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giovedì 27 ottobre 2022

Ciad, la polizia spara contro il popolo in rivolta: oltre 50 morti. Il paese è in crisi politica dal 2021

AFV
Sono oltre 50 le persone rimaste uccise durante le proteste esplose in Ciad a seguito della decisione della giunta militare di rimandare di due anni la transizione ad un governo civile. La polizia ha aperto il fuoco contro i manifestanti nelle due principali città del Paese. 

Il portavoce del governo ciadiano Aziz Mahamat Saleh ha affermato che 30 persone sono morte nella capitale, N’Djamena. Per gli organizzatori delle proteste i morti nella capitale sarebbero invece 40, oltre a diversi feriti. 

Altre 30 persone sarebbero invece rimaste uccise a Moundou, la seconda città del Ciad, stando a quanto riferito ai media, in condizione di anonimato, da un funzionario dell’obitorio cittadino. Sullo sfondo la lotta popolare contro un governo considerato corrotto e le proteste crescenti contro l’ingombrante presenza francese, accusata di neocolonialismo.

Il Ciad si trova in una crisi politica dall’aprile 2021, quando l’allora presidente Idriss Deby venne ucciso durante una visita alle truppe in prima linea che combattevano contro i ribelli

A seguito della morte del presidente, per colmare il vuoto di potere venutosi a creare, i vertici militari hanno deciso di nominare alla guida del consiglio di transizione (TMC), il figlio del presidente, il generale Mahamat Deby. 

Il TMC aveva il compito di traghettare il paese verso le elezioni entro 18 mesi termine che scadeva proprio giovedì 20 ottobre. Elezioni a cui il figlio di Deby aveva inizialmente annunciato non si sarebbe candidato. 

Tra i compiti del consiglio vi era inoltre quello di cercare di creare un dialogo tra le fazioni all’interno del paese, compreso il gruppo ribelle Front for Change and Concord in Chad (FACT). Falliti i tentavi di creare un dialogo, la giunta militare ha dichiarato lo scioglimento del TMC, annunciando però che le elezioni si sarebbero svolte dopo 24 mesi e che Mahamat Deby avrebbe potuto candidarsi. 

Questo ha fatto esplodere la rabbia dei cittadini e delle opposizioni, che sono scese in strada per protestare contro quello che ritengono un governo illegittimo. In risposta il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nella capitale, N’Djamena, e in due città del sud – Moundou e Koumra – consentendo ai rispettivi governatori regionali di utilizzare “tutte le misure necessarie nel rispetto della legge” per sedare le proteste. 

La giunta ha inoltre bandito la coalizione della società civile Wakit Tama e ha annunciato una sospensione di tre mesi delle attività di sette partiti, tra cui il Transformers Party e il Socialist Party without Borders.

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mercoledì 26 ottobre 2022

Governo insediato, il ministero dell'Interno riprende a negare i porti alle due navi con centinaia di naufraghi, Humanity One e Ocean Viking delle Ong, Sea Watch e Sos Méditerranée

Rai News
Il passaggio nelle acque italiane per due navi impegnate a salvare vite nel Mediterraneo, è stato considerato “pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero” da parte del Viminale, ministro Matteo Piantedosi, con una direttiva che rispecchia quella analoga emanata dall'allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini, nel marzo 2019.

Le due navi, di altrettante Ong, sono Humanity One e Ocean Viking e fanno riferimento, rispettivamente, alle ong Sea Watch e Sos Méditerranée. 


Humanity 1 è, in realtà, la Sea-Watch 4. Prima del suo impiego come nave di salvataggio, la Sea-Watch 4 era una nave di ricerca e si chiamava "Poseidon". Era di proprietà del Land dello Schleswig-Holstein e gestita dal Geomar Helmholtz Centre for Ocean Research Kiel. La nave è stata costruita nel 1976, è lunga oltre 60 metri e larga 11 metri. È stata acquistata all'asta nel 2020 da Sea-Watch e dalla coalizione di ong United4Rescue e battezzata con il nome di "Sea-Watch 4" nel febbraio del 2020. Batte bandiera tedesca.

"Dopo ampie misure di ristrutturazione - spiega la ong - rappresenta ora una delle navi di soccorso più grandi e meglio equipaggiate del Mediterraneo". Sulla nave sono presenti, tra le altre cose, un'area protetta per le donne e i bambini e un'infermeria.

La Sea-Watch 4, costata alla ong 1,3 milioni di euro, può ospitare e curare circa 300 profughi a bordo. In caso di gravi emergenze, tuttavia, può capitare che ce ne siano molte di più, per un breve periodo. Durante la missione, l'equipaggio è composto da 26 persone a bordo. Nelle ultime ore l'equipaggio della nave ha salvato 22 migranti che erano su un gommone in pericolo. Poche ore prima aveva soccorso 113 persone. Ora sono 180 le persone al sicuro sull'unità di Sos Humanity.

