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domenica 31 marzo 2019

Libia. "Orrori indicibili sui migranti" - Smentite di Onu e Ue, Salvini. Non è un "Paese affidabile"

Avvenire
Restano ancora molte domande sul "dirottamento" della petroliera con 108 migranti sbarcati a Malta. Gli investigatori de La Valletta stanno riesaminando le dichiarazioni dell'equipaggio, e in particolare la posizione del comandante libico. Intanto dalla Libia arrivano altre accuse ufficiali sul trattamento inumano riservato dalle autorità ai migranti.


A La Valletta su una cosa le indagini concordano: i migranti non volevano tornare in Libia ed erano disposti anche a gettarsi dalla nave. Timori più che fondati. Dopo le smentite di Onu e Ue al ministro Salvini, che in una direttiva aveva considerato la Libia come "Paese affidabile", arrivano adesso nuove valutazioni dalla missione Onu a Tripoli e dall'Altro commissariato per i diritti umani, che descrivono condizioni orribili. 

Il 21 marzo nel corso di un aggiornamento nella sede Onu di Ginevra, il segretario generale aggiunto per i Diritti umani, Andrew Gilmour, ha rinnovato la preoccupazione: "I migranti vengono sottoposti a "orrori inimmaginabili" dal momento in cui entrano in Libia".

Gilmour ha confermato la veridicità della relazione dell'Unsmil, la missione delle Nazioni Unite a Tripoli, che a dicembre aveva documentato "gravi violazioni dei diritti umani e abusi sofferti da migranti per mano di funzionari statali e membri di di gruppi armati, così come le atrocità commesse dai trafficanti". 

La quotidianità per i migranti è fatta di continue "torture e maltrattamenti" che anche nei centri di detenzione governativi "continuano senza sosta". Gilmour ha anche riferito di avere incontrato in Niger nei giorni scorsi un gruppo di "migranti e rifugiati recentemente liberati dalla detenzione in Libia".

Ognuno di loro, "donne, uomini, ragazze e ragazzi, era stato stuprato o torturato, molti ripetutamente con scariche elettriche. Tutti hanno testimoniato sulla tecnica estorsiva diffusa, in base alla quale i torturatori costringono le vittime a chiamare le loro famiglie a cui fanno ascoltare le urla dei propri cari che, minacciano, continueranno fino a quando pagheranno un riscatto".

Il giorno prima, riferendo davanti al Consiglio di sicurezza Onu a NewYork, l'inviato del Palazzo di vetro a Tripoli, Ghassam Salamé, ha confermato il deterioramento delle condizioni di vita per i migranti e per i libici: "Si stima che 823.000 persone, inclusi migranti e 248.000 bambini, abbiano bisogno di assistenza umanitaria in Libia".

Parole che raramente ottengono una reazione delle autorità di Tripoli, al contrario di quanto avvenuto con una intervista nella quale Salamé accusava di corruzione la classe politica del Paese. Un nervo scoperto che ha visto reagire un'alleanza inedita. Di "insulto" hanno parlato l'Alto consiglio di Stato libico (Hsc) la Camera dei Rappresentanti (Hor), organismi che di solito si danno battaglia ma che davanti all'accusa di arricchirsi grazie alla propria posizione, hanno ritrovato l'unità.

Salamé ad Al Jazeera aveva affermato che "i leader politici in Libia sono corrotti in maniera indicibile. Usano i loro posti per prendere il denaro e investirlo a loro beneficio all'estero". L'attenzione internazionale, però, è spostata su Malta e il "dirottamento" di cui sono accusati i migranti. Il tribunale della Valletta ha confermato gli arresti con l'accusa di terrorismo per tre delle persone fermate al momento dello sbarco del mercantile "El Hiblu 1", dirottato verso Malta mentre stava apparentemente riportando verso la Libia un gruppo di 108 naufraghi.

Si tratta di un 19enne e due minorenni di 16 e 15 anni. Secondo l'accusa, i tre hanno preso possesso della nave "con minacce e intimidazioni". Fonti militari maltesi dicono che non sono state però trovate armi e non è stata opposta alcuna resistenza al momento dell'abbordaggio da parte delle forze speciali maltesi.

Secondo il codice penale maltese il dirottamento di una nave è un "atto di terrorismo" ed è questa l'accusa che è stata confermata oggi a carico dei tre arrestati. Il capitano della nave non è indagato ma fonti di polizia hanno detto al "Times of Malta" di "non poter escludere" che il comandante libico abbia fornito una versione di comodo, e potrebbe rischiare l'accusa di traffico di esseri umani.
Nello Scavo

Egitto: scarcerato blogger icona Primavera araba Alaa Abdel Fattah resterà per 5 anni sotto stretto controllo

AnsaMed
Il Cairo - E' stato scarcerato oggi in Egitto Alaa Abdel Fattah, il blogger icona della Primavera araba che ha scontato 5 anni di carcere per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata nel 2013. 


Sebbene sia stato scarcerato, per i prossimi cinque anni il blogger dovrà però restare a disposizione della polizia quantomeno con obbligo di firma quotidiano nel commissariato della sua zona. Lo riferiscono vari media come il sito arabo della Bbc.

Dalle informazioni in circolazione sui media non é chiaro al momento se saranno imposte ad Alaa Abdel Fattah altre limitazioni previste dalla normativa egiziana e applicate ad esempio al fotoreporter Mahmoud Abu Zaid, detto "Shawkan", condannato per la copertura giornalistica della sanguinosa repressione dell'agosto 2013: anch'egli rilasciato dopo cinque anni di reclusione questo mese, dovrà passare la notte in una stazione di polizia per il prossimo lustro e non potrà gestire proprietà finanziarie per lo stesso periodo. In teoria c'è anche la possibilità che la firma venga raccolta presso l'abitazione di Alaa da un poliziotto dato che lo scopo delle autorità e controllare che non si allontani.

sabato 30 marzo 2019

Mozambico - Ciclone Idai: gara di solidarietà per sostenere la popolazione di Beira. 30 tonnellate di aiuti alimentari arrivati al centro DREAM di Sant'Egidio

santegidio.org

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Sono arrivate questa mattina 30 tonnellate di aiuti alimentari (riso, farina di mais, zucchero, olio e generi di prima necessità) al Centro Polivalente della città di Beira con un camion partito alcuni giorni fa dalla capitale del Mozambico, Maputo. 



Grazie anche a questi aiuti, prosegue la distribuzione del cibo ai bambini e alle famiglie che ogni giorno vengono al centro e che, dopo il ciclone Idai, hanno perso tutto.

Brunei - Frustate, pena di morte per lapidazione e amputazioni: entra in vigore il nuovo codice penale

Corriere della Sera
Dice Hassanial Bolkiah, il sultano del Brunei, che "è Dio ad aver ha creato le leggi e quindi noi possiamo usarle per ottenere giustizia, anzi questo è il nostro dovere". 
Così mercoledì 3 aprile, nel piccolo ex protettorato britannico, un'enclave di meno di mezzo milione di abitanti nel Borneo (Malaysia), rischia di entrare in vigore la terza e ultima parte del nuovo codice penale ispirato alla shari'a, il corpus di norme di derivazione islamica. 

Il Brunei è il primo paese asiatico ad aver adottato la shari'a come fonte della legislazione nazionale applicabile alla popolazione musulmana, due terzi del totale.

