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domenica 25 luglio 2021

Voghera - Una società armata e impaurita arriva a tollerare le uccisioni e si diminuisce così la sicurezza collettiva - di Mario Giro

Il Domani
Un assessore che spara in piazza non è normale. Si tratta di un ulteriore passo verso l'aumento del tasso generale di violenza, che la destra favorisce e la sinistra non sembra in grado di fermare


Ci stiamo incamminando verso modelli non nostri: quelli di paesi in cui sparare non fa scandalo. Gli Stati Uniti da decenni si dibattono con tale problema, con tantissime morti imputabili alla diffusione delle armi. Anche altri paesi d'Europa si sono messi su tale china.
Tutto ciò non aumenta la sicurezza collettiva ma la diminuisce. Una società armata è una società impaurita dove tutti si sentono in diritto di farsi giustizia da sé. È un modo di definire la giustizia non secondo la legge ma secondo le sensazioni personali. 
Nella società odierna la percezione individuale di sé stesso e degli altri è divenuta un mantra assoluto.

Ci possiamo aspettare che uccidere sia considerato tollerabile o lo stia diventando. Quando ci si sposta dall'oggettività del reale ad un'illimitata soggettività, tutto diviene opinabile, inclusa la difesa personale. Non esiste più l'obiettività di una situazione: se "io sento" di essere minacciato, posso permettermi di sparare. È ciò che è successo a Voghera. A tali condizioni diventa un'impresa quasi impossibile dibattere sul tema: la sensazione personale vale di più di qualunque ragionevole discussione oggettiva.

Lo si constata in tanti settori e su tanti argomenti: oggi le sensazioni dell'io divengono la legge di sé stessi, tendendo a superare la norma comune scritta. È divenuto frequente criticare i giudici per non saperla calare sulle sensazioni o convinzioni soggettive. 
Ma la legge è fatta proprio per evitare i personalismi o le emozioni unilaterali: le norme collettive servono a rendere oggettiva la realtà e ad interpretarla in maniera ragionevolmente comune. L'alternativa è il caos, che è esattamente la situazione in cui stiamo cadendo.
Ovviamente dotarsi di armi crea le condizioni più pericolose per far esplodere tale estremismo soggettivo. Coloro che fanno le leggi (il parlamento) e coloro che le amministrano (la magistratura) dovrebbero domandarsi come rafforzare la consapevolezza collettiva che una società si regge sulla concreta realtà oggettiva delle situazioni, delle azioni e dei fatti.

Se al posto di tale realtà si lascia libero l'individuo di inseguire le proprie emozioni, si distrugge la società stessa. La legge non è mai soggettiva ma comune e il più possibile aderente alla realtà oggettiva. Non si può decidere il tasso di pericolosità e di allarme secondo le proprie emozioni, creando una specie di legge personale.

Si dirà che è l'individuo, e non la norma, a trovarsi in certe situazioni e a dover decidere come reagire. Questo è lo spirito del tempo: l'individuo si fa norma a sé stesso e decide prevalentemente in base a sé stesso. 

L'individuo diviene il vero sovrano. Ma se vogliamo una società in cui sia possibile vivere insieme, tale prospettiva è inaccettabile. Siamo una comunità e per continuare ad esserlo l'io deve sciogliersi nel noi. Ecco perché sparare come è accaduto a Voghera rimane inammissibile.

Mario Giro

venerdì 23 luglio 2021

Riflettori spenti sul Myanmar - A cinque mesi dal golpe si muore per la repressione e per il Covid. 5281 persone in arresto e migliaia di morti

Il Manifesto
A cinque mesi e mezzo dal golpe. Contagi e cimiteri fuori controllo, le previsioni sono catastrofiche. E la giunta militare uccide ancora


«La mattina del 16 luglio, Tin Ohn del villaggio di Ayekayit, regione di Magwe, è stato colpito da più di 15 colpi di arma da fuoco dalla giunta terroristica che non cercava suo figlio Yan Myo Aung, parlamentare. È morto mentre lavorava in un campo di sesamo». È uno dei tanti resoconti che sabato Assistance Association for Political Prisoners ha scritto nel briefing online quotidiano sulla situazione in Myanmar: ieri 914 morti e 5.281 ancora in stato di arresto.