La Ocean Viking è registrata come nave cargo presso il Norwegian International Ship Registry (Nis), e batte perciò bandiera norvegese. Il vascello in passato era utilizzato come nave da supporto e soccorso per piattaforme offshore di petrolio e gas nel Mare del Nord. Costruita nel 1989, è lunga 69.3 e larga 15.5 metri. Il grande ponte, una volta vuoto, ospita ora un modulo-container. La nave adesso è equipaggiata per la ricerca e il soccorso con quattro High speed rescue boats (Rhibs), con una clinica per le consultazioni mediche, il triage e delle stanze per il recupero. La squadra di Sos mediterranee consiste di 13 persone ed è guidata da un Coordinatore della Ricerca e Soccorso (Search and Rescue Coordinator). Altre 9 persone fanno parte dell'equipaggio marittimo e sono dipendenti dell'armatore.

Dopo gli ultimi soccorsi, tra cui donne e diversi bambini, a bordo di Ocean Viking viaggiano in queste ore 146 migranti soccorsi al largo della Libia.

sabato 22 ottobre 2022

USA - Tennessee, Alabama, Louisiana, Oregon e Vermont - 5 Stati al voto per abolire i lavori forzati dei detenuti

Il Fatto Quotidiano
Tennessee, Alabama, Louisiana, Oregon e Vermont al voto per l’abolizione. La forza lavoro praticamente a costo zero delle prigioni produce circa 2 miliardi all’anno in beni, ed oltre 9 miliardi in servizi per la manutenzione delle stesse prigioni. Negli Usa i detenuti sono circa due milioni.

Oggi, nel 2022, sono ottocentomila i detenuti che negli Stati Uniti sono sottoposti ai lavori forzati. Una forma di schiavitù, perché in sette Stati i prigionieri-lavoratori non vengono pagati nulla, mentre a livello nazionale la paga media è di 52 centesimi all’ora, un guadagno già infinitamente minimo che viene ancora ridotto dalle ‘detrazioni’ compiute dalle amministrazioni carcerarie per tasse e spese. 

Ma le cose potrebbero cambiare in Tennessee, Alabama, Louisiana, Oregon e Vermont, che l’8 novembre votano - oltre che per il midterm - per abolire completamente ogni forma di schiavitù ancora ammessa dalla Costituzione.

Il 13esimo emendamento con cui è stata abolita nel 1865 la schiavitù infatti la riconosce ancora possibile come punizione per un crimine. E nell’America della più grande popolazione carceraria al mondo - oltre due milioni secondo i dati del 2021, con un numero sproporzionato di afroamericani - la forza lavoro praticamente a costo zero delle prigioni produce circa 2 miliardi all’anno in beni, ed oltre 9 miliardi in servizi per la manutenzione delle stesse prigioni, secondo i dati dell’Aclu.

I referendum presentati tendono ad eliminare nelle loro Costituzioni statali la formula che, sul modello del 13esimo emendamento, permette i lavori forzati. Finora solo tre stati - Colorado per primo nel 2018, seguito due anni dopo da Nebraska e Utah - hanno adottato legislazioni in questo senso. E secondo gli esperti i referendum del prossimo mese potrebbero essere “l’inizio di un’ondata, sospetto che da qui a dieci anni saremo inorriditi al pensiero che nel 2022 vi erano stati che permettevano questo cose”, come ha detto Sharon Dolovich, docente di diritto dell’University of California a Los Angeles.

“Dobbiamo prendere coscienza del fatto che lo stesso emendamento che ha liberato gli schiavi ha una clausola che ha permesso di renderli di nuovo schiavi - aggiunge Robert Chase, docente della Stony Brook University che dirige il gruppo Historians Against Slavery - permettendo che uomini e donne afroamericani siano rimessi in schiavitù incarcerandoli e vendendo il loro lavoro alle corporation private”. I detenuti che si rifiutano di lavorare a queste condizioni vengono puniti, messi in isolamento o perdono la possibilità di avere la pena ridotta per buona condotta, spiega ancora Chase.

Nel 2002 alla Corte Suprema è arrivato il caso di un detenuto dell’Alabama che era rimasto legato ad un palo sotto il sole per sette ore perché si rifiutava di lavorare alla ‘chain gang’, la fila di forzati, legati ad un’unica catena, che lavorano, nelle divise a righe, sui cigli delle strade, nei campi, sui binari delle ferrovie. Nel 2016 c’è stato anche il più grande sciopero delle prigioni d’America, con 24mila detenuti che si sono rifiutati di lavorare. Ed il mese scorso i detenuti dell’Alabama hanno scioperato ancora, paralizzando i servizi di pulizie del carcere.

