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mercoledì 31 ottobre 2018

Qatar: in vigore la leggere sul diritto di asilo. Primo paese della regione. HRW plaude, sia da esempio per altri stati.

ANSAmed
L'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha elogiato l'entrata in vigore in Qatar della prima legge a tutela del diritto di asilo della regione. Lo riporta Al Jazeera.

"Grande notizia che il Qatar abbia approvato la prima Legge sull'Asilo della regione, una reale sicurezza per gli esiliati politici nella regione, speriamo sia un modello per altri Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) che non hanno leggi per i rifugiati e l'asilo. 

Questa è una grande cosa!" ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttrice esecutiva di HRW per il Medio Oriente e il Nord Africa. 

Secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono più di cinque milioni i rifugiati siriani che si trovano in vari Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. 

"La legge sull'asilo del Qatar è un enorme passo in avanti in una regione fatta di Stati ricchi che storicamente hanno chiuso le loro porte ai rifugiati" ha dichiarato Lama Fakih, vice direttore per il Medio Oriente di HRW.

Arrivati in modo sicuro con corridoi umanitari altri 147 rifugiati dal Corno d'Africa dalla Siria. Ne sono arrivati 2100 dal 2016

Blog Diritti Umani - Human Rights
Continuano ad arrivare rifugiati dal Corno d'Africa e Siria con i corridoi umanitari aperti da Sant'Egidio in collaborazione con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la CEI.


Sono giunti ieri all'aeroporto di Fiumicino 64 rifugiati provenienti dal Sud-Sudan, dalla Somalia, dall'Eritrea e dallo Yemen e questa mattina altri 83 dalla Siria, presenti nei campi profughi in Libano.
Con questi arrivi sale a 2100 il numero dei rifugiati che sono entrati in modo sicuro in Europa con i corridoi umanitari dal febbraio 2016.

Con l'arrivo in Europa il progetto garantisce un percorso di integrazione reso possibile dalla solidarietà di tanti italiani ed europei, che hanno offerto le loro case, e la disponibilità di di associazioni e parrocchie. Questa accoglienza permette l’apprendimento della lingua e l’inserimento lavorativo.

Il costo del progetto è totalmente a carico delle associazioni che lo promuovono senza nessun costo a carico dei governi dei paesi che li accolgono.

L’appuntamento per il benvenuto ai profughi e una conferenza stampa sono fissati per le 11 di mercoledì 31 ottobre, arrivo per i giornalisti entro e non oltre le 10.00 alle partenze del Terminal 3 di Fiumicino (porta 3, accanto all’ufficio informazioni) per essere accompagnati nel luogo della conferenza.

Interverranno Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, e Paolo Naso, a nome delle Chiese protestanti italiane, insieme a rappresentanti del ministero dell’Interno e degli Esteri.


ES

Corte suprema Pakistan assolve Asia Bibi condannata a morte per blasfemia

ANSA
Islamabad - La Corte suprema del Pakistan ha assolto oggi Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia nel 2010.




Il verdetto accoglie così il ricorso presentato nel 2015 contro la condanna emessa dall'Alta corte di Lahore (Lhc), che nell'ottobre 2014 aveva confermato la decisione di un tribunale di novembre 2010. 

Gli attivisti per i diritti umani e la e comunità cristiana hanno accolto con favore il verdetto finale della Corte suprema. Khadim Hussain Rizvi, a capo del partito islamista Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), sta invece organizzando una protesta nazionale contro l'assoluzione della donna. 

Asia Bibi era stata arrestata nel 2009 dalla polizia nel suo villaggio di Ittanwali, nella provincia del Punjab, in seguito alla denuncia di altre donne di fede musulmana per blasfemia dopo un presunto reato contro il profeta Maometto durante una discussione.

martedì 30 ottobre 2018

Continua la vergogna della pena di morte negli Usa. Rodney Berget: prima esecuzione dello stato dal 2012 in South Dakota

Globalist
Un detenuto del South Dakota che sette anni fa aveva ucciso un agente penitenziario di 63 anni durante un tentativo di evasione è stato messo a morte ieri sera, prima esecuzione dello stato dal 2012.

Rodney Berget, 56 anni
Rodney Berget, 56 anni, ha ricevuto l'iniezione letale.

L'esecuzione di Berget è la quarta da quando nello stato è stata ripristinata la pena di morte, nel 1979. Inizialmente doveva essere eseguita nel primo pomeriggio, ma è stata ritardata per consentire alla Corte suprema degli Stati Uniti di esaminare un ricorso dell'ultimo minuto per bloccarla.

Carovana dei migranti, Trump schiera 5,200 soldati al confine con il Messico

Corriere della Sera
Confermate le indiscrezioni dei giorni scorsi. Il presidente Usa: «Questa è un’invasione, i militari vi stanno aspettando». Gli immigrati al confine tra Guatemala e Messico. È la più grande carovana di migranti mai vista in Messico. 


Sono migliaia, i cittadini del Centro America che stanno provando a sfondare il confine o che sono già entrati. Il dipartimento della difesa americana ha annunciato che invierà 5.200 soldati alla frontiera in vista del loro arrivo, confermando così le anticipazioni del Wall Street Journal. Il generale Terrence O’Shaughnessy ha riferito ai reporter che 800 militari sono già in viaggio e che il resto delle truppe sarà alla frontiera entro la fine della settimana.

Una massiccia muraglia militare si trova già schierata lungo il confine, dove circa 2.000 guardie nazionali stanno lavorando per fornire assistenza alle autorità messicane sopraffatte dall’ondata di persone. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump nelle ultime settimane ha più volte affermato che sono necessarie ancora più truppe per rafforzare la sicurezza delle frontiere. Secondo il commissario Usa per la protezione delle frontiere Kevin McAleenan le autorità americane stanno rintracciando un gruppo di circa 3.500 persone che viaggiano verso nord attraverso l’area del Chiapas-Oaxaca, nel sud del Messico. Sotto osservazione altre 3.000 persone a un passaggio di confine tra il Guatemala e il Messico.

Lunedì sera Trump ha assicurato che la sua amministrazione costruirà delle tendopoli per i migranti che raggiungono il confine e chiedono asilo: «Se fanno richiesta di asilo, li terremo in sospeso fino al momento in cui avranno l’esito. Li terremo, costruiremo tendopoli dappertutto – ha detto il presidente in un’intervista a Fox News –. Loro saranno molto gentili e aspetteranno, ma se non ottengono l’asilo non potranno entrare».

Moltissimi migranti hanno attraversato il fiume Suchiate, dal Guatemala in Messico, su zattere fatte con pneumatici per autocarri o formando catene umane per evitare di essere travolti dalla corrente: tra loro famiglie intere, con bambini piccoli. 

Per il commisario Usa McAleenan è «una crisi umanitaria», gli agenti di frontiera — ha aggiunto — nelle ultime tre settimane hanno arrestato circa 1.900 persone al giorno che tentano di attraversare illegalmente: «Più della metà di questi arrivi – ha detto – sono nuclei familiari e minori non accompagnati che si sono messi nelle mani di violenti contrabbandieri umani, pagando 7.000 dollari a persona per il viaggio». 

Su Twitter Trump ha ribadito che non intende in nessun modo accettare «una invasione» del proprio Paese, rivolgendosi direttamente ai migranti: «Tornate indietro, non sarete ammessi negli Stati Uniti a meno che non lo facciate seguendo la via legale. Questa è una invasione del nostro paese e i nostri militari vi stanno aspettando».

Jair Bolsonaro nuovo presidente del Brasile: vigiliamo sui rischi per i diritti umani del nuovo governo

Amnesty Italia
Il candidato di estrema destra Jair Bolsonaro è diventato il nuovo presidente del Brasile, ottenendo il 55,2 per cento dei voti al secondo turno, contro il 44,8 per cento di Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori e appoggiato dall’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva.


In campagna elettorale Bolsonaro ha promesso leggi più elastiche sul controllo delle armi e una licenza di uccidere a priori per i funzionari di polizia. Queste proposte, se realizzate, peggiorerebbero il già tragico contesto di violenza letale in un paese in cui si verificano 63.000 omicidi l’anno, di cui più del 70 per cento a causa delle armi da fuoco, e nel quale la polizia commette approssimativamente 5.000 omicidi l’anno, molti dei quali sono di fatto esecuzioni extragiudiziali.

