi al nuovo ambiente poiché hanno capito che per il momento l’unica prospettiva all’orizzonte è quella di rimanere nel campo in Giordania per alcuni anni. Per questo motivo sono state aperte cliniche mediche, scuole e addirittura parchi giochi per i bambini. Tuttavia le strutture non sono sufficienti: nel campo vivono circa 9000 giovani tra i 19 e i 24 anni che per il momento non hanno ancora alcuna opportunità di formazione professionale.
Giordani e rifugiati siriani in competizione per le poche risorse disponibili

Come molte ONG hanno ripetutamente fatto notare, sta diventando sempre più difficile offrire servizi e condizioni di vita dignitose ad un così alto numero di persone. La risorsa che in particolare crea preoccupazione in questo momento è l’acqua. La Giordania infatti è uno dei paesi con meno risorse d’acqua al mondo a causa della posizione geografica del paese in mezzo al deserto. Il sistema di manutenzione non funziona in modo efficiente e la qualità dell’acqua è così scarsa che le persone locali normalmente non bevono dal rubinetto. Molte ONG hanno inoltre dimostrato che la metà dell’acqua è persa nella terra o è sottratta da altre persone senza pagare. La pressione sulle risorse umanitarie è talmente preoccupante che si ipotizza di aprire un nuovo campo a Azraq.

Sia la popolazione locale sia i rifugiati soffrono delle condizioni di vita sempre più difficili che durano più del previsto. All’inizio della crisi siriana, le comunità giordane avevano accolto in modo positivo i rifugiati siriani riconoscendo le difficoltà a cui i loro vicini di casa erano sottoposti. Negli ultimi tempi però i giordani iniziano a percepire i rifugiati siriani come veri e propri concorrenti in gara per appropriarsi delle poche risorse disponibili.

Secondo il generale giordano Waddah al-Hmoud, responsabile della sicurezza dei campi profughi, le tensioni tra giordani e siriani sono in aumento. "La Giordania ha bisogno di più soldi e più aiuto”, ha detto l’ambasciatrice dell’Unione Europea in Giordania, Joanna Wronecka. “Si stanno progettando riforme economiche con il Fmi ma i sussidi sui prodotti alimentari, il pane e il carburante sono finiti, e adesso stanno cercando di implementarli". Tali cambiamenti rischiano però, secondo l’ambasciatrice, di contribuire ad accrescere le tensioni con i siriani nel breve


Silvia Peirolo

25 novembre Giornata mondiale contro la violenza sulle donne - Spose bambine, l’altra faccia della violenza sulle donne

Africa
Nel mondo, più di 700 milioni di donne e bambine si sono sposate prima di aver compiuto 18 anni. Più di una su 3, circa 250 milioni, si è sposata prima dei 15 anni; a livello globale circa la metà delle ragazze tra i 15 e i 19 anni tende a giustificare chi picchia la moglie o la partner in alcune circostanze come rifiutare un rapporto sessuale; uscire di casa senza permesso, litigare, trascurare i bambini o bruciare la cena. 


Sono i dati forniti dall’Unicef (Agenzia Onu che si occupa di infanzia) sulla condizione femminile. Una tragedia, quella della violenza sulle donne (oggi si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne) che tocca da vicino anche il continente africano. La mente corre alle ragazze rapite da Boko Haram o usate come kamikaze in Nigeria, alle bambine fuggite dalla guerra nella Repubblica centrafricana, alle mamme e alle bambine costrette a fuggire dalle violenze della guerra in Sud Sudan, alle migliaia di ragazze eritree e somale costrette a subire violenza nel loro viaggio verso l’Europa. 

Ma anche alle migliaia di bambine costrette a sposarsi. Sposarsi in età precoce comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce, e dunque pericolosa sia per la neo-mamma che per il suo bambino. 
Le gravidanze precoci provocano ogni anno 70.000 morti fra le ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni, e costituiscono una quota rilevante della mortalità materna complessiva. 
A sua volta, un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che debba soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici. Le statistiche dicono quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo settore. 

Un lavoro non solo di protezione delle donne che hanno subito violenza, ma anche culturale. «Questi dati parlano di una mentalità che tollera, perpetra e giustifica la violenza e dovrebbero far suonare un campanello d’allarme in ognuno di noi, ovunque – spiega Giacomo Guerrera il presidente dell’Unicef Italia –. I dati dimostrano quanto sia indispensabile garantire alle bambine e alle donne il diritto fondamentale a un’istruzione di qualità. Vorrei ricordare le parole di Malala, Premio Nobel per la pace: “Un bambino, un maestro, un quaderno e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. 

La scuola è un luogo reale di protezione dagli abusi, dallo sfruttamento, dai matrimoni e dalle gravidanze precoci, che mettono letteralmente a rischio la vita delle bambine e delle ragazze, soprattutto in alcuni Paesi del mondo in via di sviluppo dove le bambine e le donne sono ancora fortemente discriminate”».

Incubo Isis alza muro sui migranti. Macedonia, Serbia e Croazia chiudono le porte.