D'ora in poi i "reati" di adulterio e relazione omosessuale potranno essere puniti con le frustate e la lapidazione, l'apostasia verrà sanzionata con la pena di morte e ai ladri verranno amputati gli arti. 

L'annuncio dell'imminente entrata in vigore delle nuove norme voleva passare sotto silenzio. Le autorità di Brunei hanno cercato di non finire sotto i riflettori, limitandosi a un comunicato sul sito della procura generale che non è stato ripreso dalla stampa locale. 

Ma le organizzazioni per i diritti umani hanno diffuso la notizia, di cui per fortuna sta parlando il mondo intero. C'è la possibilità che il sultano faccia marcia indietro.

Riccardo Noury

I senza dimora crescono del 75% in Europa

Vita
Viene presentata il 22 marzo - a Bruxelles, il 3 aprile a Parigi la quarta panoramica sull’esclusione abitativa realizzata da Feantsa (la federazione europea degli organismi che lavorano con gli homeless) e dalla Fondation Abbé Pierre. Le stime parlano di 700mila senza tetto che dormono in strada o in alloggi di emergenza. In crescita negli ultimi dieci anni.
L’esclusione abitativa colpisce tutta Europa e causa un aumento spettacolare dei prezzi, la grave carenza di alloggi a costi accessibili. I senza tetto stanno raggiungendo numeri record. 

Non sono che alcune delle emergenze che stanno colpendo i diversi Paesi dell’Unione che si mostrano con tutta la potenza dei numeri nella quarta panoramica sull’esclusione abitativa in Europa di Feantsa (European Federation of National Organisations Working with the Homeless) e Fondazione Abbé Pierre (in allegato il report in inglese). Le due organizzazioni, del resto, mettono anche in evidenza la diminuzione dell’efficacia della lotta dell’Ue contro la povertà.
Feantsa e la Fondazione Abbé Pierre si chiedono, infatti, come si possa parlare di “coesione europea” quando un’altra Europa - quella dei senzatetto e delle persone non adeguatamente alloggiate, i cui numeri sono cresciuti a livelli senza precedenti negli ultimi anni - viene esclusa? 

E i dati segnalati nella relazione parlano di un aumento del 150% dei senzatetto in Germania, nel Regno Unito sia a un +71% e in Irlanda si arriva a un +160%. In una nota stampa si osserva anche che: “in Francia almeno una persona senza dimora muore ogni giorno, a un’età che è di 30 anni inferiore a quella del resto della popolazione, e quando nel Regno Unito la quantità di tali casi è aumentata del 24% tra il 2013 e il 2017?”.
Guardando alle cifre il rapporto segnala che:23.017.924 famiglie – circa il 10,4% della popolazione totale dell’Ue – spende eccessivamente per il costo della casa (almeno il 40% del reddito familiare).8 853.048 famiglie – circa il 4% della popolazione totale - vive in alloggi inadeguati.17.263.444 famiglie - circa il 7,8% della popolazione totale dell’Ue - non è in grado di mantenere una temperatura adeguata nelle proprie case.
E infine, ogni notte, almeno 700mila senzatetto dormono in Europa. Questo, secondo le stime di Feantsa, equivale ad un aumento del 70% dal 2009. Per quanto riguarda l’Italia le statistiche ufficiali Istat parlano di oltre 50mila le persone che hano richiesto assistenza base (docce, cibo, un letto). Un aumento del 6% tra il 2011 e il 2014.

Antonietta Nembri

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venerdì 29 marzo 2019

Non dimentichiamo Silvia Romano. Indagini in stallo, rogatoria della Procura di Roma: "Fateci indagare in Kenya"

Sky TG24
Il nostro Paese vuole inviare un pool di investigatori ed è in attesa di una risposta dal Paese africano, dove ricerche e indagini sul rapimento della giovane cooperante milanese sembrano essere in fase di stallo.


La Procura di Roma è in attesa di una risposta dalle autorità kenyote dopo l'invio di una rogatoria internazionale sul rapimento di Silvia Romano, la cooperante milanese di 23 anni, di cui non si hanno più notizie dal 20 novembre scorso. 


A piazzale Clodio si indaga per sequestro di persona per finalità di terrorismo. Nel Paese africano, invece, le indagini sono in fase di stallo, con Italia e Kenya che sarebbero ai ferri corti. Un deterioramento dei rapporti dovuto anche al silenzio dello Stato africano. L’ultima richiesta fatta dal nostro Paese per inviare investigatori nello Stato africano, come riporta il Corriere, è stata trasmessa 3 giorni fa e al momento è rimasta ignorata. Magistrati e carabinieri italiani però non intendono arrendersi.
Il contenuto della rogatoria
Fonti giudiziarie precisano che nella rogatoria gli inquirenti chiedono agli omologhi kenyoti di potere condividere, anche sul piano della cortesia internazionale poiché mancano trattati di cooperazione tra i due Paesi, gli elementi di indagine acquisiti dalla magistratura locale e in particolare le testimonianze e l'attività istruttoria svolta per risalire agli autori del rapimento. In questo ambito rientra anche la richiesta, avanzata alcuni giorni fa, trasmessa via Interpol di potere inviare un pool di investigatori italiani. A piazzale Clodio si fa notare che la scelta della Procura e dei Ros di inviare un team di inquirenti "è segno di particolare attenzione poiché fatta solo in casi particolari".
L’ultima dichiarazione di Conte
Una delle ultime dichiarazioni ufficiali sulla volontaria è del premier Giuseppe Conte, risale a una settimana fa e lascia trasparire le difficoltà della vicenda: ”Il caso di Silvia Romano - ha detto il premier - lo stiamo seguendo dal giorno in cui è stata rapita, attraverso canali di discrezione ovviamente. Più che i canali diplomatici è la nostra intelligence che ci sta lavorando. C'e' stato un attimo in cui sono stato confidente che avessimo un risultato buono a portata di mano. Purtroppo, però, sono gruppi che sono stati individuati ma non siamo ancora riusciti a venirne a capo”.
Le indagini sul rapimento
Per il rapimento di Silvia Romano, avvenuto in un villaggio vicino Malindi, è stato arrestato a dicembre Ibrahim Adan Omar. Gli altri due sospettati per il sequestro della cooperante, Yusuf Uno Adan e Said Adan Abdi, non sono mai stati trovati, nonostante la polizia keniota abbia messo una taglia di un milione di scellini (circa 8.500 euro) a chiunque fornisca informazioni utili alla loro cattura.

Roma, 26 marzo - Video della presentazione del libro: "Liberi dentro - Cambiare è possibile, anche in carcere" di Ezio Savasta

Radio Radicale




Presentazione del libro presso la libreria Feltrinelli Appia: 
"Liberi dentro - Cambiare è possibile, anche in carcere" di Ezio Savasta

Introduzione di Mario Marazziti
Video della presentazione 
Hanno partecipato
  • SILVIA MARANGONI

    componente della Comunità di Sant'Egidio
    Introduce e modera
    18:00 Durata: 12 min 13 sec
  • AGNESE MORO

    sociologa
    Figlia di Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse
    18:12 Durata: 15 min 23 sec
  • SILVIA MARANGONI

    componente della Comunità di Sant'Egidio
    18:27 Durata: 3 min 41 sec
  • MARIA CLAUDIA DI PAOLO

    già provveditore regionale dell'Amministrazione Penitenziaria del Lazio
    18:31 Durata: 17 min 59 sec
  • DAVIDE DIONISI

    giornalista
    18:49 Durata: 16 min 53 sec
  • SILVIA MARANGONI

    componente della Comunità di Sant'Egidio
    19:06 Durata: 1 min 45 sec
  • MARIO MARAZZITI

    già portavoce della Comunità di Sant'Egidio
    19:07 Durata: 8 min 41 sec
  • EZIO SAVASTA

    volontario della Comunità di Sant'Egidio
    Autore del libro
    19:16 Durata: 5 min 5 sec


Il Papa rifiuta di incontrare in udienza privata Salvini: "cambi la sua politica sui migranti"

Globalist
Il no del Papa arriva dopo le considerazioni di ieri sulla nave Open Arms bloccata a Barcellona: "è un'ingiustizia, li tengono fermi per far annegare le persone".
No fermo di Papa Francesco a Matteo Salvini: nessuna udienza privata se non cambia la politica sui migranti. Salvini ci ha provato, più volte, a incontrare il Pontefice, ma dal Vaticano riceve porte chiuse. 