Ancora, Bolsonaro ha minacciato le terre delle popolazioni native, attraverso la modifica delle procedure di demarcazione dei terreni e l’autorizzazione a progetti per lo sfruttamento delle più importanti risorse naturali. In tal senso, ha anche parlato di allentare le norme sulla salvaguardia dell’ambiente e ha criticato le agenzie di protezione ambientale del Brasile, mettendo in pericolo il diritto di tutte le persone di godere di un ambiente sano.

“Il neoeletto presidente ha portato avanti una campagna elettorale con un programma apertamente ostile ai diritti umani e ha spesso fatto dichiarazioni discriminatorie sui differenti gruppi sociali. Se questa retorica si trasformerà in azioni politiche, la sua elezione a presidente del Brasile potrebbe rappresentare un enorme rischio per le popolazioni native e le quilombolas (le comunità dei discendenti dagli schiavi), le comunità rurali tradizionali, le persone Lgbti, i giovani neri, le donne, gli attivisti e le organizzazioni della società civile”.

Lo ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe, commentando l’elezione di Jair Bolsonaro e Hamilton Mourão alle cariche di presidente e vicepresidente del Brasile.

Bolsonaro e Mourão, entrambi militari riservisti del Brasile, hanno pubblicamente difeso i crimini commessi durante il precedente regime, inclusa la tortura. Questo accresce la prospettiva di una marcia indietro nel cammino verso la protezione dei diritti umani intrapreso dalla fine del regime militare e con l’adozione della Costituzione federale del 1988.

“Ora che il processo elettorale è concluso, siamo tutti di fronte alla sfida di proteggere i diritti umani di ogni persona in Brasile. Amnesty International sarà al fianco dei movimenti sociali, delle Ong, degli attivisti e di tutti quelli che difendono i diritti umani per assicurare che il futuro del Brasile porti più diritti e meno repressione”, ha aggiunto Guevara-Rosas.
La critica situazione dei difensori dei diritti umani in Brasile

Il Brasile ha uno dei tassi più alti di uccisione di difensori dei diritti umani e attivisti del mondo: decine di loro vengono assassinati ogni anno per aver difeso diritti che dovrebbero essere garantiti dallo stato.

In questo grave contesto, le dichiarazioni del neopresidente sul voler porre fine all’attivismo e dare un giro di vite ai movimenti sociali organizzati rappresentano una minaccia concreta ai diritti alla libertà d’espressione e di assemblea pacifica garantiti dalle leggi nazionali e internazionali.

“Le istituzioni pubbliche del Brasile devono intraprendere azioni ferme e risolute per proteggere i diritti umani di tutti quelli che difendono i diritti umani nel paese e si mobilitano per questo. Queste istituzioni rivestono un ruolo centrale nella protezione dello stato di diritto e per impedire che queste proposte diventino realtà”, ha sottolineato Guevara-Rosas.

“La comunità internazionale rimarrà vigile nel vincolare lo stato brasiliano ai suoi obblighi di rispettare e garantire i diritti umani”, ha concluso Guevara-Rosas.

lunedì 29 ottobre 2018

No Brexit: un milione di firme per chiedere un nuovo referendum

Globalist
Grande successo della campagna dell'Independent: Solo la settimana scorsa circa 700mila persone sono scese in piazza alla Marcia per il Futuro.


Facile dire: via dall'Europa e giocare sullo sfascismo imperante. Poi - soprattutto i giovani e quelli più informati - uno ci riflette un attimo e vede che il Regno Unito fuori dall'Unione Europea rappresenta un impoverimento e non una ricchezza. Essere isolati invece di far parte di una comunità.

Così la campagna dell'Independent per un referendum bis sulla Brexit ha raggiunto la soglia del milione di firme solo tre mesi dopo l'avvio dell'iniziativa: lo riporta oggi lo stesso quotidiano britannico.

Il giornale aveva lanciato la campagna il 25 luglio scorso spiegando in un editoriale che il referendum del 2016 «ha dato la sovranità al popolo britannico, ora il popolo ha diritto di avere l'ultima parola», anche sull'esito del negoziato con Bruxelles sul divorzio dall'Ue.
L'idea di un secondo referendum viene ancora esclusa dal governo ma le probabilità che la May raggiunga un accordo con Bruxelles che possa essere approvato dal Parlamento sono sempre più basse e nel Paese cresce la protesta.

Solo la settimana scorsa circa 700mila persone sono scese in piazza a Londra per chiedere il cosiddetto 'Voto del Popolo' e aderire alla 'Marcia per il Futuro' organizzata dall'Independent.

Francia. Due italiani in carcere da cinque mesi per favoreggiamento dell'immigrazione

Il Tirreno
Si tratta di Massimo Carpinteri e Renato Pasquale Barbera, originari di Trapani. Sono detenuti in due carceri diversi nel nord della Francia, a Dunkerque e Bethune. Si sa poco della loro vicenda.


Due italiani, originari di Trapani, dallo scorso giugno sono in carcere in Francia accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono stati arrestati dalla polizia francese. Si tratta di Massimo Carpinteri e Renato Pasquale Barbera, quest'ultimo noto a Trapani per essere un esperto di sicurezza, un bodyguard, ma anche volontario dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa Italiana, comandante di una idro-ambulanza. 

Secondo una ricostruzione della gendarmeria francese i due sono approdati la scorsa estate sulla costa tra Calais e Dunkerque con il proposito di organizzare viaggi in mare all'apparenza turistici tra le coste francesi e inglese, utilizzando una imbarcazione, forse una barca a vela. 

Ma non per trasportare turisti ma clandestini, dalla Francia verso l'Inghilterra. Il loro "lavoro" in una zona calda della costa francese a proposito di presenza di migranti e di migrazione clandestina. 

Un tratto di costa oggetto di tanti reportage giornalistici. L'area è quella di Calais, nord della Francia, cittadina sul Canale della Manica. Dove nonostante sgomberi e interventi della polizia di Macron, periodicamente si formano insediamenti, accampamenti abusivi e vere e proprie bidonville, e si ritrovano migliaia di migranti desiderosi di un "passaggio" verso l'Inghilterra.

In massima parte si tratta di sudanesi, afgani, etiopi e pakistani. E poi tra molti adulti anche tanti minori non accompagnati. Spesso questi migranti cercano "ospitalità" nei mezzi pesanti con destinazione Inghilterra. I due trapanesi arrestati sono accusati di avere organizzato un loro business sfruttando la disperazione di questa gente, mettendosi all'opera, come traghettatori, via mare, verso la costa inglese, con una imbarcazione pare presa in affitto. Come se a bordo portassero dei turisti. 

Ma per la Polizia francese con quella barca i due trapanesi hanno trasportato solo migranti clandestini.

domenica 28 ottobre 2018

Guerre dimenticate - Ucraina - Donbass - Nel cuore dell'Europa, 4 anni di guerra, 10 mila vittime, molti civili, donne e bambini

Osservatorio Diritti
Gli scontri in Ucraina Orientale tra le milizie vicino alla Russia e le truppe di Kiev continuano a fare morti. Anche se ormai non ne parla più nessuno, la storia del conflitto del Donbass, cominciato quattro anni fa, ha già fatto più di 10 mila vittime, tra cui molti civili, tra cui anche donne e bambini.

In Donbass, nell’Ucraina Orientale, nonostante se ne parli molto poco e nonostante gli accordi di Minsk dovrebbero garantire una tregua, la guerra iniziata nel 2014 continua a fare morti e feriti. Le ultime vittime civili del conflitto sono tre adolescenti tra i 13 e i 15 anni, colpiti da una mina alla fine di settembre nella città di Gorlovka, nella zona cuscinetto che divide i miliziani filorussi dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e le truppe di Kiev.

Oltre 10 mila morti nella guerra in Ucraina Orientale
I dati rilasciati dalle Nazioni Unite sulla guerra del Donbass parlano di oltre 10 mila morti, più di 30 mila feriti e poco meno di 2 milioni di sfollati da quando si sono aperte le ostilità.

«La guerra nell’Est del Paese continua ad annientare vite umane, a distruggere case e attività economiche. La comunità è in lacrime», ha dichiarato recentemente Kate Gilmore, vice Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani.

«Dall’inizio delle ostilità sono stati oltre 3 mila i civili uccisi e circa 9 mila quelli feriti. Come documentato dal nostro ultimo rapporto, solo tra il 16 maggio e il 15 agosto di quest’anno sono state registrate 105 vittime civili nell’Ucraina Orientale, 12 morti e 93 feriti», ha spiegato Gilmore.
Onu: città del Donbass tra le più minate al mondo
Nel dicembre 2017 le Nazioni Unite hanno dichiarato che 220 mila bambini rischiano di morire per colpa delle mine nascoste nelle zone di conflitto dell’Ucraina Orientale e che la regione sarebbe diventata una delle più contaminate al mondo.

