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martedì 28 febbraio 2017

Dalla Libia all’Italia minori a rischio - L’allarme dell’Unicef: viaggio mortale

Corriere della Sera
Si chiama «Un viaggio mortale per i bambini» il rapporto dell’Unicef pubblicato il 28 febbraio sui minori che arrivano, spesso non accompagnati, dall’Africa arrivano in Europa lungo la rotta del Mediterraneo centrale. 


Sono storie di violenze, abusi sessuali e schiavitù che cominciano già nei campi di detenzione in Libia, 34 in tutto quelli identificati, 24 gestiti dal governo e 10 dalle milizie, che spesso sono carenti anche nella fornitura di acqua, cibo, abiti e assistenza medica,

«Quello che ci ha veramente scioccato — ha detto il vice direttore esecutivo dell’Unicef Justin Forsyth — è ciò che succede a questi bambini durante il viaggio verso l’Europa. Molti di loro vengono violentati, brutalizzati e uccisi». Kamis, nove anni, era partita con la madre dalla Nigeria e, dopo aver attraversato il deserto, si è ritrovata nel campo di detenzione di Sabrata, in Libia. «Ci picchiavano ogni giorno — ha raccontato agli operatori dell’Onu —, non c’era nemmeno da bere. Il posto era molto triste. Non c’era nulla». Una violenza che viene inflitta senza motivo, tanto per passare il tempo. «Quasi la metà delle donne e dei bambini intervistati ha subito abusi sessuali durante il viaggio. Spesso più di una volta. Lo stupro è sistematico ai posti di blocco e alle frontiere» si legge nel rapporto. Gli assalitori sono, il più delle volte, uomini in uniforme, per questo molte delle vittime sono restie a denunciare i crimini. 


I campi
L’organizzazione spiega di avere avuto accesso a meno della metà dei centri che dipendono dal Dipartimento di governo per la lotta alla Migrazione illegale: in questi luoghi i migranti, compresi i minori, sono trattenuti a gruppi di 20 in celle di due metri quadri. Ancor peggiore è la situazione nei campi gestiti dalle milizie, a questi Unicef non ha accesso ma sulla base di relazioni di altre agenzie o missioni dell’Onu vengono definiti «buchi infernali», spesso luoghi di lavoro forzato, dove la tortura è una pratica comune. 

Nella relazione si ricorda che dei 181.436 migranti e profughi arrivati in Italia nel 2016, 28.223, ovvero il 16% circa, sono minori, e 9 su 10 di questi sono arrivati sulle coste italiane non accompagnati. Inoltre, dei 4.579 migranti che nel 2016 si stima siano morti durante la traversata del Mediterraneo, si ritiene che 700 fossero minori. E dei 256mila migranti individuati dall’Unhcr in Libia a settembre 2016 (ma le stime dell’Oim moltiplicano il numero sia tre volte tanto) 28.031 sono donne (11%) e 23.102 (9%) minori, un terzo di questi si ritiene non siano accompagnati.

«La rotta del Mediterraneo Centrale, dal Nord Africa all’Europa, è tra quelle al mondo in cui muoiono piu’ persone ed è tra le più pericolose per i bambini e le donne — ha dichiarato Afshan Khan, direttore regionale e coordinatore speciale dell’Unicef per la crisi dei rifugiati e dei migranti in Europa — perché è controllata dai trafficanti e da altre persone che vedono come prede i bambini e le donne disperati . Sono necessarie vie e piani di sicurezza sicuri e legali per proteggere i bambini migranti, per tenerli al sicuro e lontano dai predatori».

Il programma
L’Unicef ha sviluppato un programma di sei punti d’azione per questi bambini:
1) Proteggere i bambini rifugiati e migranti, in particolar modo quelli non accompagnati, da sfruttamento e violenza.
2) Porre fine alla detenzione dei bambini richiedenti lo status di rifugiato o migranti, introducendo una serie di alternative praticabili.
3) Tenere unite le famiglie, come migliore mezzo, per proteggere i bambini e dare loro il riconoscimento di uno status legale.
4) Consentire ai bambini rifugiati e migranti di studiare e dare loro accesso a servizi sanitari e di altro tipo, di qualità.
5) Chiedere di intraprendere azioni sulle cause che spingono a movimenti di massa di migranti e rifugiati.
6) Promuovere misure che combattano xenofobia, discriminazioni e marginalizzazione nei paesi di transito e di destinazione.


di Monica Ricci Sargentin

Ungheria costruisce un secondo muro al confine con la Serbia

EuroNews
Un muro solo non bastava l’ Ungheria, lunedì ha iniziato a costruire una seconda barriera anti-immigrati al confine con la Serbia. Quello del contrasto all’immigrazione è il cavallo di battaglia del governo di Orban, in vista delle elezioni del 2018. 


Zoltán Kovács portavoce dell’esecutivo ungherese in missione a Bruxelles, ha spiegato a euronews che la costruzione della struttura “è dovuta a tutto ciò che sta accadendo ai confini europei, ed ovviamente, anche all’accordo tra l’UE e la Turchia. 

Ma è dovuta più che altro al fatto che sono circa 80.000 le persone che stanno ancora percorrendo la rotta dei Balcani occidentali. La primavera sta arrivando e, secondo stime tedesche, ci sono almeno 6-6,5 milioni di persone in attesa di entrare nell’Unione europea “.
La nuova recinzione si aggiungerà al muro di filo spinato eretto nel 2015 per impedire l’accesso nel Paese di centinaia di migliaia di migranti in fuga soprattutto dalla Siria. La organizzazioni per i diritti umani denunciano le condizioni disumane in cui vengono lasciati migranti che bussano alle porte d’Europa.

Iraq, dall’inizio dell’offensiva a Mosul 235mila rifugiati.

Editorpress Info
Dall’inizio dell’offensiva per liberare dallo Stato Islamico (Isis) la città di Mosul nel nord , “il numero dei rifugiati è salito a 235.000 persone, 65mila delle quali hanno già fatto ritorno nelle zone liberate”.
Lo ha annunciato il ministro della Migrazione iracheno, Jassim al Jaaf.



Parlando in una conferenza stampa tenuta nella sede del ministero a Baghdad, il ministro ha precisato che il numero delle persone fuggite dalla parte occidentale della città presa d’assalto dai governativi la scorsa settimana “è di circa 14mila”, come riporta la tv satellitare curda Rudaw.

Il numero totale dei rifugiati, da quando è stato proclamato lo Stato Islamico nell’estate del 2014, “ha raggiunto 4,3 milioni di persone, 680mila delle quali hanno fatto ritorno nelle loro zone”, ha aggiunto il ministro.

lunedì 27 febbraio 2017

Turchia - Nelle carceri manca spazio per gli arresti del dopo golpe. Dopo il rilascio di 36 mila detenuti comuni, nuovi provvedimenti

Ansa
Dopo aver già rilasciato in anticipo alla fine dell'estate 36 mila detenuti per reati minori, la Turchia è pronta a fare altro spazio nelle sue carceri, rese sovraffollate dagli almeno 44 mila arresti seguiti al fallito golpe del 15 luglio.



I detenuti condannati a meno di 10 anni e con almeno un mese di buona condotta potrebbero essere trasferiti in "prigioni aperte", cioè centri di detenzione con sorveglianza minima. 

Lo ha annunciato il premier Binali Yildirim, sottolineando che dalla misura saranno esclusi i condannati per terrorismo, crimine organizzato e abusi sui minori, e che non ci saranno comunque sconti di pena. "C'è un certo sovraffollamento legato alla lotta al terrorismo", ha spiegato, commentando il nuovo regolamento, approvato mercoledì dal ministero della Giustizia.