La questione centrale infatti è che il sistema delle carceri si basa sul lavoro praticamente gratuito fornito dai detenuti: nei mesi scorsi in California non è stata accolta la misura che avrebbe abolito la servitù involontaria, costringendo l’amministrazione statale a pagare ai detenuti il salario minimo. “Stiamo facendo ricorso” annuncia Dolovich spiegando che pagare i detenuti sotto il salario minimo è sempre “una specie di schiavitù”.

venerdì 21 ottobre 2022

Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace - "Grido di Pace" - Religioni e culture in dialogo - Roma, 23-25 ottobre 2022

santegidio.org

Quest'anno l'incontro internazionale di Preghiera per la Pace delle religioni mondiali nello Spirito di Assisi, che ha come titolo "Il Grido della Pace" - Religioni e Culture in dialogo, si svolgerà a Roma da domenica 23 a martedì 25 ottobre

L'evento raccoglie le attese di pace di popoli e culture, in un tempo segnato dal tragico ritorno della guerra in Europa, che sta causando tante vittime e tanta distruzione. C'è bisogno di inviare un forte messaggio di speranza e di fiducia nel futuro. Il mondo globale ha urgentemente bisogno di un architettura di dialogo che protegga e affermi la pace, sempre ed in ogni contesto.

Oggi lo “spirito di Assisi”, che è spirito di dialogo e amicizia capace di coinvolgere leader religiosi, politici e gente comune nella costruzione della pace a ogni latitudine, appare sempre più necessario.

Su questo si confronteranno leader religiosi e rappresentanti dei popoli e delle culture di ogni parte del mondo nei tre giorni di convegno che si terrà al Centro Congressi La Nuvola, e si concluderà con la Preghiera per la Pace al Colosseo.

Nei prossimi giorni su questo sito sarà possibile trovare le informazioni dettagliate sullo svolgimento dell'Incontro e sulle modalità di partecipazione.

IL PROGRAMMA >>

L'evento è trasmesso integralmente in live streaming su questo sito, dove è possibile trovare tutti gli aggiornamenti.

Puoi partecipare a tutti gli appuntamenti in streaming.
Tutti gli aggiornamenti al link: https://preghieraperlapace.santegidio.org/


mercoledì 19 ottobre 2022

Europa - Oltre mille chilometri di muri anti profughi.

True Numbers
Il conto delle barriere anti migranti in tutto il continente. Adesso arriva quello polacco.Tutta Europa sta costruendo muri e barriere contro l’accoglienza dei profughi. E chi non li sta costruendo significa che ce li ha già.

Da sud-ovest, partendo dalle enclavi spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla, fino a sud-est arrivando alla Grecia. E poi salendo a nord verso la Macedonia e la Bulgaria e quindi in Ungheria e Austria fino ad arrivare in Polonia e Lituania: l’Europa è attraversata da oltre 1000 chilometri di barriere, pari a sette volte la lunghezza del Muro di Berlino. Ma come si è arrivati a questo punto? Facciamo un passo indietro.

Il muro più lungo è quello costruito dall’Ungheria
La politica europea in fatto di accoglienza degli immigrati è cambiata e si sta radicalizzando. Nei confronti dei blocchi anti migranti, come per il muro dell’Ungheria voluto da Orbán, Bruxelles ha sempre espresso un fermo dissenso ma la crisi afghana e il flusso migratorio da parte della Bielorussia hanno cambiato le carte in tavola mentre per quanto riguarda l’accoglienza dei profughi ucraini l’atteggiamento sembra più “morbido”.

Ylva Johansson, commissaria agli affari interni della Commissione europea, non lascia margini d’interpretazione ha detto che “dobbiamo evitare una crisi umanitaria in Europa: per questo dobbiamo aiutare gli afghani a casa loro”. Una dichiarazione che sembra quasi un tacito via libera alla costruzione di muri contro l’accoglienza dei profughi. Vediamo dove sono queste barriere e quanto sono lunghe.
Il muro anti immigrati in Lituania
La Lituania ha iniziato a costruire una barriera lunga 508 km e alta 3,4 metri, la Grecia ha già costruito un blocco lungo 40 km, la Polonia, dopo la crisi dei migranti con la Bielorussia, progetta una recinzione di 180 km. Così arriviamo a 692 km. Ma il conto totale è molto più alto perché è il doppio della barriera tra Ungheria e Serbia voluta da Orbán, lunga 523 chilometri e circa un terzo del muro tra Messico e Usa, 3.169 km

Migranti, il ruolo della Bielorussia
Torniamo un secondo alla Lituania per capire come l’atteggiamento contrario all’accoglienza dei profughi dell’Europa si sia radicalizzato. L’11 agosto 2021 il parlamento del Paese, con 80 sì e 2 no, ha approvato una legge di emergenza del governo di centrodestra per la costruzione di una recinzione lunga 508 Km. Obiettivo: bloccare l’accoglienza dei profughi provenienti dalla confinante Bielorussia. La Lituania, Paese Nato e membro Ue con 2,7 milioni di abitanti, si è allarmata dopo aver registrato un incremento nel flusso d’immigrati clandestini nei mesi precedenti.