Le mine terrestri e gli esplosivi rimasti inesplosi, ha detto inoltre l’Onu, hanno ucciso 37 adolescenti e ferito almeno 107 persone dall’inizio della guerra. Secondo la Missione speciale di monitoraggio dell’Osce, solo nel 2018 sono stati feriti o uccisi 23 bambinidurante i combattimenti.
Ucraina, Russia ed Europa: storia di un conflitto
La crisi in Ucraina è scoppiata il 21 novembre 2013, quando l’allora presidente Viktor Yanukovych ha interrotto i preparativi per un accordo di associazione dell’Ucraina all’Europa in favore di un altro accordo che legava ancor più il Paese alla Russia. Per questo sono iniziate le proteste di piazza note come Euromaidan.

Dopo mesi di violenti scontri, il 22 febbraio 2014 Yanukovich ha lasciato Kiev. Il cambiamento di linea politica interna ed europea ha scatenato la reazione delle aree del Paese a maggioranza russa e a fine febbraio dello stesso anno uomini armati filorussi hanno occupato gli edifici governativi in Crimea. Mosca ha appoggiato a parole le rivendicazioni e a metà marzo il popolo della Crimea, tramite un referendum, ha approvato l’annessione alla Russia.
La guerra arriva a Donetsk e altre città dell’Est Ucraina
Successivamente i ribelli filorussi hanno imbracciato le armi anche in diverse parti dell’est del Paese, come Donetsk, Kharkiv e Lugansk, chiedendo una consultazione per l’indipendenza. I combattimenti durano da allora, in un contesto di sempre maggiori tensioni internazionali tra Mosca e i Paesi dell’Occidente intervenuti con sanzioni economiche e minacce in difesa degli interessi dell’Ucraina e, ovviamente, della Nato.

La rivolta di piazza Maidan, la Crimea e la guerra fratricida tra le truppe governative e i miliziani del Donbass, infatti, sono episodi recenti di una storia molto più vecchia. E il rischio è quello di rompere definitivamente i già delicati equilibri geopolitici instaurati dopo la Guerra fredda.
La guerra più sanguinosa d’Europa dopo l’ex Jugoslavia
Da una parte abbiamo una popolazione che strizza l’occhio all’Occidente. Dall’altra, invece, una popolazione che ha oggettivamente radici russe e che è legata storicamente e culturalmente con Mosca. Intanto il conflitto prosegue ed è il più sanguinoso della storia recente in Europa dopo le guerre dei primi anni Novanta nella ex Jugoslavia.
Guerra in Ucraina: soluzione politica ancora lontana
In questo momento, secondo fonti dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, i militari ucraini starebbero provando ad avanzare in diverse zone del fronte, ma i filorussi starebbero mantenendo le loro posizioni. Ogni mattina i separatisti diramano un comunicato con le violazioni continue dell’esercito di Kiev, scrivendo ogni attacco ricevuto nei diversi villaggi, le persone rimaste morte e ferite. In 48 ore di conflitto, invece, le forze armate governative hanno accusato i separatisti di aver violato la tregua 28 volte.

In questo accusarsi a vicenda solo una cosa è certa: i combattimenti non si fermano. E mentre una soluzione politica sembra ancora lontana, i civili continuano a morire.

Fabio Polese

sabato 27 ottobre 2018

Usa, spari in una sinagoga a Pittsburgh: i media locali parlano di 8 morti

La Repubblica
Arrestato l'assalitore: è un uomo bianco di 46 anni. Ha urlato: "gli ebrei devono morire". Feriti tre poliziotti.


E' stato arrestato l'uomo che ha aperto il fuoco all'interno della sinagoga "The Tree Life" di Pittsburgh, causando almeno otto morti e diversi feriti. 

Il fatto è accaduto intorno alle dieci del mattino e la dinamica non è ancora chiara. Secondo le prime ricostruzioni quando la polizia è intervenuta nella sinagoga erano ancora barricate diverse persone, che sono state fatte uscire con l'aiuto degli agenti

Anche contro di loro ha sparato l'assalitore: tre poliziotti sono stati feriti

L'OIM riferisce che un ragazzo somalo di 20 anni, rimandato indietro in Libia dalla Guardia Costiera si è ucciso dandosi fuoco .

Globalist
Un ragazzo di vent'anni, il cui nome è ignoto, parte di quella moltitudine di avanzi umani riconsegnati alla Guardia Costiera libica nel corso dell'ultimo anno, si è dato fuoco nel centro di detenzione di Triq al Sikka. 


Lo riferisce l'Irish Time, riportando il resoconto della Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Il ragazzo si è verdato addosso del gasolio e si è ucciso, secondo i testimoni per aver perso le speranze di poter andare in un paese sicuro.

Le fonti contattate da Irish Time parlano di veri e propri campi di concentramento, dove il cibo viene distribuito bene che vada una volta al giorno e comunque sempre a seconda dell'umore dei direttori del centro. Malattie come la tubercolosi trovano terreno fertile a causa delle condizioni igieniche disastrose e torture, violenze e stupri sono all'ordine del giorno.

Queste sono realtà da tempo confermate anche dall'Unhcr, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma per il nostro governo la Libia è un porto sicuro in cui rispedire i disperati che noi non vogliamo. 

Grazie a Salvini e compagnia ci stiamo rendendo complici di un nuovo Olocausto di cui prima o poi dovremo pagare il conto alla Storia.

Elezioni Brasile: con Bolsonaro la violenza di Stato sarà impunita. Da gennaio sono già 1.181 le morti provocate dalle forze di sicurezza. Ong in allarme.

Osservatorio Diritti
Il numero di persone uccise da polizia ed esercito nello stato di Rio de Janeiro batte tutti i record storici. Eppure Jair Bolsonaro, candidato e favorito alle elezioni in Brasile del 2018, sostiene che «il poliziotto che non ammazza non è un poliziotto». Domenica si vota per il secondo turno. A sfidare Bolsonaro è Fernando Haddad.


Jair Bolsonaro
Il numero di morti ammazzati da polizia e militari nello stato di Rio de Janeiro supera per la prima volta nella storia quota mille. Da gennaio a settembre, infatti, sono state ben 1.181 le persone cadute vittime dei colpi di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza carioca. Un 2018 che sarà ricordato dunque, comunque vada da oggi fino a fine dicembre, come l’anno più letale nella storia dello stato di Rio.

E se i cittadini, le ong e le associazioni per la difesa dei diritti umani leggono questi dati con preoccupazione, la pensa diversamente il candidato di estrema destra e super-favorito al secondo turno delle elezioni presidenziali del Brasile, che si terranno domenica 28 ottobre. Jair Messiah Bolsonaro – che sfiderà Fernando Haddad, il “sostituto” di Lula in queste per il Partito dei lavoratori – propone infatti di rafforzare il pugno duro delle forze dell’ordine. Tanto da aver espresso più volte la convinzione che «il poliziotto che non ammazza non è un poliziotto», proponendo encomi per i poliziotti più “letali”.

Elezioni Brasile 2018: Bolsonaro pensa a dare «sicurezza giuridica» a polizia ed esercito

Il conservatore Bolsonaro, ex militare nostalgico della dittatura e apertamente a favore della tortura, è noto per le sue posizioni radicali nel campo della sicurezza pubblica e come sostenitore della tolleranza zero da parte di polizia e forze armate. Nel suo programma di governo, insieme ad altre misure, Bolsonaro propone l’esclusione della responsabilità penale per i poliziotti che uccidono nel corso delle proprie attività.
L’obiettivo di questa sorta di “depenalizzazione” è far sì che i poliziotti non siano puniti nel caso in cui dovessero uccidere qualcuno durante un confronto armato. Secondo il piano di governo presentato dal candidato, «bisogna dare certezza che, nell’esercizio della propria attività professionale, i poliziotti siano protetti da una rete di sicurezza giuridica».

Secondo diversi analisti, questa misura potrebbe provocare un’ulteriore impennata di violenza in un periodo segnato da una crisi in campo della sicurezza e in un paese nel quale gli standard storici di efficacia investigativa e certezza della pena sono già estremamente bassi. Al momento, infatti, la protezione per i poliziotti arriva quasi sempre all’impunità. Dei circa 64 mila omicidi che si registrano nel paese, è realmente investigato solo tra il 5 e l’8 per cento del totale. E nel caso in cui l’omicidio sia commesso da un poliziotto in servizio le percentuali di investigazione crollano più giù.