Ansa
Macedonia, Serbia e Croazia chiudono le porte ai profughi provenienti in gran parte da Pakistan, Bangladesh, Marocco, Iran


Dopo gli attentati di Parigi non chiudere la porta ai migranti, ma anzi prepararsi ad accogliere un numero sempre maggiore di persone in fuga dall'Isis. Per coordinare la risposta dal punto di vista sanitario i rappresentanti dei 53 paesi della regione europea dell'Oms si sono ritrovati a Roma, in un meeting immaginato in un momento completamente diverso ma che ora si trova a fare i conti con uno scenario internazionale cambiato.

Macedonia, Serbia e Croazia hanno chiuso intanto le porte ai profughi provenienti in gran parte da Pakistan, Bangladesh, Marocco, Iran, Kurdistan e Paesi africani.

Labbra cucite con ago e filo: e' una delle forme estreme di protesta che decine di migranti hanno inscenato nelle ultime ore al confine fra Grecia e Macedonia contro la decisione delle autorita' di Skopje di consentire l'ingresso in Macedonia esclusivamente a migranti provenienti da zone di guerre e conflitti di Siria, Iraq e Afghanistan.

Una decisione analoga a quella adottata negli ultimi giorni anche daSlovenia, Croazia e Serbia, tutti Paesi lungo la 'rotta balcanica'che migliaia di migranti mediorientali continuano a seguire per raggiungere Germania e altri Paesi del nord Europa.

Le immagini raccapriccianti dei migranti con le bocche cucite postate sul web stanno suscitando sdegno e inquietudine crescenti fra i responsabili politici e delle organizzazioni umanitarie. In tanti fanno anche lo sciopero della fame rifiutando cibo e acqua offerti dalle tante organizzazioni presenti sul posto. Il numero dei migranti bloccati nella 'terra di nessuno' alla frontiera greco-macedone, perche' ritenuti semplici 'migranti economici' e non profughi che hanno diritto all'asilo aumenta di giorno in giorno, e secondo le autorita' di Skopje ad oggi erano non meno di 1.300.

Alcuni hanno deciso di far ritorno in Grecia, ad Atene, per cercare di raggiungere l'Europa occidentale per altre vie, mentre quelli che decidono di restare vivono in condizioni sempre piu' precarie, riparati alla meno peggio in piccole sotto la pioggia e ormai anche la neve e a temperature decisamente invernali. 'Non siamo terroristi', 'Vogliamo la liberta'', scandiscono a piu' riprese i 'migranti economici', molti dei quali scrivono in rosso sulla fronte il Paese da dove provengono. In tanti si mostrano a torso nudo con scritte sul petto quali 'Aprite i confini', 'Sparateci, ma noi non torniamo indietro. La' ci uccideranno'.

martedì 24 novembre 2015

Sanità Oms Europa, 700.000 rifugiati e migranti nel 2015, al 5% servono cure. Realizzare le vaccinazioni

AdnKronos Salute
Meeting a Roma per tracciare strategia comune, focus su vaccinazioni

Roma - Sono stati oltre 700.000 i rifugiati e migranti entrati nella regione europea nel 2015, in aggiunta ai 2 milioni di rifugiati in Turchia. Fino al 5% di queste persone ha bisogno di assistenza medica, a fronte di problemi di salute come lesioni accidentali, ipotermia, ustioni, episodi cardiovascolari, gravidanze e complicanze legate al parto, al diabete e all'ipertensione. 

Per parlarne si apre oggi a Roma la Conferenza ad alto livello sulla salute dei rifugiati e dei migranti, ospitata dal Governo italiano. I partecipanti, tra cui ministri della Salute e alti rappresentanti provenienti dai 53 Paesi dell'Oms Europa e da altre regioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, discuteranno le azioni che gli Stati membri e gli enti internazionali devono intraprendere per migliorare l'assistenza e la copertura sanitaria per queste persone.

"I sistemi sanitari della regione europea, compresi quelli dei Paesi che ricevono rifugiati e migranti - afferma Zsuzsanna Jakab, direttore Oms Europa - sono ben attrezzati per diagnosticare e curare le comuni malattie, infettive e non. Ma noi, come regione Oms, dobbiamo cercare di garantire che tutti i Paesi siano adeguatamente preparati e organizzati a sostenere l'afflusso massiccio di rifugiati e migranti, e allo stesso tempo proteggere la salute dei residenti. Una buona risposta alle sfide poste dai movimenti di popolazioni richiede che i sistemi sanitari siano pronti con dati epidemiologici affidabili sui flussi migratori, un'attenta pianificazione e formazione, e soprattutto l'aderenza ai principi di equità, solidarietà e diritti umani".

Al vertice capitolino, il tema delle vaccinazioni è al centro del dibattito. Le raccomandazioni specificano che i richiedenti asilo e i migranti devono essere vaccinati senza inutili ritardi, secondo i programmi di vaccinazione nazionali di qualsiasi Paese in cui intendano risiedere per oltre una settimana. Alla luce dei recenti focolai di morbillo nella regione, i Paesi dovrebbero dare la priorità alla vaccinazione contro questa malattia e contro parotite, rosolia e poliomielite, evidenzia l'Oms. I governi dovrebbero fornire i documenti attestanti le avvenute vaccinazioni per evitare che vengano ripetute. Molti Paesi hanno già intrapreso campagne del genere, ma ci sono ancora sfide complesse, tra cui l'accesso limitato ai servizi sanitari, a causa dei costi elevati, la mancanza di informazioni e barriere culturali.

