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lunedì 29 febbraio 2016

Arrivato a Fiumicino il primo aereo dei #corridoiumanitari: 93 profughi, metà bambini. Benvenuti in Italia!

www.santegidio.org
Le prime immagini dell'arrivo all'aerporto, accolti dalla Comunità di Sant'Egidio e dai rappresentanti delle Chiese Evangeliche

Sono atterrrati alle 7 in punto. Sono 93, circa la metà bambini. Provengono dal campo di Tell Abbas, in Libano, ma le loro case erano in Siria, per lo più a Homs, oggi distrutta dai bombardamenti.
Sono i primi ad essere accolti con i corridoi umanitari, l'iniziativa presa dalla Comunità di Sant'Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese, per assicurare un passaggio sicuro e salvare vite dai pericolosissimi viaggi in mare.
Mentre i profughi completano le procedure di ingresso accolti dalla Comunità di Sant'Egidio e dai rappresentanti delle Chiese Evangeliche, alle 11,30 si terrà una conferenza stampa con il presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo, Il ministro degli Esteri Gentiloni e gli altri attori di questa operazione umanitaria LEGGI IL COMUNICATO / Fotogallery»

domenica 28 febbraio 2016

"Vivere senza pena di morte" - Gianfranco Ravasi sul libro "LIFE" di Mario Marazziti

Il Sole 24 Ore
Gianfranco Ravasi

Alle mie spalle, nella cosiddetta «Sala del Prefetto», quando dirigevo la Biblioteca Ambrosiana di Milano, si levava una libreria interamente occupata dal Fondo Beccaria. In esso, con la segnatura Becc. B. 202, si notava una sorta di reliquia custodita in un astuccio in pelle e con una legatura altrettanto solenne scandita da uno scudo stellato vagamente massonico: era l’autografo, dalla stesura piuttosto tormentata, dell’opera massima di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764). Il testo, con l’intera sua biblioteca, era passato attraverso gli eredi al presidente della Camera di Commercio e consigliere comunale di Milano Angelo Villa Pernice, un appassionato bibliofilo, la cui vedova aveva donato all’Ambrosiana nel 1910 l’intero patrimonio librario del marito. Ricordo ancora l’emozione con cui i due presidenti Ciampi e Napolitano – in visita a quell’istituzione fondata dal cardinale Federico Borromeo – sfogliarono il manoscritto. L’opera è un po’ alla base della moderna civiltà giuridica: anzi, Napolitano mi aiutò a ricostruire persino l'influsso che questo saggio ebbe su Caterina di Russia e sul suo fallito tentativo di riforma del codice penale zarista. 

Questa premessa autobiografica vuole idealmente attestare la personale condivisione dell’appello implicito che regge tutte le pagine del volume di Mario Marazziti della Comunità di S. Egidio che, inseguendo la scia di sangue che nella storia va da Caino al Califfato, spinge «verso un mondo senza pena di morte», come recita il sottotitolo. Il genere letterario di queste pagine è molto fluido ed è simile a un arcobaleno, se vogliamo adottare un simbolo pacifista abusato ma pertinente. Si oscilla, infatti, da un lato tra dati brutali, basati su eventi sconcertanti e cifre impressionanti, e d’altro canto riflessioni articolate e puntuali. Si introducono le voci che escono da quell’oltretomba anticipato che sono le carceri ove i detenuti sono nel limbo dell’inferno e ove si consumerà l’esecuzione capitale, vere e proprie «voci dal silenzio». Si producono i documenti elaborati dall’Onu e da altre istituzioni perché cessi questa barbarie, ma si offre una parallela documentazione della mattanza che continua serena in molti stati, anche in quelli spesso elevati a vessillo di civiltà (leggi gli Usa). 

Non ci si appella a vaghi alibi quando si analizza il fenomeno scandaloso dei condannati innocenti, così come non si hanno esitazioni nel coinvolgere in questo dibattito rovente le grandi religioni e le loro ambiguità. E qui entra in scena il grande rischio del fondamentalismo e l’assenza di una corretta ermeneutica dei testi sacri, a partire dalle pagine bibliche. O anche si denunciano certe esitazioni, come nel caso del n. 2267 del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, poi superato dai reiterati interventi contro la pena di morte di s. Giovanni Paolo II, nella linea di una coerente tutela integrale della sacralità della vita, posta – nella concezione religiosa – sotto il sigillo esclusivo della suprema cassazione divina, come suggerisce il celebre asserto biblico su Caino (Genesi 4,15: «Il Signore pose a Caino un segno perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse»).

