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giovedì 31 ottobre 2019

Commissione Segre contro il razzismo - Sì al Senato con la vergognosa e preoccupante astensione di tutto il centro destra

Avvenire
Scoppia la polemica, che coinvolge anche Forza Italia. Carfagna: questa non è la mia casa, stiamo tradendo i nostri valori e cambiando pelle.

Nasce al Senato una commissione straordinaria per combattere razzismo, antisemitismo e ogni forma di istigazione all'odio. Ma la creatura voluta da Liliana Segre non ha i voti di Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia.



La mozione della maggioranza che ha il sigillo della senatrice a vita (prima firmataria del testo), è stata approvata con 151 sì, 98 astensioni e nessun no. Il centrodestra compatto non l'ha votata, facendo saltare l'unanimità e provocando l'attacco feroce di Italia viva, Democratici e 5Stelle


Matteo Salvini (in Aula per il voto) si difende in nome del no a razzismo, odio e antisemitismo «senza se e senza ma», accusando però la sinistra di spacciare per razzismo lo slogan sovranista "Prima gli italiani". E avverte: «Non vogliamo bavagli e stato di polizia che ci riportano a Orwell».

Oltre al documento della maggioranza, sul tavolo di Palazzo Madama c'erano altre quattro mozioni (due di FdI, una della Lega e una di FI). Avviata la discussione, dalle opposizioni sono cominciati i distinguo. Eppure, l'ex bambina che fu deportata ad Auschwitz e una dei 25 piccoli italiani sopravvissuti all'Olocausto, ci contava su un voto il più ampio possibile.

«Speravo che sull'odio in generale il Senato sarebbe stato festante e avrebbe trovato una sintonia generale», ammette amara Segre. Dopo l'approvazione, l'Aula l'ha applaudita a lungo, tutti in piedi ed Emma Bonino si è avvicinata e le ha stretto la mano. Del resto la vicinanza a parole è stata unanime, specie dopo i tanti insulti ricevuti. Tuttavia a non convincere il centrodestra, alcuni passaggi del testo. Per FdI, ad esempio, tra le espressioni di odio nella mozione si citano nazionalismo ed etnocentrismo e allora il senatore Giovanbattista Fazzolari osserva: «Così si mette fuori legge Fratelli d'Italia».

Per la Lega non è in dubbio la buona fede e la storia dell'ex deportata ma il rischio di «un uso strumentale» della commissione. Il capogruppo Massimiliano Romeo in Aula fa qualche esempio: «Sostenere che la famiglia formata da un uomo e una donna è un'espressione di odio rispetto ad altri tipi di famiglia? Dire che l'immigrazione illegale può mettere a repentaglio la nostra civiltà, è odio?». Da qui il niet leghista alla proposta lanciata dal Pd di votare un'unica mozione, partendo da quella Segre, per non fare «una classifica» di diversi tipi di odio.

Ma a far saltare il tentativo di unità si è aggiunta Iv: «Non mettiamo nessuna firma a una mozione con la Lega - è la stilettata del capogruppo Davide Faraone - perché i contenuti delle mozioni sono alternativi». Per un pò FI tenta la strada dell'unità, sperando in un testo condiviso ma alla fine cede e segue gli alleati: «Riteniamo troppo ambiguo il passaggio sul contrasto ai nazionalismi - spiega Lucio Malan per giustificare l'astensione - e la necessità di colpire anche dichiarazioni sgradite, anche quando non siano lesive della dignità della persona».

Ma in Forza Italia c'è chi protesta per il mancato sì: "La mia Forza Italia, la mia casa, non si sarebbe mai astenuta in un voto sull'antisemitismo. Stiamo tradendo i nostri valori e cambiando pelle. Intendo questo quando dico che nell'alleanza di centrodestra andiamo a rimorchio senza rivendicare la nostra identità. Se l'unità della coalizione in politica è un valore aggiunto, essa non può compromettere i valori veri, quelli che fanno parte della nostra storia", è il duro commento di Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia.

mercoledì 30 ottobre 2019

Belgio, polizia trova 12 migranti nascosti in camion frigorifero: siriani e sudanesi, sono tutti vivi

La Repubblica
Il tir era in un parcheggio dell'autostrada nel nord del Paese. Ad avvisare le autorità è stato l'autista del mezzo che trasportava frutta e verdura.


Dodici migranti, vivi, sono stati trovati dalla polizia belga in un camion frigorifero fermo in un parcheggio dell'autostrada nel nord del Belgio. Ad avvisare le autorità è stato l'autista del mezzo che trasportava frutta e verdura.

La polizia federale ha riferito che i migranti, tutti di origine siriana e sudanese, sono stati portati all'Ufficio Immigrazione nella città di Anversa.

La scorsa settimana, 39 migranti sono stati trovati morti in un camion frigorifero in Gran Bretagna dopo essere passati dal porto belga di Zeebrugge. Le autorità belghe stanno collaborando con le autorità britanniche nelle indagini.

Usa: la Camera riconosce il genocidio armeno, ira della Turchia

Corriere della Sera
Risoluzione approvata alla quasi unanimità con voto bipartisan. La protesta di Ankara: «Atto ad uso interno, privo di qualsiasi base storica e giuridica». Ambasciatore Usa convocato al ministero degli Esteri turco.


Doppio schiaffo della Camera Usa ad Ankara, a due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca: i deputati hanno approvato in modo bipartisan quasi all’unanimità una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al presidente Donald Trump di imporre sanzioni e altre restrizioni alla Turchia e ai dirigenti di quel Paese per l’offensiva nella Siria settentrionale. 

Immediata la reazione di Ankara, che «rifiuta» la risoluzione sul genocidio armeno, bollandola come una decisione «ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica». «È un passo politico insignificante - ha detto il capo della diplomazia di Ankara Mevlut Cavusoglu - indirizzato solo alla lobby armena e ai gruppi anti-Turchia». L'ambasciatore americano ad Ankara, David Satterfield, è stato convocato al ministero degli Esteri turco.

Il voto dei parlamentari Usa

Il ministero degli esteri turco ha condannato fortemente anche la risoluzione sulle sanzioni, sottolineando che la decisione non è consona all’alleanza Nato tra i due Paesi e all’accordo tra Usa e Ankara sulla tregua in Siria, e ammonendo Washington a prendere misure per evitare passi che danneggino ulteriormente le relazioni bilaterali. La Camera Usa ha riconosciuto formalmente il «genocidio armeno» con una maggioranza schiacciante (405 sì su 435 voti, di cui 11 contrari). Il testo, non vincolante, invita a «commemorare il genocidio armeno» e a «rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione», nonché a educare sulla vicenda. L’approvazione è stata salutata con un lungo applauso in aula.

La ricostruzione storica
Il genocidio armeno è stato riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l’Italia. Secondo le stime tra 1,2 e 1,5 milioni di armeni sono stati uccisi durante la prima guerra mondiale dalle truppe dell’impero ottomano, all’epoca alleato di Germania e Regno austro-ungarico. Ma Ankara rifiuta il termine genocidio sostenendo che vi furono massacri reciproci sullo sfondo di una guerra civile e di una carestia che fecero migliaia di morti da entrambe le parti. Nell’aprile 2017, pochi mesi dopo l’insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump aveva definito il massacro degli armeni nel 2015 «una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo», senza però usare il termine genocidio. Ma bastò a suscitare l’ira della Turchia. Barack Obama, prima di essere eletto nel 2008, si era impegnato ad riconoscere il genocidio armeno ma non lo fece.
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martedì 29 ottobre 2019

New Book - "Porte aperte - Viaggio nell'Italia che non ha paura" di Mario Marazziti. Storie di persone che vincono la diffidenza e accolgono i rifugiati arrivati con i corridoi umanitari che fuggono da guerra, persecuzione e morte

Blog Diritti Umani - Human Rights
Porte aperte: della comunità, della propria casa, della mente. Le storie raccolte in questo libro iniziano così, da persone che, vincendo la diffidenza, hanno accolto in vario modo persone in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla morte. 

Attraverso di loro la rete dei Corridoi Umanitari promossi dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche e dalla Conferenza Episcopale Italiana si è allargata ed è diventata il modello concreto e praticabile di una vera integrazione. 