La ritorsione di Lukashenko contro l’Europa
Secondo il governo di Vilnius la responsabile di questo incremento è la confinante Bielorussia che risponde cosi alle sanzioni economiche imposte dall’Ue a Aleksandr Lukashenko a causa del suo presunto ruolo nel dirottamento di un aereo il 23 giugno 2021. Lukashenko, secondo il governo lituano, ha organizzato dei voli diretti da Baghdad a Minsk e favorito una tratta illegale di donne e uomini ben prima che iniziasse la ritirata americana dall’Afghanistan.
I muri anti migranti della Lituania

E quindi se una nazione ostile usa i flussi di uomini come arma per destabilizzare un paese l’unica soluzione è impedirlo, per questo lo scopo dichiarato del muro di 508 Km della Lituania è di fermare i profughi “usati” da Lukashenko come ritorsione nei confronti delle sanzioni Ue. Stesso discorso vale per la decisione del governo polacco, l’ultima cronologicamente in fatto di nuovi innalzamenti di barriere. Anche per Varsavia la costruzione di nuovi muri anti profughi rappresenta una reazione alle manovre Bielorusse, veri e propri atti di guerra ibrida, ossia atti bellici condotti tramite azioni non convenzionali come, ad esempio tramite l’uso dei migranti come arma di destabilizzazione.

Muri anti profughi, la barriera greca
Stesso discorso per il muro voluto dal governo di Atene che significa tolleranza zero verso il ricatto di Recep Tayyip Erdogan che ha incentivato il flusso dei migranti verso la Grecia fino a quando la Ue (per iniziativa della Merkel) non ha versato decine di miliardi. Costruito in fretta e furia, il blocco greco è al momento lungo 40 km ed è costantemente pattugliato da militari armati.
Dal muro dell’Ungheria a quello austriaco

Sommando i tre muri di Lituania, Grecia e Polonia, arriviamo a 670 Km di barriere anti migranti. Ma i chilometri sono destinati ad aumentare. Al momento la barriera più lunga in Europa è quella ungherese. Costruita dall’esercito è alta circa 3,5 metri e lunga 523 chilometri lungo tutto confine serbo e croato. Infine ci sono le recinzioni austriache al confine con la Slovenia, 3 chilometri e quello sloveno al confine con la Croazia, 200 km.

Il muro più alto è a Ceuta e Melilla, sei metri
Il conteggio deve comprendere anche il muro che separa le città autonome spagnole Ceuta e Melilla dal Marocco; quello che impedisce ai migranti di saltare sopra i camion diretti in Gran Bretagna nel porto di Calais in Francia. Le barriere di Ceuta e Melilla, in totale 20 km, sono le più alte di tutti: sei metri di barriere coronate da filo spinato e, queste sì, sono state finanziate da fondi europei.

Muri anti migranti: 12 Paesi chiedono che li finanzi la Ue
Sono 12 i Paesi europei che hanno chiesto all’Europa di disporre di finanziamenti ad hoc per proteggere i propri confini dall’immigrazione. Si tratta di: Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. La Danimarca inoltre è il primo paese europeo ad aver approvato una legge sull’immigrazione, passata con 70 voti favorevoli contro 40 contrari, a “delocalizzare” le domande di asilo e di protezione internazionale. Le domande verranno prese in gestione da un paese terzo non ancora individuato. La decisione presa dal governo danese, guidato dalla socialista Mette Frederiksen, conferma la direzione che la Danimarca ha deciso di seguire rispetto all’immigrazione clandestina e l’accoglienza profughi: azzerare le domande di asilo.
Le barriere di filo spinato contro i profughi

Il governo danese ha fornito gratuitamente alla Lituania la stessa tipologia di filo spinato, affilatissimo e capace d’infliggere ferite mortali, usato dall’Ungheria di Orbán nel 2015 per blindare il confine con la Serbia. Un contributo simbolico per sostenere la costruzione di un nuovo muro in Europa. La Danimarca che sette anni fa aveva criticato le misure ungheresi di concerto con tutta l’Ue, ha adesso deciso di regalare alla Lituania ben 15 chilometri di filo spinato “speciale” per aiutare il paese, guidato da Ingrida Šimonytė, a proteggere il confine con la Bielorussia.
La Danimarca regala filo spinato

Il ministro degli esteri danese Mattias Tesfaye, proveniente da una famiglia etiope a sua volta rifugiata, il 28 settembre si è recato in Lituania per assistere ai lavori per la costruzione delle barriere anti immigrazione. Ora la Danimarca contribuisce ad accrescere il muro lituano. Il ministro degli esteri danese si discosta dalle critiche mosse dall’Ue dichiarando che quella di Orbán di sette anni fa è stata una decisione “di buon senso” per proteggere l’Europa e che i giudizi dati allora “non erano corretti“.