Rio de Janeiro: con i militari aumenta la violenza
La stragrande maggioranza delle morti è stata registrata nell’ambito di operazioni condotte nelle favelas carioca, oggetto di una rinnovata guerra al narcotraffico, rilanciata dalle istituzioni a partire lo scorso febbraio.


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Sud Sudan - Nuovo Report sui diritti umani: rapimenti di civili, bambini soldato, bambine schiave sessuali, ...

Blog Diritti Umani - Human Rights
Rapimenti, bambini soldato reclutati a forza, schiavitù sessuale di bambine di 12 anni. Gravi violazione continuano in Sud Sudan nella regione occidentale di Equatoria


In un rapporto congiunto dell'Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e della missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan ha messo in luce la difficile situazione dei civili coinvolti nei combattimenti.

Vengono documentati gli attacchi in almeno 28 villaggi, dove sono stati rapiti quasi 900 civili, tra cui 505 donne e ragazze, evidenziando casi di abusi commessi dall'opposizione e dall'Esercito di liberazione del popolo sudanese contro i civili.

Eugene Nindorera, rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan, ha dichiarato che la relazione copre le indagini negli stati di Tambura e Gbudue nell'Equatoria occidentale. "Siamo stati in grado di documentare che l'IO, Riek Machar, ha rapito 900 persone, la maggior parte di loro sono donne e bambini. Alcuni di loro erano in reclutamento forzato ma anche un certo numero di ragazze che sono state rapite e di conseguenza violentate ".

Il rapporto osserva che sia i gruppi guidati da Riek Machar che le forze governative sono responsabili di attacchi contro i civili, che hanno portato agli spostamenti di oltre 24.000 persone.

"I rapimenti sono molto preoccupanti perché la maggior parte di loro sono ancora nelle mani dei rapitori. Ciò che è importante per noi è assicurarci che vengano rilasciati il ​​prima possibile. 
Ha detto Nindorera.

Il Sud Sudan è precipitato nella guerra civile due anni dopo l'indipendenza dal Sudan nel 2011, quando una disputa politica tra Kiir e l'allora vicepresidente Riek Machar è degenerata  in scontri armati.

ES

Fonte: Reuteur

venerdì 26 ottobre 2018

Guerre dimenticate - Yemen, ​Oxfam: «Una vittima ogni tre ore». Catastrofe umanitaria senza precedenti

Il Messaggero
Dall’inizio di agosto in Yemen è stato ucciso un civile ogni tre ore. Una nuova ondata di scontri - tra la Coalizione a guida saudita e gli Houti per il controllo dei principali porti e città del Paese - che sta causando una crescita esponenziale di vittime, lasciando la popolazione senza cibo e sempre più esposta al rischio di nuove epidemie. 

E’ l’allarme lanciato oggi da Oxfam, di fronte all’inerzia delle grandi potenze mondiali, che al momento stanno facendo poco o nulla per fermare quella che da tempo è diventata la più grave emergenza umanitaria al mondo.

Tra l’1 agosto e il 15 ottobre in Yemen 575 civili, riferisce Oxfam, sono stati uccisi a causa dei combattimenti. Tra loro c’erano anche 136 bambini e 63 donne. Un quadro atroce a cui si aggiungono oltre 1,1 milioni casi di colera negli ultimi 18 mesi, con oltre 2.000 vittime e più di 100 decessi causati da un’epidemia di difterite nello stesso periodo.

Mercoledì a Hodeidah, il principale porto del Paese, un attacco aereo ha provocato la morte di 16 civili in un mercato; all’inizio del mese ancora 15 vittime, compresi 4 bambini, e 23 feriti per un altro attacco aereo ad opera della coalizione saudita che ha colpito autobus carichi di passeggeri a un check point controllato dagli Houti nella parte sud est della città. Un bombardamento di terra in un campo di sfollati ha ucciso una giovane donna e ferito altre 7 persone, di cui 6 erano bambini.

Il Paese è sull’orlo della carestia ed è sempre più difficile per le agenzie umanitarie raggiungere la popolazione a causa della violenza inaudita che si è diffusa nelle ultime settimane. Secondo le stime delle Nazioni Unite di questa settimana, se non si arriverà a un cessate il fuoco e a una pace duratura, oltre 14 milioni di persone potrebbero letteralmente morire di fame.

Al momento solo la Germania ha congelato i contratti di vendita di armi verso l’Arabia Saudita, dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi presso l'ambasciata saudita a Istanbul, invitando anche gli altri Paesi europei a fare lo stesso.

“Di fronte a ogni singola vita persa in questo scandaloso conflitto le potenze mondiali dovrebbero provare vergogna - ha detto Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie -. Chiunque sostenga direttamente o indirettamente le parti in conflitto si sta rendendo di fatto complice di questo massacro. 

Quante persone devono ancora morire perché si abbia un’ammissione di complicità da parte delle potenze che alimentano questa guerra da oltre tre anni? Per questo chiediamo agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e all’Italia di sospendere immediatamente la vendita di armi ai sauditi. Dopo l’audizione in Commissione esteri alla Camera della settimana scorsa con le altre associazioni umanitarie impegnate nel Paese, ci aspettiamo, che il nostro Governo cambi strada rispetto agli ultimi anni, smettendo di avallare l’export di armi, soprattutto bombe, verso l’Arabia Saudita e gli altri paesi coinvolti per milioni di euro.”

Il prezzo del cibo, riporta ancora Oxfam, è schizzato alle stelle, la popolazione sta restando senza acqua pulita. La recente svalutazione del Riyal ha causato un’impennata dei prezzi dei beni alimentari disponibili nei mercati locali. Lo Yemen dipende dall’importazione della maggior parte di alimenti di base, ma i commercianti stentano a comprare in dollari per rifornire di grano il mercato interno. Anche il prezzo del petrolio è aumentato enormemente: il prezzo medio al litro è salito del 280% da quando il conflitto è iniziato.

Per l’acqua pulita la popolazione fa per lo più affidamento su auto-cisterne, ma anche questa modalità sta diventando costosa e inaccessibile. Sempre più persone non potranno che fare ricorso a fonti di acqua sporca, con il rischio di contrarre malattie e diffondere epidemie.

“Se non si arriverà al più presto ad un cessate il fuoco, non sarà più possibile impedire una catastrofe umanitaria senza precedenti - conclude Pezzati -. La comunità internazionaIe deve agire immediatamente facendo pressione sulle parti in conflitto per fermare il massacro e impedire ulteriori danni alle poche infrastrutture rimaste. La popolazione dello Yemen, ha immediato bisogno di aiuti. Oxfam ha già soccorso 2,8 milioni di persone dall’inizio del conflitto e 360 mila persone, dopo lo scoppio della più grave epidemia di colera della storia recente. Stiamo lavorando per portare acqua pulita, servizi igienici e cibo alla popolazione, ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti”.

Rapporto Idos 2018: «In Italia non c’è un’invasione di migranti»

Il Sole 24 Ore
La domanda è: in Italia c’è un’invasione di migranti? No, è la risposta che si evince dalla 28esima edizione del Dossier statistico immigrazione 2018 Idos, presentato a Roma. Non è così. 


Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.144.000 a fine 2017, secondo l’Istat), l’Italia viene dopo la Germania, che ne conta 9,2 milioni, e il Regno Unito, con 6,1 milioni, mentre supera di poco la Francia (4,6 milioni) e la Spagna (4,4). Anche l’incidenza sulla popolazione complessiva, pari all’8,5%, è più bassa di quella di Germania (11,2%), Regno Unito (9,2%) e diversi altri paesi più piccoli dell’Unione, dove i valori superano anche in maniera consistente il 10% (Cipro 16,4%, Austria 15,2%, Belgio 11,9% e Irlanda 11,8%).

Il Dossier delinea diversi elementi che consentono di delineare le caratteristiche degli immigrati che risiedono in Italia: provengono da quasi 200 diversi paesi del mondo. Per la metà (2,6 milioni) sono cittadini di un paese europeo (di cui 1,6 milioni, pari al 30%, comunitari), mentre un quinto (1 milione) viene dall’Africa e una quota solo di poco inferiore dall’Asia. Gli americani sono circa 370.000 (7,2%), per lo più cittadini latino-americani (6,9%). I romeni costituiscono la collettività di gran lunga più numerosa (1.190.000 persone, pari al 23,1% di tutti i residenti stranieri), seguiti da albanesi (440mila e 8,6%), marocchini (417mila e 8,1%), cinesi (291mila e 5,7%) e ucraini (237mila e 4,6%). Queste prime 5 collettività coprono la metà (50,1%) dell’intera presenza straniera in Italia, mentre le prime 10 (per arrivare alle quali occorre aggiungere, nell'ordine, Filippine, India, Bangladesh, Moldavia ed Egitto) arrivano a poco meno dei due terzi (63,7%).