A 5 mesi e mezzo dal golpe del 1 febbraio, anche se i riflettori della cronaca si sono spostati altrove, in Myanmar si continua a morire. «E i prezzi al mercato sono schizzati in alto», ci dice una madre di due figli che ha anche la nonna a carico e vive nella regione centrale del Paese: «Non so come sfamarli». Ma oltre alla fame e alla violenza quotidiana c’è il Covid-19, una nebulosa che poggia su dati inattendibili e che guadagna terreno.

Secondo la stampa locale, i cimiteri di Yangon hanno avuto una delle settimane più impegnative, cremando oltre 700 corpi solo giovedì e altre centinaia i giorni precedenti. Da allora, circa 1.000 persone sarebbero morte in città e i cimiteri non sarebbero più in grado di gestire il volume di corpi che arrivano. Stando a Mary Callahan, docente all’americana Henry Jackson School of International Studies che ha lavorato in Myanmar per 30 anni, «una stima fornita dagli esperti in Myanmar prevede – ha scritto ieri su AsiaTimes – che il 50% dei 55 milioni di abitanti sarà infettato entro tre settimane dalla variante Alpha o Delta», con una previsione che potrebbe vedere la popolazione «decimata di almeno 10-15 milioni quando il Covid sarà finito».

Se in Myanmar intanto resta accesa la fiamma della protesta, la diaspora ha acceso ieri la sua in decine di città del pianeta (in Italia, a Venezia) per chiedere che venga riconosciuto il governo clandestino di Aung San Suu Kyi. La mossa politica che nessuno vuole fare ma che forse potrebbe cambiare le carte in tavola. 
(a.d.p./e.g.)

martedì 20 luglio 2021

Grecia - Migranti picchiati e respinti con forza in Turchia via mare e terra, in violazione del diritto internazionale sui rifugiati. Notizia ignorata

Blog Diritti Umani - Human Rights
Le guardie di frontiera turche hanno arrestato dozzine di migranti irregolari che sono stati perquisiti e picchiati da funzionari greci oltre il confine, comunica il ministero della Difesa. La notizia non ha avuto reazioni adeguate in Europa

I rifugiati che tentano di entrare in Grecia
vengono spogliati e costretti a tornare in Turchia
Il ministero ha osservato che circa 42 migranti irregolari, tra cui 12 individui nudi, sono stati detenuti nella provincia di Edirne, vicino al confine greco.
I migranti hanno detto alle unità di frontiera turche che la parte greca non ha dato loro cibo o acqua, li ha maltrattati, li ha spogliati e li ha costretti a entrare in Turchia.


Si registrano altre notizie e segnalazioni simili sul maltrattamento dei migranti da parte della Grecia.

La reazione greca ai rifugiati è dura. Diversi rifugiati sono stati uccisi e molti maltrattati, attaccati e lacrimogeni dalle forze greche. Le forze greche hanno persino tentato di affondare i gommoni dei profughi che cercavano di attraversare l'Egeo.

La Turchia ospita già quasi 4 milioni di migranti siriani, più di qualsiasi altro Paese al mondo. I funzionari dicono che il paese non può gestire un'altra ondata di rifugiati.

Negli ultimi anni, Turchia e Grecia sono stati punti di transito chiave per i migranti che miravano a entrare in Europa, fuggendo da guerre e persecuzioni per iniziare una nuova vita.

Diversi gruppi per i diritti umani e la Turchia hanno accusato la Grecia di respingimenti su larga scala e deportazioni sommarie senza accesso alle procedure di asilo, il che costituisce una violazione del diritto internazionale. Accusano anche l'Unione Europea di chiudere un occhio su quello che dicono essere un palese abuso dei diritti umani.

I respingimenti sono considerati contrari agli accordi internazionali di protezione dei rifugiati che stabiliscono che le persone non dovrebbero essere espulse o rimandate in un paese in cui la loro vita o la loro sicurezza potrebbero essere in pericolo a causa della loro razza, religione, nazionalità o appartenenza a un gruppo sociale o politico.

Il 3 marzo, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha affermato che la pratica greca di respingere i migranti irregolari in Turchia costituisce una chiara violazione della Convenzione sui rifugiati del 1951, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e del diritto dell'Unione europea.

Inoltre, un'indagine congiunta di diverse testate giornalistiche internazionali ha riferito a ottobre che Frontex, l'Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, era stata complice in operazioni di respingimento marittimo per allontanare i migranti che tentavano di entrare nell'UE attraverso le acque greche.