Il nuovo muro anti migranti in Polonia
Il conto non finisce qui. La Polonia, dopo l’ultima crisi migratoria che ha visto per oltre sei settimane scontri al confine dove almeno 4mila migranti provenienti dal Medio Oriente sono rimasti bloccati nelle foreste, ha dichiarato tramite il ministro della Difesa, Mariusz Blaszczak, la volontà di costruire una nuova recinzione alta 2 metri e mezzo e lunga circa 180 chilometri. Durante la crisi al confine Polacco sono morte almeno 14 persone, tra cui un bambino di solo un anno, la più giovane vittima nota della crisi al confine orientale. La costruzione della nuova barriera contro l’accoglienza dei profughi voluta dal governo polacco verrà iniziata a dicembre e sarà lunga 180 chilometri e alta 5,5 metri e costerà 335 milioni di euro. La domanda che pende come una spada di Damocle sull’Ue è relativa alla possibilità di un finanziamento da parte dell’Unione europea del nuovomuro anti profughi polacco.

martedì 18 ottobre 2022

Lettonia: rifugiati e migranti arrestati, torturati e respinti alla frontiera con la Bielorussia. Gravi violazioni diritto internazionale e UE

Corriere della Sera
 “Ci costringevano a rimanere nudi, a volte ci picchiavano e poi ci obbligavano a tornare indietro in Bielorussia, in alcuni casi anche attraversando un fiume la cui acqua era molto fredda. Ci dicevano che ci avrebbero sparato se non avessimo attraversato il confine”.“Dormivamo nella foresta, sotto la neve. Accendevamo dei fuochi per riscaldarci. C’erano lupi e orsi”.

“Un agente mi ha preso la mano, mi ha imposto di mettere la firma e mi ha fatto firmare con la forza”.

Queste testimonianze non provengono da una brutale dittatura ma da uno stato membro dell’Unione europea.

Sono contenute in un rapporto sulla Lettonia, pubblicato oggi da Amnesty International, che denuncia violenti respingimenti di migranti e rifugiati al confine con la Bielorussia e gravi violazioni dei diritti umani commesse nei loro confronti, tra cui detenzioni segrete e persino la tortura.

Il rapporto, intitolato “O tornerai a casa tua o non lascerai mai la foresta”, rivela il brutale trattamento di migranti e rifugiati, bambini compresi, trattenuti arbitrariamente in strutture segrete all’interno della foresta e costretti illegalmente e con la violenza a tornare in Bielorussia.

Molti di loro sono stati picchiati e sottoposti a scariche elettriche con le pistole taser, anche sui genitali. Alcuni sono stati obbligati a tornare “volontariamente” nei paesi di origine.

Questa situazione è iniziata il 10 agosto 2021, quando a seguito dell’aumento del numero di migranti e rifugiati incoraggiati dalla Bielorussia ad arrivare al confine, le autorità lettoni hanno posto in vigore lo stato d’emergenza.

Lo stato d’emergenza ha privato persone in cerca di rifugio dei loro diritti, sanciti dal diritto internazionale e da quello dell’Unione europea, consentendo alle autorità di rimandarle in Bielorussia in modo sommario e forzato, in violazione del principio di non respingimento.

Le autorità lettoni hanno ripetutamente prorogato lo stato d’emergenza, attualmente in vigore fino al novembre 2022, nonostante la diminuzione degli arrivi alla frontiera e la loro stessa ammissione che il numero dei tentativi d’ingresso era il risultato di più attraversamenti da parte delle medesime persone.

Così, decine e decine di migranti e rifugiati sono stati arrestati arbitrariamente e trattenuti in condizioni insalubri. A una piccola percentuale di loro è stato consentito l’ingresso in Lettonia, mentre la maggior parte è stata posta in centri di detenzione con scarsa o nulla possibilità di accedere alla procedura d’asilo, all’assistenza legale e a una supervisione indipendente.

Riccardo Noury

lunedì 17 ottobre 2022

La Grecia denuncia all'ONU di aver accolto 92 migranti completamente nudi provenienti dalla frontiera con la Turchia

Ansa Med
Il ministro greco per l'Immigrazione, Notis Mitarakis, ha annunciato che incontrerà lunedì prossimo il Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per sottoporre alla sua attenzione il caso dei 92 migranti che sono stati recuperati dalle autorità greche, spogliati interamente dei loro vestiti, venerdì scorso lungo il fiume Evros, nella regione greca della Tracia al confine con la Turchia.