Dov’è la legge contro la tortura? di Roberto Saviano

L'Espresso
Renzi si era impegnato a introdurre il reato nel codice italiano. Ma tutto è fermo per i ricatti dei partiti di destra

Ci sono messaggi che vanno lanciati nel mare, come messaggi nelle bottiglie. Li scrivi, li arrotoli e aspetti, soprattutto speri. Speri che qualcuno li trovi, li raccolga. Non solo, speri che qualcuno si appassioni, senta la necessità di fare sua una tua battaglia, capendo che c’è qualcosa da guadagnare e tanto ancora da perdere.

Ci sono volte in cui è necessario litigare con il potere, in cui è necessario stanarlo sapendo che il potere ha dalla sua tutto, che ha dalla sua molto. Intanto ha il consenso, quello di chi l’ha legittimato, votandolo e quello di chi lo voterà. Sapendo che litigare con il potere non porta mai vantaggi perché il potere è strutturalmente fatto per avere consenso. Non esiste politica senza compromesso, possiamo accettarlo se si dà al compromesso un’accezione che non sia necessariamente quella di mortificazione di idee e prassi virtuose. Ma ormai dobbiamo fare i conti con una tristissima realtà: non esiste compromesso che non serva ad ampliare la base elettorale. I voti, il numero di voti, ora e subito, qui e adesso. Solo questo conta. E più conta questo, più il voto diventa effimero, ce lo hai adesso per perderlo domani.

Ci sono polemiche che è necessario fare perché la politica si assuma responsabilità, perché ammetta di aver fallito, sbagliato, ignorato. Ed è necessario farle perché, anche se sembrano riferite ai massimi sistemi, in realtà racchiudono precise indicazioni sul futuro.

Matteo Renzi , nell’aprile del 2015, quando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannò l’Italia per non avere ancora introdotto il reato di tortura, quando da Strasburgo definirono ciò che nel 2001 era accaduto alla Diaz e a Bolzaneto tortura, promise che il suo governo avrebbe introdotto il reato di tortura, si prese un impegno importante, che avrebbe reso giustizia a chi di tortura era morto, ma anche alle forze dell’ordine che in Italia vedono macchiata e compromessa la loro rispettabilità e la passione per un lavoro duro e logorante, fatto spesso senza adeguata retribuzione, in condizioni difficili, senza mezzi, senza benzina, senza divise invernali. Introdurre il reato di tortura in Italia non è una concessione, ma una necessità ed è criminale non averlo ancora fatto perché sono soprattutto le forze dell’ordine ad aborrire i giustizieri solitari, quelli che ignorano leggi e tribunali, che processano, giudicano e nel caso condannano. Che ignorano l’esistenza di un sistema carcerario (anch’esso in condizioni assai critiche) che però non avrebbe la funzione di punire ma di recuperare e reinserire chi ha sbagliato nella società.

Badate che non sto descrivendo un mondo ideale, non sto sognando a occhi aperti, ma sto dicendo che tutto ciò che si discosta da quanto ho appena descritto è illegale. L’iter della legge che punisce il reato di tortura e il fallimento del governo Renzi, hanno molto a che fare con il dibattito di questi giorni. Hanno molto a che fare con un partito che si crede storicamente progressista, ma che è ostaggio di forze politiche (urlanti, ma assai deboli, rappresentative di poco o nulla) oscurantiste, retrograde e irresponsabili.

La storia di questo reato negato, di un reato che fa vittime, ma che non esiste, è la storia delle alleanze improponibili. E quindi, se è vero che politica è compromesso, che è trovare la quadra, è anche vero che non può sempre essere compromesso al ribasso e ai danni di chi chiede diritti e di chi non ne ha.

E allora ci riproviamo a chiedere responsabilità, non più a Renzi, ma a chi ha maggiori competenze e forse anche volontà di ascoltare. Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto e Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva hanno scritto una lettera importantissima al Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Gli hanno chiesto di adottare la legge sul reato di tortura, nell’interesse di tutti. Gli hanno raccontato come è stata trattata in Senato, gli hanno suggerito come evitare che la legge, nuovamente modificata, ritorni alla Camera per nuova discussione. Ne va del rapporto degli italiani con la politica, ne va del senso di giustizia che ormai da cittadini non riusciamo più a scorgere. Bisogna mettere fine a questa stagione politica marchiata a fuoco dai ricatti degli Alfano, dei Gasparri, dei Salvini. E l’introduzione del reato di tortura nel Codice penale italiano ci sembra un buon modo per iniziare.

Roberto Saviano

Sudan - Rapporto 2016-2017 "Italian for Darfur". Grave peggioramento situazione umanitaria

Italians for Darfur Onlus 
La situazione umanitaria in Sudan resta grave e complessa su gran parte del territorio, in particolare per le esigenze umanitarie acute nella regione del Darfur, ma anche negli Stati del Blue Nile e del Sud Kordofan nel Sudan orientale. La popolazione ha bisogno di assistenza prevalentemente a causa del conflitto tra gruppi ribelli e forze armate sudanesi ma anche per gli scontri inter-tribali che determinano lo spostamento e l'insicurezza alimentare di decine di migliaia di sfollati. 

Tuttavia, i bisogni umanitari sono determinati anche dalla povertà, dal sottosviluppo e dai fattori climatici. Non a caso alcuni dei più alti tassi di malnutrizione si registrano nel Sudan orientale, una zona libera da conflitti.
Nel 2016 circa 5,8 milioni di persone in Sudan hanno avuto bisogno di assistenza umanitaria, di cui 3,3 milioni in Darfur.

I fattori ambientali nell'ultimo anno hanno esacerbato la crisi umanitaria in tutto il paese: precipitazioni imprevedibili e molto abbondanti, su un versante, avanzamento della desertificazione, sull'altro, hanno influenzato negativamente la fornitura e la raccolta di cibo e coltivazioni.

L'instabilità nel Paese si è aggravata con lo scoppio del conflitto in Sud Sudan nel dicembre del 2013, che ha determinato un flusso costante di sud sudanesi. Dalla fine del 2013 al dicembre del 2016, quasi 300.000 rifugiati dal Sudan meridionale sono arrivati nello Stato confinante in fuga dai combattimenti e dall'insicurezza alimentare. Anche se i profughi sud sudanesi sono autorizzati a circolare liberamente all'interno del paese, la maggioranza si è stabilita nei campi allestiti nello Stato del Nilo Bianco mentre altri hanno cercato rifugio nel Darfur orientale. In questo contesto già estremamente destabilizzato dai conflitti interni e dall'instabilità politica, il flusso continuo di rifugiati, richiedenti asilo e migranti da Chad, Eritrea, Etiopia e Repubblica centrafricana aggravano ulteriormente la situazione.

Anche se i bisogni umanitari in Sudan sono prevalentemente causati dal conflitto armato, che non si limita alle sole zone di combattimento, l'insicurezza alimentare e la malnutrizione costituiscono l'elemento più preoccupante. Ad esserne colpiti a livello nazionale sono 11 dei 18 stati del Sudan dove la popolazione vive in condizioni globali di malnutrizione acuta con tassi pari o superiori alla soglia di emergenza del 15 per cento. Tre di questi stati, Mar Rosso, Kassala e Gedaref, non sono colpiti da conflitti.