Mario Marazziti, esperto e protagonista di politiche sociali innovative, ha attraversato l'intero Paese, da Treviso a Palermo, visitando città e piccoli centri, per raccogliere esperienze di un tipo di accoglienza diffusa che funziona e non richiede finanziamenti pubblici e che, mentre offre una nuova vita ai profughi, fa rinascere anche le comunità locali intorno a un progetto comune.

Nel suo viaggio dà voce all'Italia che non cede alla paura, non distoglie lo sguardo dalle sofferenze degli altri; a cittadini che a partire dalle ragioni della solidarietà e di un umanesimo profondo, hanno dato l'avvio a una significativa trasformazione sociale. 

E nella conclusione offre proposte operative per le politiche italiane ed europee. Un libro di storie autentiche che lasciano intravedere un futuro alternativo ai muri e ai porti chiusi e rappresentano l'antidoto alle narrazioni che impediscono di vedere nell'altro la somiglianza con noi stessi.

Mario Marazziti
Nato a Roma nel 1952, giornalista e scrittore, autore di diversi libri, è stato per anni editorialista per il Corriere della Sera, Avvenire, Famiglia Cristiana, Huffington Post e portavoce della Comunità di Sant'Egidio.
Presidente del Comitato per i Diritti Umani e poi della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018, è stato promotore e primo firmatario della legge di cittadinanza per i bambini immigrati (ius soli e ius culturae) e ha portato a termine, tra l'altro, la riforma delle professioni sanitarie, la legge di sostegno ai disabili gravi «Dopo di noi», e quella sul recupero degli sprechi alimentari. È cofondatore della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte.


Novità sugli venti collegati al libro e sulle  storie di accoglienza su Instagram: @porte.aperte

Etiopia. Manifestazioni violente nella regione Oromo, 67 morti negli scontri con la polizia e in faide interetniche

Il Manifesto
Oromia in fiamme. Si radicalizza lo scontro con il tycoon Jawar Mohammed, oromo come il premier. Che ora è sotto accusa anche per non aver anticipato il ritorno da Sochi. Mentre sul piano internazionale la sua popolarità gode di una crescita esponenziale, a maggior ragione dopo il Nobel per la pace ricevuto nelle scorse settimane, sul piano interno Abiy Ahmed deve affrontare la sfida forse più seria da quando è diventato premier dell'Etiopia. 

Una sfida in arrivo proprio da quell'Oromia che dalla sua sorprendente ascesa alla guida del governo sembrava avere molto da guadagnare. Perché mai prima d'ora un rappresentante del maggiore (e maggiormente discriminato) dei gruppi etnici etiopici - Ahmed è un oromo - era arrivato così in alto.

Ma mentre Ahmed partecipava al summit russo-africano di Sochi, facendosi notare da Putin per il vivo interesse manifestato nei confronti delle centrali nucleari che Mosca va seminando in mezza Africa, in Oromia tramontava definitivamente l'idillio inaugurato dalla liberazione di migliaia di detenuti politici e dalla riapertura dei media oscurati dal precedente regime.

La grana principale per Ahmed - che ora è sotto accusa anche per non aver anticipato il suo ritorno da Sochi - fa capo proprio a uno degli attori più importanti sul panorama mediatico-politico nazionale. 

L'imprenditore Jawar Mohammed, anche lui un oromo, fondatore dell'Oromia Media Network, cittadinanza americana e un portafoglio di 1,75 milioni di followers, ebbe tra l'altro un ruolo chiave nelle manifestazioni che spianarono inizialmente la strada alla svolta e all'arrivo al potere dell'attuale premier. 


Ma ora denuncia l'esistenza di un complotto per ucciderlo, nel quadro di una spietata strategia seguita da Ahmed per eliminare i suoi rivali. Il primo ministro contro-accusa i (suoi) media di fomentare odio. Ma quando le forze di sicurezza hanno fatto irruzione a casa di Mohammed, a Addis Abeba, nell'intera regione centrale dell'Etiopia la rabbia è esplosa in forme diverse.

Scontri tra manifestanti e polizia, sparatorie interetniche, vecchie faide familiari e religiose hanno mietuto decine di vittime (l'ultima stima ieri parlava di 67 morti e centinaia di feriti) a Ambo, Goru Gotu, Arsi, Adama, Hamaresa, coinvolgendo alla fine una dozzina almeno di città dell'Oromia. 

A quel punto Mohamed per provare a riportare la calma si è rivolto ai sostenitori riuniti sotto le finestre di casa sua: "Riaprite le strade bloccate - ha detto - ripulite le città dalle barricate, soccorrete coloro che sono rimasti feriti durante le proteste e riconciliatevi con coloro con cui avete litigato". Resta da vedere se lui sarà capace di fare altrettanto con il suo premier.

di Marco Boccitto

lunedì 28 ottobre 2019

Sant'Egidio ricorda Dominique Green, giovane afroamericano messo a morte nel 2004. Dall'amicizia con lui ha preso il via l'impegno per l'abolizione della pena di morte

santegidio.org
Il 27 ottobre facciamo memoria di Dominique Green, un giovane afroamericano, diventato amico della Comunità di Sant'Egidio atttraverso la corrispondenza, che fu giustiziato nel 2004. Con lui ricordiamo tutti quelli che sono nel braccio della morte perché presto sia abolita la pena capitale in tutto il mondo.
Tante storie di amicizia per capire


Cile - Continuano le manifestazioni di protesta, la repressione con sparizioni, torture, donne violentate dai Carabineros

Pacelink
Come ormai risaputo, il Cile si trova da diversi giorni in Stato di emergenza e i media ufficiali starebbero occultando gli abusi della polizia infiltrata
Patricia è una psicologa di 46 anni, vive a Santiago del Cile ed è grata di poterci raccontare quello che sta accadendo nel suo paese. Molte delle donne che sono state arrestate risultano tuttora disperse:“Proprio come sotto la dittatura, madri disperate vanno cercando i propri figli e figlie per i tribunali. Fra gli scomparsi vi sono diversi minorenni”.

Patricia racconta che, nel Cile di Piñera, le persone vengono sequestrate, fatte salire a bordo di camion e che molti loro famigliari ne ignorano la destinazione. Stanno già circolando immagini di incendi dove si riescono a distinguere cadaveri, che il circo mediatico vorrebbe far passare per sciacalli : “Abbiamo visto i video di come gettano via i corpi. Siamo tutti convinti che si tratti delle vittime, li stanno gettando al fuoco per cancellare ogni traccia”.

Funzionari dell’Istituto Nazionale per i Diritti Umani del Cile hanno tentato ieri di entrare nell'ospedale Posta Central di Santiago, uno dei maggiori centri di riferimento della sanità pubblica del paese. Hanno trovato le porte sbarrate con le catene, non riuscendo quindi ad entrare: “Non sappiamo cosa stia succedendo, ma il sistema sanitario sta iniziando a fermarsi, così come i lavoratori portuali: è come essere in guerra” aggiunge Patricia.

Chi ha vissuto la dittatura di Pinochet adesso ha molta paura a uscire per strada. Nel comune di San Bernardo, a sud della capitale, sono state fatte irruzioni nelle scuole e sono state sequestrate bambine e adolescenti. Nelle strutture sanitarie giungono notizie di lesioni a seguito di violenze sessuali su molte di queste ragazze.

Le donne che sono state arrestate a Santiago del Cile sono state denudate davanti al personale maschile e persino palpeggiate nella zona genitale. Patricia ci racconta che “gli hanno messo la punta del fucile nella vagina con minacce di stupro e morte”.


Fonte: Agencia de Noticias de Comunicación Alternativa y Popular - 22 ottobre 2019


Juliana Miceli

Grecia: Fofi Gennimata leader partito Kinal, in visita all'isola di Samos: "Ue e Atene riprendano in mano gestione rifugiati"

Agenzia Nova
L’Europa e la Grecia devono riprendere in mano la gestione dei rifugiati, senza lasciarla alla Turchia.
Campo profughi nell'isola di Samos
Lo ha affermato il leader del partito ellenico Kinal, Fofi Gennimata, parlando nel corso di una visita all’isola di Samos, nell’Egeo orientale. 