Mitarakis ha annunciato l'incontro durante un'intervista con la televisione greca Skai, e ha aggiunto di avere già informato la Commissione europea a proposito della vicenda. 
"La Turchia si è trovata in una posizione molto difficile, poiché le 92 persone sono state trovate da Frontex, che ha confermato l'incidente" ha dichiarato Mitarakis, aggiungendo: "Queste persone, purtroppo, sono state sottoposte a trattamenti degradanti in Turchia. Ora sono in territorio greco e saranno trasferiti al Centro di registrazione di Fylakio".

In base a quanto dichiarato dalle autorità greche, i 92 migranti, tutti uomini principalmente di origine afghana e siriana, hanno testimoniato di essere stati condotti al confine da tre camionette della Guardia di frontiera turca. Ankara, a sua volta, nega ogni coinvolgimento nella vicenda e accusa la Grecia di violare sistematicamente i diritti umani dei richiedenti asilo con la collaborazione di Frontex.

Nella sua intervista, il ministro Mitarakis ha definito concreto il rischio che la Turchia strumentalizzi i flussi migratori per mettere in difficoltà la Grecia. "Nonostante la pressione a cui siamo sottoposti, quest'anno registriamo il secondo numero più basso di arrivi che si è verificato negli ultimi dieci anni" ha annunciato il ministro. 

"Per avere un'idea, nel 2015 è entrato nel nostro Paese circa 1 milione di persone, nel 2019 72.000, l'anno scorso 8.500 e quest'anno 11.000" ha spiegato Mitarachis, aggiungendo che delle 121 strutture di accoglienza operative in Grecia, ne sono rimaste solo 34.

domenica 16 ottobre 2022

Carcere, la strage silenziosa. Arrivano a 70 i suicidi nel 2022. Mai così tanti morti dal 2009

Avvenire
Ancora un suicidio. Non si ferma la strage nelle carceri italiane. Stavolta a togliersi la vita è stato, giovedì nella Casa circondariale di Sollicciano a Firenze, un detenuto marocchino di 29 anni. E nello stesso giorno un ragazzo recluso nell’istituto minorile “Ferrante Aporti” di Torino ha tentato di uccidersi ma è stato salvato in extremis dalle guardie. 


Il nordafricano avrebbe finito di scontare la sua condanna il 22 ottobre prossimo: gli mancavano solo 9 giorni ma non ce l’ha fatta a resistere allo stress psicologico, forse anche perché su di lui pendeva un mandato d’arresto europeo appena confermato dalla Corte d’Appello. Da Aosta era stato temporaneamente trasferito a Firenze per poter partecipare a un processo ma giovedì sera, preso dallo sconforto, ha bloccato la serratura della sua cella con un pezzo di plastica, ha appeso una corda alle sbarre della finestra e si è impiccato. Erano le 20.30 quando i secondini se ne sono accorti, nel loro solito giro di controllo. 

E con questo di Sollicciano, il tragico bilancio dei suicidi tra le mura di un istituto penale sale a 70 dall’inizio dell’anno (dati di “Ristretti Orizzonti”): mai così tanti dal 2009 quando – al 31 dicembre però per propria mano ne morirono 72. 

E non vanno dimenticati i 4 agenti di polizia penitenziaria che in questi nove mesi e mezzo del 2022 hanno avuto la stessa sorte, come sottolinea Gennarino De Fazio, segretario generale Uilpa della categoria. Segno di un malessere profondo che arriva spesso alla disperazione, una situazione, per detenuti, personale e volontari, diventata ormai impossibile in gran parte dei 192 istituti di pena italiani, sovraffollati, con gravi carenze di organico e strutturali e in condizioni igienico-sanitarie spesso precarie. Il ragazzo scampato alla morte a Torino aveva cercato di uccidersi formando un cappio con un lenzuolo che aveva legato alla grata della sua stanza. 
Con il lembo stretto attorno al collo il ragazzo si è lasciato cadere ma il tempestivo intervento degli agenti è stato decisivo. 
Nello stesso carcere minorile, inoltre, come denunciano i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, una guardia è stata ferita mentre, all’ora di pranzo cercava di separare due reclusi che stavano litigando con violenza: colpito in faccia da un contenitore metallico il secondino è stato portato al pronto soccorso del Cto. 
La situazione nella struttura torinese è «drammatica e pericolosa» «Il personale è allo stremo e abbandonato a se stesso tanto da essere costretto a improvvisare qualsiasi intervento senza idonee e chiare direttive, il carcere minorile di Torino – accusano i sindacati – ha bisogno di un direttore titolare e non di un direttore pendolare che arriva da Bari una volta al mese». 

Secondo l’ultimo Report dell’associazione Antigone, a tutt’oggi, l’istituto dove sono avvenuti più casi di suicidio dall’inizio dell’anno è quello di Foggia con quattro decessi. Seguono con tre suicidi ognuno, Milano San Vittore, Monza e Roma Regina Coeli. 