Contrariamente alla credenza che vorrebbe il paese assediato e “invaso” dagli stranieri - si legge nel report -, al netto dei movimenti interni il loro numero è pressoché stabile intorno ai 5 milioni dal 2013; e la loro incidenza, nell’ordine dell’8% sempre dal 2013, aumenta di pochissimi decimali l’anno, soprattutto a causa della diminuzione della popolazione italiana, sempre più anziana (gli ultra65enni sono 1 ogni 4, mentre tra gli stranieri 1 ogni 25), meno feconda (1,27 figli per donna fertile, contro 1,97 tra le straniere) e tornata a emigrare verso l’estero (quasi 115.000 espatriati ufficiali nel corso del 2017: un dato - rileva il dossier - sottodimensionato se si considera che molti, nel trasferirsi all’estero, trascurano di effettuare la cancellazione anagrafica, non essendo obbligatoria. Aggiungendo ai residenti stranieri la quota di immigrati che, alla data della rilevazione, non erano ancora iscritti nelle anagrafi, Idosstima in 5.333.000 il numero effettivo di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia, 26.000 in meno rispetto alla stima del 2016.

I soggiornanti non comunitari, in particolare, sono – secondo il ministero dell’Interno e l’Istat – 3 milioni e 700mila, un numero sostanzialmente invariato da 3 anni, anche per la consistente diminuzione delle persone sbarcate: 119.000 (-62.000 rispetto al 2016). Un calo divenuto ancor più drastico nel 2018, al punto che - continua il Dossier - il boom di profughi che, attraversando il deserto e il Mediterraneo centrale, sono approdati sulle coste italiane può considerarsi esaurito proprio nel 2017, dopo quattro anni in cui ne sono giunti, nel complesso, circa 625.000. Infatti, secondo i dati Unhcr e Oim, mentre ancora nel 2017 l’Italia ha convogliato il 69% degli oltre 172.000 migranti forzati arrivati in Europa via mare, nei primi 9 mesi del 2018 il numero di persone sbarcate in Spagna (oltre 34.000) e in Grecia (più di 22.000) ha superato quello dell’Italia: poco più di 21.000, un dato “crollato” di circa il 90%rispetto allo stesso periodo del 2017.

Andrea Carli

“Meglio morire annegati”: la disperazione dei migranti nei campi della Grecia

Melting Pot Europa
Moria, Grecia – Michael Tamba, un ex prigioniero politico congolese, è sopravvissuto alla tortura nel suo Paese e ad un rischioso viaggio in mare dalla Turchia. Si è ritrovato più vicino alla morte nel campo profughi più grande d’Europa.


Intrappolato per mesi nel campo dell’isola greca di Lesbo, Tamba, 31 anni, ha cercato di suicidarsi ingerendo una bottiglia di cloro. Cosa lo ha portato a tale decisione? Lo stesso campo di Moria.

“Undici mesi a Moria… Moria.. Moria”, commenta Tamba, sopravvissuto dopo esser stato trasportato d’urgenza in ospedale. “É molto traumatico”.

L’esperienza di Tamba è diventata comune a Moria, un accampamento di circa 9.000 persone che vivono in uno spazio concepito per 3.100, dove le condizioni precarie e la stingente procedura d’asilo hanno generato quella che gli operatori umanitari descrivono come una crisi di salute mentale.

Il sovraffollamento è così endemico che i richiedenti asilo trascorrono fino a 12 ore al giorno nell’attesa di qualche alimento, che a volte arriva già ammuffito. La scorsa settimana c’erano circa 80 persone per ogni doccia e più o meno 70 per i servizi igienici; gli operatori umanitari hanno lamentato che i liquami hanno raggiunto persino le tende in cui stavano i bambini. Aggressioni di matrice sessuale, attacchi all’arma bianca e tentativi di suicidio sono fenomeni comuni.


giovedì 25 ottobre 2018

HRW: Autorità Palestinese e Hamas commettono abusi e torture verso dissidenti e oppositori

Rights Reporter
Secondo un rapporto pubblicato oggi da Human Rights Watch (HRW) i regimi della Autorità Palestinese e di Hamas commettono sistematici abusi sugli oppositori e dissidenti tra i quali arresti arbitrari e torture.


“L’Autorità palestinese guidata da Fatah in Cisgiordania e le autorità di Hamas a Gaza abitualmente arrestano e torturano critici e oppositori pacifici”

HRW accusa i regimi della Autorità Palestinese e di Hamas di aver «stabilito meccanismi di repressione per reprimere il dissenso, anche attraverso l’uso della tortura» e di metterli in pratica in maniera sistematica specie dopo che la faida tra i due regimi si è accentuata.

Scrive HRW nell’introduzione del suo rapporto: «Sia l’Autorità palestinese (Fatah) in Cisgiordania che il Movimento di resistenza islamica (Hamas) a Gaza hanno effettuato negli ultimi anni decine di arresti arbitrari per critiche pacifiche alle autorità, in particolare sui social media, tra giornalisti indipendenti, nei campus universitari e alle manifestazioni. Mentre la faida tra Fatah e Hamas si è approfondita nonostante i tentativi di riconciliazione, i servizi di sicurezza della PA hanno preso di mira i sostenitori di Hamas e viceversa».

Human Rights Watch ha intervistato 147 testimoni, inclusi ex detenuti e parenti, avvocati e rappresentanti di gruppi non governativi e ha esaminato prove fotografiche, rapporti medici e documenti giudiziari e tutti sono concordi con le conclusioni del rapporto: la dissidenza tra i palestinesi non è minimamente ammessa.

«Arresti arbitrari sistematici e torture violano i principali trattati sui diritti umani ai quali la Palestina ha recentemente aderito» scrive HRW nel suo rapporto. «Pochi funzionari di sicurezza sono stati perseguiti penalmente e nessuno è stato condannato per arresto o tortura illegale» aggiunge HRW.

Poi HRW chiede all’Europa e agli USA di interrompere i finanziamenti ai due regimi. «L’Unione europea, gli Stati Uniti e altri governi che sostengono finanziariamente l’Autorità palestinese e Hamas dovrebbero sospendere gli aiuti alle unità o agenzie specifiche implicate in arresti arbitrari e torture diffusi fino a che le autorità non frenino tali pratiche e arrestino i responsabili degli abusi» si legge nel rapporto.

Non manca, come da tradizione, anche un attacco a Israele. «Il fatto che Israele violi sistematicamente i più elementari diritti palestinesi non è un motivo per rimanere in silenzio di fronte alla sistematica repressione del dissenso e alla tortura che le forze di sicurezza palestinesi stanno perpetrando», ha detto Shawan Jabarin, direttore esecutivo dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq e membro del Comitato consultivo di Human Rights Watch in Medio Oriente e Nord Africa.

Human Rights Watch si lamenta anche del fatto che Israele non ha permesso ai suoi funzionari di entrare a Gaza per intervistare i dirigenti di Hamas mentre hanno potuto interloquire con i dirigenti della Autorità Palestinese. Avrebbero potuto entrare dall’Egitto, ma questo non lo raccontano.

Autorità Palestinese e Hamas hanno comunque rigettato le accuse di Human Rights Watch sostenendo che l’organizzazione per la difesa dei Diritti Umani non è stata né imparziale né sincera nel suo rapporto.

Sarah G. Frankl

Migranti. "La Libia non è un porto sicuro": motivazione della scarcerazione dei pescatori tunisini arrestati a Lampedusa per aver soccorso dei migranti

La Repubblica
Le motivazioni del tribunale del Riesame sul ritorno in libertà di Chamseddine Bourassine: le persone soccorse non potevano tornare in Nordafrica. I migranti soccorsi dai pescatori tunisini, arrestati il 30 agosto a Lampedusa, non potevano essere portati in Libia "perché non è un porto sicuro".


Lo scrivono i giudici del Tribunale del riesame di Palermo che hanno depositato le motivazioni del provvedimento con cui, lo scorso 22 settembre, hanno scarcerato i sei componenti di un peschereccio tunisino finiti in carcere con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. 

"Non ci sono elementi per sostenere che abbiano avuto un ruolo nell'organizzazione del viaggio, la circostanza che si siano messi a pescare solo per allontanare i sospetti appare allo stato poco verosimile".