Almeno 3,6 milioni di persone sono costantemente senza cibo e possono contare su sostentamenti alimentari sporadici.

domenica 26 febbraio 2017

Corridoi umanitari: in arrivo a Fiumicino altri 125 rifugiati, portando a 700 il numero totale

OnuItalia
Roma - Domani, lunedì 27 febbraio giungeranno all’aeroporto di Fiumicino altri 50 profughi siriani dal Libano grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di Sant’Egidio,
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese mentre il 2 marzo ne sono attesi altri 75. A un anno dall’arrivo del primo gruppo sarà raggiunta la cifra di quasi 700 persone giunte in sicurezza e legalmente in Italia su iniziativa degli enti promotori, in accordo con i ministeri degli Esteri e dell’Interno.



Per l’arrivo di lunedì, si terrà, alle 11 a Fiumicino, una conferenza stampa a cui intervengono il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, il presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Luca Maria Negro, la responsabile dell’ufficio Otto per mille della Tavola Valdese, Susanna Pietra, il viceministro degli Esteri, Mario Giro e il sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione. Ci saranno anche alcuni rifugiati, giunti nei mesi scorsi, insieme ad associazioni, laiche e religiose, istituzioni (compresi alcuni Comuni) e singoli cittadini che si sono offerti di accogliere nelle diverse regioni italiane.

Mentre non solo in Europa, ma in tutto il Nord del mondo ci si divide sull’accoglienza di chi fugge da guerre e persecuzioni e si costruiscono muri, – si legge in una nota congiunta di Sant’Egidio e Fcei – la sensibilità e l’impegno della società civile dimostra che è possibile un modello alternativo per accogliere in sicurezza e integrare uomini e donne, altrimenti vittime dei trafficanti di esseri umani (famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità). Grazie alla generosità di tanti italiani, con un progetto totalmente autofinanziato, si sta favorendo l’inserimento dei profughi arrivati nel tessuto civile e sociale del Paese, nel circuito scolastico per i minori e in quello lavorativo per gli adulti, con grande beneficio per la società”.

La nota ricorda che “altri Paesi europei stanno per firmare nuovi accordi per realizzare corridoi umanitari diretti verso il loro territorio. Segno che l’Europa non è condannata a sterili chiusure che guardano al passato, ma può costruire con fiducia il proprio futuro”.

Carceri: due suicidi in 24 ore. Un 22enne si toglie la vita a Roma, un 43enne a Bologna

Ansa
Il giovane era nel carcere di Regina Coeli per resistenza, lesioni e danneggiamento ed era internato, fuggito da una struttura psichiatrica. L'uomo di 43 anni invece, detenuto al Dozza, aveva problemi di tossicodipendenza ed era stato in osservazione psichiatrica.

Un detenuto italiano di 22 anni si è impiccato utilizzando un lenzuolo legato alla grata del bagno nel carcere romano di Regina Coeli. Ne dà notizia la Fns Cisl del Lazio, secondo cui il suicidio è avvenuto alle 23 nella seconda sezione, al terzo piano, dov'erano presenti 167 reclusi. 

Il giovane era in carcere per resistenza, lesioni e danneggiamento ed era internato. 
In passato era evaso dalla Rems ma ripreso e ricondotto in carcere. Il personale di custodia, intervenuto immediatamente non ha potuto salvarlo.

La Fns Cisl sottolinea che Regina Coeli "ha un sovraffollamento di più di 289 detenuti: il dato detenuti presenti è attualmente 911 rispetto ai previsti 622". 


La triste lista di suicidi nei penitenziari italiani purtroppo si allunga. Ieri un detenuto italiano 43 enne si è suicidato nel carcere bolognese del Dozza. Il detenuto ha usato come cappio per l'impiccagione dei lacci delle scarpe legati alle grate delle finestre nel Reparto Infermeria del "Rocco D'Amato" di Bologna.
A darne notizia è il Coordinatore Della Uil Polizia Penitenziari di Bologna Domenico Maldarizzi che aggiunge: "L'uomo con problemi di tossicodipendenza e con provvedimento definitivo fino al 2025, era stato in osservazione psichiatrica in altre strutture e a quanto pare non destava particolari sospetti tali da richiedere particolari accorgimenti".

Egitto: cristiani bersaglio dell'Isis. Ucciso un altro cristiano il sesto del mese. 200 famiglie copte in fuga da Al-Arish

Ansa Med
Il Cairo - Un altro cristiano egiziano, il sesto nell'arco di un mese, è stato ucciso da jihadisti dell'Isis nel Sinai nord-orientale. Lo confermano fonti della comunità copta secondo cui 200 famiglie di cristiani hanno lasciato Al-Arish nelle ultime due settimane in seguito alle uccisioni di copti da parte dei jihadisti.



Omaggio ai cristiani copti uccisi da jihadisti dell'Isis nel Sinai
L'Associated Press riferisce che la vittima è un idraulico che è stato ucciso ieri a colpi di arma da fuoco a casa sua davanti a moglie e figli piccoli ad Al-Arish, capoluogo del Sinai settentrionale.

Domenica la branca egiziana dello Stato islamico aveva diffuso un video in cui minacciava di uccidere i copti, i cristiani d'Egitto che rappresentano circa il 10% della popolazione egiziana. Nel video gli ex-"Ansar Beit el-Maqdes", ora affiliati all'Isis, indicavano nei copti la loro "preda favorita" e nell'attentato del dicembre scorso a una chiesa del Cairo con 27 morti "solo l'inizio" della persecuzione di questi "infedeli". Mercoledì ad Arish due copti - padre e figlio - erano stati trovati uccisi a colpi di arma da fuoco e uno dei due corpi era stato dato alle fiamme.

Filippine - Arrestata la senatrice Leila De Lima. Forte oppositrice di Duterte

Rai News
Dopo una notte trascorsa nel suo ufficio in senato, Leila De Lima, voce apertamente critica nei confronti del presidente Rodrigo Duterte, ha deciso di consegnarsi ai funzionari incaricati del suo arresto. 



L'accusa è quella di aver commesso reati di narcotraffico quando era ministro della Giustizia tra il 2010 e il 2015. Già rimossa qualche mese fa dalla commissione parlamentare che indagava sugli abusi del presidente, la senatrice filippina aveva denunciato apertamente le azioni di potere commesse dallo stesso Duterte, complice di una campagna di morte che ha già fatto 7 mila vittime. 

La parlamentare cinquantasettenne si è difesa: "È un onore essere imprigionata per la causa che difendo", ha detto definendosi una "prigioniera politica" e assicurando che "la verità verrà alla luce al momento opportuno". 

L'entourage e i sostenitori della senatrice ritengono che il mandato di arresto sia parte integrante di una manovra per metterla a tacere definitivamente

Pesantissime le accuse a suo carico, tra cui violazione della legge anticorruzione, violazione dell'articolo relativo alla "vendita, commercio, amministrazione, consegna, distribuzione e trasporto" di sostanze stupefacenti. 

Ma De Lima accusa il governo di aver manipolato prove e testimoni per accusarla e la sua versione è sostenuta da organizzazioni di difesa dei diritti umani, tra cui Human Rights Watch (HRW). 

Conosciuto al mondo per la lotta alla dogra, paragonandosi al führer, Duterte aveva recentemente dichiarato: "Sarei felice di far uccidere tre milioni di tossicodipendenti proprio come Hitler fece con gli ebrei".

sabato 25 febbraio 2017

993 migranti sbarcano in salvo a Palermo. Un bimbo nasce a bordo e acquisisce la cittadinanza norvegese!

Giornale di Sicilia
Palermo. Nuovo maxi sbarco con 993 migranti giunti questa mattina nel porto . La nave norvegese Siem Pilot del circuito Eunavfor medcon ha trasportato 657 uomini, 100 donne e 136 minori dal canale di Sicilia al capoluogo.