ES

Fonte: HRW - Daily Sabah 

sabato 17 luglio 2021

Arabia Saudita. "Donne attiviste per i diritti umani torturate nelle carceri": la denuncia di Hrw. Le testimonianze delle guardie carcerarie

Il Messaggero
Scariche elettriche, frustate, pestaggi e violenze sessuali, carceri "segrete": un nuovo rapporto di Human Rights Watch (Hrw), basato sulla testimonianza di alcune fra le stesse guardie carcerarie, alza un velo inquietante sulle prigioni femminili in Arabia saudita e sul trattamento riservato nel 2018, in particolare a detenute di rango elevato: per lo più avvocati e attiviste dei diritti umani e delle donne.


Fra le persone ad aver subito abusi e torture figurano, secondo Hrw, anche la nota avvocata per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul, e l'attivista (uomo) Mohammed al-Rabea.

Il rapporto, spiega Hrw, è basato su alcuni messaggi di testo inviati da secondini testimoni di questi trattamenti, che insieme ad alcune testimonianze, formano un mosaico piuttosto sinistro: "Nuove prove che indicano l'uso di torture brutali su donne che difendono i diritti delle donne e altri detenuti di alto profilo mettono ancora più a nudo il disprezzo saudita per lo stato di diritto e il fallimento di qualunque credibile tentativo di indagare su queste accuse", dichiara in una nota Michael Page, vicedirettore dell'Ong umanitaria per il Medio Oriente e il Nord Africa.

"Lasciare che chi compie abusi la passi sempre liscia significa mandare loro il messaggio che possono torturare impunemente senza dover mai rispondere di questi crimini", ha aggiunto Page. 

Le testimonianze riportate da Hrw si riferiscono in particolare al carcere di Dhabhan, a nord di Gedda, e a un'altra prigione definita "segreta".

venerdì 9 luglio 2021

India il rispetto dei diritti umani in grave crisi! Stan Swamy, gesuita anziano e malato, difensore degli aborigeni arrestato senza prove da 8 mesi e morto di Covid in carcere.

La Repubblica
Swamy, 84anni, lottava per le cause di aborigeni e Dalit Arrestato in ottobre senza prove con la legge antiterrorismo

Padre Stan Swamy  - morto a 84 anni in carcere

Bisogna essere affetti da una grave forma di incurabile crudeltà per lasciar morire in carcere un prete gesuita di 84 anni, malato di Parkinson, che non era più in grado di mangiare, bere o lavarsi da solo. 

Ci vuole un certo livello di ostinata stupidità per maltrattare un malato, il più anziano indagato per terrorismo in India, che in prigione è stato contagiato dal Covid-19 ed è deceduto dopo otto mesi di prigionia, senza alcuna vera prova di colpevolezza. 

Padre Stan Swamy è stato eliminato, questa è la parola giusta, grazie a una legge antiterrorismo manipolata per soffocare il dissenso al governo, norma piegata a mero strumento per imbavagliare le critiche, pugno di ferro contro le minoranze.

Quando a ottobre 2020 un’agguerrita task force antiterrorismo dell’Agenzia investigativa nazionale irrompe nella casa comune a Ranchi, capitale dello Stato di Jharkhand nell’India dell’est, dove abitava il paladino dei diritti delle popolazioni aborigene degli Adivasi e delle caste più basse dei Dalit, non trova nulla di incriminante, ma lo arresta lo stesso, con altri 15 avvocati, scrittori, poeti e militanti. 

L’accusa è aver fomentato violenze intercasta nel 2018, nel caso “Bhima Koregaon”, e avere collegamenti con i ribelli maoisti naxaliti nella pianificazione dell’assassinio del premier Narendra Modi. Di nuovo: parliamo di un prete gesuita 84enne con il Parkinson, che per mezzo secolo ha difeso gli ultimi contro gli interessi e gli abusi delle grandi società minerarie aiutate da funzionari corrotti. 

Padre Stan era difatti noto per la militanza nel fornire assistenza legale gratuita agli Adivasi nella difesa dei loro diritti costituzionali a terreni, fiumi e sorgenti. Ciò ha sempre dato molto fastidio ai poteri forti. E non si è trovato di meglio che escogitare un pretesto per togliersi dai piedi il prete, come si è fatto con decine di professori universitari, autori e poeti in galera, grazie alla Legge per la prevenzione delle attività illecite con la semplice accusa d’aver guidato manifestazioni o aver postato messaggi di critica politica sui social.