Come spiegato da Gennimata, l’Ue e le autorità greche devono “riprendere le chiavi consegnate al presidente turco Recep Tayyip Erdogan”, che usa l’immigrazione “per minacciare di aprire le porte a milioni di rifugiati e migranti che vogliono raggiungere l’Europa”. 

Gennimata ha accusato il presidente turco di “ricattare” i paesi europei. “Tutte le nazioni dell’Ue dovrebbero assumersi le loro responsabilità, perché la questione non riguarda solo la Grecia” ha aggiunto la leader di Kinal, ripresa dal quotidiano “Kathimerini”.

Il Card. Zuppi ospite da Fazio: " Il contrario della paura non è il coraggio. L'amore è la vittoria sulla paura."

La Repubblica - Bologna
Il cardinale in tv ha presentato il suo libro “Odierai il prossimo tuo” che uscirà il 26 novembreUna prima serata tv per il cardinale Matteo Zuppi, che ieri dagli schermi di Rai 2, intervistato da Fabio Fazio, ha parlato a tutto tondo di odio e fake news. Il 26 novembre uscirà per Piemme il suo libro dal titolo esplicito: “Odierai il prossimo tuo” e Zuppi ieri ha spiegato in diretta il senso delle sue preoccupazioni.

"L’odio si crede intelligente perché crede di identificare il nemico - ha detto Zuppi - di essere muscolare, di anticipare i problemi, mentre l’amore è visto come buonismo, che è una caricatura. Invece l’amore è la vittoria sulla paura"
All’intervistatore che chiede da dove arrivi questa paura che sembra la cifra del presente, Zuppi risponde: "Siamo individualisti e amiamo di meno, siamo indifferenti, abbiamo meno attenzione per gli altri, siamo più conservatori di noi stessi e quindi più fragili".

Ma non sempre l’odio e la paura sono spontanei, come non lo sono del tutto le critiche a Papa Bergoglio che prendono piede ad esempio sui social. "Gli attacchi al Papa ci sono sempre stati ma bisogna dire che incide anche il mondo digitale e certi investimenti - ha detto il cardinale - non è sempre casuale, c’è anche chi produce le notizie e invade il web e si tratta di fabbriche invisibili".

Il vescovo poi ha sostenuto l’esigenza dell’introduzione dello Ius culturae, la cittadinanza per i bambini nati in Italia al termine di un ciclo di studi. "Bisogna dare delle regole che guardano avanti - ha detto - che siano capaci di dare risposte a coloro che di fatto sono italiani. La scuola questo problema non ce l’ha perché per un maestro i suoi alunni sono italiani. Un maestro o un professore sono in prima linea, lo Ius culturale è un modo per dare chiarezza, che vuol dire diritti, doveri e un futuro". Anche perché i «problemi vengono deformati e ingigantiti, pensiamo che arrivino in tanti come immigrati e non ci accorgiamo che sono di più quelli che emigrano".

Zuppi infine si è pronunciato contro l’esibizione dei simboli religiosi, dicendo chiaramente: "Il problema è viverli nella quotidianità quei simboli, l’esibizione è una tentazione cui resistere". E poi ha affrontato anche il tema della laicità. "Sembra strano che la Chiesa difenda la laicità, ma questa non è arrendevolezza - ha detto il cardinale - il punto è che il Vangelo va vissuto nella storia. Quando si ha paura si ricercano risposte immediate". L’inferno per Zuppi è "un mondo in cui si sta soli, circondati da specchi e sempre connessi". Il Papa gli ha chiesto "poca mondanità e molta compassione" e Zuppi ha provato a spiegarlo, dal piccolo schermo.
Eleonora Capelli

domenica 27 ottobre 2019

Antisemitismo, la vergogna di 200 insulti al giorno sui social contro Liliana Segre. La politica "schifata" vuole mettere in atto provvedimenti.

Rai News 24
Liliana Segre riceve circa duecento messaggi di odio al giorno. Lo rivela Repubblica, riportando i dati dell'Osservatorio antisemitismo. La senatrice a vita, 89 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, è continuamente bersagliata- scrive il quotidiano - da attacchi politici e religiosi, insulti, maldicenze, attraverso anonimi messaggi online. 


"A prenderla di mira, a farla diventare un target sono antisemiti protetti dall'anonimato, altri che lanciano i messaggi da blog e siti di estrema destra, e anche attivisti che credono alle teorie più deliranti" scrive Repubblica. 

Le reazioni di Conte: ora norme contro linguaggio duro "Inviterò tutte le forze politiche che stanno in Parlamento a mettersi d'accordo per introdurre norme contro il linguaggio dell'odio. Via social e a tutti i livelli". 

Lo dice il premier Giuseppe Conte intervenendo alla Giornata nazionale del folklore e delle tradizioni popolari, con riferimento ai messaggi arrivata alla senatrice Segre. "I messaggi carichi di odio che ogni giorno vengono rivolti all'indirizzo della senatrice Liliana Segre sono un insulto alla storia e alle istituzioni di un Paese che sul rifiuto dell'antisemitismo e sul ripudio della violenza ha eretto la sua architettura democratica e ritrovato la pace, la libertà e il progresso" ha dichiarato la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. 

"Schifato. Non trovo termine più adatto per commentare i continui insulti che la senatrice Liliana Segre riceve ogni giorno in rete", scrive su Facebook il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. "La mia solidarietà - aggiunge -, e quella di tutti i democratici. Sono insulti antisemiti o di genere che non possono passare più inosservati". "Stiamo entrando - continua - negli anni venti del nuovo millennio: nessuno si tiri indietro affinché siano anni di pace, di rispetto della dignità umana e di valorizzazione delle differenze. Grazie anche questa volta per il suo coraggio, a una grande donna italiana! Lei non sarà mai sola".
 

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sabato 26 ottobre 2019

Nuova recensione del libro "Liberi dentro" - «Adesso prendo tutti questi tuoi pensieri, li nascondo nella mia borsa e li porto fuori di qua. Li faccio diventare liberi. Possono correre e realizzarsi»

Voce Pinerolese
«Adesso prendo tutti questi tuoi pensieri, li nascondo nella mia borsa e li porto fuori di qua. Li faccio diventare liberi. Possono correre e realizzarsi». «I loro bigliettini usciranno insieme a me dal carcere e saranno depositati presso l'altare dei poveri si che si trova nella piccola chiesa di Sant'Egidio. Le loro intenzioni saranno così accolte in una preghiera più ampia».

Ezio Savasta pubblica per Infinito Edizioni, “Liberi dentro. Cambiare è possibile, anche in carcere” (2019). Professore di elettronica, si dedica “con tutto il cuore e con tutta l'anima”, come direbbe un pio ebreo (2 Re 23,3), al volontariato in carcere. Inanella una serie di storie narrate con la passione di chi è convinto che «ricevere una visita, fare un colloquio, è un modo di riallacciare dei legami che sono fili di speranza e anticipi di libertà». 

Al contempo, Savasta racconta l'esperienza della comunità di Sant'Egidio che organizza anche distribuzioni di generi di prima necessità, sempre con l'obiettivo di allargare la conoscenza. «Anche se la distribuzione è necessariamente veloce, ci teniamo che ognuno possa essere salutato personalmente e che a sua volta abbia la possibilità di individuarci, per potersi mettere in contatto e chiedere aiuto anche in seguito». 

Nel dipanarsi degli eventi, in cui alle procedure per ottenere l'autorizzazione alla visita (trasferimenti improvvisi obbligano a contattare diverse istituzioni carcerarie) si alternano lunghe camminate nei corridoi che separano i cancelli, Savasta si costruisce un'invidiabile conoscenza del mondo carcerario. Sa dove trovare indicazioni delle celle, come approcciarsi agli agenti di custodia, talvolta tenendo testa ai pregiudizi con cui infieriscono sui detenuti (cronaca di questi giorni, proprio a Torino). 

Parlando del diciottenne Mihai, ricorda come «attualmente il 70 per cento dei detenuti che scontano l'intera pena reclusi tornano a commettere reati» con buona pace dell'art. 27 Cost. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Emozionante il racconto dell'organizzazione sempre curata da Sant'Egidio del pranzo di Natale a cui partecipano le autorità giudiziarie, gli educatori («per un giorno si è tutti uguali e si mangia tutti allo stesso tavolo». Hassan, egiziano, assiste ai preparativi e pensa: «Mamma mia, oggi a Regina Coeli deve venire un pezzo gresso» per poi scoprire di essere lui il pezzo grosso invitato al pranzo.