«Attendiamo l’insediamento del prossimo governo per chiedere al nuovo ministro della Giustizia un confronto ad ampio spettro su tutte le questioni che investono il sistema d’esecuzione penale – afferma De Fazio - ma sia chiaro sin d’ora che servono riforme strutturali, investimenti per organici ed equipaggiamenti e persino un banale accorgimento: subito un direttore e un comandante della Polizia penitenziaria titolari in ogni carcere». 
«Vanno assunti immediati e urgenti provvedimenti da parte del ministero» aggiunge Aldo Di Giacomo, segretario del Spp (Sindacato di Polizia penitenziaria), che ricorda la promessa del ministro Cartabia di introdurre nelle carceri italiane 2mila psicologi.

Fulvio Fulvi

sabato 15 ottobre 2022

Turchia - Stretta sui media, governo vuole zittire voci critiche prima delle elezioni, Amnesty contro la nuova legge

Ansa
Amnesty International ha criticato la legge, approvata ieri dal Parlamento turco, che prevede pene fino a tre anni di reclusione per chi diffonde "disinformazione" o "fake news" su internet. "Oggi è un altro giorno buio per la libertà di espressione on-line e la libertà di stampa in Turchia", ha affermato Guney Yildiz, ricercatore della sezione turca di Amnesty International.

Citando un "maggiore controllo del governo sui media negli ultimi anni", Yildiz ha affermato che "con il pretesto di combattere la disinformazione" il nuovo provvedimento "consente al governo di censurare ulteriormente e mettere a tacere le voci critiche in vista delle prossime elezioni in Turchia", che si terranno nella primavera del 2023. Secondo Amnesty, con la nuova legge, ci potrebbero essere arresti per persone che semplicemente ritwittano contenuti ritenuti "disinformazione".

Il provvedimento, voluto dal partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, prevede infatti sanzioni penali per chi viene ritenuto colpevole di avere diffuso on-line informazioni false o fuorvianti e richiede ai social network e ai siti internet di consegnare dati personali di utenti sospettati di "propagare informazioni ingannevoli". 

La legge consente ai tribunali di condannare, a pene che vanno da 1 a 3 anni di reclusione, giornalisti accreditati e regolari utenti dei social media che "diffondono apertamente informazioni fuorvianti".

Continua la strage di migranti, recuperati undici corpi a largo della Tunisia

Stranieri in Italia
Undici corpi in decomposizione di migranti sono stati recuperati tra giovedì e venerdì al largo del governato di Mahdia. A rendere nota la notizia è stata la Guardia costiera tunisina. La stessa ha anche dichiarato che dai resti sono stati prelevati dei campioni per l’analisi del Dna.

Le analisi, ha spiegato all’Afp il portavoce della Guardia nazionale Houcem Eddine Jebabli, serviranno per capire se i corpi dei migranti appartengono oppure no all’imbarcazione di fortuna partita da Zarzis naufragata circa venti giorni fa. A bordo di quella barca erano presenti 18 persone.

Intanto, le autorità tunisine nei giorni scorsi hanno smantellato quattro reti di immigrazione clandestina attive su una nuova rotta migratoria che passa attraverso la Turchia e la Serbia. La situazione, a causa delle condizioni meteorologiche favorevoli, infatti, è piuttosto difficile da controllare. Di fronte alla pressione migratoria, le autorità tunisine faticano per intercettare o soccorrere i migranti a causa, dicono, della mancanza di mezzi. Stando a quanto dichiarato dal ministero della Difesa tunisina, inoltre, quasi 200 migranti ,per lo più tunisini, sono stati intercettati in mare lo scorso fine settimana. Stavano tentando di raggiungere l’Europa per mezzo del Mediterraneo.

Da inizio 2022 sono più di 22.500 i migranti intercettati al largo delle coste tunisine. Di questi, 11.000 sono di origine subsahariana. Infine, secondo l’agenzia europea Frontex, la rotta del Mediterraneo centrale è stata utilizzata da oltre 42.500 migranti da gennaio a luglio. Questo dimostra un aumento del 44% rispetto ai primi sette mesi del 2021.

sabato 8 ottobre 2022

ll Nobel per la Pace 2022 ai difensori dei diritti umani: Ales Bialiatski (Bielorussia), il Russia's Memorial e l'Ukraine's Center for civil Liberties (Ccl) ... e la Russia sequestra gli uffici di "Memorial"

Ansa
Ales Bialiatski è un attivista bielorusso per i diritti umani, noto per il suo lavoro con il Viasna Human Rights Centre of Belarus, mentre le due organizzazioni umanitarie sono e il Russia's Memorial e l'Ukraine's Center for civil Liberties (Ccl).


La magistratura russa ha ordinato il sequestro degli uffici a Mosca dell'ong Memorial, insignita oggi del premio Nobel per la pace.