In una conferenza video che padre Swamy era riuscito a trasmettere poco dopo l’arresto, il gesuita aveva chiesto clemenza: «A causa dell’età ho delle complicazioni. Ho cercato di comunicarlo alle autorità e spero che prevalga un senso di umanità». Non è stato così. 

In quel video si notava già il tremolio delle mani di questo figlio di contadini del Tamil Nadu divenuto novizio già da adolescente. Non riusciva più a mangiare e a lavarsi e aveva chiesto al tribuna- le di poter avere una tazza con can- nuccia per nutrirsi da solo. Richiesta negata. Solo dopo una mobilitazione sui social, grazie alla quale centinaia di sostenitori hanno acquistato per lui tazze e cannucce inviandole al tribunale, e postando la ricevuta: solo dopo un mese le autorità hanno ceduto. Un inutile accani- mento, considerando oltretutto che una squadra americana che un hacker ha usato un software per istallare 22 files incriminanti nel computer di uno degli accusati. Proprio in questi file posticci ci sarebbero le prove usate per arrestare Swamy.

«Questa non è stata una semplice morte», ha accusato la scrittrice Meena Kandasamy, «è stato un assassinio giudiziario e sono tutti complici». «Non è morto, è stato ucciso», le fa eco l’autrice Sonia Faleiro. 

Lo storico Ramachandra Guha parla anche lui di «omicidio giudiziario». E un giudice a riposo della Corte suprema indiana, Madan Lokur, è affranto: «Da due anni osservo la disintegrazione totale dei diritti umani in India, una tragica discesa culminata con questa morte».

Ma padre Swamy lo sapeva. Nel suo ultimo messaggio video si era dichiarato pronto al martirio: «Questo è un processo che mette in questione i poteri forti. Sono pronto a pagarne il prezzo. Qualunque sia».

Carlo Pizzati

lunedì 5 luglio 2021

Usa - Biden: moratoria delle esecuzioni federali - Un passo verso l'abolizione della pena di morte - Trump aveva ordinato 3 esecuzioni a fine mandato

Avvenire
Mario Marazziti
Vita e morte. La si può girare quanto si vuole, ma l’unica guarigione dalla morte e dalla violenza è meno violenza e più vita. E negli Usa c’è ora un passo avanti verso la guarigione della vita. Un antidoto alla malattia della polarizzazione violenta e del culto, mortale, delle armi. È una decisione dell’amministrazione Biden. 

Evento "Cities For Life" - Città contro la pena di morte
Organizzato da Sant'Egidio il 30 novembre al Colosseo

Il ministro della Giustizia, l’Attorney general Merrick Garland, ha proclamato una moratoria ufficiale delle esecuzioni a livello federale, che è il campo della pena di morte che ricade sotto la giurisdizione del Presidente degli Stati Uniti, mentre tutte le altre esecuzioni dipendono dai singoli Stati. 

Il Dipartimento di Giustizia avvia di nuovo uno studio sull’uso della pena capitale per valutare che non solo corrisponda alle leggi degli Stati Uniti, ma che sia anche amministrata senza discriminazioni: «fairly», e in maniera umana, «and humanely», cioè senza un’aggiunta di sofferenza o tortura. Da decenni il sistema giudiziario prova a dire che si può uccidere in maniera "umana", con molti corti circuiti. La discriminazione. è scritta nella storia e nella cronaca, negli Usa e nel resto del mondo.
Non è uno stop definitivo, ma conferma quanto promesso in campagna elettorale da Joe Biden, quando si è dichiarato contrario all’uso della pena capitale e ha annunciato il suo impegno per fermarla durante il suo mandato. È un piccolo grande passo, atteso da tempo, e l’inizio di una svolta che può diventare storica, anche se non blocca ancora per sempre le esecuzioni federali. 
Fissa uno standard. Obama aveva avviato una revisione sulle modalità di esecuzione, che aveva portato a una pausa della morte di Stato. Poi era venuto Trump, e la pausa era finita. Le ultime tre esecuzioni, nel 2021, per paradosso, sono avvenute quando l’ex presidente era già un privato cittadino e il procuratore Barr si era dimesso. Colpo di coda letale della banalità burocratica. Ma Anche in quegli ultimi casi, non c’era rapporto con la promessa di "legge e ordine", e le elezioni erano già state perse.