"E' urgente - aggiunge Jakab - concordare una posizione comune per un'azione congiunta sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella regione europea dell'Oms. Ci auguriamo di poter usare questo incontro per raggiungere questo obiettivo".

“La retorica dello scontro di civiltà fa il gioco dei terroristi”

Tuschia Web
Strage di Parigi - Simone Olmati entra nel dibattito sull'Islam scatenato da Raffaello Federighi
Non stupiscono gli errori storiografici e concettuali di Raffaello Federighi. Non stupiscono alla luce del fatto che i suoi riferimenti culturali in materia di “scontro di civiltà” siano Magdi Allam, Edward Luttwak e Oriana Fallaci. Praticamente come studiare la colonizzazione delle Americhe guardando Pocahontas.

L’Europa islamizzata che esiste negli incubi del Federighi è smentita dai dati recentissimi del Pew Research Center i quali sottolineano come la presenza musulmana in Europa non superi il 6% della popolazione totale (8% nel 2030). L’Italia è ben al di sotto della media europea, con il 3,7% della popolazione residente di religione musulmana. Anche se l’Europa accogliesse il totale dei rifugiati siriani queste percentuali non sarebbero destinate a salire di molto.
Il problema, semmai, potrebbe sorgere nel caso in cui etnie e religioni minoritarie rispetto alla maggioranza della popolazione europea venissero concentrate e ghettizzate nelle banlieu delle grandi capitali europee, quartieri dormitorio con scarso accesso ai servizi, elevato tasso di marginalità sociale, elevato abbandono scolastico, eccetera. In questo caso il mix di criminalità, assenza di percorsi di integrazione e di cittadinanza e alto tasso di disoccupazione potrebbe risultare pericoloso.

Quanto al dilemma avanzato in un altro articolo da Francesco Mattioli se sia la marginalità a produrre devianza oppure il contrario, nel caso dei percorsi di radicalizzazione jihadista propenderei per la prima ipotesi, nonostante alcuni casi verificati di jihadisti di estrazione “borghese”. L’esempio lampante è quello di Molenbeek, quartiere periferico di Bruxelles: qui la radicalizzazione scaturisce non dall’altissima presenza di musulmani, ma da una disoccupazione giovanile che supera il 40% e che favorisce fenomeni di reclutamento da parte di individui già indottrinati.

Federighi, nell’accusare di lassismo le democrazie occidentali torna sulla buona strada, salvo poi ricadere nell’errore madornale di considerare lo Stato Islamico come il solo nemico dell’Occidente e Putin come “l’unico che sembra avere qualche idea chiara su cosa fare contro il Califfato”. L’Isis, Is o Daesh che dir si voglia, ha finora ucciso per la quasi totalità persone di fede musulmana a riprova del “nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto”, come sostiene su Limes il sottosegretario Mario Giro. Sono altri i protagonisti di questa guerra, così come sono altre le vittime principali. Ovvero i musulmani stessi che – ad esempio – muoiono a migliaia sotto le bombe di Bashar al Asad in Siria o nella guerra civile dimenticata nello Yemen.

E questo ci porta direttamente alla contrapposizione tra “Islam teocratico e Occidente laico” sostenuta dal Federighi il quale si sentirà forse un po’ meno Don Giovanni d’Austria nel sapere che in molti paesi arabi esistono libertà di culto nonché chiese e sinagoghe numerose, aperte e frequentate, fermo restando che l’Islam ha un ruolo infinitamente più importante nelle società dei paesi a maggioranza musulmana di quanto non abbiano le altre due religioni monoteiste nei paesi in cui esse sono diffuse. Certo, non è permesso aprire chiese in Arabia Saudita, così come non è permesso alle donne guidare una vettura.

Ma parlare dell’Islam come di un blocco monolitico è quanto mai errato. Mentre sostenere che per l’Islam “infedeli sono tutti i non musulmani” è pura malafede. Oltre alla distinzione tra sunniti e sciiti, all’interno del sunnismo esistono varie correnti tra cui quella minoritaria “takfirista” la quale autorizza la condanna a morte di persone accusate di apostasia. L’accusa di apostasia, per intenderci, è quella finalizzata a giustificare l’uccisione del “nemico vicino”, anche se fosse musulmano, ed è non a caso rivolta dai miliziani dello Stato Islamico verso altri correligionari, principalmente sciiti, ma non solo. Lo Stato Islamico colpisce infatti anche nei paesi a stragrande maggioranza sunnita. Altro che infedeli non musulmani!