Said cerca Savasta per ringraziare dell'azione di mediazione svolta nel 1994 dalla comunità di Sant'Egidio tra i leader dei maggiori politici algerini che non si vedevano da anni. Un momento difficile nella storia dell'amicizia con lui è il giorno della liberazione. «Attendo Said fuori dalla porta “carraia” di Rebibbia. Ha un saccone nero, quelli che si usano per la spazzatura, che contiene tutti i suoi averi». 

All'uscita dal carcere, c'è chi chiede di essere sostenuto anche solo nell'attraversare la strada ma le difficoltà principali consistono nel trovare una sistemazione, un'occupazione. Dopo qualche tempo, Said viene recuperato su indicazione di Giuseppe, un anziano barbone: “me sa' che dorme ar Tevere, sotto ponte Principe Amedeo”. 

Patrick chiede una Bibbia, «settimana dopo settimana è sempre più consumata, piena di sottolineature e contrassegnata da segnalibri, realizzati con pezzetti di carta, su cui scrive brevi appunti». Insieme ai suoi amici usano una traduzione del libro “La Parola di Dio ogni giorno” del card. Vincenzo Paglia. «Si sistemano in un angolo dello spazio dedicato all'ora d'aria, lui legge il brano del giorno, poi assieme ascoltano il commento, infine concludono con la recita del Padre Nostro». 

Altra preghiera viene animata con Petru nella stanza dove si fa scuola, Savasta distribuisce dei foglietti «dove scrivere i nomi dei familiari o dei malati che vogliono ricordare nella preghiera». Una chiave di lettura presentata nella premessa è il “kintsugi”, la pratica giapponese di ricomporre oggetti di ceramica andati in frantumi, utilizzando oro o argento per saldare i frammenti. Si ottiene un vaso originale, unico, più prezioso del precedente. «Non bisogna vergognarsi delle ferite, ognuna di esse, come ogni dolore e ciascuna imperfezione, possono, se affrontate, trasformarci in persone nuove, migliori, più sagge».

Firma l'introduzione Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati (XVII legislatura). «Il carcere, per definizione, è luogo separato. Luoghi invisibili. Umanità invisibili. La vita scorre e quelle mura alla fine risultano rassicuranti. “Tutto il male dentro e il bene fuori”». Per Savasta, «il volontario in carcere è portatore di un'altra cultura, di una pacificazione sociale, promuovendo un processo di riconciliazine tra la società e gli uomini che l'hanno ferita con i loro reati». Ancora Marazziti ricorda Giovanni XXIII nella “rotonda” di Regina Coeli, Paolo VI nel 1964, san Giovanni Paolo II nel 2000, Benedetto XVI nel 2011. Di papa Francesco cominciano ad apparire le immagini anche nelle celle, le sue parole nel Giubileo della misericordia (6 novembre 2016) sono state: “Perché loro e non io? Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. E l'ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c'è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinseriemnto della società”.

Piergiacomo Oderda


Fonte: Voce Pinerolese

Ricerca Amnesty - La Turchia ha rimpatriato a forza centinaia di migliaia di profughi i Siria, prima dell'azione militare contro i curdi.

AnsaMed
Una nuova ricerca di Amnesty International ha rivelato che, nei mesi che hanno preceduto la sua incursione militare nel nordest della Siria e prima del tentativo di creare la cosiddetta "zona sicura" oltre i suoi confini, la Turchia avrebbe rimpatriato forzatamente rifugiati siriani. 


Amnesty International ha incontrato o parlato con rifugiati che hanno denunciato di essere stati picchiati o minacciati dalla polizia turca affinché firmassero documenti in cui attestavano di aver chiesto di tornare in Siria. "In realtà - sostiene la Ong -, le autorità turche li hanno costretti a tornare in una zona di guerra e hanno posto le loro vite in grave pericolo".

"L'affermazione della Turchia secondo le quali i rifugiati siriani stanno scegliendo di tornare indietro in mezzo al conflitto è pericolosa e disonesta. La nostra ricerca mostra che queste persone sono state ingannate ed obbligate a tornare in Siria", ha dichiarato Anna Shea, ricercatrice di Amnesty International sui diritti dei migranti e dei rifugiati. 

"La Turchia merita apprezzamento per aver dato ospitalità a oltre tre milioni e 600 mila siriani negli ultimi 8 anni, ma non può usare la sua generosità come una scusa per violare le norme nazionali e internazionali eseguendo rimpatri in una zona di conflitto", ha aggiunto Shea. In assenza di statistiche ufficiali, stimare il numero delle persone rimpatriate a forza è difficile. 

Ma sulla base di decine di interviste realizzate tra luglio e ottobre del 2019, Amnesty International ritiene che negli ultimi mesi i rimpatri siano stati centinaia. Le autorità turche parlano di un totale di 315.000 persone tornate in Siria in modo del tutto volontario. Amnesty International "ricorda che rimpatriare rifugiati siriani è un'azione illegale che li espone a gravi rischi di subire violazioni dei diritti umani".

"L'accordo tra Turchia e Russia dei giorni scorsi - ha sottolineato Anna Shea - fa riferimento al 'ritorno volontario e sicuro' dei rifugiati in una cosiddetta 'zona sicura' ancora da realizzare. La cosa agghiacciante è che i rimpatri ci sono già stati e in modo né sicuro né volontario. Ora altri milioni di rifugiati siriani sono a rischio".

venerdì 25 ottobre 2019

Povera Siria! Si è aperto un altro capitolo di una guerra infinita che dura dal 2011 - di Andrea Riccardi

Andrea Riccardi, il Blog
L'ennesima sconfitta per l`Europa: divisa, confusa e impotente. L'offensiva ha travolto anche parecchi cristiani rifugiatisi nel Nord della Siria dopo la Grande guerra




Povera Siria! Si è aperto un altro capitolo di una guerra infinita che dura dal 2011. Poveri curdi siriani! La regione semiautonoma nel Nord del Siria, il Rojava, sta scomparendo sotto l'offensiva turca. Con i curdi, sono travolti parecchi cristiani, rifugiatisi qui dopo la Prima guerra mondiale e le persecuzioni nell'Impero ottomano, fuggendo dalla Turchia. 

Il mondo di Rojava sarà spazzato via? Sembra di sì, se guardiamo a quanto successo nell'enclave curda di Afrin, occupata dai turchi nel 2018, insieme alle milizie arabe, l'esercito libero siriano estremista e qaedista. 

Ad Afrin (dal 2012 unito al Rojava) l'esercito libero siriano ha condotto epurazioni etniche. I curdi sono stati in parte allontanati. I cristiani della città, circa 3 mila, sono scappati e l'unica chiesa bruciata.

Gli yazidi, circa 30 mila, hanno subito violenze e sono fuggiti, temendo il ripetersi delle truci storie del Sinjar, in Iraq, con l'occupazione di Daesh. Nel Rojava ora è il caos. 

È stata assassinata Hevrin Khalaf, leader politico curdo e attivista per i diritti delle donne. Circolano i video del brutale assassinio. Sotto i colpi degli occupanti, turchi e arabi radicali, crolla la costruzione democratica realizzata dai curdi. 

Crolla il sistema carcerario, che deteneva in prigioni o campi i miliziani di Daesh (tra cui i foreign fighters) e i loro familiari. Alcuni sono fuggiti e rappresentano un grave pericolo. 

Con il Rojava, i curdi, la più grossa minoranza in Medio Oriente senza uno Stato, avevano trovato una forma di autonomia di fatto in Siria. I soldati curdi (uomini e donne) avevano combattuto una battaglia per tutti (l'Occidente prima di tutto) contro Daesh, lasciando sul terreno tanti caduti. 

Gli americani erano stati loro alleati, appoggiandoli con una forte e coordinata copertura aerea. Si sapeva che la Turchia considerava negativamente il Rojava e ne temeva i riflessi sulla minoranza curda nelle sue frontiere, ma c'era la copertura americana. A un certo punto il presidente Trump ha dato il via libera all'invasione turca con il ritiro delle sue truppe. La decisione non trova un consenso maggioritario nel Congresso americano. Taluni si chiedono come potrà essere credibile la politica americana in futuro, dopo che ha abbandonato un alleato nella lotta al terrorismo. 