Il 7 luglio 2020 a Terre Haute, in Indiana, l’esecuzione di Daniel Lewis Lee aveva avviato la più intensa e sanguinaria striscia di morte della storia dei presidenti americani. 13 esecuzioni last minute negli ultimi sei mesi di Trump , l’unico anno della storia americana in cui le sole esecuzioni federali hanno superato quelle di tutti gli Stati messi insieme. 

In quello che normalmente chiamiamo il "semestre bianco", in quel 2020 in cui sono morti più di 300mila americani per Covid-19, quando il mondo intero mondo, da un ago, aspettava la speranza di vita del vaccino. Tra quelli che sono stati uccisi, una donna vittima di incesto e sfruttata fin dall’infanzia dalla propria famiglia, un disabile mentale, un teen-ager che non ha neppure premuto il grilletto, ma era accusato dagli autori materiali, che hanno ottenuto uno sconto di pena.

E ora Biden e il suo ministro della Giustizia hanno fermato le esecuzioni federali. È una svolta coraggiosa, anche se non definitiva, su uno dei terreni – l’altro è l’aborto – che in passato per l’attuale capo della Casa Bianca si sono dimostrati scivolosi. 

Il democratico Biden aveva infatti appoggiato l’ampliamento dei casi in cui la pena capitale poteva essere comminata. Per questo il passo è ancora più significativo, ed è parte di un percorso anche personale. 

Fa eco all’invito di papa Francesco al Congresso americano e ai governanti, riaffermato in più occasioni, espresso in maniera inequivocabile nel nuovo testo del Catechismo della Chiesa cattolica e in Fratelli tutti. La pena di morte è «inaccettabile» in ogni circostanza e «va contro la dignità di ogni persona umana», senza eccezioni.

Gli Stati Uniti d’America sono al minimo storico da venti anni delle sentenze capitali e delle sentenze eseguite. Nel 1979 solo 16 Paesi avevano abolito la pena capitale, oggi 152 l’hanno abolita per tutti i crimini o non la usano da più di 10 anni. L’81% di tutte le esecuzioni dello scorso anno – non considerando la Cina su cui i dati risultano incerti – sono avvenuti in tre Paesi: Iraq, Arabia Saudita, Iran. 

E in tutto il mondo ci sono state esecuzioni in altri 17 Paesi. Gli Usa, al loro vertice, scelgono adesso la parte dove stare, senza pena di morte. E questo contribuisce all’accelerazione di una storia in cui la pena capitale può entrare nell’armamentario del passato, come la schiavitù e la tortura. La vita è un po’ più forte.

domenica 4 luglio 2021

Ugur Sahim, immigrato turco - Ha scoperto il vaccino anticovid Pfizer - Quale patrimonio può essere presente sui barconi che arrivano in Europa?

Blog Diritti Umani - Human Rights

Ugur Sahim cha ha scoperto il vaccino anticovid della Pfizer e fondatore della Biontech e un emigrato dalla Turchia.

Il suo vaccino sta salvando milioni di vite.

Questo ci può aiutare capire quale patrimonio umano e quali potenzialità sono presenti sui barconi che arrivano in Europa. 


Nella foto la famiglia turca di Ugur Sahim, lui è il bambino sulla destra.


sabato 3 luglio 2021

Tigray - Guerra dimenticata - Nella regione del conflitto la fame uccide centinaia di persone, si teme una catastrofe umanitaria

Il Bo Live
Dopo quasi otto mesi di conflitto, le armi in Tigray hanno smesso di sparare. Il premier etiope Abiy Ahmed (primo ministro dell'Etiopia dal 2018 e premio Nobel per la pace nel 2019) ha annunciato lo scorso 28 giugno un cessate il fuoco «unilaterale e incondizionato» di circa tre mesi.
Getty Images

Una decisione presa, secondo quanto dichiarato dal premier, per ragioni umanitarie. Centinaia di migliaia di tigrini stanno infatti affrontando, la peggior carestia degli ultimi dieci anni da quando cioè, tra il 2010 e il 2012, una pesantissima carestia ha colpito la Somalia uccidendo più di un quarto di milione di somali, più della metà dei quali, bambini. L'Etiopia non è nuova alle carestie. Quella che ha colpito il Paese negli anni '80 è considerata come uno delle peggiori catastrofi umanitarie del XX secolo che tra il 1983 al 1985 ha portato a circa un milione di morti per fame e milioni di persone sfollate.