Cedere alla retorica dello scontro di civiltà è fare il gioco dei terroristi. Come giustamente sostiene Francesco Mattioli, “occorre saper controllare gli animi e gli istinti, occorre studiare, leggere, valutare, riflettere, saper vedere più in fondo”. Viceversa, reiterare posizioni ideologiche neo-conservatrici (quelle che per intenderci hanno portato per davvero allo scontro di civiltà dell’era Bush) non farebbe altro che riprodurre gli schemi che hanno portato al rafforzamento del terrorismo che, con sommo dispiacere di Allam, Luttwak, Fallaci e dei suoi epigoni, con l’Islam non ha niente a che vedere.

Simone Olmati

lunedì 23 novembre 2015

Egitto - Al Tayeb, grande Imam Al Azhar (principale istituzione di riferimento teologico per tutto l’Islam sunnita): "Il terrorismo non ha religione"

MISNA
“Il terrorismo non ha religione. Ed è ingiusto attribuire all’Islam azioni violente, con uso di esplosivi e finalizzate alla distruzione solo perché quelli che le commettono gridano Allah Akbar”: queste le dure parole di condanna con cui lo sheikh Ahmed al Tayeb, grande imam di Al Azhar (principale istituzione di riferimento teologico per tutto l’Islam sunnita, ndr) ha respinto l’equazione Islam = terrorismo.

Ahmed al Tayeb, grande imam di Al Azhar -
principale istituzione di riferimento teologico
per tutto l’Islam sunnita
In un discorso trasmesso in diretta televisiva, e pronunciato in occasione dell’apertura della conferenza dei saggi musulmani – tenutasi nel fine settimana al Cairo – Al Tayeb ha invitato a distinguere “l’Islam, i suoi porincipi, la sua cultura e civiltà e una piccola minoranza che non rappresenta nulla se paragonata all’insieme dei musulmani pacifici”.

Davanti ai dignitari musulmani provenienti dai cinque continenti, il grande imam di Al Azhar ha invitato a ingaggiare “una battaglia intellettuale e ideologica” per sconfiggere il sedicente ‘Stato Islamico' (Is) responsabile degli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre e la cui ombra si allunga anche sull’assalto in un hotel di Bamako venerdì scorso. Al Tayeb ha ricordato inoltre che “le prime vittime del terrorismo” sono i musulmani e ha chiesto di non rispondere “al terrorismo con il terrorismo”. Dopo gli attentati di Parigi, in particolare, azioni anti-islamiche e aggressioni ai danni di musulmani sono state registrate in diversi paesi europei.

[AdL]

Appello vescovi Usa: dopo le stragi di Parigi non chiudere porte ai rifugiati dalla Siria

Radio Vaticana
I vescovi degli Stati Uniti chiedono di non chiudere le porte ai rifugiati siriani che cercano asilo nel Paese dopo le stragi di Parigi. Da Baltimora, dove si sono riuniti questa settimana per la loro sessione autunnale, i presuli hanno espresso ferma condanna per gli attentati e condoglianze per le vittime, ma anche preoccupazione per le reazioni di alcuni esponenti politici che hanno chiesto la chiusura delle frontiere ai rifugiati dalla Siria, dopo la notizia del ritrovamento di un passaporto siriano accanto al corpo di uno degli attentatori.

I rifugiati siriani fuggono essi stessi dal terrorismo dell’Is
“Questi rifugiati fuggono essi stessi dal terrorismo e dalla medesima violenza che ha colpito Parigi”, ha dichiarato a nome della Conferenza episcopale Usa il presidente della Commissione episcopale per i migranti, mons. Eusebio Elizondo. “Si tratta di famiglie estremamente vulnerabili, di donne e bambini che partono per salvare le proprie vite. Non possiamo e non dobbiamo considerarli colpevoli per gli atti di un’organizzazione terroristica”.

Non fare di tutti i rifugiati un capro espiatorio
Nella dichiarazione mons. Elizondo ricorda che le procedure per entrare negli Stati Uniti sono già molto rigide e complesse e che si possono eventualmente prevedere misure aggiuntive, ma non rifiutare l’accoglienza a queste persone in difficoltà. Di qui l’invito alle autorità ad “intervenire per porre fine pacificamente al conflitto siriano e perché i quattro milioni di rifugiati possano fare rientro nel loro Paese e ricostruire le loro case”, invece “di usare questa tragedia per fare di tutti i rifugiati un capro espiatorio”. Una “grande nazione” come gli Stati Uniti, conclude quindi la nota, deve “dare prova di leadership per condurre altri Stati a proteggere persone in pericolo e mettere fine ai conflitti in Medio Oriente”.

Rifiutare di accogliere lo straniero aiuta i nostri nemici
Dello stesso tenore le considerazioni esposte in un post del Catholic Relief Services (Crs), l’agenzia caritativa dei vescovi per gli aiuti ai Paesi d’oltre-mare, che spiega in cinque punti le ragioni per non “punire” i rifugiati siriani per gli attacchi di Parigi. “Anche se le preoccupazioni per la sicurezza sono legittime – si legge, tra l’altro, nel post – i leader e i politici devono capire che rifiutare di accogliere lo straniero e non lavorare insieme per la soluzione della crisi dei rifugiati serve solo ad aiutare i nostri nemici”. (L.Z.)