Tra loro anche un bambino nato a bordo della nave Pilot ieri sera alle 19. Il piccolo, che acquisisce così la cittadinanza norvegese, sta bene e pesa quasi 3 chili. Si chiama Seabear, come una delle due scialuppe di salvataggio che hanno soccorso la mamma.

La task-force coordinata dalla Prefettura di Palermo li sta accogliendo sul molo Puntone. Gli uomini della guardia di finanza e della Squadra Mobile stanno svolgendo le indagini di rito per individuare eventuali scafisti.

Siria: responsabile Onu aiuti umanitari, situazione grave. 2/3 popolazione in povertà estrema

ANSA
Il Sottosegretario Onu agli aiuti umanitari, Stephen O’ Brien, ha tenuto un briefing mensile al Consiglio di Sicurezza sulla situazione umanitaria in Siria.
O’ Brien ha evidenziato come, malgrado la riduzione della violenza grazie al cessate il fuoco, la situazione in cui vive la popolazione rimane grave, con i 2/3 in condizioni di povertà estrema. 

Per questo, ha detto O’ Brien, gli occhi dei siriani sono puntati sulla ripresa dei colloqui di Ginevra, nella speranza che portino risultati tangibili anche per alleviare le sofferenze dei civili. Durante le successive consultazioni tra i Quindici, l’ambasciatore Sebastiano Cardi ha lamentato le difficoltà nelle quali si trovano ad operare le agenzie umanitarie, anche a causa degli ostacoli amministrativi frapposti. 

In vista della ripresa dei colloqui intra-siriani a Ginevra, l’ambasciatore ha reiterato l’appoggio dell’Italia all’inviato speciale dell’Onu, Staffan De Mistura, i cui sforzi per assicurare negoziati credibili e inclusivi meritano, per l’Italia, il pieno sostegno del Consiglio. Cardi ha sottolineato come l’unica via d’uscita alla crisi siriana è una soluzione politica basata sulla risoluzione 2254.

Ungheria - Appello di Sant'Egidio al Parlamento: sdegno e preoccupazione per una legge lesiva dei diritti di migranti e minori

www.santegidio.org
"Esprimiamo la nostra preoccupazione non solo per i diritti dei rifugiati, ma anche per il futuro della stessa Ungheria" si legge nell'Appello che pubblichiamo integralmente


l Parlamento ungherese si prepara a discutere una proposta di legge fortemente restrittiva e lesiva dei diritti dei migranti: contiene infatti norme più rigide per la richiesta di asilo, che limitano la libertà personale anche di persone entrate in Ungheria in modo legale con una richiesta d’asilo regolare. Cosa ancora più grave, intende abolire ogni tutela per i minori non accompagnati con più di 14 anni d’età.

Di fronte a questa proposta, la Comunità di Sant'Egidio ha rivolto un Appello a tutti i parlamentari perchè riflettano seriamente delle gravi conseguenze di una simile iniziativa sia sui richiedenti asilo, che sulla stessa società ungherese.


LEGGI L'APPELLO
"Vorremmo ricordare - si legge nell'appello, che pubblichiamo integralmente - che qui è in gioco il futuro di persone che hanno molto sofferto, tra cui donne, bambini e altre persone vulnerabili. ...La legittima difesa della sicurezza pubblica non può giustificare la sospensione dei princìpi elementari di umanità e dello stato di diritto. ... Non può giovare alla sicurezza la chiusura di centri di accoglienza internazionalmente riconosciuti, il trasferimento dei profughi in tendopoli in pieno inverno, né il lasciare che i richiedenti asilo si accampino a lungo davanti ai nostri confini per un ingresso legale mentre le temperature raggiungono i 10° sotto lo zero.

"Esprimiamo tutta la nostra preoccupazione non solo per i diritti dei rifugiati, ma anche per il futuro della stessa Ungheria - prosegue l'appello, che cita anche il santo papa Giovanni Paolo II, il quale affermò che "il migrante irregolare ci si presenta come quel “forestiero” nel quale Gesù chiede di essere riconosciuto. Accoglierlo ed essere solidali con lui è dovere di ospitalità e fedeltà alla propria identità di cristiani".

Purtroppo, invece, già limitazioni serie sono state messe in atto, anche prima del varo della nuova legge. Negli hotspot di Tompa e Roske, al confine sulla Serbia, il numero di richieste di asilo accettate ogni giorno è sceso da 15 a 5. Qui Sant'Egidio prosegue la sua azione "sul terreno", con visite regolari e la distribuzione di generi di prima necessità ai profughi che stazionano dietro il filo spinato, sperando di accedere almeno alla richiesta di ingresso nel Paese.



Vai all'articolo: Appello di Sant'Egidio al Parlamento ungherese: si fermi l'iter di una legge lesiva dei diritti di migranti e minori

venerdì 24 febbraio 2017

Ecatombe migranti, '366 morti nel Mediterraneo dall'inizio del 2017' Oim: 'La maggior parte su rotta Libia-Italia, +300% su 2016'

Ansa
Un totale di 13.924 migranti e rifugiati sono giunti via mare in Europa da inizio anno e il numero delle persone morte o scomparse nello stesso periodo è salito a 366, secondo gli ultimi dati resi noti a Ginevra dall'Oim. 
I cadaveri delle ultime 74 vittime di migranti ritrovate sulle coste libiche
Quasi tutti i decessi in mare sono stati segnalati sulla rotta del Mediterraneo centrale che collega la Libia all'Italia per la quale il Progetto Missing migrants dell'Oim, stima 326 migranti o rifugiati morti o scomparsi da inizio 2017 al 22 febbraio, il 300% in più rispetto allo stesso periodo 2016.

Gravissime condizioni delle carceri di Haiti. Morti di stenti 42 detenuti nel 2017

La Sicilia
Port-Au-Prince - Le "crudeli, disumane" e "degradanti" condizioni in cui vivono i carcerati nel più grande penitenziario di Haiti hanno portato alla morte 42 detenuti dall'inizio dell'anno. 
Una immagine delle impossibili condizioni di detenzione nelle prigioni di Haiti



Lo ha denunciato Sandra Honore, rappresentante speciale delle Nazioni Unite nel Paese, nel giorno in cui si sono tenuti nella capitale Port-au-Prince i funerali di massa di una ventina di prigionieri morti recentemente nel carcere. 

Tra le cause dei decessi vi sono la penuria di cibo e medicine, oltre alle malattie che non vengono curate. Lo ha ricordato Marie Lumane Laurore al funerale del figlio: "Questo è un Paese senza giustizia", ha urlato prima di svenire accanto alla bara. 

I familiari di Eddy Laurore hanno aggiunto che l'uomo è stato affetto da anemia e tubercolosi durante tutti i due anni in cui è stato rinchiuso nel penitenziario, accusato di violenza sessuale.

Zona del lago Ciad: "la più grande crisi del continente africano". 10 milioni di persone hanno bisogno di assistenza.

Blog Diritti Umani - Human Rights
La conferenza internazionale di Oslo oggi vuole stanziare riunire 1,4 miliardi di euro per aiutare i civili colpiti dalla guerriglia islamista Boko Haram nella regione del lago Ciad che l'ONU ha definito "la più grande crisi nel continente africano."


La zona colpita è quella del lago Ciad comprende il nord-est della Nigeria, l'estremo nord del Camerun, il Ciad e i paesi e Sud-Est del Niger.
Boko Haram ha condotto negli ultimi anni molte incursioni mortali e attacchi suicidi nei quattro paesi.