Secondo quanto ipotizzato dalla procura di Agrigento e dal gip, i pescatori avevano deliberatamente trainato un barchino con quattordici migranti in difficoltà verso Lampedusa senza avvisare le autorità. "Sei pescatori che hanno soccorso un'imbarcazione in difficoltà sono stati scambiati per trafficanti di esseri umani", sostengono gli avvocati Leonardo Marino, Giacomo La Russa e Roberto Majorini.

Il collegio presieduto da Emilio Alparone aggiunge: "È inverosimile che si siano messi a pescare solo per allontanare sospetti e non potevano portarli in Libia perché non era un porto sicuro". In altre parole i giudici sottolineano che la scelta di trainare i migranti verso le coste di Lampedusa non sia indicativa della volontà di farli entrare illegalmente in Italia, perché "pur trovandosi in Sar libica, non potevano essere trasportati in Libia, che non può certo definirsi porto sicuro".

Sulle osservazioni della procura, secondo cui il barchino sarebbe stato in buone condizioni e non vi fosse alcuna avaria, sottolineano: "Allo stato è un'osservazione superficiale e poi bisogna considerare che era sovraccarico". In definitiva, secondo il tribunale del riesame, si è in presenza di due differenti versioni dei fatti e "gli indizi, sebbene esistenti, non sono gravi".

Chamseddine Bourassine, difeso dall'avvocato Salvatore Cusumano, e gli altri pescatori, a sostegno dei quali si sono mobilitati associazioni in Italia, in Francia e nel loro paese, sono noti in Tunisia per aver salvato decine e decine di migranti davanti alle coste nordafricane. "È la prima volta che abbiamo problemi di questo genere. Abbiamo salvato tante vite umane, lo abbiamo fatto in molte altre circostanze. Per salvare vite umane abbiamo fatto tanta formazione", disse appena scarcerato Chamseddine Bourassine.
Giorgio Ruta

Leggi anche :

23 settembre 2018 -Liberati dopo 20 giorni di carcere 6 pescatori tunisini che avevano salvato 14 migranti: "Non sono scafisti"

A Oleg Sentov, scrittore ucraino prigioniero in Russia, il premio Sakharov 2018

TPI
Oleg Sentsov è il vincitore del premio Sakharov 2018. Sentsov è un regista e scrittore ucraino, originario della Crimea, conosciuto per il suo film del 2011 Gamer. Dopo l’annessione russa della Crimea fu arrestato e condannato a 20 anni di carcere da un tribunale russo con l’accusa di aver complottato per atti di terrorismo.


Il 14 maggio 2018, ha iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per protestare contro la detenzione di 65 prigionieri politici ucraini in Russia e chiedendo la loro liberazione.

Dopo 87 giorni di fame, la sua salute si è completamente deteriorata. Secondo alcuni analisti, Putin ha deciso di lasciare morire Sentsov.

Sentsov era nato il 13 luglio 1976 a Simferopol, in Crimea.

Dopo le proteste del novembre 2013, Sentsov è diventato un attivista di piazza Maidan. Sentsov ha dichiarato di non riconoscere l’annessione russa della Crimea. Sentsov è stato arrestato l’11 maggio 2014 in Crimea con l’accusa di “complotto di atti terroristici”.

Insieme agli attivisti Gennady Afanasyev, Alexei Chirnigo e Alexander Kolchenko, fu detenuto dal Servizio di sicurezza federale della Russia, che li accusò di aver cercato di portare a termine attacchi terroristici su ponti, elettrodotti e monumenti pubblici in Crimea, nelle città di Simferopol, Yalta e Sebastopoli.

Sentsov, Afanasyev, Chirnigo e Kolchenko sono stati anche accusati di appartenenza al gruppo paramilitare nazionalista ucraino, accusa che sia Sentsov sia il gruppo, hanno negato. Sentsov è stato picchiato e minacciato di stupro per estorcergli delle confessioni.

Secondo gli avvocati di Sentsov, gli investigatori hanno rifiutato di aprire un caso sulle sue accuse di tortura, sostenendo che i suoi lividi erano autoinflitti e che era appassionato di sadomasochismo.

Il 19 maggio 2014, Sentsov è stato rinchiuso nella prigione di Lefortovo a Mosca.

Il 26 giugno 2014 il Consiglio presidenziale russo per la società civile e i diritti umani ha presentato ricorso al sostituto procuratore generale Viktor Grin. Il 7 luglio 2014 l’arresto di Sentsov è stato prorogato fino all’11 ottobre. Nell’ottobre 2014 il suo arresto è stato nuovamente prorogato fino all’11 gennaio 2015.

Sentsov è stato privato della cittadinanza ucraina. Il 21 luglio 2015, Sentsov è stato processato per terrorismo in Russia tra le proteste internazionali e una lettera aperta di importanti registi europei come Pedro Almodóvar, Ken Loach, Béla Tarr e Wim Wenders.

Il 25 agosto 2015, un tribunale russo di Rostov-on-Don ha condannato Sentsov a 20 anni di prigione.

Sentsov sta scontando la pena nella colonia penale di Labytnangi, nell’Okrug autonomo di Yamalo-Nenets, nel nord della Russia.

Il 14 maggio 2018, ha fatto uno sciopero della fame a tempo indeterminato per protestare contro la detenzione di tutti i prigionieri politici ucraini in Russia e chiedendo la loro liberazione

mercoledì 24 ottobre 2018

200 profughi dalla Bosnia sfondano cordone di polizia al confine croato, 2 feriti

ANSAmed
Sarajevo - In Bosnia-Erzegovina circa duecento migranti hanno sfondato un primo cordone di polizia di fronte al valico di confine croato di Maljevac, a Velika Kladusa (nordovest), e il passo di confine è bloccato.


Secondo fonti giornalistiche sul posto, almeno due migranti sono rimasti feriti. Sul luogo degli incidenti è arrivato anche un elicottero con a bordo unità speciali della polizia croata.

12 giugno 2018 - Nave americana Trenton soccorre gommone affondato, salvi 41 migranti, 76 sono morti. Giungono le testimonianze dei naufraghi. La nave si era già avvicinata prima che affondassero, potevano essere tutti salvi.

La Repubblica
Il 12 giugno 2018 la nave della Marina americana Trenton soccorre 41 migranti nel Mediterrano, al largo della Libia, aggrappati al loro gommone ormai distrutto. Altri loro compagni di traversata sono meno fortunati: 76 persone muoiono nel naufragio. 
Il VIDEO delle testimonianze dei migranti naufraghi >>>
A distanza di mesi abbiamo incontrato sei dei 41 sopravvissuti, che per la prima volta raccontano cosa è successo quel giorno. I loro ricordi sono drammatici: hanno visto morire annegati fratelli, fidanzate, donne incinte. Aggrappati a loro o a quel che restava del gommone. Raccontano di aver visto, quella mattina, la nave militare americana molto prima che il gommone si rovesciasse. "Vedevamo quella nave. Non era lontana. Vedevamo la bandiera americana. Se ci avesse visti e soccorsi quando tutti eravamo ancora a bordo, 76 persone non sarebbero morte".

Alla nostra richiesta di informazioni sulla dinamica dell’avvistamento del gommone, il Comando Navale Americano ha ribadito che la nave Trenton ha visto l’imbarcazione solo quando si era già rovesciata e le persone erano in acqua. 

Ma l’episodo del 12 giugno non è l’unico in cui la Trenton si è trovata a poche miglia da un'imbarcazione di migranti, come testimonia un colloquio radiofonico avvenuto pochi giorni prima in quelle stesse acque.

di Fabio Butera

La vita nell'inferno delle prigioni in Sierra Leone. Reportage shock dei giornalisti AFP

Blog Diritti Umani - Human Rights
Un raggio di luce entra nell'aria viziata attraverso un'apertura a misura di pugno. Illumina corpi nudi e sudati, accatastati fianco a fianco come sardine, sdraiati nell'oscurità su un pavimento di cemento unto.

L'odore di urina e di escrementi si propaga da un secchio di plastica traboccante - un singolo secchio per una cella contenente forse 20 persone - il fetore prende alla gola. Siamo nel Centro correzionale di Bo nel sud della Sierra Leone.

È una delle otto prigioni che un giornalista dell'AFP ha visitato la scorsa settimana per valutare lo stato delle prigioni del paese, che, secondo voci indipendenti, è uno scandalo nazionale.

Celle sovraffollate e scarsamente illuminate, dove i detenuti dicono di soffrire di malattie, cibo avariato, scarafaggi e cimici, clima di violenza ...