Un poète, Ashraf Fayadh, condamné à mort pour apostasie en Arabie Saoudite

www.peinedemort.org
Un poète palestinien a été condamné à mort par un tribunal saoudien pour apostasie, annonce vendredi l'organisation Human Rights Watch (HRW).

Ashraf Fayadh
Ashraf Fayadh, arrêté une première fois en 2013 par la police religieuse à Abha, dans le sud-ouest du pays, a été de nouveau interpellé puis jugé début 2014.
D'après Adam Coogle, spécialiste du Moyen-Orient chez HRW, le Palestinien a été condamné en première instance à quatre ans de prison et 800 coups de fouet. La peine capitale lui a été infligée en appel. "J'ai lu les verdicts de ses procès en 2014 devant un premier tribunal puis celui du 17 novembre. Il est tout à fait clair qu'il a été condamné à mort pour apostasie", a-t-il ajouté.

Le système judiciaire saoudien est fondé sur la charia et les juges sont des religieux issus de l'école wahhabite, une interprétation rigoriste de l'islam dans laquelle le blasphème et le renoncement à la foi musulmane sont des crimes passibles de la peine de mort.

La condamnation d'Ashraf Fayadh se fonde sur un témoin qui affirme l'avoir entendu maudire Allah, le prophète Mahomet et l'Arabie saoudite. L'accusation s'est aussi appuyée sur un recueil de poèmes de sa composition.

Aucune confirmation n'a pu être obtenu auprès des autorités saoudiennes.

domenica 22 novembre 2015

Madre chiede grazia per paraplegico Abdul Basit, condannato a morte in Pakistan

Ansa
La madre di Abdul Basit, un detenuto paraplegico che le autorità carcerarie di Faisdalabad vogliono impiccare mercoledì prossimo in Pakistan, ha chiesto a presidente ed a premier pachistani di intervenire concedendo una grazia che si basi su presupposti medici ed umanitari. 

La donna, Nusrat Perveen, ha detto di "essere sconvolta" dalla notizia ricevuta dai responsabili del carcere che le hanno annunciato che martedì potrà incontrare per l'ultima volta il figlio che sarà impiccato il giorno dopo.

"Premio Nobel agli abitanti di Lesbo". La petizione per i volontari e i residenti che aiutano i profughi

L'Huffington Post
Una petizione per chiedere che sia riconosciuto il premio Nobel ai cittadini e ai volontari che nell'isola greca di Lesbo aiutano i profughi in arrivo via mare dalla Turchia. Anche l'ambasciata greca in Italia invita a firmare, utilizzando una foto che basta da sola a raccontare una storia intera: tre vecchine danno il biberon al figlio di una donna, molto probabilmente siriana, mentre stanno sedute sulla panchina.


A Lesbo, dove ogni settimana approdano migliaia e migliaia di migranti, sia gli abitanti che le persone provenienti dagli altri luoghi della Grecia e del mondo si affannano per accogliere, fornire cibo, assistenza e un rifugio sicuro ai profughi e ai loro bambini.

E di notte c'è persino chi sta sveglio per rimanere in spiaggia con le lampade e segnalare le rocce che potrebbero far rovesciare i gommoni in arrivo

Proprio per alleviare le fatiche delle giovani mamme migranti, le anziane di Lesbo si danno da fare per badare ai loro bambini.

venerdì 20 novembre 2015

Indonesia announces moratorium on death penalty amid the current economic slowdown

Jakarta Post
The nation priorities on fixing its weak economy
The government has suspended executions of convicts on death row amid the current economic slowdown, Coordinating Political, Legal and Security Affairs Minister Luhut Panjaitan said on Thursday.


Mourners at the funeral in May of Myuran Sukumaran, who was convicted
in Indonesia of drug trafficking and executed.
 Photo: James Brickwood

He said the government was focusing onimproving economic growth, which accelerated at a slow pace of 4.73 percent in the third quarter of this year.
“We are not thinking about carrying out death sentences as long as our economy is still like this,” he said as quoted by kompas.com.

Luhut said the issue of the death penalty in Indonesia was raised when he met with Australian government representatives in Sydney earlier this week.

Australia had promised not to interfere in Indonesia’s stance on the death penalty, he added.
“I have told them that we [Indonesia] are concentrating on the economy. We will have further discussions if something comes up,” he said.

Foreign countries and human rights groups have slammed Indonesia for implementing the death sentence against convicts, as stipulated in the Criminal Code (KUHP).

President Joko “Jokowi” Widodo’s administration executed two groups of death row convicts, totaling 14 people, in January and April.

Two of the convicts were Australian drug smugglers Andrew Chan and Myuran Sukumaran, who were executed in April, causing tension between the two countries and leading to Australia recalling its ambassador from Indonesia.

Jakarta-based human rights group the Institute for Criminal Justice Reform (ICJR) said it appreciated the move and urged the government to grant clemency for people on death row so their fate would be clear.

“Clemency for convicts on death row would prevent them having the death row phenomenon that often happens during a postponement of [carrying out] death sentences, which is usually evident in a mentally disturbed state,” ICJR senior researcher Anggara said on Thursday.