Lago Ciad ha perso il 90% della sua superficie in pochi decenni, da 25.000 kmq dagli anni sessanta, si è ridotto 2.000 kmq di oggi. Rimane una fonte vitale di acqua e di pesce per la gente di questa regione semi arida.

La regione è stata a lungo uno dei luoghi più poveri e meno sviluppati del mondo, con gli indicatori molto bassi di sviluppo umano in settori come l'istruzione e la sanità.

La rapida crescita della popolazione, gli effetti del cambiamento climatico - il declino del lago e l'estensione del deserto del Sahara e la violenza ha generato quello che le agenzie di aiuto chiamano una "grave crisi".

Il conflitto, che secondo alcune stime ha causato almeno 20.000 morti e oltre 2,6 milioni di sfollati, ha peggiorato una già difficile situazione umanitaria.

Circa 17 milioni di persone vivono nelle zone più colpite dalle violenze e conflitti. I settori maggiormente colpiti sono la pesca e l'agricoltura e costretto centinaia di migliaia di civili a rifugiarsi nei campi di accoglienza o presso amici e parenti.

Secondo le Nazioni Unite, 10,7 milioni di persone nella regione attualmente hanno bisogno di assistenza; 7,1 milioni sono "gravemente colpite insicurezza alimentare". 

Se la conferenza di Oslo raggiunge i suoi obiettivi finanziari, il denaro sarà utilizzato per distribuire cibo e fornire acqua potabile nei luoghi più remoti, ma anche l'accesso alle cure sanitarie, istruzione e abitazioni per aiutare le vittime a ricostruire le loro vite.

Nel caso di fondi insufficienti, le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie hanno avvertito che la situazione potrebbe diventare catastrofica, in particolare, per quasi 75.000 bambini su 515.000 sono affetti da malnutrizione acuta grave e potrebbero morire.

Fonte: Afrique 24 Monde 

ES

giovedì 23 febbraio 2017

USA - Si sgombera il campo Sioux contro oleodotto in North Dakota.

Ansa
Riprendono oggi intorno alle 9:00 locali (le 16:00 italiane), le operazioni di sgombero del 'Dakota Access oil pipeline camp', l'insediamento di manifestanti Sioux che si oppongono all'oleodotto che attraversa territori dei nativi americani. 


L'area, in North Dakota, è stata praticamente evacuata e rimangono tra le 25 e le 50 persone a cui verrà chiesto di lasciare l'insediamento, per evitare l'arresto. Il governatore dello Stato, Doug Burgum, ha detto che l'autostrada vicina al 'camp' è tuttora presidiata dalle forze dell'ordine.

Indonesia - Jakarta - Gli uomini-carretto di Jakarta non sono più soli

Huffington Post
Li chiamano "uomini-carretto". Perché non solo utilizzano grossi cassoni con le ruote per raccogliere tutto ciò che possono per sopravvivere, ma perché ci vivono dentro: ci dormono, ci mangiano, è la casa che si portano appresso per le vie della sterminata città. Parliamo di Jakarta, capitale dell'Indonesia, e del suo popolo di homeless: 30 mila, dieci volte più di Roma che ne conta circa 3 mila.




Sono per lo più loro - in assenza di servizio pubblico - a garantire la raccolta e la selezione dell'immondizia. E nel traffico congestionato di una capitale modernissima, dove le contraddizioni sono di casa e splendidi palazzi sorgono accanto a fogne a cielo aperto, si vedono muovere questi strani personaggi, in simbiosi con i loro cassoni, che sembrano arrivati da un'epoca lontana. Di notte il carretto, da strumento di lavoro, si trasforma in casa. E ci si dorme dentro da soli o, più spesso, con tutta la famiglia.
Anche in un'aerea metropolitana che supera i 30 milioni di abitanti gli "uomini-carretto" non possono però essere considerati "invisibili". Tutti li vedono, tanti sanno di loro, molti approfittano dei loro servizi, ma non si fermano. Come accade del resto anche nelle nostre città europee.

Come i nostri senza dimora, anche gli "uomini-carretto" indonesiani sono prima di tutto persone. Ci sono tra loro donne e bambini che hanno semplicemente bisogno di un po' di aiuto per riacquistare dignità e cercare di uscire dalla loro condizione. Ma se è vero che fra i tanti muri che crescono nel mondo c'è anche l'indifferenza, è altrettanto provato che anche quella può essere scossa.

Lo abbiamo visto in Italia, durante l'emergenza freddo, quando all'appello di Sant'Egidio hanno risposto in tanti. Non solo portando coperte, ma offrendosi per visitare i senza dimora. Si è creato in pochi giorni un movimento di solidarietà che continua dopo il freddo.

Anche a Jakarta, il muro si sta sgretolando. Il volontariato è un fenomeno decisamente recente, nelle società asiatiche, dominate dalla competitività e dal culto del profitto. Ma si va facendo strada l'esigenza di ricavare degli spazi di gratuità e di umanità, magari fermandosi con chi vive per strada e, appunto, dentro un carretto.

Così oggi, anche per le vie di Jakarta, è possibile incontrare gruppi di volontari, indonesiani che aiutano altri indonesiani, come la stessa Comunità di Sant'Egidio che ne assicura il sostegno, portando cibo, cercando risposte ai loro problemi, o semplicemente fermandosi a parlare, in controtendenza rispetto ad una società asiatica dove prevale la produttività sopra ogni cosa.

Un segnale importante per l'umanizzazione delle grandi metropoli mondiali, che ormai, nel bene e nel male, si assomigliano in tutti i continenti. E al tempo stesso per il dialogo, se si pensa che l'Indonesia è il Paese con più musulmani del mondo e che a svolgere questo tipo di volontariato sono, in gran parte, giovani e adulti cristiani.


Roberto Zuccolini

Colombia, l'ultima marcia delle Farc: settemila ex guerriglieri smobilitano dopo la pace

La Repubblica 
Entro il 30 giugno tutte le armi saranno consegnate ai delegati Onu. Ma intanto gli ultimi contingenti si ritirano. È la fine di un ciclo di violenze. Ma i rivoluzionari chiedono che sia garantito il processo di reintegrazione

La foto fornita dalla segreteria delle Farc e dal governo colombiano. Immortala i momenti che hanno scandito l'arrivo dell'ultimo contingente di guerriglieri del Fronte Terzo, 14 e 15 giunti nella Zona Veredal Transitoria de Normalización (Zvtn) di Agua Bonita, nella Montañita Caquetá.
Rio De Janeiro - L'ultima, grande marcia delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc-Ep) si è conclusa. Quasi settemila ex combattenti del più longevo gruppo della guerriglia latinoamericana hanno compiuto a ritroso il cammino che 52 anni fa li aveva spinti verso la giungla colombiana per avviare la lotta armata contro il potere centrale di Bogotà. 

La smobilitazione è uno dei punti centrali dell'accordo raggiunto il 13 novembre scorso dopo la bocciatura del referendum, la revisione dei capitoli più contestati e l'approvazione definitiva da parte del Congresso.

È la fine di un ciclo che appariva inarrestabile, avvolto in una spirale di violenze e trattative sempre fallite; con questo gesto segna l'inizio di una nuova epoca per la Colombia e i colombiani. Un'epoca nella quale, per la prima volta, le parole sostituiranno le armi e il paese potrà finalmente aspirare ad una pace piena.



di Daniele Mastrogiacomo

mercoledì 22 febbraio 2017

Trump: messicano espulso si suicida gettandosi da un ponte al confine tra Usa e Tijuana

ANSA
Citta' Del Messico - 
Un migrante messicano si è suicidato lanciandosi da un ponte alla frontiera tra gli Stati Uniti e Tijuana mentre lo stavano rimpatriando insieme con altri immigrati illegali. Guadalupe Olivas, 45 anni di Sinaloa, era già stato espulso in altre due occasioni. Era gravemente minacciato dai marco trafficanti. 