Il Governo di Assad sta inviando truppe nel territorio curdo, considerando l'ingresso dei turchi come un'invasione del territorio siriano. I siriani argineranno l'avanzata turca, mentre la Russia entra nel gioco. Tuttavia la regione curda è ormai finita. 

Decine di migliaia di profughi fuggono: più di 130 mila. L'Europa applicherà sanzioni alla Turchia. Ma noi europei contiamo molto poco e Erdogan minaccia di rovesciare sull'Europa le masse di rifugiati siriani che si trovano in Turchia (sostenuti da ricche sovvenzioni dall'Unione). 

Fin dall'inizio del conflitto, la posizione dei Paesi europei è stata divisa e male impostata. Eppure siamo vicini, accogliamo - in parte - i profughi. È una situazione che fa male: soprattutto per i siriani, ma anche per noi europei. L'Europa dovrà uscire, una volta per tutte, dall'impotenza.

In un quadro internazionale, in cui manca un ordine e in cui non c'è più un Paese guardiano (com'erano gli Stati Uniti), occorre che ciascuno si prenda le sue responsabilità.

giovedì 24 ottobre 2019

Pietro Bartolo, "rammarico" per la bocciatura delle operazioni di salvataggio in mare dei migranti a causa del voto delle destre e dei sovranisti con l'astenzione dei 5 stelle

Globalist
L'eurodeputato Pd Pietro Bartolo si è detto 'rammaricato' del fatto che "le destre e i sovranisti europei hanno scritto oggi una pessima pagina di storia, dicendo di no ad operazioni di ricerca e salvataggio che sono dettate da regole di diritto internazionale”. 


“Non si può, però, tacere - prosegue Bartolo - che il rammarico maggiore sia per l’astensione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle, che sembrano aver dimenticato che in Italia non governano più con la Lega, ma col Partito Democratico. Il loro è stato un colpo basso, soprattutto nei confronti di quelle persone che rischiano tutto pur di cercare una vita più dignitosa. Mi sono candidato alle europee per continuare a fare quel che ho sempre fatto dal molo di Lampedusa: stare dalla parte dei più deboli. Indossiamo camicie bianche, abbiamo le pance piene, viaggiamo in business class. E ci permettiamo di giocare così sulla pelle della gente”.

Pena di morte, ONU: l'Iran esegue i minori violando la legge sui diritti umani

Blog Diritti Umani - Human Rights
L'Iran ha messo a morte nel 2018 sette minori e finora due quest'anno, nonostante se la legge sui diritti umani vieti la pena di morte per i minori di 18 anni.


Rehman, investigatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran ha rilevato che almeno 90 minori sono attualmente nel braccio della morte
L'Iran ha un largo uso della pena di morte e il numero di esecuzioni rimane uno dei più alti al mondo.

Nel 2019 le stime indicano che sono state eseguite almeno 173 esecuzioni.
Nella grave condizione economica dovuta alle sanzioni che colpiscono il paese e aggravano le condizioni economiche e sociali.

In questo contesto economico, ha detto Rehman, quelli che chiedono mil rispetto dei diritti umani "sono stati intimiditi, molestati, arrestati".

"Tra settembre 2018 e luglio 2019, almeno otto eminenti avvocati sono stati arrestati per aver difeso prigionieri 
politici  e difensori dei diritti umani

ES

Fonte AP

I migranti muoiono anche nei camion. Trovati 39 cadaveri in un tir in Gran Bretagna. L'appello di Sant'Egidio

HuffPost
Trentanove cadaveri in un camion, nell’Essex. L’autista - originiario dell’Irlanda del Nord - è stato arrestato. Il tir proveniva dalla Bulgaria ed era entrato nel Regno Unito sabato attraverso il porto di Holyhead, dopo un passaggio in Irlanda. Il ritrovamento è avvenuto però solo nelle ultime ore, durante un controllo eseguito dalla Essex Police in un’area industriale di Grays, a est di Londra. Tra le vittime ci sarebbe anche un adolescente. 


L’autista, che ha 25 anni, è attualmente sottoposto a interrogatorio, ha detto Andrew Mariner, chief superintendent della polizia. Il sospetto di omicidio nei suoi confronti ha a che fare per ora genericamente col coinvolgimento nel trasporto di persone morte verosimilmente durante il viaggio. 

“Si tratta di un tragico incidente in cui un grande numero di persone ha perso la vita, stiamo indagando per stabilire cosa esattamente sia successo”, ha proseguito Mariner, sottolineando che sono in corso accertamenti per “identificare le vittime”, ma che “il processo si profila lungo”.

L'appello di Sant'Egidio

mercoledì 23 ottobre 2019

Guerre dimenticate - Yemen: oltre 15 milioni di persone senz'acqua a causa della mancanza di carburante per le pompe. Dilaga il colera

AnsaMed
Oltre 15 milioni di persone in Yemen sono senz'acqua per bere, cucinare, lavarsi a causa della gravissima carenza di carburante che colpisce il Paese già messo in ginocchio da oltre 4 anni e mezzo di conflitto. 


E' l'allarme lanciato oggi da Oxfam, che rivela che nelle ultime settimane 11 milioni di persone, che sino ad oggi sopravvivevano grazie all'acqua erogata dalle poche reti idriche ancora in funzione, e altri 4 milioni già costretti a rifornirsi da autocisterne private, hanno dovuto ridurre al minino il consumo di acqua.

Mentre in tre grandi città come Ibb, Dhamar e Al Mahwit, che contano oltre 400 mila abitanti, non funzionano più le principali infrastrutture idriche.

A scatenare questa emergenza, spiega l'organizzazione non profit, c'è l'aumento esponenziale del prezzo del carburante, provocato dalle recenti restrizioni alle importazioni imposte sia dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che dalle autorità Houthi. 

Limitazioni che hanno interrotto l'attracco di navi nei principali porti del Paese, come Hodeida, con il risultato che il prezzo di 1 litro di benzina nella capitale Sana'a è schizzato alle stelle da agosto con un aumento del 300%. 

Scarseggia dunque paurosamente tutto il carburante necessario per pompare acqua sotterranea o per trasportarla con autocisterne nei campi profughi dove vivono 3,6 milioni di yemeniti rimasti senza una casa. 

"L'accesso all'acqua fa la differenza tra la vita e la morte, soprattutto per 7 milioni di yemeniti, tra cui circa 400 mila bambini colpiti da malnutrizione acuta, che in questo momento sono già debilitati dalla mancanza di cibo", afferma Riccardo Sansone, responsabile dell'ufficio umanitario di Oxfam Italia.

Restare senz'acqua pulita in Yemen, sottolinea, "significa essere contagiati da malattie come il colera che in meno di tre anni ha contagiato oltre 2 milioni di persone, uccidendone 3.700 solo dall'aprile 2017. Continuare a girarsi dall'altra parte è prima di tutto un crimine verso il popolo yemenita".

"I danni provocati dalla guerra alle infrastrutture essenziali, come quelle idriche, sono incalcolabili e rendono quasi impossibile il lavoro delle organizzazioni umanitarie che operano sul campo", denuncia Sansone, ricordando che dall'inizio del conflitto 8 impianti idrici realizzati da Oxfam sono stati distrutti o gravemente danneggiati con una riduzione della capacità di erogazione del 50%. L'aumento del prezzo del carburante nelle ultime settimane, ha inoltre costretto Oxfam a ridurre la distribuzione di acqua pulita con autocisterne.

"Di fronte a tutto questo, chiediamo alle parti in conflitto di porre immediatamente fine alle restrizioni sulle importazioni di carburante da cui dipende la sopravvivenza della popolazione - conclude Sansone - Facciamo appello alla comunità internazionale per un immediato cessate il fuoco e al Governo italiano perché sostenga attivamente il processo di pace e aumenti gli aiuti diretti alla popolazione, fermi a 5 milioni l'anno".

martedì 22 ottobre 2019

I «bambini dell’Isis» in Siria. Possono finire reclutati da Jadisti alleati della Turchia. L’Europa è distratta

Corriere della Sera
Alcuni sono orfani, altri si trovano ancora in condizione di prigionia con le madri. Il rischio è che possano essere vittime di ulteriori ondate di radicalizzazione o possano finire reclutati dalle milizie jihadiste schierate al fianco delle truppe turche


Alcune vedove o spose dei foreign fighters sono già fuggite dai campi nel nord della Siria. Altre si stanno organizzando per tentare di tornare a casa. Ora che le forze curde perdono il controllo dei prigionieri dell’Isis, si ripropone un tema che fin qui l’Europa ha tentato di ignorare. 