He also said a moratorium on the death penalty must be followed by real action, such as the Attorney General’s Office refraining from demanding the death penalty for defendants. (rin)

giovedì 19 novembre 2015

I musulmani italiani in piazza a Roma contro gli atti di terrorismo a Parigi: "Not in my name"

ANSA
Roma - Continuano a crescere le adesioni alla manifestazione "Not in my name" indetta dai musulmani italiani e prevista per sabato prossimo, alle 15.00, in piazza Santi Apostoli a Roma contro ogni forma di forma di terrorismo e in segno di solidarietà con i terribili attacchi di Parigi del 13 novembre scorso.


"Noi musulmani d'Italia - si legge in una nota della Comunità Religiosa Islamica italiana (Coreis) - condanniamo con forza la recente strage di Parigi, esprimendo il più profondo sentimento di vicinanza al popolo francese e a tutti i familiari delle vittime così barbaramente uccise".

Crimini che non possono essere commessi in nome dell'Islam, sostengono in molti fedeli, a cominciare dall'ambasciatore saudita in Italia, Rayed Krimly, che in una nota scrive: "neppure gli animali ne' le belve potrebbero commettere atti simili a quelli perpetrati da terroristi che, senza senso, uccidono esseri umani innocenti". Per questo, "mi unisco con fermezza a tutta l'umanità nel celebrare la vita e nel difendere la nostra esistenza collettiva dal male assoluto del terrorismo". Tante le sigle e le associazioni musulmane che hanno raccolto l'invito a una mobilitazione "delle musulmane e musulmani che, isolando ogni pur minima forma di radicalismo, protegga in particolare le giovani generazioni dalle conseguenze di una predicazione di odio e violenza in nome della religione".

Promotori dell'iniziativa, fra gli altri, il segretario generale del Centro Culturale d'Italia della Grande Moschea di Roma, Abdellah Redouane, il responsabile della Confederazione Islamica Italiana musulmani dal Marocco, Zidane el-Amrani Alaoui, il presidente dell'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia, Izzedin Elzir, il vicepresidente della Coreis, l'imam Yahya Pallavicini e Omar Camiletti, Tavolo interreligioso di Roma. Dal canto suo, anche la Comunità del mondo arabo (Co-Mai) che aderisce all'appello, invita "tutti i cittadini arabi, musulmani, ebrei, italiani, stranieri a scendere in piazza alzando la propria voce". "Dobbiamo essere uniti contro il terrorismo e la violenza feroce che si abbatte sui civili di tutte le religioni", ha ricordato il presidente, Foad Aodi.

USA - Pena di morte: altra esecuzione in Texas di Raphael Holiday, 36 anni

Rai News
In Texas un detenuto, Raphael Holiday, 36 anni, è stato eseguito con un' iniezione letale per aver appiccato un incendio nel quale sono morte la figlia di 18 mesi e le due sorellastre, 15 anni fa. 


Raphael Holiday
Holiday, che ha sempre proclamato la sua innocenza, è la tredicesima persona ad essere giustiziata quest'anno in Texas. Intanto,la Goergia ha negato la grazia a Marcus Ray Johnson, 50 anni, condannato per aver violentato e ucciso una una donna nel 1994. Sarà giustiziato stasera alle 19 ora locale.

Tiziano Terzani, il Sultano e San Francesco: "Ecco perché Oriana non ha ragione"

L'Huffington Post
La profezia di Oriana Fallaci, la Cassandra dell'Informazione, ha fatto il giro del web. E in particolare i passi in cui la giornalista parlava del "nemico in casa, senza la barba, vestito all'occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l'automobile. Con la famiglia".
Tiziano Terzani
Dopo i fatti di Charlie Hebdo, l'integralismo islamico è tornato a colpire il cuore dell'Europa con gli attentati di Parigi, rinfocolando una guerra culturale mai realmente sopita, di cui possiamo toccar con mano la rabbia e l'odio sui social, nel web e nel bar sotto casa.

È innegabile che la questione sia tristemente tornata d'attualità, ma - come sottolineato da Tiziano Terzani, storica firma del Corriere - "rabbia e odio" non ci aiuteranno a sconfiggere il terrorismo. Ecco un estratto della sua lettera, "Il Sultano e San Francesco":
E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, «Libertà duratura». O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c' è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmen questa. Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d' aver davanti prima dell' 11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all' inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta.

Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un' altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima?

Angola: al via a Luanda processo ad attivisti per i diritti umani

Presenza
Al via il 16 novembre a Luanda il processo a carico di 17 attivisti per i diritti umani e militanti di opposizione, tra i quali il musicista Henrique Luaty Beirão, arrestati nel giugno scorso e incriminati per attentato alla sicurezza dello Stato.
 Il musicista Henrique Luaty Beirão
In coincidenza con l’inizio del dibattimento appelli alla liberazione degli attivisti sono stati rivolti da diverse organizzazioni, sia locali che internazionali. Con i suoi compagni, Luaty Beirão era stato arrestato per aver organizzato a Luanda una lettura pubblica “From Dictatorship to Democracy” (“Dalla dittatura alla democrazia”), un libro dello scrittore inglese Gene Sharp sulle rivoluzioni politiche e sociali.