La guerra nel Tigray ha avuto inizio a novembre 2020, dopo mesi di tensioni tra governo federale e governo regionale del Tigray controllato dal Fronte di liberazione del Tigray (TPLF), un partito che per molto tempo aveva dominato la scena politica nazionale dell’Etiopia e che aveva iniziato a perdere importanza dopo l’insediamento del governo di Abiy. 
Nonostante lo stesso premier a novembre avesse dichiarato che la guerra civile era finita e che il TPLF era stato sconfitto, i conflitti non sono mai cessati. È stata definita la ‘guerra oscurata’, questa, perché quanto è stato raccontato (quando se ne è parlato) spesso è stato reso in maniera parziale. Anche per questo Onu, Usa e Ue hanno più volte chiesto commissioni di inchiesta indipendenti nel tentativo di fare chiarezza. 

È stata una guerra dura quella nel Tigray che ha portato due milioni di sfollati interni, migliaia di morti, violenze, massacri, la distruzione di paesi, interi villaggi e di quasi tutti degli ospedali. Una guerra subdola che ha usato anche come armi di guerra lo stupro di massa e la fame.

Secondo quanto riferito dall’Unicef, a causa del conflitto, circa 350.000 persone nella provincia del Tigray ad oggi sono gravemente minacciate dalla fame, mentre in tutta l’Etiopia, il Paese più popoloso del Corno d'Africa,quasi due milioni di persone si trovano in situazione di emergenza alimentare e oltre il 60 per cento della popolazione, più di 5,5 milioni di persone, è a rischio. Una classificazione, questa, stilata sulla base dell’Integrated Food Security Phase Classification, un sistema usato dalle agenzie umanitarie per determinare i livelli di crisi alimentare di un Paese.

A causa della guerra, sono tante le persone, specialmente nelle aree rurali, che non hanno potuto ricevere aiuti a causa dei blocchi imposti agli accessi dai gruppi armati. Tantissime sono state anche quelle in fuga verso altri territori e quelle che hanno perso il raccolto e mezzi di sussistenza.

Le armi dovranno tacere fino a settembre, per tutta la durata della stagione agricola. "Un’opportunità per i contadini di coltivare la loro terra – ha esplicitato il comunicato con il quale il governo ha annunciato il cessate il fuoco - per i gruppi umanitari di operare e per le forze ribelli del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray di riprendere il cammino della pace".

Francesca Forzan

Link Correlati: La Repubblica: Etiopia, l'appello di un villaggio del Tigray: "Aiutateci, almeno 125 persone già morte di fame" - 30 giugno 2021

venerdì 2 luglio 2021

Texas- Pena di morte - Migliaia di appelli non sono riusciti a fermare l'uccisione di John Hummel. Le ultime parole: "Mi pento davvero di aver ucciso"

santegidio.org
John Hummel, uomo di 45 anni, è stato ucciso mercoledì 30 giugno con iniezione letale nel penitenziario di Huntsville in Texas. Una mobilitazione internazionale, anche attraverso la campagna "No Death Penalty" della Comunità di Sant'Egidio, aveva chiesto misure alternative alla pena capitale.

“Mi pento davvero di aver ucciso" ha detto Hummel sul lettino dell’esecuzione nella sua dichiarazione finale. “Sono grato per tutti i pensieri e le preghiere per la mia famiglia negli ultimi giorni. Amo ognuno di voi”. La sua storia

Migliaia di sottoscrittori dell’appello sul sito nodeathpenalty.santegidio.org avevano sostenuto le ragioni della misericordia, nella vicinanza al dolore delle vittime, affermando che non c’è giustizia senza vita.

Nonostante questa straordinaria mobilitazione internazionale, la condanna a morte è stata portata a termine. La sua esecuzione era stata fissata il 17 marzo 2020, ma una corte d’appello la rinviò a causa della crisi sanitaria: si sottolineava che avrebbe richiesto un enorme dispiego di persone, tra guardie carcerarie, avvocati, testimoni… il cui affollamento avrebbe favorito il contagio di Covid-19.

È la seconda esecuzione negli Stati Uniti nel 2021 - entrambe in Texas - oltre alle tre esecuzioni federali avvenute nella precedente amministrazione.