Dopo essersi lanciato dal cavalcavia di circa 10 metri di altezza, Olivas è stato portato in un ospedale, dove è deceduto poco dopo. L'uomo aveva con se' una piccola borsa e il cibo che le pattuglie Usa della frontiera consegnano ai migranti espulsi, sottolineano i media locali, ricordando che Olivas era stato fermato lunedì a San Diego.

Golzow - La scuola rischia di chiudere, la salvano i bambini rifugiati siriani

Corriere della Sera
Sembrava tutto finito, tutto perduto. Un piccolo paese destinato a scomparire, a non sentire più le grida dei bambini per strada, a vedere chiudere per sempre la scuola primaria aperta nel 1961 che aveva visto crescere e studiare tante generazioni di ragazzi. 

Ma nel giro di pochi anni, la popolazione di Golzow, un paesino rurale della Germania, era scesa a soli 835 abitanti. Pochi, troppo pochi. Anche per mettere insieme il numero di studenti necessari per costituire una classe. Lo spettro di vedere impolverati banchi, sedie e lavagne della scuola era quanto mai concreto. «Molte persone sono partite negli ultimi anni» ha spiegato Gabi Thomas, direttore della scuola. 

Fino a quando Frank Schütz, sindaco di Golzow, non ha avuto un’idea partorita dalla sua accesa fantasia. E così, si è rivolto alle autorità locali per trovare famiglie di profughi con bambini in età scolari disponibili a trasferirsi nel suo centro, ad occupare alcuni degli appartamenti ormai vuoti del paese.

Dalla guerra in siria alla tranquilla Golzow
L’intuizione del primo cittadino ha avuto un incredibile successo. Sono subito arrivate tre famiglie siriane con bambini che, seppur un po’ più grandi dei loro compagni di classe, hanno contribuito a raggiungere il minimo richiesto di 15 alunni.

La scuola è stata salvata ed i profughi hanno anche trovato una nuova casa. Come Halima Taha, rifugiata siriana di 30 anni, costretta a fuggire dal suo Paese insieme al marito ed ai tre figli. «Non era una vita quella in Siria. Avevamo paura per tutto il tempo. Volevo solo vivere in pace, nient’altro».

Halima e la sua famiglia, quindi, dopo tre anni e mezzo di viaggio sono arrivati in Germania per costruire un futuro diverso, migliore, sicuramente in pace. Arrivati al centro di accoglienza di Einsenhüttenstadt, vicino Brandeburgo – in cui è presente anche l’Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) – hanno ricevuto la proposta di stabilirsi in un appartamento lasciato libero in un villaggio vicino. Hanno subito colto al volo l’occasione. Pochi mesi dopo, Halima e la sua famiglia, insieme ad un altro nucleo familiare siriani, sono andati a Golzow, portando con loro sei bambini particolarmente attesi per l’inizio del nuovo anno scolastico.

L’integrazione nella comunita’
Kamala ha dieci anni. E’ la figlia di Halima ed è una studentessa brillante. E’ tra le salvatrici della scuola ed oggi le sue materie preferite sono matematica, musica e sport. Halima, come i suoi genitori, ormai si è perfettamente integrata con gli abitanti del paese e piano, piano sta conoscendo le tradizioni della Germania e, a sua volta, sta facendo conoscere le tradizioni siriane.

«Loro vogliono sapere come viviamo e noi vogliamo sapere come vivono loro». Halima e la sua famiglia hanno ottenuto lo status di rifugiato e i permessi di visto per vivere e lavorare in Germania per tre anni. Halima lavora part-time come interprete per un ente di beneficenza tedesca che si occupa proprio di richiedenti asilo. Suo marito, Fadi, è ancora in cerca di lavoro e sta cercando di prendere la patente di guida.

«Per noi, Golzow è la nostra seconda famiglia. Ma, naturalmente, tutto quello che vogliamo è che si fermi la guerra in Siria in modo da poter tornare a casa – ha aggiunto Halima – dove vorrei tornare un giorno con i bambini. Nel frattempo i bambini devono andare a scuola, impegnarsi e riuscire a trovare un buon lavoro. E qui siamo al sicuro».

Emiliano Moccia

Amnesty - Rapporto Diritti Umani 2016 - Milioni di persone in continua sofferenza

Blog Diritti Umani - Human Rights
Il rapporto on-line - www.amnesty.it
Il Rapporto 2016-2017 di Amnesty International documenta la situazione dei diritti umani in 159 paesi e territori durante il 2016.
Per milioni di persone, il 2016 è stato un anno di continua sofferenza e paura, poiché governi e gruppi armati hanno compiuto violazioni dei diritti umani nei modi più diversi.


Un gran numero di persone ha continuato a fuggire da conflitti e repressione in molte zone del mondo. Tra i problemi maggiormente diffusi, il Rapporto documenta il costante ricorso alla tortura e ad altri maltrattamenti, la mancata tutela dei diritti sessuali e riproduttivi, la sorveglianza da parte dei governi e la cultura dell’impunità per i crimini del passato.

Questo Rapporto testimonia la determinazione delle persone che hanno agito per il rispetto dei diritti umani in tutto il mondo e che hanno dimostrato solidarietà verso coloro i cui diritti sono stati calpestati.

Il Rapporto descrive anche le principali preoccupazioni e richieste di Amnesty International. Mostra inoltre come il movimento dei diritti umani stia crescendo sempre più forte e come la speranza che fa nascere in milioni di persone rimanga una potente spinta in favore del cambiamento.

Questo Rapporto è una lettura fondamentale per chi prende decisioni politiche, per gli attivisti e per chiunque sia interessato ai diritti umani.
“Mentre iniziamo il 2017, il mondo si sente insicuro e impaurito davanti a un futuro tanto incerto. Ma è proprio in questi momenti che abbiamo bisogno di voci coraggiose, di eroi comuni che si oppongano all’ingiustizia e alla repressione. Nessuno può sfidare il mondo intero ma ognuno di noi può cambiare il proprio mondo. Tutti possono prendere posizione contro la disumanizzazione, agendo a livello locale per riconoscere la dignità e i diritti uguali e inalienabili di tutti, gettando così le basi per la libertà e la giustizia nel mondo. Il 2017 ha bisogno di eroi ed eroine dei diritti umani”. (Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International)

Haiti. Benvenuti all'inferno: nelle carceri. Fame, sovraffollamento e malattie

rainews.it 
"Questo è l'inferno. Finire in carcere ad Haiti ti fa uscire pazzo se non ti uccide prima." Sono le parole di Vangeliste Bazile, accusato di omicidio è uno dei detenuti in attesa di giudizio nel Penitenziario Nazionale di Port-au-Prince a Haiti, come lui l'80 per cento dei prigionieri aspetta di essere sentito da un giudice, un'attesa che può durare indefinitamente.

"Temo che non vedrò un giudice finché non sarò vecchio" dice Paul Stenlove, 21 anni, in carcere da 11 mesi. I detenuti si accalcano intorno ai reporter dell'Associated Press entrati per verificare le denunce levate dagli avvocati e dagli attivisti per i diritti umani. 

Il 40 per cento degli 11mila detenuti di tutto il paese sono rinchiusi in questa fornace decrepita e maleodorante situata a pochi passi dalla sede del governo.Sovraffollamento, malnutrizione e malattie infettive stanno provocando una lenta strage. 