E la cosa, conoscendolo, non deve fargli molto piacere, specie dopo gli sproloqui con il Vangelo e il Rosario in mano.
I rapporti tra la Santa Sede e il Viminale sono molto freddi sin da quando Salvini si è insediato come Ministro. Già dalla sua prima visita ufficiale in Vaticano, in occasione della festa di san Michele Arcangelo in cui hanno festeggiato insieme Gendarmeria Vatinacana e polizia italiana, Salvini aveva avanzato la sua prima richiesta. 

Che era rimasta in sospeso e, tra l'altro, la presenza del Ministro tra le mura vaticane era stata accuratamente celata, tanto da non essere riportata da nessuno dei media del Vaticano.
Ma oggi è arrivato il No fermo, e motivato: se la linea del governo sui migranti non cambia, niente colloquio.
A quanto pare se l'atteggiamento di Salvini nei confronti dei migranti non cambierà, il Papa potrebbe non dargli udienza. Perché lasciare le persone in mezzo al mare o a una strada è disumano". 

Lo dice la senatrice Vanna Iori, capogruppo del Pd nella commissione Istruzione, aggiungendo: "Non basta agitare un rosario per essere buoni cristiani. Non bastano ritualismi formali ma azioni concrete. Dal Papa un'iniziativa di coraggiosa coerenza con il messaggio evangelico".

giovedì 28 marzo 2019

Corridoi Umanitari - Arrivati altri 54 profughi siriani. Si riuniscono le famiglie separate dalla guerra.

santegidio.org
Grande gioia oggi a Fiumicino. Sono arrivati in 54: tante donne e bambini piccoli. Alcuni ritrovano qui la famiglia, altri i propri affetti che la guerra aveva separato. Una nuova vita inizia. Questa è l'Italia che accoglie!




Migranti - Procura di Roma, si ipotizza il reato di sequestro di persona sui migranti della Sea Watch

Avvenire
La Procura di Roma in un fascicolo trasmesso al Tribunale dei ministri di Catania (via Siracusa) ipotizza il reato ai danni di 47 persone a cui non fu consentito di scendere


Intanto emergono novità su un'altra missione in mare, quella della Sea Watch: «Sequestro di persona» è il reato che secondo la Procura di Roma è stato commesso ai danni dei 47 migranti, tra i quali 15 minori non accompagnati, che nel gennaio scorso hanno dovuto attendere per 12 giorni l’ok allo sbarco. A rischiare una nuova incriminazione non è solo Matteo Salvini, ma stavolta anche il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli.

La competenza dell’inchiesta, però, passa alla procura di Catania, che su questo episodio stava già indagando dopo che erano state depositate alcune denunce e successivamente all’inchiesta di Avvenire sul «segreto» apposto dal Viminale e dal ministero delle Infrastrutture su quanto accaduto in quei giorni. Trattandosi di «reati ministeriali», dovrà essere il Tribunale dei ministri di Catania a monitorare il caso.

La Guardia costiera ha consegnato un circostanziato rapporto nel quale emergono anomalie che vanno chiarite e che riguardano anche la gestione dei minori non accompagnati, che per legge vanno fatti sbarcare subito. All’ipotesi di sequestro di persona, se venisse condivisa anche dal procuratore etneo Carmelo Zuccaro (che oggi riceverà gli atti da Roma attraverso la procura di Siracusa, originariamente competente poiché la Sea Watch era stata trattenuta alla fonda davanti alla città) potrebbe aggiungersi l’aggravante del pregiudizio ai minorenni.

Secondo la procura capitolina, che aveva ricevuto un esposto e che aveva annotato l’inchiesta di Avvenire sul segreto opposto dalle autorità sul caso Sea Watch e le anomalie nella gestione dei minori, ci sono gli estremi per contestare il reato di sequestro di persona a carico di chi ha dato l’ordine di tenere la nave alla fonda e poi trasferirla a Catania. Come rivelato dal nostro giornale, nonostante le reiterate richieste del Tribunale dei minorenni di Catania, i minori non furono fatti sbarcare.

Peraltro compiendo «violazioni certe», come ha dichiarato a Report il procuratore dei minori di Catania, Caterina Ajello. «Violazioni» finite poi sul tavolo del procuratore Carmelo Zuccaro che stava già indagando e che adesso otterrà nuovi elementi.

L’indagine, coordinata a Roma dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, era stata aperta in seguito a un esposto presentato lo scorso 1 febbraio, in cui veniva ipotizzato il reato di omissioni di atti di ufficio.

La Sea Watch era arrivata nelle acque di Siracusa il 25 gennaio, dopo essere stata allontanata da Lampedusa proprio mentre la procura di Agrigento voleva interrogare i migranti su un naufragio e una strage in mare avvenuta nei giorni precedenti. L’autorizzazione a sbarcare venne poi concessa il 31 gennaio ma a Catania, costringendo la Sea Watch a lasciare Siracusa dove il procuratore Scavone non aveva ravvisato alcuna irregolarità da parte dell’equipaggio. Parere poi confermato anche da Zuccaro che aveva avviato analoga inchiesta a Catania.

Il garante dei detenuti
Ma i fronti giudiziari potrebbero moltiplicarsi. Il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, ha ribadito nella relazione annuale presentata alla Camera, «l’intenzione di monitorare situazioni di privazione di fatto delle libertà personale effettuata sia su navi in acque territoriali italiane (sia battenti bandiera italiana, come la nave "Ubaldo Diciotti", che straniera, come la "Alexander Maersk" o la "Sea Watch") sia su navi italiane in acque internazionali (come ad esempio la nave "Asso 28")». Tutti episodi per i quali sono stati presentati ricorso anche alla Corte europea dei Diritti dell’uomo.

Migranti. Dissequestrata la Mare Jonio, può riprendere il largo

Avvenire
La Procura di Agrigento ha disposto il dissequestro della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea, sottoposta a sequestro probatorio a metà della scorsa settimana. Nel decreto di dissequestro non viene indicata alcuna prescrizione per la nave a cui non è impedito di riprendere il largo. 


Un’operazione che però non sarà immediata. «Siamo contenti per il dissequestro della nave Mare Jonio, ce l’aspettavamo. Perché, come sempre abbiamo detto, siamo molto sereni e sicuri. Noi andiamo avanti a testa alta», ha detto Luca Casarini, il capo missione della nave Mare Jonio. «Adesso dobbiamo riorganizzare le cose – spiega Casarini – l’inchiesta va avanti, e io sarò interrogato martedì prossimo». 