Il Nobel per la Pace al dissidente Bialiatski e alle organizzazioni Memorial e al Center for Civil Liberties in onore dell' "impegno in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere, di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere, per aver documentato crimini di guerra", è stato annunciato dal Comitato per il Nobel a Oslo.

Il Comitato per il Nobel ha chiesto alla Bielorussia la liberazione del dissidente Ales Bialiatski, ha detto nella conferenza stampa di annuncio la presidente del Comitato, Berit Reiss-Andersen.

La moglie del Premio Nobel per la Pace bielorusso, Natallia Pinchuk, si dice travolta dalla "commozione" e dalla "gratitudine" per il riconoscimento assegnato.

Ecco chi sono i tre vincitori ex aequo del Premio Nobel per la Pace 2022: 

ALES BIALIATSKI, 60 anni, è un attivista per i diritti umani, dissidente bielorusso, ex obiettore di coscienza e tra i fondatori dell'ong bielorussa Viasna.

Nel 2011 il regime di Aleksandr Lukashenko lo ha arrestato per presunta "evasione fiscale": una condanna che dissidenti e organizzazioni per i diritti umani considerano politicamente motivata.

Rilasciato nel 2014, è stato arrestato di nuovo dopo una violenta perquisizione alla sede di Viasna e condannato a una seconda pena di 7 anni, sempre per presunta evasione fiscale, ed è tuttora in carcere. Fra i riconoscimenti internazionali per la sua attività di dissidente e di denuncia delle violazioni dei diritti civili e umani, Bialiatski è stato insignito, fra l'altro, del Premio Sakharov da parte del Parlamento europeo nel 2020, del premio Vaclav Havel per i Diritti umani conferito nel 2012 dal Consiglio d'Europa. E' stato nominato per cinque volte per il Nobel, vinto solo quest'anno, ed è cittadino onorario di Parigi e, in Italia, di Genova e di Siracusa.

L'ong russa MEMORIAL fu fondata nel 1989, nel pieno del processo della Perestroika voluto da Mikhail Gorbaciov, quando l'Unione sovietica era vicina al suo crollo, per studiare e denunciare le violazioni e i crimini commessi durante il terrore imposto dal regime di Stalin. Inizialmente diviso in due sezioni, una per documentare i crimini stalinisti una per i diritti umani nelle zone di conflitto, in area sovietica e anche fuori. Strutturato più come movimento che come organizzazione, al dicembre 2021 Memorial incorporava 50 ong russe e altre 11 da altri Paesi, inclusi Ucraina, Germania, Italia, Belgio e Francia. Memorial è stata messa fuorilegge in Russia il 5 aprile di quest'anno come "agente straniero", in base alla legge putiniana sulle ong, e chiusa.

Il CENTER FOR CIVIL LIBERTIES (CCL) è una Ong ucraina con base a Kiev, fondata nel 2007 e dedita alla documentazione di crimini di guerra, abusi sui diritti umani e abusi di potere. Nella sue stesse parole, Ccl si autodefinisce "uno degli attori principali in Ucraina, volto a influenzare l'opinione pubblica e la politica, a favorire lo sviluppo di un attivismo civico, partecipa a network internazionali e nelle azioni di solidarietà per promuovere i diritti umani in ambito Osce". Si tratta della prima organizzazione ucraina a ricevere un Nobel per la Pace.

WIRED
La Russia ha sequestrato gli uffici di Memorial, l'ong che ha vinto il Nobel per la pace
Poche ore dopo il conferimento del riconoscimento, un tribunale di Mosca ha messo i sigilli alla sede. 

Al Wired Next Fest di Milano il direttore Sergej Davidis è intervenuto sul regime oppressivo di Putin subito dopo aver appreso del premio
[...] A darne notizia è l'agenzia russa Interfax, che riporta una decisione di un tribunale di Mosca che venerdì ha ordinato il sequestro degli uffici di Memorial a poche ore dal conferimento del riconoscimento internazionale.

Secondo quanto riferiscono le agenzie, il tribunale di Tverskoy ha stabilito che gli uffici della ong Memorial sono “diventati proprietà dello Stato”. Non è la prima volta in cui le autorità russe opprimono l'organizzazione per i diritti umani. L'anno scorso Mosca ha chiuso l'ong, senza che il presidente Vladimir Putin facesse nulla per impedire che l'ong fosse calpestata, e il clima è peggiorata dal momento dell'invasione dell'Ucraina. L'associazione è stata fondata nel 1987 da alcuni importanti attivisti per i diritti umani, tra cui il premio Nobel per la pace Andrei Sakharov e la matematica e attivista Svetlana Gannuskina. L’organizzazione si occupa di studiare e raccogliere le prove delle repressioni politiche avvenute durante il regime sovietico e sostenere le persone sottoposte a repressioni politiche nella Russia contemporanea, sotto il regime di Vladimir Putin.