Sono 21 gli uomini deceduti nel penitenziario solo nell'ultimo mese. "È il peggior tasso di morti prevedibili che abbia mai visto" dice John May, un medico americano che fa volontariato nell'isola con la sua associazione "Health Through Walls" (Salute attraverso le mura).

Decine di detenuti emaciati, indeboliti da fame e dalle malattie sono ammassati nella cosiddetta "infermeria". Alcuni "fortunati" vengono isolati e reclusi in apposite celle. Gli altri sopravvivono chiusi per 22 ore al giorno in celle così sovraffollate che per dormire o dividono in quattro una branda o si creano vari piani con giacigli di fortuna appesi al soffitto o alle sbarre delle finestre. 

Le condizioni igieniche sono terribili, in mancanza di sufficienti latrine i reclusi sono costretti a defecare in sacchetti di plastica.
Secondo uno studio recente dell'Istituto di ricerca per la politica criminale dell'Università di Londra Haiti detiene il primato mondiale del sovraffollamento carcerario con una percentuale impressionante: il 454 per cento rispetto alla capienza degli istituti con celle da 20 dove dormono fino a 80/100 persone. Solo le Filippine di Duterte si avvicinano a questo record con il 316 per cento. L'unico obiettivo è sopravvivere. 

"Solo chi è forte può farcela qui" dice Ronel Michel, recluso in uno dei blocchi dove le mura esterne sono imbrattate delle feci che i detenuti sono costretti a gettare fuori dalle finestre sbarrate. C'è anche chi non soffre la fame. Sono i pochi fortunati a cui i parenti riescono a portare cibo, sigarette e provviste dall'esterno.
La situazione è tragica nonostante che con una sentenza del 2008 la Corte Inter-Americana dei Diritti Umani - il corrispettivo della Cedu europea - avesse ordinato al governo haitiano di portare le sue prigioni inumane a un livello minimo di standard internazionali. 

In conseguenza del devastante sisma del 2010 c'erano state molte donazione e molti progetti delle organizzazioni umanitarie internazionali si erano focalizzati sulla questione delle carceri. Uno di questi progetti è stato proprio la costruzione di un nuovo blocco, amaramente soprannominato "Titanic", costato 260mila dollari e finanziato dalla Croce Rossa Internazionale. Doveva dare sollievo, ma oggi è forse la sezione più sovraffollata del carcere.

"È una battaglia quotidiana solo per tenerli in vita" dice Thomas Ess, capo delegazione della Croce Rossa ad Haiti. Brian Concannon, direttore di un istituto no profit per la "Giustizia e democrazia" ad Haiti dice: "Il grave sovraffollamento è dovuto in parte alla corruzione rampante. Giudici, pubblici ministeri e avvocati alimentano un giro di mazzette che crea un circolo vizioso infernale: "Se 9 detenuti su 10 sono dentro in carcerazione preventiva e la persona non ha speranza di avere un giusto processo per anni, la famiglia fuori cercherà un modo per raccogliere il denaro sufficiente a pagare le tangenti necessarie a farlo uscire, a prescindere dal fatto se sia innocente o no".
In questo scenario dell'orrore c'è chi tenta di dare almeno una degna sepoltura ai morti. Danton Leger, procuratore capo di Port-au-Prince ha organizzato le sepolture occupandosi anche dei fiori, prima i corpi di chi moriva dentro le mura del carcere venivano gettati in una discarica: "Qui le persone sono costrette a vivere come degli animali, almeno che vengano sepolti come esseri umani".

martedì 21 febbraio 2017

Tragedia Migranti: Libia, trovati 74 corpi sulla costa a ovest. Bilancio potrebbe salire

ANSAmed
"I corpi di 74 migranti clandestini", tra cui quelli "di tre donne", sono stati trovati sulla costa occidentale libica tra ieri e oggi, "nella zona di Al Harsha a Zawiya": lo ha riferito all'ANSA il portavoce della Mezzaluna rossa libica, Mohamed Misrati. 


Il portavoce, sottolineando che è stata rinvenuta un'imbarcazione in grado di portare oltre cento persone, non esclude che il mare possa restituire altri i corpi di altre vittime di questo nuovo naufragio. "E' stata trovata una imbarcazione", ha detto inoltre il portavoce, aggiungendo che dunque "c'è la possibilità che" in mare "vi siano altri corpi, in quanto l'imbarcazione poteva accogliere tra 100 e 120 migranti".

Dall'aspetto, le vittime sembrano essere di "diverse nazionalità africane", ha riferito ancora il portavoce. "I corpi sono stati restituiti dal mare sulle coste della città", ha detto inoltre Misrati riferendosi a un centro il cui nome è traslitterabile anche "ez-Zauia" e che è situato una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli. L'avvistamento è stato fatto da abitanti e un commissariato della zona ha avvertito la Mezzaluna, la versione islamica della Croce rossa.

In Sud Sudan si muore di fame. Adesso l'ONU riconosce ufficialmente la carestia nel paese

La Repubblica 
Le agenzie delle Nazioni Unite avvertono che quasi 5 milioni di persone hanno urgente bisogno di cibo, di sostegno all’agricoltura e di assistenza nutrizionale. La peggiore catastrofe della fame dall’inizio dei combattimenti scoppiati più di tre anni fa. E in tutto il Corno d'Africa il rischio si estende a 17 milioni tra uomini, donne e bambini

La guerra e un'economia al collasso, hanno fatto sì che circa 100.000 persone debbano fare i conti con la fame in alcune parti del Sud Sudan, in particolare nelle zone dello Unity State, nella parte centro-settentrionale del paese, dove da oggi lo stato di carestia ha avuto il sugello delle Nazioni Unite. 


E una dichiarazione formale di carestia significa che le persone hanno già iniziato a morire di fame. Si tratta, dunque, della peggiore catastrofe della fame dall’inizio dei combattimenti scoppiati più di tre anni fa. 

C'è poi da aggiungere che un altro milione di persone sono state classificate sull'orlo di un "baratro" e che presto, se non si interverrà subito, si andranno ad aggiungere a quante già patiscono la fame. 

Le Nazioni Unite stanno cercano di farlo sapere al mondo attraverso tre agenzie, la FAO, il WFP e l'Unicef che, sebbene facciano fatica a ridurre tutte le loro ipertrofie, costituite dagli sprechi nella gestione di se stesse, restano comunque degli osservatori capaci di monitorare emergenze come questa e di avere la sufficiente forza mediatica per renderle note.

Ma la carestia, innescata dalle guerre e da una persistente siccità, si estende all'intero Corno d'Africa coinvolgendo - secondo i dati di Wfp e Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) - più di 17 milioni di uomini, donne e bambini tra Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan e i limitrofi Uganda e Kenya, dove i campi profughi sono diventati enormi agglomerati di tende e baracche nei quali proliferano malattie e violenza.

Ventimiglia, altro migrante morto. Folgorato sul tetto del treno. E' la sesta vittima in pochi mesi

Corriere della Sera 
Un altro migrante è morto nel tentativo di passare di nascosto la frontiera tra Ventimiglia e la Francia: l’uomo, la cui identità è al momento sconosciuta è stato trovato privo di vita sopra il tetto di una carrozza ferroviaria alla stazione di Cannes. L’ipotesi più probabile è che sia morto folgorato. Da ottobre a oggi questa è la sesta tragedia che ha come teatro il tormentato confine della cittadina ligure dove sono sempre fermi centinaia di stranieri che provano a raggiungere la Francia dribblando i controlli delle autorità di frontiera.