Anche per questa ragione difficilmente la nave umanitaria potrà tornare nell’area di ricerca e soccorso prima di mercoledì prossimo. Il dissequestro «è una buona notizia, perché Mare Jonio è di nuovo a disposizione. Noi non ci siamo mai fermati, continuiamo a occuparci di un dramma umanitario che sta accadendo a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste. E lo facciamo in terra oltre che in mare».

Nell'ambito dell'inchiesta sono stati iscritte nel registro degli indagati due persone, il Comandante della nave Pietro Marrone e il capo missione Luca Casarini. I due sono indagati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e per il mancato rispetto dell'ordine di arrestare l'imbarcazione da parte di una nave da guerra. Marrone è già stato interrogato la scorsa settimana, per quasi sette ore, a Lampedusa, Casarini verrà invece interrogato, alla presenza del suo legale Fabio Lanfranca, martedì 2 aprile alla Procura di Agrigento.

mercoledì 27 marzo 2019

Carceri: Garante detenuti, allarme sovraffollamento. In un anno 2.047 detenuti in più, sono oltre 60mila

Ansa
Nell'ultimo anno si contano 2.047 detenuti in più, "con un andamento progressivo crescente e preoccupante", e "questo aumento si riverbera sulle condizioni di vita interna e sul sovraffollamento, che non è una fake news". 


Lo evidenzia il garante nazionale delle persone detenute Mauro Palma nella relazione al Parlamento. Nello stesso periodo il numero di persone finite in carcere è diminuito, sono 887 in meno, quindi l'aumento è dovuto alla minore possibilità di uscita. In totale sono 60.472 i detenuti. 

Alto anche il numero dei suicidi: Nel 2018 ci sono stati 64 casi di suicidio in carcere: un numero che ha segnato un picco di crescita rispetto all'anno precedente, quando erano stati 50; nei primi tre mesi di quest'anno, si sono tolte la vita in carcere 10 persone, circa una a settimana.

Yemen, raid vicino a ospedale Save The Children: sette morti, 4 sono bambini

Rai News 24
Sette persone, tra cui 4 bambini, sono state uccise nel corso di un raid aereo che ha colpito un ospedale sostenuto da Save the Children, mentre altre due persone risultano disperse. 


E' quanto riferisce in una nota l'organizzazione umanitaria precisando che il missile ha colpito questa mattina un distributore di carburante vicino all'ospedale rurale di Ritaf, a circa 100 kilometri da Saada, nel nord-ovest del Paese. 

Nell'attacco, avvenuto nel giorno del quarto anniversario dell'inizio dell'escalation del conflitto in Yemen, sono rimaste ferite otto persone. "Siamo scioccati e atterriti da questo attacco oltraggioso. 

Bambini innocenti e operatori sanitari hanno perso la vita in quello che sembra essere stato un attacco indiscriminato a un ospedale in un'area densamente popolata. Attacchi come questi sono una violazione delle leggi internazionali", ha spiegato Helle Thorning-Schmidt, ad di Save the Children International. 

L'organizzazione internazionale ha chiesto l'immediata sospensione delle vendite di armi alle parti in conflitto nello Yemen, e che vengano applicate tutte le pressioni diplomatiche a tutte le parti coinvolte nel conflitto per risolverlo attraverso consultazioni e negoziazioni.

martedì 26 marzo 2019

Turchia. Un'altra prigioniera politica curda, Zehra Saglam, morta per protesta per lo sciopero della fame

Ristretti Orizzonti
Come temevo, tre non sono bastati. Un'altra prigioniera politica curda in sciopero della fame si è tolta la vita. Rinchiusa nella prigione di tipo T a Oltu (provincia di Erzurum) Zehra Saglam (amareggiata - ipotizzo - per la scarsa, quasi nulla visibilità che a questa lotta - e alle ragioni di tale lotta - viene data dai media) ha inteso così levare la sua estrema protesta. Come il giorno prima aveva deciso un'altra prigioniera, Ayten Becet.

Zehra Saglam
Un inciso personale, lungo. Questo non è un commento, tantomeno un articolo, ci mancherebbe. Nemmeno un necrologio. Vorrebbe essere - questo sì - un'invettiva contro tutti coloro che, potendo darne notizia, fingono di ignorare l'orrore di quanto sta accadendo e di cui i suicidi di protesta, tre in una settimana (il 17 marzo Zulkuf Gezen, il 23 marzo Ayten Becet, più un altro militante - Ugur Sakar - che si era immolato col fuoco in febbraio e che è morto in questi giorni), rappresentano solo la punta dell'iceberg.

Poi non dite che non lo sapevate. Ho un elenco, piuttosto lungo, di testate (sia cartacee che in rete) e gestori di blog che, di solito almeno, mi pubblicano di tutto e di più (anche cazzate talvolta, lo ammetto). Dalle questioni ambientali alla memorialistica. Dal "come eravamo" ai necrologi. Anche sui curdi, almeno quando si parla dell'eroismo di coloro che combattono lo Stato islamico salvando il culo alla vecchia Europa. Ma stavolta, sulla faccenda del lungo sciopero della fame che coinvolge ormai migliaia di persone, devo amaramente constatare che preferiscono stendere un impietoso silenzio. Anche alcuni che su quello del 1981 dei Repubblicani irlandesi hanno costruito gran parte della loro carriera e reputazione.

Ma i curdi non sono cattolici, peccato! Comprensibile, a questo punto, l'appello di Leyla Guven affinché altri prigionieri non seguano la medesima strada, quella di auto-sacrificarsi per protestare sia contro l'isolamento per Ocalan, sia contro le condizioni carcerarie, sia contro il regime fascista turco.

Nel suo invito a non cedere all'amarezza e alla disperazione Leyla aveva spiegato che "per la prima volta nella nostra storia, migliaia di persone resistono indefinitamente per spezzare l'isolamento. Nessuno può affermare che queste azioni non produrranno alcun risultato. Noi otterremo certamente dei risultati e vinceremo, di sicuro". Me lo auguro anch'io, pur con qualche riserva. Il cinismo, l'indifferenza di cui finora han dato prova l'opinione pubblica e le istituzioni internazionali non mi inducono all'ottimismo.

Gianni Sartori

Guerre dimenticate - Save the Children: "Ogni giorno un bambino yemenita muore sotto le bombe"

La Stampa
Save the Children lancia una petizione per lo stop alla vendita di armi usate nei raid aerei. La più dimenticata in assoluto tra le primavere arabe fiorite con sorti alterne in un passato che sembra oggi lontanissimo è quella yemenita.


Ben pochi ricordano probabilmente che nel 2011 le piazze di Sana'a si accesero di speranze democratiche esattamente come quelle del Cairo, Tunisi, Bengasi, Aleppo, Manama. Eppure quell'anno, a riconoscimento dello sforzo titanico dei ragazzi yemeniti, i più poveri tra i poveri, il premio Nobel per la Pace andò ad una di loro, un'attivista, Tawakkol Karman.

Meteore della Storia e della memoria. La gloria del decaduto Paese della regina di Saba sarebbe durata ancor meno della sua visibilità mediatica: il 22 marzo 2015, nello Yemen uscito dai radar, comincia una sanguinaria guerra civile tra la minoranza Houti, sostenuta dall'Iran, e il governo centrale, che dopo la deposizione del trentennale despota Saleh è guidato da Hadi e gode dell'appoggio politico e miliare di Riad.