A preoccupare le organizzazioni per i diritti umani come Save the Children, è il destino dei bambini nati da queste donne e dai miliziani dell’Isis. Alcuni sono orfani, altri si trovano ancora in condizione di prigionia con le madri. Il rischio è che, qualora dovessero rimanere in Siria, possano essere vittime di ulteriori ondate di radicalizzazione o possano finire reclutati dalle milizie jihadiste schierate al fianco delle truppe turche

Secondo il Guardian, la Gran Bretagna, dopo aver negato a questi cittadini il rientro, sta muovendo per rimpatriare i minori, almeno quelli rimasti senza genitori.

Qualche segnale in queste ore arriva anche da Parigi e da Bruxelles. Settimana scorsa il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian è volato a Bagdad a trattare la creazione di un tribunale congiunto con gli iracheni per giudicare le donne francesi che si sono unite all’Isis (il governo francese ha fin qui preferito pagare gli iracheni per la custodia dei foreign fighters). Da Berlino e da Bruxelles hanno invece tentato di sfruttare le 120 ore concesse ai curdi da Ankara per evacuare i loro «prigionieri». Insomma, come al solito, sul tema dei foreign fighters, nonostante gli appelli statunitensi e curdi, l’Europa procede in ordine sparso, cercando di mettere una toppa senza una linea comune.

Ora però lo scenario è decisamente mutato. I curdi hanno problemi ben più gravi da gestire mentre per i turchi la fuga di qualche centinaia di donne e bambini non rappresenta una priorità. Tuttavia non va dimenticato un dato: questi prigionieri potrebbero un giorno tornare in Europa. Che lo facciano al di fuori del controllo europeo non solo è lesivo dei loro diritti. È anche un pericolo per tutti noi.

Marta Serafini

domenica 20 ottobre 2019

Siria, l'Onu indaga sull'uso di armi chimiche contro i curdi, numerosi i bambini con ferite da ustioni.

YOUTG.net
ANKARA. Esperti chimici dell'Onu hanno annunciato che stanno raccogliendo informazioni dopo le notizie sul presunto uso di fosforo bianco da parte delle forze turche nell'offensiva in Siria contro i curdi. 




 Anche l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) ha reso noto che è "al corrente della situazione" e che sta "raccogliendo informazioni in merito al possibile uso di armi chimiche".

Migranti - Rotta Balcanica - Denunce di respingimenti illeciti, uso della forza, sequestri ingiustificati e umiliazioni in particolare da parte della polizia croata

AnsaMed
Zagabria - Una coalizione di organizzazioni non-governative basate in Italia, Croazia, Serbia e Macedonia del Nord, che raccoglie gruppi per la difesa dei diritti dei migranti, ha denunciato oggi la "sempre più frequente pratica sulla rotta migratoria balcanica dei respingimenti illeciti a catena", da un Paese all'altro.

Secondo un comunicato diffuso oggi a Zagabria, "i migranti sono esposti a respingimenti illeciti ogni giorno, spesso con l'uso della forza, sequestri dei loro averi, maltrattamenti e umiliazioni". 

Le statistiche in possesso delle ong mostrano che a migliaia di migranti viene negato il diritto di chiedere asilo e che in molti casi vengono respinti e trasportati da un Paese all'altro, per finire spesso in Grecia.

Molti dei migranti che sono riusciti a ottenere la protezione umanitaria o lo status di richiedente asilo in Italia, avrebbero poi testimoniato di abusi e maltrattamenti che hanno subito sulla rotta balcanica, in particolare da parte della polizia croata.

sabato 19 ottobre 2019

Perchè per essere orgogliosi di essere italiani occorre cercare crearci dei nemici. Quanti motivi abbiamo per essere orgogliosi di essere italiani ....

Blog Diritti Umani - Human Rights
Vogliamo essere orgogliosi di essere italiani senza cercare e creare nemici
#orgoglioitaliano #senzanemico #facciamorete


Ormai essere orgogliosi di essere italiani sta acquistando solo un'accezione sovranista e patrimonio dell'estrema destra. 

Perchè farci rubare tutto il valore di essere italiani siamo orgogliosi perchè è: un paese fondatore dell'Europa,  un paese democratico che combatte la guerra, un paese culla di una cultura millenaria,  fondata sulla Costituzione più bella del mondo, ... e ognuno di noi potrebbe aggiungere altri motivi per essere orgogliosi di essere italiani. 


Amnesty denuncia la Turchia: "In Siria crimini di guerra contro i civili"

Globalist
La Ong: "La Turchia mostra un vergognoso disprezzo delle vite dei civili e si è macchiata di crimini di guerra".


Bombe sui bambini; sparatorie sui civili; sodalizi con i prigionieri dell'Isis. Queste sono solo alcune delle atrocità compiute dall'esercito turco in questi giorni di guerra in Rojava. E Amnesty International li chiama per quel che sono: crimini di guerra. 

"Ankara è colpevole di una serie di violazioni e crimini di guerra, omicidi sommari e attacchi illegali e ha un vergognoso disprezzo per la vita dei civili" denuncia Amnesty. 

Tra i casi segnalati che anche la brutale esecuzione sommaria dell'attivista curda Hevrin Khalaf e della sua guardia del corpo da parte di milizie siriane addestrate e armate dalla Turchia. 

La denuncia è stata elaborata sulla base dei racconti di 17 testimoni diretti, tra cui personale medico, giornalisti e sfollati, e di registrazioni video. "Le informazioni raccolte forniscono prove schiaccianti di attacchi indiscriminati in aree residenziali, compresi attacchi a una casa, un panificio e una scuola, condotti dalla Turchia e dai gruppi armati siriani suoi alleati", sostiene l'ong.

venerdì 18 ottobre 2019

Libia, chiusura del centro di detenzione di Misurata: condizioni sempre più disumane per migranti e rifugiati

La Repubblica
Il report di Medici Senza Frontiere. I profughi trasferiti nei due centri di Zliten e Souq Al Khamees. “Urgente creare rifugi per una protezione immediata ai migranti in Libia”

A seguito della chiusura, il 14 ottobre scorso, del centro di detenzione di Misurata, nella regione costiera centrale della Libia, più di un centinaio di rifugiati e migranti sono stati trasferiti nei due centri di detenzione di Zliten e Souq Al Khamees, nella stessa regione. 

Le condizioni di detenzione di questi due centri sono note alle autorità libiche e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) per essere estremamente difficili, come anche riportato dalle équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) in diverse occasioni.

Uomini, donne e bambini detenuti. Trattenuti arbitrariamente per mesi e in molti casi per anni, con poco accesso a cibo, acqua e accesso all’aria, saranno così esposti alle stesse condizioni disumane. Alcuni di loro sono state vittime di torture e traffico durante il loro soggiorno nel Paese. “Chiudere un centro di detenzione sarebbe un passo avanti positivo se rifugiati e migranti avessero la libertà di movimento, protezione e assistenza. Ma in questa situazione sono passati da una condizione di detenzione a un’altra, vedendo le loro condizioni peggiorare ulteriormente, rimanendo bloccati in un ciclo senza fine di disperazione e violenza. Come minimo, dovrebbero essere rilasciati e assistiti in un ambiente più sicuro” dichiara Sacha Petiot, capo missione di MSF in Libia.

L'uccisione di 60 persone. Il conflitto armato iniziato ad aprile intorno a Tripoli ha reso la situazione più pericolosa per rifugiati e migranti detenuti nelle zone di guerra. In questo difficile contesto, la tragica morte di circa 60 persone, secondo le stime, durante l’attacco aereo del centro di detenzione di Tajoura, avvenuto nella notte del 2 luglio, aveva portato a un rinnovato appello per la chiusura dei centri di detenzione in Libia, anche da parte delle stesse autorità libiche.