Aggrappato al pantografo
Secondo quanto accertato fino a questo momento, il migrante sarebbe salito sul tetto del convoglio alla stazione di Ventimiglia; il treno è quello partito dalla cittadina di confine alle 5.30 del mattino. La vittima è stata trovata aggrappata al pantografo nella stazione di Cannes La Bocca e questo fa pensare che la morte sia avvenuta per la folgorazione della corrente elettrica che alimenta il treno. L’ultima tragedia risale al 5 febbraio scorso, anche in quel caso lungo la linea ferroviaria: un venticinquenne algerino era stato falciato da un treno in corsa mentre camminava lungo i binari poco prima della stazione di Mentone. Tra ottobre e dicembre altre tre persone erano decedute investite invece lungo l’autostrada, sempre nel tentativo di attraversare il confine clandestinamente.

lunedì 20 febbraio 2017

USA: I raid di Trump contro migranti irregolari. Il terrore dei figli

Vatican Insider 
L'Arcivescovo di Los Angeles, vice-presidente della Conferenza episcopale Usa, lo afferma all'incontro mondiale dei movimenti popolari in California 


«Se si vuole comprendere l'impatto dei raid che svolgono le guardie di frontiera degli Stati Uniti in più di 60 comunità in tutto il paese solo in questo inizio di febbraio, possiamo sentire i bambini: non vogliono andare a scuola, pensando che i loro genitori stanno per essere portati via, mentre loro non ci sono». Lo afferma l'arcivescovo di Los Angeles, monsignor José Gomez, vice-presidente della Conferenza statunitense dei vescovi cattolici all'incontro mondiale dei movimenti popolari in corso a Modesto, California, secondo quanto riporta l'agenzia Fides.

«Abbiamo bambini presso la Dolores Mission», racconta Ellie Hidalgo responsabile della pastorale sociale in una parrocchia, «se i loro genitori arrivano in ritardo a casa dal lavoro diventano ansiosi immediatamente. La situazione sta diventando molto tesa e confusa», secondo quanto continua a raccontare Hidalgo: «E se i genitori non tornano a casa, dove andranno a finire quei bambini? Nelle parrocchie e cliniche associate in tutto il paese in questo momento, stiamo offrendo incontri d'informazione per aiutare le persone senza documenti, in modo di poter conoscere i loro diritti, come procedere, se gli ufficiali degli Stati Uniti dell'Immigration and Customs si presentano nelle loro, cosa fare? Per esempio, gli agenti non possono entrare se non si apre la porta, e che programma si è pensato d'avere per i loro figli, chi sta andando a prendersi cura del vostro bambino se capita qualsiasi cosa», spiega la Hidalgo, «bisogna perfino segnare le loro allergie, i numeri di telefono del medico, il numero dell'assicurazione sanitaria».

«Inoltre, serve sempre un documento firmato, la procura, per la concessione di potere a qualcuno, e sarebbe opportuno averla a portata di mano», dice la Hidalgo, «Potrebbe non essere necessario, ma nel clima attuale è meglio prevenire. Una delle nostre grandi paure, spiega, è se non fai la procura, il bambino potrebbe finire nel sistema di figli adottivi. Questa è una reale possibilità». L'incontro dei movimenti popolari promosso dal Vaticano è stato programmato prima della vittoria di Trump e aveva tra le principali preoccupazioni la situazione di molti migranti senza documenti.

«Pulizia di massa» e «maniere forti». Parole da brivido - Occorre sussulto morale.

Avvenire 
Matteo Salvini in un discorso pubblico ha usato espressioni che fanno correre un brivido dietro la schiena. Parole che dovrebbero provocare un sussulto morale, di coscienza

Ci sono parole più pesanti di altre, parole che ci fanno correre un brivido dietro la schiena, ci riportano prepotentemente al passato, che suscitano, o almeno dovrebbero suscitare in noi, un sussulto morale, un risveglio insopprimibile della coscienza. 


Un politico del nostro Paese, Matteo Salvini, ha detto, ieri, in un discorso pubblico proprio parole di questo genere: che «ci vuole una pulizia di massa via per via, quartiere per quartiere, e con le maniere forti se occorre». Parole pesanti come pietre. Una pulizia di questo genere c’è già stata non molto tempo fa nella nostra Europa e ne abbiamo una memoria ancora fresca, quella condotta dai serbi nella guerra bosniaca, la «pulizia etnica». È di questo genere di pulizia che si tratta, non di altro. Ogni volta che ascolto parlare di «pulizia» a proposito degli esseri umani mi tornano a mente le infinite bare di Srebrenica.

Anche dei rastrellamenti strada per strada, quartiere per quartiere, abbiamo una chiara memoria. Così i nazisti braccavano gli ebrei nel 1943, proprio strada per strada, quartiere per quartiere, appartamento per appartamento. Dove sono le liste che serviranno ai nuovi emuli dei nazisti a braccare «strada per strada» i loro nemici di oggi? Chi le sta preparando?

Anche delle «maniere forti» abbiamo sentito parlare tante volte. Erano forti le maniere usate dallo squadrismo fascista nel 1921-22, quelle usate da Hitler nel 1933, quando ha creato il campo di concentramento di Dachau per rinchiudervi i suoi oppositori. Erano forti le maniere usate da Stalin contro i suoi oppositori, contro Bucharin, contro Trotzckij, e poi quelle usate con i contadini ucraini, morti a milioni per fame, e contro tutti coloro che, per un sospetto, sono stati inviati a morire nel Gulag.
E così via, una lunga lista di «maniere forti» che hanno caratterizzato il Novecento, il secolo dei genocidi, e che sono ancora qui a segnare il terzo millennio. La Siria insegna, per nominare solo il peggiore dei mali di oggi.

Maniere forti sono anche quelle che, nello stesso comizio, il politico in questione dice di voler usare per rimandare al loro Paese i «finti profughi». Le cannonate non gli dispiacciono, lo sappiamo già, ma sappiamo anche che non ce n’è neanche bisogno. Basta chiudere l’accesso, l’accoglienza. Come con i profughi ebrei dalla Germania, cacciati da ogni Paese e rimandati a morire nei lager. Anche di questo abbiamo esperienza.

Di fronte a questi appelli aperti alla violenza dell’uomo sull’uomo bisogna levare alta la nostra protesta. Non si tratta più di partiti politici, di destra o di sinistra. La questione è solo morale. Da una parte c’è chi vorrebbe allontanare, anche con l’assassinio a orologeria del respingimento cieco, quelli che chiedono aiuto, perché dei profughi ora soprattutto si tratta. Dall’altra c’è chi pensa che soccorrere sia il dovere di ogni essere umano, che a un bambino in pericolo si possono solo aprire le braccia, che una donna che sta partorendo vada accolta e aiutata, come se fosse Maria nella grotta di Betlemme. Che le maniere forti siano inaccettabili. Che si possano usare solo per proteggere delle vite in pericolo, non dei beni materiali, dei pregiudizi, delle viltà piccole o grandi.

Lo schieramento è ormai questo, tra chi apre le braccia e chi le chiude e addirittura impugna un’arma per cacciare i più deboli. Perché il pericolo è per tutti: adesso sono i profughi, e poi? Chi verrà dopo nelle liste di proscrizione? Dove finirà la «pulizia di massa»? E anche se si esaurisse con le vittime di oggi, le avremmo tuttavia sulla coscienza tutti, assassini e indifferenti. È venuto il momento di riscoprire la nostra umanità, di batterci per salvare i più deboli, e con loro noi stessi e il mondo intero.


Anna Foa