Quella guerra, dagli esiti altalenanti e i capovolgimenti ripetuti (Saleh è morto nel 2017 dopo aver disertato, gli Houti hanno preso Sana'a), dura ancora oggi mentre i tentativi dell'Onu di negoziare una tregua quantomeno umanitaria s'infrangono con la determinazione delle potenze regionali risolute al redde rationem per procura sulla pelle dello Yemen.

A quattro anni dall'inizio del conflitto meno seguito dei tempi moderni (in confronto la pur reietta Siria sembra costante breaking news) Save the Children, una delle Ong sempre presenti sul terreno, traccia un bilancio che brucia: oltre 19 mila raid aerei hanno raso al suolo scuole, ospedali e infrastrutture (ne crolla in media uno ogni 2 ore); 1,5 milioni di minori sono stati costretti a fuggire con o senza le famiglie e 10 milioni non hanno accesso a cure mediche; ogni giorno almeno un bambino viene ucciso dalle bombe che, in barba alle polemiche, i governi di mezzo mondo continuano a vendere alla coalizione a guida saudita; uno su 3 non va a scuola.

Non è un mistero che i morti in cifre siano distanti anche quando sono vicinissimi. Le cifre scivolano sulle coscienze come l'acqua, alla fine ci si fa l'abitudine. Almeno fino a quando un barcone non ci ricorda che la guerra è non poi così lontana. È dietro l'angolo invece, così come lo è la famiglia che - racconta Medici senza Frontiere - nei giorni scorsi, nella città di Taiz, ha guidato tre ore attraversando la linea del fronte per portare in ospedale un bambino di due anni ferito al volto da una scheggia dopo l'esplosione di una bomba vicino casa. Fortunati, quasi: la maggior parte non arriva neppure all'ospedale.

Mentre sul calendario corre via veloce il quarto anniversario della nostra indifferenza e mentre naufragano uno dopo l'altro i tentativi di tregua mediati dall'Onu, Save the Children chiede ai governi occidentali un passo indietro, uno stop alla vendita di armi allo Yemen insanguinato con una petizione, "Stop alla guerra sui bambini", che solo in Italia ha già raccolto oltre 54 mila firme. Dal 2005 ad oggi le bombe straniere hanno ucciso o gravemente ferito quasi 6500 bambini. Sì, perché i raid aerei vengono spesso condotti su aree altamente popolate con tutto ciò che comporta. Come avvenuto il 10 marzo scorso, quando un bombardamento ha colpito cinque abitazioni provocando la morte di almeno 10 bambini, come avvenuto a Samer, 8 anni, ferito in un villaggio vicino a Hodeidah mentre tornava a casa con suo nonno.

Troppi bambini sono nel vento. Le loro voci e quelle di chi resta nel limbo della vita senza vita rimbalzano oltre le poche immagini della tv attraverso Save the Children: "Quando camminiamo abbiamo paura; quando dormiamo abbiamo paura; quando giochiamo abbiamo paura. Non vogliamo più vivere dove c'è la guerra, non ce la facciamo più. Siamo innocenti e siamo bambini proprio come ogni altro bambino al mondo, come i vostri bambini. Vogliamo che ci si prenda cura di noi come per tutti gli altri bambini. Vogliamo la possibilità di studiare e andare a scuola. Vogliamo disegnare, mangiare, ridere, giocare, crescere e seguire i nostri sogni". Mentre vi raccontiamo questa storia alcuni dei protagonisti sono probabilmente già muti.


Francesca Paci

lunedì 25 marzo 2019

Ramy, il bambino eroe e il "rischio" della cittadinanza come premio

Redattore Sociale
Il quattordicenne ha chiamato i soccorsi evitando la strage a San Donato Milanese. Ora per il ragazzo, nato in Italia ma per la legge egiziano, potrebbe arrivare la cittadinanza per meriti. Manconi: “L’idea che i diritti si conquistino con l’eroismo è profondamente sbagliata”. Ambrosini: “Visione antica, non rispecchia il paese”. Italiani senza cittadinanza: “Non è un vestito che si mette e toglie”.


“Se mi daranno davvero la cittadinanza italiana sarò felice. Per essere schietti, è il mio sogno. Ma allora dovrebbero darla anche a mio fratello e ai miei compagni di classe di origini straniere che vivono in Italia da tanto tempo e magari sono pure nati qui”. Lo dice dalle pagine del Corriere della sera Ramy Shehata, il quattordicenne che due giorni fa ha chiamato i soccorsi, evitando la strage a San Donato Milanese. Ribattezzato subito il “bambino eroe”, a lui sono arrivati i complimenti anche delle istituzioni. E ora per il ragazzo, nato in Italia ma per la legge egiziano, potrebbe arrivare la cittadinanza per meriti. La prefettura di Cremona ha richiesto, infatti, al Comune di Crema il suo certificato di nascita per avviare le procedure burocratiche. Un riconoscimento importante per aver salvato la vita ai compagni che ha, però, anche riaperto il dibattito sul tema della cittadinanza nel nostro paese. E’ giusto considerarla un premio o un riconoscimento da guadagnare? Si possono legare i diritti ai meriti civili?

“Beata la terra che non ha bisogno di eroi - sottolinea Luigi Manconi, presidente dell’Unar -. L’idea che i diritti si conquistino con l’eroismo o con imprese eccezionali è profondamente sbagliata. I diritti si conquistano con la normalità dei comportamenti, con la vita sociale quotidianamente vissuta, meritare che significa attenersi alle leggi e far parte di una collettività”. Durante il governo Gentiloni, Manconi da senatore Pd è stato tra i più convinti sostenitori della riforma della cittadinanza, che avrebbe introdotto anche in Italia uno ius soli moderato e uno ius culturae. “Nel caso specifico, assegnare la cittadinanza in base a comportamenti, seppur non necessariamenti eroici, ma comunque meritevoli, mi sembra una scelta opportuna - spiega -. Allo stesso tempo tempo, proprio l’episodio di San Donato conferma quanto fosse giusta l’iniziativa di riforma della cittadinanza e quanto sia stato grave contrastarla, perché quei bambini sono parte di quella enorme realtà costituita da 900mila minori stranieri che frequentano la scuola pubblica italiana. Quei bambini dimostrano come il percorso più agevole e più sicuro per l’integrazione degli stranieri passa attraverso l’educazione, la formazione, la partecipazione comune alle stesse realtà”.


Migranti - Il Decreto Sicurezza in pochi mesi ha già creato 44.000 irregolari e poche espulsioni. Il volontariato si mobilita per evitare una situazione di emergenza nel paese.

Corriere della Sera
Sono quelli espulsi dai circuiti di accoglienza e integrazione in seguito al decreto Salvini ma che non sono stati allontanati dall’Italia: I dati Eurostat 2018: in Germania e Francia il maggior numero di richieste di asilo.
Dal giorno dell’entrata in vigore del decreto sicurezza in Italia ci sono oltre 40.000 stranieri irregolari in più. La stima è stata diffusa dall’Ispi, istituto di ricerca su temi internazionali che già prima del varo della nuova legge aveva avvertito sui rischi connessi alla stretta sui permessi umanitari
Secondo gli esperti, infatti, il boom degli stranieri «fantasma» è dovuto al fatto che migliaia di immigrati hanno perso le tutele di legge ma non sono stati espulsi dal territorio italiano. 

L’Ispi non è l’unica «antenna» ad aver captato questa novità. la Caritas, ad esempio ha deciso di incrementare l’accoglienza riservata proprio ai nuovi irregolari che non hanno nessun mezzo per mantenersi se non l’illegalità. 