"Sono rimasto bloccato con due pacchetti di marijuana e ho trascorso tre anni in detenzione preventiva - è come vivere all'inferno", ha detto un detenuto. "La mancanza di spazio è tale che le persone devono fare a turno" per sdraiarsi, ha detto uno di loro, che, come molti altri, ha chiesto di non essere nominato per paura della rappresaglia delle guardie.


"Coperte e tappeti sono un lusso nella nostra cella, anche quello che mangiamo ha un cattivo odore", ha detto un altro. "La violenza tra detenuti per cibo, acqua e spazio è una realtà quotidiana", ha detto un uomo con le stampelle nella prigione di Kenema, la terza città più grande dell'Africa occidentale. "È una giungla, sopravvive il più forte."

Nel 2016, la Commissione per i diritti umani della Sierra Leone ha definito "disumana" la miseria e la mancanza di programmi di riabilitazione o educazione nelle carceri del paese.

Walter-Neba Chenwi, specialista dello stato di diritto nel Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), che ha un progetto per migliorare le carceri della Sierra Leone, considera le condizioni di detenzione "molto al di sotto degli standard internazionali in termini di diritti umani ".

"Dei 4.525 detenuti nelle prigioni della Sierra Leone, abbiamo 2.659 persone in più rispetto alla capienza e sono costretti a trovare un posto in celle sovraffollate", ha affermato Dennis Herman, direttore delle risorse umane presso il Servizio correzionale della Sierra Leone.

La prigione Kenema, costruzione in pietra del 1826 nel periodo della dominazione coloniale britannica, può in teoria ospitare 75 detenuti, ma ne sono reclusi circa 300, come dichiara  il direttore Lamin Sesay.

Nel penitenziario di Bo, progettato per 80 detenuti, ne sono ospitati 300, l'agente  Mohamed Opinto Jimmy ha detto che nelle celle previste dai regolamenti per ospitare 4 persone, sono stipate tra le 15 e le 20 persone
Secondo i funzionari della prigione, le malattie e la mancanza di accesso alle cure sono un grave problema quotidiano. A Bo, c'è un solo operatore sanitario per 300 detenuti, molti detenuti hanno malattie croniche come la tubercolosi, l'AIDS e la malaria.

"Alcuni detenuti, anemici, sono molto deboli e non riescono a stare in piedi in cella, strusciano negli angoli per ottenere cibo, acqua e spazio", dice l'operatore sanitario.

La scabbia è una comune malattia della pelle, a causa dell'impossibilità di lavarsi edeguatamente: spesso possono solo fare una doccia una volta alla settimana perché l'acqua è razionata.

I detenuti di Bo sono costretti a camminare - con una nutrita scorta di agenti - per  chilometri per raggiungere torrenti con acqua inquinata o scavare a mano pozzi per riempire taniche e portarle in prigione.

Di fronte a questo quadro cupo, i sostenitori dei diritti sperano i dei miglioramenti.

Il ministero della Giustizia della Sierra Leone ha appena completato un programma dal titolo "From Prison to Corrections"  sostenuto dall'PNUD e dagli Stati Uniti, che ha lo scopo di formare 30 funzionari penitenziari e promuovere migliori condizioni di detenzione (accesso cura, celle adeguate, programmi di riabilitazione ...)

E l'
PNUD sta facendo lavori di costruzione e ristrutturazione, principalmente nel settore idrico e igienico-sanitario, in otto delle 19 prigioni del Paese.

Ma il giudice della corte Nicholas Browne-Marke ha dichiarato all'AFP che è necessario anche un aiuto per il sistema giudiziario sottosviluppato e cronicamente congestionato della Sierra Leone.

Ezio Savasta 
[Fonte: AFP]

martedì 23 ottobre 2018

Iraq, pena di morte. Il Governo: uccisi per impiccagione 6 condannati

Ansa
Baghdad - Anche con l'esecuzione della pena di morte l'Iraq tenta di combattere il terrorismo nel paese: solo ieri sei persone, riconosciute colpevoli di "terrorismo" dai tribunali militari iracheni, sono state uccise per mezzo dell'impiccagione. 

Lo riferisce il ministero della giustizia di Baghdad, che però non ha precisato la nazionalità dei condannati. 

Solo l'anno scorso, lo Stato iracheno ha ordinato l'uccisione di 111 "terroristi", mentre nei primi nove mesi di quest'anno sono 19 le persone giustiziate dopo aver subito processi per "terrorismo".

lunedì 22 ottobre 2018

Zimbabwe: dichiarata incostituzionale la norma che vietava le manifestazioni. L'Africa fa un passo avanti sui diritti umani.

Presenza
Il 18 ottobre la Corte Costituzionale dello Zimbabwe ha annullato l’articolo 27 della Legge sulla sicurezza e l’ordine pubblico, che vietava le manifestazioni prive di autorizzazione preventiva da parte della polizia.


La legge, approvata nel 2002, era la fotocopia della legislazione in vigore quando il paese, allora Rhodesia, era una colonia britannica.

Per decenni, l’articolo 27 è stato usato per arrestare e torturare oppositori politici e attivisti per i diritti umani.

Libia, l'appello all'Unhcr di 300 migranti prigionieri: "Aiutateci! O non ci resta che morire"

Rai NewsSono migliaia i migranti prigionieri nei centri di detenzione in Libia. Le organizzazioni umanitarie internazionali stanno cercando di evacuarne più possibile nei campi profughi in Niger. 
Una delle immagini inviate insieme all'appello per la ricerca di aiuto
Ma in alcune zone della Libia gli accesi combattimenti tra milizie impediscono l'accesso ai rappresentanti dell'Unhcr. Noi siamo entrati in contatto con un giovane eritreo, da tre mesi prigioniero in un hangar vicino all’aeroporto internazionale di Tripoli. 

Ci sono in tutto 300 migranti, tra cui donne e bambini, che chiedono l’intervento dell’agenzia ONU per i rifugiati e di essere al più presto evacuati. 


Angela Caponnetto

Ungheria dopo stretta su migranti e Ong adesso manda in carcere i senzatetto! Situazioni in cui legalità e giustizia non coincidono!

La Stampa
Il reticolo di sottopassaggi del centro di Budapest ieri era completamente deserto. Accanto ai piloni dei ponti, e vicino ai marciapiedi solo i resti di giacigli provvisori, qualche rifiuto, i bidoni usati come stufe ormai fredde. Le decine di clochard che qui trovavano rifugio sono improvvisamente scomparse. 




Dopo la stretta sui migranti, sui media e sulle ong, nel mirino di Orban sono finiti i senzatetto: da ieri in Ungheria chiunque venga sorpreso a dormire per strada sarà arrestato. 


È l’effetto della modifica dell’articolo 22 della Costituzione voluta dal governo, approvata dal parlamento di Budapest, e fortemente criticata dagli attivisti dei diritti umani come «crudele». 

Già a giugno l’esperta di housing dell’Onu, Leilani Farha, l’aveva definita «incompatibile con la legge internazionale per i diritti umani». 

Il provvedimento dà la possibilità alla polizia di arrestare i senzatetto che vengono scoperti tre volte in 90 giorni a dormire all’aperto. La polizia, dopo tre «avvertimenti», avrà la facoltà di portarli in carcere e distruggere tutti i loro averi. A meno che i clochard non siano in grado di pagare una multa che, secondo le ong, «nessuno di loro potrà pagare».

L’obiettivo è «assicurare che i senzatetto spariscano dalle strade e che i cittadini possano fare uso dello spazio pubblico», ha dichiarato Attila Fulop, segretario di Stato per gli affari sociali, mentre Bence Rétvári, viceministro delle Risorse umane, ha spiegato che «salverà vite umane con l’approssimarsi dell’inverno».

Si stima però che in Ungheria esistano 11 mila posti nei rifugi statali, mentre sarebbero 20 mila i senzatetto. Gabor Ivanyi, che guida il gruppo Oltalom (Shelter) che gestisce rifugi con 600 posti letto a Budapest, ha detto che «questa legge ha lo scopo di spaventare i senzatetto per spingerli a fuggire», e che «ora hanno paura, e non possiamo prevedere cosa succederà».

domenica 21 ottobre 2018

Attacco razzista a Brindisi. 2 migranti feriti con la mazza da baseball da una ronda. Ma non fa più notizia!

Repubblica - Bari
Le due vittime hanno denunciato l'accaduto che è stato subito rilanciato dal 'Forum provinciale per cambiare l’ordine delle cose': un terzo migrante sarebbe riuscito a scappare grazie all'intervento di un passante.