In Libia nessun luogo è sicuro. Attualmente non ci sono strutture sicure in Libia dove rifugiati e migranti possono trovare protezione e assistenza. L’unica struttura gestita da UNHCR, il Centro di Raccolta e Partenza a Tripoli, è ora satura e l’UNHCR ha affermato che non è più in grado di accogliere persone vulnerabili. “Abbiamo bisogno di un maggior numero di evacuazioni di persone fuori dalla Libia. Ed è urgente sviluppare un’alternativa alla detenzione come creare rifugi che diano una protezione immediata e temporanea in Libia. Altrimenti, i migranti e rifugiati più vulnerabili sono condannati a una condizione di detenzione senza fine ed esposti a maggiori rischi e sofferenze” sottolinea Petiot.

giovedì 17 ottobre 2019

Italia - Carcere - Il sovraffollamento (60.000 detenuti in 47.000 posti) e l'assenza di speranza di miglioramento lo rende un luogo di grande sofferenza


LinkiestaCon 60mila detenuti per appena 47 mila posti disponibili, il nostro Paese non ha ancora trovato una risposta. Stipati spesso in meno di tre metri quadrati di spazio, il rischio che i reclusi possano presentare nuovi ricorsi alla Corte di Strasburgo è sempre più alto.
Dieci anni, senza soluzioni: l'Italia si trova costretta a dovere affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. A conferma c'è il quindicesimo rapporto pubblicato dall'associazione Antigone sulle condizioni di detenzione "Il carcere secondo la Costituzione". 

Dopo un iniziale calo nel 2010, il numero dei detenuti presenti nelle strutture penitenziarie italiane negli ultimi due anni ha ricominciato a crescere. Al 30 settembre infatti si calcolano oltre 60 mila reclusi, con un tasso di sovraffollamento del 120 per cento. L'Italia che, con il Regno Unito, la Polonia, la Germania e la Spagna, si conferma uno dei Paesi con il numero più alto di reclusi nell'Unione europea non è riuscita dal 2013 - quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha emesso una condanna per trattamento inumano e degradante al pagamento di migliaia di euro di risarcimento per danni morali nei confronti di alcuni detenuti - a oggi a intervenire in modo incisivo su un problema che, stando anche a quanto dichiarato dal comitato dei ministri del Consiglio europeo, è strutturale. E che non riguarda singole celle o un numero limitato di detenuti.

"Il sovraffollamento è un problema da cui partire, afferma Aldo Di Giacomo, sindacalista del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma è solo uno dei tanti che riguardano le carceri italiane". Se negli ultimi dieci anni ci sono stati diversi provvedimenti legislativi per ovviare alla situazione degli istituti penitenziari, anche a fronte di un netto calo dei crimini denunciati alle forze di Polizia, come l'indulto, o il tiepido intervento di depenalizzazione di alcuni reati, secondo Di Giacomo, la questione che non è mai stata affrontata è quella di chi sono i detenuti ospiti nelle 190 carceri italiane. 

"Tra i 60mila detenuti più di un terzo sono stranieri, uno su tre sono persone affette da disturbi psichiatrici, mentre due su tre sono tossicodipendenti o alcoldipendenti", denuncia Di Giacomo. Ma nel frattempo i posti disponibili nelle carceri italiane restano poco più di 50mila, un numero, diffuso dal ministero della Giustizia a luglio 2019, che non tiene conto delle numerose sezioni chiuse: Alba, Nuoro, Camerino - vuota dal terremoto che ha colpito l'Umbria nel 2016 - Como, Brescia, Taranto sono solo alcune. 

Per un totale di almeno 3mila posti non agibili che devono essere sottratti dai 50mila dichiarati dal ministero della Giustizia e che in alcuni istituti penitenziari, come denunciato dall'associazione Antigone, ci sono situazioni limite, con celle che non rispettano il parametro minimo dei tre metri quadrati di spazio per detenuto. E che lascia aperti i margini per la Corte di Strasburgo per nuove pesanti condanne.

Quello del sovraffollamento è solo uno dei tanti elementi di disfunzione delle carceri italiane. Negli ultimi due anni, nonostante il calo dei reati denunciati e la diminuzione degli ingressi nelle carceri, a peggiorare non sono solo le condizioni di vita dei detenuti, ma anche quelle di lavoro dei poliziotti penitenziari. Al drammatico aumento del numero dei suicidi tra i reclusi, si aggiunge quello delle guardie carcerarie, con casi sempre più frequenti di liti, abusi e violenze. Di detenuti in possesso di telefoni cellulari che, come denuncia Di Giacomo, permettono loro di avere contatti con l'esterno e di commettere, seppure all'interno delle mura penitenziarie, altri reati.


Chiara Colangelo e Lucio Palmisano

Russia, stretta contro le ong. A rischio «Per i diritti umani» la più importante del Paese

Il Manifesto
Pugno duro contro l’opposizione. Il ministero della Giustizia intenta una causa per lo scioglimento di «Per i diritti umani», colpita dalla «legge sulle agenzie straniere» voluta da Putin nel 2014.
Il leader di «Per il diritto dell’uomo», Lev Ponomarev, in piazza
Il leader di "Per il diritto dell'uomo", Lev Ponomarev, in piazza. Si stringe sempre di più il cappio del governo russo contro l'opposizione. 

Ieri con una decisione senza precedenti il ministero della Giustizia ha intentato una causa presso la Corte suprema per lo scioglimento del movimento "Per i diritti umani" di Lev Ponomarev, a causa di ripetute violazioni della legge del paese. 

La Corte suprema esaminerà il fascicolo il 14 novembre, ma la sorte della più importante organizzazione non governativa russa, sembra segnata. Ponomarev è una figura notissima in Russia. Fisico di fama e amico personale di Andrey Sacharov, fu nel 1988 tra fondatori della Fondazione Memorial che opera senza posa per far conoscere la tragedia della repressione politica in Urss. Più volte deputato, l'ex fisico di Tomsk ha fondato nel 1997 la ong "Per i diritti umani" che è divenuta ben presto l'associazione umanitaria più estesa geograficamente, con oltre una quarantina di sedi sparse un po' dovunque.

Il ministero afferma che "Per i diritti umani" non solo ha più volte violato la legge e inadempiuto al pagamento di numerose multe comminategli ma soprattutto accusa l'ong di essere un "agente straniero", un'associazione cioè che riceve finanziamenti dall'estero e opera a vantaggio di altri governi.

La "legge sulle agenzie straniere" fu fortemente voluta da Putin nel 2014 per mettere fuori gioco buona parte dei think-thank e associazioni considerate non allineate come la "Open society" di George Soros ma anche strutture apolitiche come "Giustizia Russa" che opera nel Caucaso per difendere principalmente i diritti degli individui Lgbtq e le donne, la quale si è vista in agosto confiscare gran parte dei propri documenti e del proprio materiale.

Yurii Colombo

mercoledì 16 ottobre 2019

Lampedusa - Migranti. Tragico ritrovamento di madre e figlio abbracciati nel relitto in fondo al mare. Dopo i 13 cadaveri, individuati altre 12 vittime.

Avvenire
Ritrovato a 60 metri di profondità il barchino affondato nei giorni scorsi a poche miglia dell'isola.  Soccorsi 180 migranti al largo di Malta.


Abbracciati, sul fondo del mare. Cullati dalle correnti. Così sono stati ritrovati un bambino piccolo e la sua mamma. Sono morti insieme in un naufragio avvenuto la notte tra il 6 e il 7 ottobre a 6 miglia a sud di Lampedusa. Il barchino su cui inseguivano la speranza di una vita migliore è stato ritrovato a 60 metri di profondità a pochi metri dal luogo dell'affondamento.

A individuarlo la Guardia costiera che ha messo in azione tutti i nuclei dei sommozzatori a disposizione. E' stato utilizzato anche un robot subacqueo che ha ripreso le immagini del barchino con il suo carico di morti. Al momento i corpi individuati sono 12, tra i quali quelli della donna e di suo figlio. Ma secondo chi indaga altri cadaveri potrebbero essere sparsi più lontano dal relitto. Le operazioni di recupero partiranno nei prossimi giorni: potrebbero essere necessari almeno tre giornate per ultimare questa delicata procedura di recupero, che sarà effettuata dai sommozzatori.