Il saldo negativo
La stima formulata dall’Ispi si basa su dati del ministero dell’interno e prende in considerazione il periodo giugno 2018-febbraio 2019 (quindi anche alcuni mesi precedenti al cosiddetto decreto Salvini): è stato calcolato che 49.460 migranti hanno ricevuto il diniego a qualsiasi richiesta di asilo. 

Nello stesso periodo appena 4.806 stranieri sono stati fisicamente messi su un’aereo o su una nave e allontanati dall’Italia. Ne esce un saldo negativo di 44.654 casi, tutte persone privati di ogni «ombrello» di legge ma che devono in qualche maniera campare. L’aumento degli irregolari, secondo Ispi è il frutto di due misure adottate dal governo: l’iniziale circolare distribuita alle prefettura con le quali si sollecitava maggiore severità nella concessione della protezione umanitaria e poi il decreto sicurezza che ha ulteriormente ristretto le possibilità per i richiedenti asilo.

La risposta del volontariato
Chi è impegnato sul fronte dell’assistenza agli stranieri ha già avvertito tali effetti e sta cercando di correre ai ripari. La Caritas Ambrosiana, emanazione della diocesi di Milano, ha istituito un «fondo di solidarietà per gli esclusi dall’accoglienza» destinato proprio agli stranieri che si sono visti interrompere il percorso di integrazione a causa delle nuove norme e sono stati allontanati dai centri di accoglienza che fanno capo alle prefetture. Caritas stima che nella sola Milano già 200 persone si sono ritrovate in questa situazione. «Il Decreto Sicurezza, al contrario di quanto promesso, produrrà una situazione di emergenza nel nostro Paese. Abbiamo deciso di farvi fronte, come si fa in questi casi, mettendo a disposizione strutture e risorse e chiedendo a tutti coloro che lo desiderano di darci una mano» ha dichiarato il direttore della Caritas Luciano Gualzetti in un comunicato dell’organizzazione stessa.

I dati Ue: Italia quinta per accoglienza
La nuova emergenza si fa strada in Italia in un momento in cui i volumi dell’immigrazione calano: non solo gli sbarchi - scesi a poche centinaia - ma anche le richieste di asilo, come ha sottolineato un report di Eurostat (l’istituto di statistica della Ue) datato 14 marzo. Le domande applicate in tutto il 2018 sono state 580.000 con un calo dell’11% rispetto all’anno precedente, ma la metà in meno rispetto alla grande crisi migratoria del 2015. Siria, Iraq e Afghanistan restano le principali zone di provenienza. Nonostante non abbiano sbarchi, i due stati europei che hanno dato assistenza al maggior numero di asilanti sono la Germania (28% del totale) e la Francia (19%). A seguire in graduatoria la Grecia e la Spagna (rispettivamente 11 e 9%). L’Italia è la quinta avendo accolto 49.000 richiedenti asilo pari all’8% del totale europeo.

domenica 24 marzo 2019

24 marzo 1944 - 75esimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine

Askanews
Custodire la memoria, trasmettere ai giovani il senso di quanto avvenuto. Nel 75esimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine le truppe di occupazione tedesche uccisero a Roma 335 civili e militari italiani, il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico ha dichiarato in una nota: “L’eccidio delle Fosse Ardeatine è stata una delle pagine più tragiche della storia del nostro Paese, un orrendo massacro che ha lasciato un segno profondo nella memoria collettiva. Il 24 marzo 1944 il comando tedesco, per rappresaglia contro un attentato partigiano in via Rasella, ordinò la fucilazione di 10 italiani per ogni tedesco ucciso.


Trecentotrentacinque persone inermi, trasportate alle Fosse Ardeatine dai tedeschi anche avvalendosi dell’assistenza delle forze di polizia fasciste, furono trucidate con un colpo di pistola alla nuca: un piano atroce che si fa persino fatica a immaginare. Tra le vittime vi erano detenuti politici, civili e militari, ebrei, semplici cittadini, appartenenti a tutti i ceti sociali, di ogni livello d’istruzione e di ogni fascia d’età”.

“Custodire memoria, trasmettere ai giovani il senso di quanto avvenuto – sottolinea Fico – rappresenta un doveroso omaggio a quanti hanno sacrificato la propria vita per la libertà e la democrazia di cui oggi beneficiamo. Ma rappresenta anche un monito nei confronti di coloro che non comprendono come l’errore più grande sia quello di considerare quanto accaduto settantacinque anni fa come una pagina dolorosa che riguardi soltanto il passato”.

“Ci si appropria del senso del presente – prosegue il presidente della Camera – solo attraverso la coscienza della propria storia.

Quanto avvenne alle Fosse Ardeatine non fu soltanto conseguenza della guerra, ma fu, soprattutto, il frutto avvelenato dell’odio razziale e della negazione dell’altro”.

“È accaduto, può accadere di nuovo? Si chiedeva Primo Levi.

Domandiamocelo anche noi per contribuire a definire i punti fermi ideali e comportamentali della comunità umana che deve saper reagire con fermezza – conclude Fico – ad ogni segnale di intolleranza e di discriminazione, coltivando sempre e ad ogni costo le ragioni della solidarietà, della giustizia e della democrazia”.

Costa Rica. Ucciso il leader della comunità indigena e difensore dei diritti umani Bribri Sergio Rojas Ortiz

Notizie Geopolitiche
In Costa Rica è stato ucciso nei giorni scorsi il leader della comunità indigena Bribri, Sergio Rojas Ortiz. 

Nel paese centroamericano, come nel resto dell’America Latina, ci sono dei conflitti tra popolazioni indigene e proprietari terrieri. Le popolazioni autoctone nel mondo sono costituite da circa 370 milioni di persone, vale a dire più del 5% della popolazione mondiale e purtroppo sono inserite tra le popolazioni più svantaggiate e povere del mondo.

In America Latina ci sono 42 milioni di indigeni, che rappresentano l’8% della popolazione totale della regione. I paesi come Messico, Brasile, Colombia, Venezuela, Ecuador, Cile e Bolivia hanno già incorporato nei loro parlamenti rappresentanti delle comunità autoctone. In Costa Rica, nonostante siano state fatte diverse proposte di legge in tal senso, le popolazioni native sono sempre di più lasciate sole e senza diritti. 

Per l’assassinio di Sergio Rojas, più di 200 organizzazioni indigene, appartenenti una ventina di paesi imputano le istituzioni costaricane responsabili dell’assassinio del leader autoctono. 

Le autorità stanno indagando se le cause della morte d Sergio Rojas Ortiz sono legate alla lotta che il gruppo Bribri sta compiendo per mantenere propri quei territori. Gli indigeni affermano che queste terre appartengono a loro per tradizione, mentre gli agricoltori sostengono di essere i proprietari per legge e che gli indigeni cercano di occupare illegalmente la loro terra.


Alberto Galvi

San Ferdinando - La nuova tendopoli brucia come le baracche. Muore migrante senegalese. Occorrono abitazioni sicure per i lavoratori immigrati

La Repubblica
Il sindaco: "Speravamo non dover assistere più a drammi del genere". In un anno tre vittime. Salvini: "Addolorato, se c'era la vecchia baraccopoli conseguenze più gravi". Il sospetto di un'azione dolosa. Il prefetto: in arrivo moduli abitativi in dieci comuni al posto delle tende.