Brindisi - Due migranti sono stati feriti a Brindisi con le mazze da baseball da una ronda razzista, mentre una terza aggressione sarebbe fallita per l'intervento di un passante. Lo denuncia il "Forum provinciale per cambiare l’ordine delle cose" in un comunicato diffuso questa sera, condannando i gravi episodi.

L'aggressione è avvenuta nella notte ed è stata denunciata dalle due vittime che hanno chiamato le forze dell'ordine dopo l'aggressione di chiaro stampo razzista.
"l Forum provinciale di Brindisi per cambiare l’ordine delle cose esprime la sua piena solidarietà a Elija, segretario della comunità cittadina del Ghana, stimato lavoratore e residente a Brindisi da molti anni, e a un ragazzo del Senegal, residente attualmente nel dormitorio, per la brutale aggressione subita venerdì sera. Il primo mentre tornava a casa dal lavoro, il secondo mentre stava per raggiungere la Caritas", si legge nel comunicato.

Una terza aggressione ai danni di un giovane migrante sarebbe stata evitata in tarda serata sempre ieri venerdì 19 ottobre "grazie al senso civico di un brindisino che ha urlato al commando razzista che avrebbe chiamato la polizia. E non si sa ancora se la ronda anti-migranti abbia colpito anche altri", denuncia ancora il Forum.

"Il Forum censura ogni forma di violenza e il clima razzista che si è creato in città. Abbiamo piena fiducia nelle forze dell’ordine e nella magistratura affinché siano individuati i colpevoli di questa violenza. Noi non vogliamo che razzismo e xenofobia crescano nelle società e nelle democrazie europee. Per questo vogliamo lavorare tutti insieme per far crescere e condividere diritti e opportunità per la costruzione quotidiana di una società sempre più aperta e solidale", conclude il comunicato con la notizia delle aggressioni.

Paola Russo

La testimonianza di Nour arrivata a Lampedusa il 13 ottobre: "Cosa succede di notte alle donne nelle celle di un campo di detenzione in Libia"

SIR
La testimonianza di Nour, una ragazza è arrivata a Lampedusa il 13 ottobre. Sull'isola i migranti continuano a sbarcare in piccoli gruppi e con barchette di legno, per lo più tunisini. Il lavoro degli operatori di Mediterranean Hope.
"Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le quattro porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all'aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna".
Il disegno di Nour che descrive le condizioni di detenzione per le donne in Libia
Questa è una delle terribili testimonianze raccolte dagli operatori di Mediterranean Hope, programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che vivono a Lampedusa e mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima accoglienza e mediazione con i migranti.

Frammenti di vita e di orrore riportati da Nev-notizie evangeliche. La testimonianza di Nour è stata raccolta nei giorni scorsi; la ragazza è arrivata a Lampedusa con lo sbarco del 13 ottobre. Sull'isola i migranti continuano ad arrivare in piccoli gruppi e con barchette di legno, per lo più tunisini. Mentre il viaggio dalla Libia sembra aver preso nuove modalità, con molti trasbordi tra barche piccole e più grandi fino all'arrivo in acque internazionali, come racconta Imad, anche lui arrivato il 13 ottobre: "2700 dollari per il viaggio dall'Egitto a Lampedusa, comprensivo di viaggi in camion e in barca. La detenzione prima in una casa e poi in una sorta di campo profughi".

Le violenze e la fame
E poi il viaggio, affrontato con altre 33 persone, provenienti da Libano, Egitto, Somalia, Eritrea, su una barca piccola che li ha caricati su una nave e scaricati a 5 ore dalle coste di Lampedusa per permettergli di raggiungere autonomamente la costa. Le persone più scure venivano fatte stare nella stiva mentre egiziani e libici potevano restare sul ponte. I migranti nell'hotspot dell'isola spesso riescono ad arrivare in paese e Mediterranean Hope mette a loro disposizione un Internet point per contattare i familiari e rassicurarli comunicando il proprio arrivo.

Abdi, invece, è partito dall'Eritrea, ha attraversato l'Etiopia e poi passando dal Sud Sudan è arrivato in Libia dove ha passato un anno e sette mesi in un luogo chiuso e angusto, venendo picchiato tutti i giorni dai 'Gangsterman', fino a quando gli hanno fatto chiamare la madre, in Eritrea, chiedendole 11 mila dollari per il riscatto. Solo dopo aver pagato è stato imbarcato ed è arrivato a Lampedusa. 

Zakaria viene da Asmara ed è arrivato in Libia attraverso il Sudan. Lì è rimasto per due anni in prigione, venendo spostato di città in città, fino all'imbarco, al viaggio e allo sbarco a Lampedusa. Marta Bernardini, che coordina il programma MH sull'isola afferma che "queste storie, piene di brutalità e violazioni dei diritti degli esseri umani dimostrano una volta di più che si deve lavorare per creare dei passaggi sicuri per chi fugge da guerre e povertà, che i corridoi umanitari sono una soluzione possibile per contrastare il cinismo dei trafficanti, della politica che ha chiuso ogni via legale di accesso in Italia e in Europa, e l'egoismo di chi invoca frontiere chiuse e blocchi navali".

Giuseppe Marinaro

Sangue sul voto in Afghanistan, 50 morti e oltre cento feriti

Corriere della Sera
Nella capitale Kabul un attacco kamikaze al seggio ha fatto 15 morti. Alle urne 8,8 milioni di afghani per eleggere il nuovo Parlamento. Sono complessivamente quasi 50 i morti e oltre cento i feriti nel bilancio parziale di diversi attentati che hanno insanguinato le elezioni in Afghanistan. 


È salito a 15 il numero dei morti in un attacco suicida a un seggio elettorale di Kabul. Sessanta i feriti, secondo il portavoce del ministero dell'Interno. Emergency riferisce invece di esplosioni e attentati ai seggi che hanno causato decine di feriti in tutta la città. Quarantotto sono arrivati in mattinata all'ospedale di Emergency a Kabul: 14 sono stati trattati in pronto soccorso, 33 sono stati ricoverati, uno è arrivato morto, un bambino di 10 anni.

"Kabul vive l'ennesima giornata di violenza, ma questa non è più una notizia. Nel corso dei primi 7 mesi del 2018 abbiamo registrato il 17% di feriti in più rispetto allo stesso periodo del 2017. Ma i feriti stanno arrivando anche dalle province vicine. Adesso ne stiamo aspettando 8 dal nostro Posto di pronto soccorso di Tagab", dice Dejan Panic, coordinatore del Programma di Emergency in Afghanistan. "L'ospedale è pieno, abbiamo dovuto riferire ad altri ospedali i pazienti arrivati oggi con fratture chiuse e aggiungere dei letti perché anche ieri erano arrivati 22 feriti".

I talebani hanno preso di mira i seggi elettorali con colpi di mortaio a Nangarhar, Kudduz, Ghor, Kunar e altre provincie. Funzionari della provincia orientale di Nangarhar hanno affermato che nelle violenze sono state uccise almeno 20 persone. Decine i feriti. Nella provincia settentrionale di Kunduz, in seguito all'attacco dei talebani, sono stati uccise almeno cinque persone. Sono state segnalate violenze infine a Badakhshan, Balkh e in qualche altra provincia, ma non sono stati riportati dettagli confermati su eventuali vittime.

La Commissione elettorale indipendente afferma che 8,8 milioni di afghani sono registrati al voto. Wasima Badghisy, membro della commissione, ha definito gli elettori "molto, molto coraggiosi" e afferma che già un'affluenza di 5 milioni sarebbe un successo. Alla vigilia delle elezioni due candidati sono stati uccisi mentre il voto a Kandahar è stato rimandato di una settimana dopo che una guardia ha ucciso il potente capo della polizia provinciale. Il portavoce della commissione, Aziz Ismaili, dice che non saranno pubblicati risultati prima di metà novembre e che i risultati finali non saranno disponibili prima di dicembre.

Le elezioni sono viste come un indicatore importante in vista delle presidenziali del prossimo aprile e sono un passaggio cruciale a poche settimane dal summit Onu che si terrà a Ginevra a novembre dove verrà chiesto a Kabul di mostrare i progressi fatti nel processo democratico. L'apertura dei seggi è stata posticipata per permettere a tutti di votare. I candidati sono oltre 2.565 di cui 2.148 uomini e 417 donne. Si vota per 102 seggi nella Camera alta, la Mesherano Jirga e per 250 nella Camera bassa, la Wolesi Jirga.