Le indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto di Agrigento, Salvatore Vella, che ha ringraziato la Guardia costiera e i sommozzatori per l'impegno con cui hanno portato avanti la ricerca, non certo facile: "Ci hanno messo la loro professionalità, ma anche il cuore".
Il naufragio

La tragedia è avvenuta nella notte tra il 6 e il 7 ottobre. Una strage di donne e bambini a una manciata di miglia da Lampedusa, si disse. Tredici le salme strappate al mare nelle ore successive: tutte donne, alcune incinte, anche una ragazzina di 12 anni. Nei giorni scorsi sono stati seppelliti nei cimiteri della provincia di Agrigento.

Una delle superstiti ha raccontato di avere perso la sorella più grande e la figlia di quest'ultima, di appena 8 mesi. A bordo, hanno raccontato i superstiti, erano in oltre 50. Solo 22 i migranti salvati nelle fasi concitate dei soccorsi da parte di Guardia costiera e Guardia di finanza, diventate tragiche, secondo le ricostruzioni, quando nella notte intorno alle 3, i migranti, in forte agitazione, complici anche le difficili condizioni meteo, si sono affollati su una parte del natante provocandone il ribaltamento a 6 miglia da terra.

La procura di Agrigento ha aperto un'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. "L'imbarcazione non era in condizioni di affrontare la traversata", aveva spiegato il procuratore aggiunto Vella, "nessuno a bordo sembra avesse strumenti di soccorso individuali e in questi casi un salvagente ti salva la vita". Insomma, in questa situazione sono stati mandati a morte pressoché certa dai trafficanti di esseri umani. "Sono stati molto bravi gli equipaggi che sono intervenuti", aveva poi sottolineato: "Se solo le persone a bordo avessero avuto un giubbotto o soltanto un salvagente, sarebbero oggi vive".

martedì 15 ottobre 2019

Grecia, vasto incendio nella notte nell'hotspot per rifugiati di Samos, 5000 evacuati

Ansa
Scontri tra profughi, otto feriti e forse una vittima


Oltre 5mila persone sono state evacuate dopo che ieri sera un incendio è divampato alle porte del Centro di ricezione e accoglienza dell'isola greca di Samos.

Secondo il quotidiano Kathimerini, il rogo sarebbe legato a scontri tra profughi iniziati nel pomeriggio: otto persone sarebbero state portate in ospedale e, secondo fonti non ancora verificate, un minore non accompagnato sarebbe stato accoltellato a morte. I vigili del fuoco sono all'opera per domare l'incendio.

lunedì 14 ottobre 2019

Yemen diventato il paese più povero del mondo, 2 persone su 3 necessitano di aiuto umanitario. ONU: più grave focolaio di colera con 2 milioni di casi

Huffpost
Nello Yemen su 30 milioni di persone, 24 milioni hanno bisogno di aiuto umanitario. Di queste 18 milioni non hanno accesso ad acqua pulita e soffrono di malnutrizione. Potrebbero bastare questi dati, in continuo aumento da quando, quasi 5 anni fa è scoppiata la guerra a dare il quadro, tragico della situazione nel Paese.


Ma lo Yemen, oltre a essere la più grave crisi umanitaria al mondo secondo le Nazioni Unite, detiene un altro triste record, quello del più grave focolaio di colera da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne registra i casi. A fine agosto in Yemen, i casi sospetti di colera hanno superato i 2 milioni in meno di tre anni, in media quasi 80 ogni ora; 18 milioni di persone esposte al rischio di contagio, con 1 caso su 4 che, dall’inizio dell’anno, ha riguardato bambini sotto i 5 anni.

Nel Paese non cessano i bombardamenti dal cielo e gli scontri via terra, esplosi nel corso dell’estate anche nel sud del Paese, causando tra giugno e agosto il 54% di vittime civili (morti e feriti) con il 79% di abitazioni civili colpite. Solo dall’inizio dell’anno il bilancio è di oltre 700 civili uccisi e 1.600 feriti, che vanno ad aggiungersi alle oltre 17 mila registrate ufficialmente tra il 2015 e il 2018. Anche se alcune autorevoli stime parlano di decine di migliaia di vittime civili dall’inizio della crisi.

A causa del conflitto in Yemen oggi 2 persone su 3 non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base e solo la metà delle strutture sanitarie sono funzionanti. Il resto è stato distrutto o danneggiato gravemente dalla guerra. Una situazione disperata di cui i primi a farne le spese sono proprio donne e bambini, che oltre ad essere esposti a malattie come colera e difterite, rappresentano oltre il 76% degli sfollati interni arrivati al oltre 3,6 milioni dal marzo 2015

Dal luglio 2015 Oxfam, insieme a partner locali, ha aiutato più di 3 milioni di persone in nove governatorati garantendo acqua, servizi igienico-sanitari, cibo. In particolare ripariamo le reti idriche, realizziamo la disinfezione delle fonti idriche con cloro, forniamo alle famiglie attrezzature per la depurazione dell’acqua e distribuiamo materiali per l’igiene. Ma ci confrontiamo quotidianamente con bisogni crescenti.

Di fronte a tutto questo purtroppo, l’impegno italiano e quello della comunità internazionale è del tutto insufficiente: l’Italia ha stanziato nel 2018 e nel 2019 appena 5 milioni di euro in aiuti, l’equivalente di quanto necessario a una singola organizzazione umanitaria come Oxfam per due mesi di lavoro nel Paese. Allo stesso tempo, il piano di risposta delle Nazioni Unite per quest’anno è fermo al 52% di quanto necessario, ossia mancano ancora all’appello 2 miliardi di dollari. 

domenica 13 ottobre 2019

Egitto, Alaa Abdel Fattah, picchiato e costretto a denudarsi dopo il fermo e durante l’interrogatorio

Nena News
A denunciarlo è la famiglia. Ieri la sorella, Mona Seif, ha scritto su Twitter che l’attivista dei diritti umani ha riferito agli avvocati di essere stato bendato e minacciato di non uscire vivo dalla prigione di Tora

Arrestato nei giorni scorsi durante le retate seguite alle proteste contro il regime di Abdel Fattah el Sisi, il noto attivista egiziano Alaa Abdel Fattah, è stato picchiato e costretto a denudarsi dopo il fermo e durante l’interrogatorio da parte della polizia. A denunciarlo è la famiglia. Ieri la sorella, Mona Seif, ha scritto su Twitter che Alaa ha riferito agli avvocati di essere stato anche minacciato di non uscire vivo da Tora, prigione tristemente famosa del Cairo. All’attivista, ha spiegato la sorella, è stato imposto di camminare in un corridoio pieno di persone che lo picchiavano sulla schiena e sul collo. Si tratta della cosiddetta “parata di benvenuto”, un abuso di routine nelle carceri egiziane al quale sono soggetti in particolare i detenuti politici. Inoltre gli sono stati rubati gli abiti ed è stato lasciato per ore con addosso solo la biancheria intima.

Seif ha detto che suo fratello ha presentato una denuncia per questi abusi durante l’audizione di mercoledì per il rinnovo della sua “detenzione preventiva” e, pertanto, si teme che possa subire nuovi maltrattamenti ed essere picchiato in prigione. Il mese scorso è stato arrestato anche l’avvocato dell’attivista, Mohamed al-Baqer, un noto difensore dei diritti umani.
Alaa Abdel Fattah, 37 anni, fu uno dei protagonisti della rivolta del 2011 che rovesciò il presidente Hosni Mubarak. Negli anni successivi è diventato bersaglio della repressione del regime di El Sisi, salito al potere con il golpe militare del 2013 contro il presidente islamista Mohammed Morsi. 
L’attivista era stato rilasciato a marzo dopo aver scontato cinque anni di prigione per aver partecipato a una protesta pacifica. Quindi nei giorni scorsi è stato arrestato di nuovo – con l’accusa di appartenere ad una “organizzazione terroristica” e di usare i social media per diffondere “notizie false a danno della sicurezza nazionale – assieme ad oltre 3.000 persone in seguito alle proteste scoppiate al Cairo e in altre città egiziane contro il regime.