San Ferdinando (Reggio Calabria) - Doveva essere la soluzione contro gli incendi, il degrado, la paura, la morte, ma ha ucciso ancora la tendopoli di San Ferdinando. Un nuovo rogo, divampato questa notte, è costato la vita ad uno degli ospiti della struttura messa in piedi circa un anno e mezzo fa dalla prefettura di Reggio Calabria a pochi passi dalla baraccopoli, quindi saturata di tende il 6 marzo scorso, quando il ghetto è stato buttato giù.

La vittima è un giovane senegalese di 32 anni, Sylla Naumè. Era uno dei migranti insediati nella baraccopoli demolita recentemente e trasferiti nella tendopoli. Il corpo carbonizzato del giovane e' stato trasportato in un obitorio, salutato da decine di migranti che in silenzio hanno assistito al recupero della salma.

La dinamica del rogo rimane tutta da chiarire. Per adesso si sa solo che l’incendio si sarebbe sviluppato in un angolo di una tenda da sei posti dove erano presenti diversi cavi elettrici. Ma – quanto meno in teoria – l’intera struttura avrebbe dovuto essere ignifuga e per questo più sicura. "Abbiamo aperto un'indagine per comprendere cosa sia successo e come mai un incendio sia divampato all'interno della tendopoli. Sono in corso le verifiche dei vigili del fuoco e abbiamo acquisito anche le immagini delle telecamere interne" spiega il procuratore capo di Palmi, Ottavio Sferlazza appena arrivato alla tendopoli di San Ferdinando per procedere personalmente ad un sopralluogo. "E' vero che le tende sono ignifughe - dice Sferlazza, dopo aver parlato con i tecnici - ma questo significa che la combustione è molto più lenta". Un dato che tuttavia non contribuisce a chiarire la dinamica e i tempi in cui si è sviluppato l'incendio e soprattutto perchè da quella tenda Sylla non sia riuscito ad uscire. L’unico di cinque occupanti. Ufficialmente, ipotesi non ce ne sono, tuttavia i vigili del fuoco che procedono ai rilievi sembrano credere poco al corto circuito.
“Voi non volete capire quello che è successo, non lo volete sapere davvero, non volete far sapere davvero cosa succeda qui” gridano i braccianti della tendopoli, cercando di avvicinare il magistrato e il prefetto. In lacrime, un parente di Sylla è stato accompagnato all’obitorio per il riconoscimento formale del corpo.

L’uomo è il terzo ucciso dal fuoco da quando i braccianti della Piana sono stati confinati nella seconda zona industriale di San Ferdinando. Il 16 febbraio scorso un incendio era costato la vita al 29enne senegalese, Moussa Ba. In precedenza, il 2 dicembre 2018 Surawa Jaith era morto pochi giorni prima del suo diciottesimo compleanno e prima di lui, il 27 gennaio dello stesso anno, era morta Becky Moses, 26enne nigeriana.




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Alessia Candito

sabato 23 marzo 2019

Romania. Il Consiglio d'Europa denuncia "abusi" e "condizioni precarie" nelle carceri

Nova
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti disumani e degradanti del Consiglio d'Europa si è dichiarato "preoccupato" per quelli che definisce "abusi" e "condizioni precarie" esistenti nei carceri della Romania.

In un rapporto citato dall'agenzia di stampa romena "Agerpres", in seguito alla visita effettuata a febbraio 2018 in dieci centri di reclusione del paese, i membri del Comitato lmentano gli abusi commessi dal personale nei confronti dei detenuti, le violenze tra gli stessi detenuti, nonché i trattamenti degradanti applicati dalla polizia.
Il Comitato del Consiglio d'Europa raccomanda al ministero dell'Interno di Bucarest e all'Ispettorato generale della polizia romena di trasmettere un messaggio chiaro sul fatto che i trattamenti degradanti nei confronti dei detenuti sono illegali, e dimostrano mancanza di professionalità e saranno puniti su misura. 

Il Comitato approva le azioni avviate nel 2014 per una riforma del sistema penitenziario di Romania, soprattutto lo sviluppo del servizio di liberazione condizionale, la diminuzione del numero dei detenuti di circa il 30 per cento, nonché l'introduzione di misure compensatorie per i detenuti reclusi in condizioni di sovrappopolazione.

venerdì 22 marzo 2019

22 marzo - Giornata dell'acqua, nei paesi in guerra le malattie legate all'acqua uccidono più delle le armi

Globalist
Secondo un nuovo rapporto dell'Unicef, lanciato oggi, in occasione della Giornata Mondiale dell'acqua, i bambini sotto i 15 anni nei paesi colpiti da conflitti protratti nel tempo, in media, hanno probabilita' 3 maggiori di morire a causa di malattie diarroiche dovute alla mancanza di acqua sicura e servizi igienico-sanitari che per violenza diretta. 


Il rapporto "Acqua sotto attacco" (Water Under Fire) mostra i tassi di mortalita' in 16 paesi durante conflitti prolungati e mostra che, nella maggior parte, i bambini sotto i 5 anni hanno probabilita' 20 volte maggiori di morire per malattie legate alla diarrea dovuta alla mancanza di accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari sicuri che per violenza diretta.

"Le probabilita' gia' sono contro i bambini che vivono conflitti prolungati - molti di loro non possono raggiungere fonti di acqua sicura," ha dichiarato Henrietta Fore, Direttore generale Unicef. "La realta' e' che ci sono piu' bambini che muoiono per la mancanza di accesso ad acqua sicura che per proiettili". Senza acqua, i bambini semplicemente non -possono sopravvivere. Secondo gli ultimi dati, nel mondo 2,1 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua sicura e 4,5 miliardi di persone non usano servizi igienico-sanitari sicuri. Senza acqua sicura e servizi igienico sanitari efficaci, i bambini sono a rischio di malnutrizione e malattie prevenibili che comprendono anche diarrea, tifo, colera e polio. Le ragazze sono particolarmente colpite: sono vulnerabili a violenza sessuale mentre raccolgono acqua o si apprestano ad utilizzare le latrine. Devono fare i conti con la loro dignita' mentre si lavano e curano l'igiene mestruale. Non vanno a scuola durante il periodo mestruale se le scuole non hanno acqua e strutture igieniche adatte.

Queste minacce sono acuite durante i conflitti quando attacchi indiscriminati distruggono infrastrutture, feriscono personale e tagliano l'energia che consente di ricevere acqua e utilizzare i sistemi igienico sanitari. I conflitti armati limitano anche l'accesso alle attrezzature di riparazione essenziali e ai materiali di consumo come carburante o cloro - che possono essere esauriti, razionati, dirottati o bloccati alla distribuzione. Fin troppo spesso i servizi essenziali vengono deliberatamente negati.




"Attacchi deliberati su strutture idriche e igienico sanitarie sono attacchi contro bambini vulnerabili," ha dichiarato Fore. "L'acqua e' un diritto di base. È una necessita' per la vita". L'Unicef lavora nei paesi in conflitto per fornire acqua sicura da bere e servizi igienico-sanitari adeguati migliorando e riparando i sistemi idrici, trasportando acqua, costruendo latrine e promuovendo informazioni sulle pratiche igieniche. L'Unicef chiede ai governi e ai partner di: fermare gli attacchi contro infrastrutture idriche e igienico-sanitarie e personale; collegare la risposta salva vita umanitaria a uno sviluppo del sistema idrico e sanitario sostenibile per tutti; rinforzare la capacita' dei governi e delle agenzie di fornire consistentemente servizi idrici e igienico sanitari di alta qualita' durante le emergenze.