Sin dai tempi della guerra civile (1975-2002), l’Angola è guidata dal presidente Eduardo José dos Santos, in carica da 36 anni.

mercoledì 18 novembre 2015

Amnesty - Rifugiati dopo attentati di Parigi: UE resistere alla tentazione di sigillare le frontiere esterne. Profughi fuggono dalla stessa violenza che sta colpendo l'Europa

Dazeba News
Roma - Sulla scia degli efferati attacchi del 13 novembre a Parigi, l’Unione europea deve 
resistere alla tentazione di sigillare le sue frontiere esterne, continuando ad alimentare una serie di violazioni dei diritti umani, senza alcuna utilità per migliorare la sicurezza e fermare l’afflusso di rifugiati disperati.
È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International in un nuovo rapporto intitolato “Paura e recinzioni. Come l’Unione europea tiene lontani i rifugiati”.

L’organizzazione per i diritti umani chiede che siano garantiti canali sicuri e legali verso l’Europa e procedure di controllo eque, efficienti e rigorose che soddisfino i bisogni dei rifugiati in cerca di protezione in Europa e in grado di rispondere alla necessità di individuare le possibili minacce alla sicurezza.

Il rapporto spiega come la progressiva recinzione delle frontiere esterne e l’affidamento del ruolo di “piantoni” a paesi vicini come la Turchia e il Marocco neghino ai rifugiati l’accesso all’asilo, li espongano a maltrattamenti e costringano le persone a intraprendere pericolosi viaggi in mare.

L’aumento delle recinzioni alla frontiera esterna dell’Unione europea è servito solo a consolidare le violazioni dei diritti umani e a rendere più complicato gestire i flussi di rifugiati in maniera umana e ordinata” – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.

“Arrendersi alla paura sulla scia degli efferati attacchi di Parigi non servirà a proteggere nessuno. Le persone in fuga da persecuzioni e conflitti non sono scomparse, né lo è il loro diritto alla protezione. Dopo questa tragedia, la mancata estensione di solidarietà per le persone in cerca di rifugio in Europa, spesso in fuga dallo stesso tipo di violenza, sarebbe una vile abdicazione di responsabilità e una tragica vittoria del terrorismo sull’umanità.”
"Finché ci sarà violenza e guerra, la gente continuerà ad arrivare e l'Europa deve trovare modi migliori per offrire protezione. L’Unione europea e i suoi stati frontalieri in prima linea devono urgentemente ripensare a come poter assicurare percorsi d’accesso legali e sicuri sia alla frontiera esterna terrestre europea che nei paesi di origine e di transito. Ciò può essere realizzato attraverso l’aumento dei posti a disposizione per il reinsediamento, le riunificazioni familiari e il rilascio di visti per motivi umanitari” – ha proseguito Dalhuisen.

Così come un altro documento, “La crisi europea dei rifugiati: un programma d’azione”, reso pubblico oggi da Human Rights Watch, il rapporto di Amnesty International presenta una serie di dettagliate raccomandazioni all’Unione europea e ai suoi stati membri affinché l’una e gli altri facciano di più per affrontare la crisi globale dei rifugiati.

L’alto prezzo delle recinzioni della Fortezza Europa

In tutto, gli stati membri dell’Unione europea hanno costruito oltre 235 chilometri di recinzione alla frontiera esterna, con un costo superiore a 175 milioni di euro

Si tratta di:
- 175 chilometri alla frontiera tra Ungheria e Serbia;
- 30 chilometri alla frontiera tra Bulgaria e Turchia, cui si dovrebbero aggiungere altri 130 chilometri;
- 18,7 chilometri alla frontiera tra le enclave spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco;
- 10,5 chilometri nella regione dell’Evros alla frontiera tra Grecia e Turchia.


Piuttosto che impedirne l’arrivo, queste recinzioni hanno ottenuto l’unico risultato di dirigere i flussi di rifugiati lungo altri percorsi terrestri o rotte marittime maggiormente rischiose. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nei primi 10 mesi e mezzo del 2015 gli arrivi via mare sono stati 792.883, rispetto ai 280.000 arrivi via terra e via mare registrati nel 2014 da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Finora quest’anno 647.581 persone sono arrivate via mare in Grecia: secondo l’Unhcr il 93 per cento di esse proviene dai 10 principali paesi di origine dei rifugiati.

Alla data del 10 novembre, circa 3500 persone erano morte nel mar Mediterraneo, 512 delle quali nel mar Egeo.