Il rapporto ha calcolato i tassi di mortalita' in 16 paesi con conflitti prolungati: Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Iraq, Libia, Mali, Myanmar, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria e Yemen. In tutti questi paesi, ad eccezione di Libia, Iraq e Siria, i bambini di 15 anni e piu' giovani hanno piu' probabilita' di morire per malattie legate all'acqua rispetto che a causa di violenze collettive. Eccetto in Siria e Libia, i bambini sotto i 5 anni hanno possibilita' 20 volte maggiori di morire per malattie diarroiche legate ad acqua e servizi igienico sanitari non sicuri rispetto che a violenze collettive.

Turchia. Morto in sciopero della fame il prigioniero curdo Zulkuf Gezen

Il Popolo Veneto
Gran brutta notizia. Purtroppo c’era da aspettarselo. Nella prigione (di tipo F) di Tekirdag, dove scontava l’ergastolo, è morto un prigioniero politico. In carcere dal 2007, Zulkuf Gezen era in sciopero della fame illimitato per protestare contro l’isolamento a cui viene sottoposto il leader curdo Abdullah Ocalan. 

Zulkuf Gezen


Attualmente sono centinaia le prigioniere e i prigionieri politici (e altrettanto numerosi i militanti fuori dalle carceri, anche in Europa: a Strasburgo, Parigi, Bruxelles, nel Galles…) che con questa radicale protesta – alcuni da più di cento giorni come Leyla Guven – esprimono la loro ribellione nei confronti della politica carceraria adottata da Ankara.
Gianni Sartori

I giudici smontano il "Decreto Sicurezza" di Salvini. Vinto il ricorso: "I richiedenti asilo possono avere la residenza"

Corriere della Sera - Firenze
Si chiama Yosef, è somalo ed è richiedente asilo, attualmente ospite in un centro di accoglienza a Scandicci. Nell’ottobre dell’anno scorso ha presentato domanda di iscrizione all’anagrafe. Ma il decreto sicurezza varato dal ministro Salvini era appena entrato in vigore. Tra i punti principali (e più contestati) l’esclusione dei richiedenti asilo dall’anagrafe.

Poche settimane dopo, non a caso, il Comune di Scandicci rispondeva a Yosef comunicandogli di «non poter accettare la richiesta di residenza» proprio in base al nuovo decreto sicurezza emanato dal Ministero dell’Interno. 

A questo punto Yosef, assistito dagli esperti avvocati dell’Asgi (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), ha presentato ricorso. Il senso è questo: «È vero che l’articolo 13 del decreto sicurezza dice che, per i richiedenti asilo, il permesso di soggiorno non è più un documento valido per chiedere la residenza anagrafica. Ma la regolarità del soggiorno non si dimostra soltanto col classico permesso di soggiorno, è sufficiente anche il verbale che viene rilasciato ai migranti in questura al momento della domanda d’asilo, il cosiddetto modello C3»

La notizia è, dunque, che il tribunale di Firenze ha accolto il ricorso e ha ordinato al comune di Scandicci «l’immediata iscrizione nel registro anagrafico del richiedente asilo».
L’ordinanza, firmata dal giudice Carlo Carvisiglia, potrebbe segnare un cambiamento perché rimette in discussione alcuni principi del decreto sicurezza e perché, di fatto, potrebbe aprire le porte dell’anagrafe a tutti i richiedenti asilo. Una vittoria importante per gli avvocati fiorentini dell’Asgi, e in particolare dell’avvocatessa Noris Morandi, che ha redatto il ricorso. Ad uscirne sconfitti sono i tecnici del Viminale che, omettendo una postilla nel decreto sicurezza, hanno reso possibile quest’ordinanza che, di fatto, ha affossato gli intenti del ministro dell’Interno di non concedere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo.

«Il verbale rilasciato dalla questura al momento della domanda di asilo — ribadiscono dall’Asgi — certifica la regolarità del soggiorno in Italia, assolvendo perfettamente alle condizioni previste dalla legge per l’iscrizione anagrafica». Un divieto, quello dell’iscrizione anagrafica, che il ministro Salvini ha giustificato dicendo che «l’eccessivo numero di richiedenti asilo nelle strutture di accoglienza ha spesso determinato un sovraccarico di lavoro per gli uffici anagrafe». Un divieto che però rischia di complicare la vita dei migranti. La mancata iscrizione anagrafica, infatti, non permette loro di avere una carta d’identità, di usufruire del servizio sanitario con un medico di base, di usufruire di un assistente sociale, di trovare un lavoro regolare e di iscriversi al centro per l’impiego, di accedere all’edilizia pubblica.

Secondo il giudice che ha redatto l’ordinanza su Yosef la mancata iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe, sarebbe anche discriminatoria nei confronti degli stranieri visto che «sul versante del principio di eguaglianza, la parità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini è considerata fondamentale dalla Corte Costituzionale». Quanto al rifiuto dell’amministrazione di iscrivere il ricorrente alle liste anagrafiche del Comune di residenza, «oltre a costituire una lesione di un diritto soggettivo, impedisce il godimento e l’esercizio effettivo dei diritti di rilievo costituzionale».

Una storia lunga e complicata, quella di Yosef (il nome è di fantasia). È arrivato in Italia per scappare alla guerra civile che imperversa in Somalia dagli anni Novanta. Ha una moglie e tre figli in Svezia, ma lui ha scelto di presentare domanda di asilo in Italia, sperando di ottenere la protezione internazionale, perché è molto legato alla cultura italiana, già dai tempi della sua vita in Somalia. Sogna il ricongiungimento familiare coi suoi figli e sua moglie. Nelle prossime ore, Yosef tornerà all’anagrafe. E in base all’ordinanza, gli uffici dovranno accogliere la sua domanda d’iscrizione. «Yosef è contento», racconta Davide Arca dalla Diaconia Valdese. Ha ricevuto la notizia ieri sera, mentre si trovava nella struttura di Scandicci, un appartamento che condivide con altri sette migranti. In questi mesi di accoglienza, ha frequentato i corsi d’italiano e un corso di sartoria. «Adesso per lui sarà più semplice trovare lavoro, potrà iscriversi ai centri per l’impiego e potrà avere la carta d’identità, condizione indispensabile per avere credibilità di fronte a potenziali datori di lavoro», spiegano gli operatori sociali della Diaconia Valdese. Come residenza anagrafica, potrà indicare quella del centro d’accoglienza.

Ma Yosef non è l’unico richiedente asilo in provincia di Firenze ad aver presentato ricorso per la mancata iscrizione anagrafica. Anche altre associazioni hanno svolto lavoro di consulenza giuridica per i propri ospiti, permettendogli così di presentare ricorso. Anche per loro, visto l’ultimo responso del giudice, potrebbero vedersi garantita l’iscrizione all’anagrafe. Una questione, quella del divieto alla residenza, che con l’entrata in vigore del decreto sicurezza sollevò il malcontento di numerose associazioni e anche di molti sindaci, alcuni dei quali presentarono ricorso contro il divieto di iscrizione anagrafica. Tra queste anche la Regione Toscana, che presentò ricorso alla Corte Costituzionale anche a nome di sessanta amministrazioni comunali. E tra questi, quasi un paradosso, anche il Comune di Scandicci. Che ora dovrà accettare la richiesta di Yosef.

Jacopo Storni