Respingimenti e altre violazioni dei diritti umani alla frontiera
Persone che avevano cercato di raggiungere la Grecia, la Bulgaria e la Spagna via terra hanno raccontato ad Amnesty International di essere state respinte dalle autorità di frontiera senza avere accesso alla procedura d’asilo o senza poter fare ricorso contro la decisione di rimandarli indietro, in chiara violazione del diritto internazionale. I respingimenti avvengono spesso con violenza e pongono le vite delle persone in pericolo. Un rifugiato siriano di 31 anni ha descritto un respingimento dalla frontiera terrestre greca verso la Turchia avvenuto nell’aprile 2015:

“Ci hanno portato sulla riva del fiume e ci hanno obbligato a inginocchiarci. Era buio, erano circa le 20.30. C’erano altre persone che venivano rimandate in Turchia. Un agente mi ha colpito da dietro, sulla testa e alle gambe, con un bastone di legno. Poi ci hanno portati più vicino alla riva e ci hanno ordinato di stare calmi e non muoverci. Mi hanno preso da parte e poi hanno iniziato a picchiare coi pugni e coi calci. Mi hanno preso per i capelli e trascinato verso l’acqua…”

Dalle ricerche di Amnesty International è emerso che i respingimenti via terra dalla Grecia verso la Turchia sono un fatto abituale e che le denunce di respingimenti dalla Bulgaria verso la Grecia rimangono costanti.

Nel marzo 2015, la Spagna ha adottato una legge che rende legali i respingimenti di migranti e rifugiati che la Guardia civile effettua da Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in territorio marocchino. A settembre, l’Ungheria ha istituito zone di transito al confine con la Serbia, per respingere richiedenti asilo verso il territorio serbo dopo procedure accelerate che non prevedono garanzie adeguate.

“Dove ci sono recinzioni, ci sono violazioni dei diritti umani. I respingimenti illegali di richiedenti asilo sono diventati una caratteristica intrinseca di ogni frontiera esterna dell’Unione europea situata lungo i principali percorsi migratori. Nessuno fa molto per porre fine a questa situazione” – ha commentato Dalhuisen.

“Regolamentare gli ingressi nell’Unione europea è una cosa. Negarlo ai rifugiati è decisamente un’altra cosa. La prima azione è sensata e legittima, la seconda è illegale e inumana e deve cessare” – ha ribadito Dalhuisen.

I “piantoni” d’Europa
In un ulteriore tentativo di tenere i rifugiati e i migranti lontano dall’Europa, l’Unione europea e i suoi stati membri stanno sempre più affidando a paesi terzi il ruolo di “piantoni”.

L’ultima proposta sul tavolo è un piano d’azione congiunto tra Unione europea e Turchia, che impegna quest’ultimo paese a “prevenire l’immigrazione irregolare” e che chiude un occhio sulle violazioni dei diritti umani ai danni dei rifugiati e dei migranti. In Turchia, i migranti e i richiedenti asilo irregolari che vengono intercettati sono trattenuti senza assistenza legale. Rifugiati provenienti da Siria e Iraq sono stati rimandati indietro, in evidente violazione del diritto internazionale. Molti dei rifugiati che non provengono dalla Siria attendono oltre cinque anni per conoscere l’esito della loro richiesta d’asilo.

Le guardie di frontiera del Marocco si rendono complici dei maltrattamenti a coloro che cercano di scavalcare la recinzione che circonda le enclave spagnole, mentre nel paese nordafricano si attende ancora l’attuazione delle riforme del sistema d’asilo.

“L’Unione europea non dovrebbe affidare il lavoro sporco a stati che non possono o non vogliono rispettare i diritti dei rifugiati e dei migranti. Invece, dovrebbe assisterli nello sviluppo di un sistema d’asilo e d’accoglienza. Questi stati non dovrebbero essere assoldati come manovalanza, nell’evidente disinteresse per le conseguenze a danno dei rifugiati e dei migranti” – ha concluso Dalhuisen.

Raccomandazioni all’Unione europea
L’Unione europea potrebbe e dovrebbe attuare una serie di misure realistiche e realizzabili, in grado di rispondere alla crisi globale dei rifugiati e di assicurare protezione alle centinaia di migliaia di persone già arrivate nel suo territorio.

“La crisi globale dei rifugiati rappresenta una profonda sfida per l’Unione europea ma è lungi dall’essere una minaccia alla sua esistenza. Anzi, gestire percorsi sicuri e legali verso l’Europa contribuirebbe molto all’individuazione di minacce alla sicurezza prima che arrivino. L’Unione europea deve rispondere non con la paura e le recinzioni, ma nel rispetto della migliore tradizione dei valori che pretende di rappresentare”.

Amnesty International continua a chiedere all’Unione europea e ai suoi stati membri di:

- aprire percorsi sicuri e legali, anche attraverso l’aumento dei posti a disposizione per il reinsediamento, le riunificazioni familiari nonché le ammissioni e i visti per motivi umanitari;

- assicurare che i rifugiati abbiano accesso al territorio e alla procedura d’asilo alla frontiera esterna terrestre;

- porre fine ai respingimenti e alle altre violazioni dei diritti umani alla frontiera, indagando in modo efficace sulle violazioni commesse a livello di singoli stati membri e aprendo procedure d’infrazione da parte della Commissione in caso di violazione delle norme dell’Unione europea;

- aumentare in modo significativo le possibilità di accoglienza e di assistenza umanitaria di breve periodo negli stati frontalieri in prima linea;

- accelerare ed espandere l’attuazione dello schema di redistribuzione dei richiedenti asilo.