Le rievocazioni storiche nel libro di Marazziti si associano alle testimonianze che grondano umanità, miseria, incubo, ma anche illuminazione, redenzione, speranza: emblematico è il dialogo con Ray Krone, liberato dopo dieci anni di inferno nel braccio della morte di Tucson in Arizona, «uscito innocente, pieno di ferite della vita, ma ancora vivo». Alla genealogia cronologica di questa atroce storia delle esecuzioni di stato, a partire dall’antico Egitto e dal codice di Hammurabi (in esso 25 reati contemplano la pena capitale), giù giù fino all’ultima votazione per l’abolizione di questa prassi, il 27 maggio 2015 nel Nebraska, si unisce un altro curioso elenco, quello dei «tredici modi per vivere senza la pena di morte», pagine da far meditare non solo ai politici ma anche ai molti cittadini che si lasciano abbandonare ai fremiti delle reazioni “di pancia”, spegnendo ogni collegamento con la ragione.

Marazziti non teme anche di affrontare l’altro versante speculare ove sono insediati i familiari delle vittime, senza incorrere nella banalità dell’intervistatore televisivo che col microfono impugnato domanda: «Lei perdona?». È, questo, un altro capitolo del complesso rapporto tra giustizia e amore, tant’è vero che, se è necessario che «nessuno tocchi Caino», è altrettanto decisivo che si stia dalla parte di Abele. Al contrasto senza “se” e senza “ma” alla logica della vendetta proclamata dal truce personaggio biblico Lamek (Genesi 4,23-24: «Uccido un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette»), si deve però associare la voce dei profeti che, senza esitazioni, esige che «come acqua scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Amos 5,24).

In questo anno giubilare posto all’insegna della misericordia sarebbe significativa una moratoria per la pena di morte. È, perciò, significativo ascoltare le ragioni che Marazziti, attraverso pagine striate di esperienze personali e di passione, cerca di comporre in un caleidoscopio, scuotendo le coscienze. È questa la vera opposizione contro chi, invece, imbraccia la spada della violenza criminale: è noto, infatti – e la statistica lo conferma – che la pena capitale non è un deterrente al terrorismo o ai delitti di sangue e ai crimini in genere. Un appello, certo, alla giustizia vera, efficace, celere ma anche un impegno a elaborare un sistema educativo che ritrovi il senso trascendente (laicamente e religiosamente) di ogni vita e del suo rispetto. Incisivo è il monito divino proposto nel libro del profeta Ezechiele: «Forse che io, il Signore, ho piacere della morte del malvagio o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?... Io non godo della morte di chi muore» (18,23.32).

Referendum Svizzera - 59% di NO alle espulsioni automatiche di stranieri che commettono reati

Il Fatto Quotidiano
I cittadini hanno bocciato la proposta dell’ultranazionalista Unione democratica di centro (Udc) di allontanare automaticamente, senza tener conto del contesto socio-economico o le circostanze di fatto, gli incriminati
Il manifesto della propaganda per il SI
La Svizzera ha votato no al referendum sulla stretta alle espulsioni automatiche per gli stranieri che commettono reati. La maggioranza dei cittadini elvetici domenica 28 hanno votato No al quesito proposto dall’ultranazionalista Unione democratica di centro (Udc) relativo all’espulsione automatica, senza tener conto del contesto socio-economico o le circostanze di fatto, degli stranieri che commettono reati gravi: una mossa, secondo gli oppositori, contraria alle norme della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il testo – che per essere approvato aveva bisogno della doppia maggioranza dei votanti e dei cantoni – è stato respinto dalla maggioranza dei 26 cantoni, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa svizzera Ats

La proposta era stata al centro di polemiche, tra le altre cose, anche a causa del manifesto scelto per pubblicizzarla, in cui una pecora bianca allontanava con un calcio dalla bandiera elvetica una pecora nera. Contro l’espulsione si erano pronunciati numerosi protagonisti del mondo della cultura e della politica elvetica. Diversi appelli per il No al referendum sono stati rispettivamente firmati da oltre 200 esponenti dell’architettura, dell’arte e dello spettacolo, 11 dei 18 ex ministri elvetici e 180 giuristi. Contro il quesito si è schierata l’associazione dei procuratori svizzeri, mentre 54 organizzazioni non governative hanno formato un comitato di opposizione.

“La tendenza è chiaramente nella direzione dei No”, aveva dichiarato dichiarato Claude Longchampdell’istituto di ricerca e sondaggi Gfs.bern all’uscita degli exit poll. Dei quattro referendum di domenica, il voto di immigrazione è stato il problema principale. Anche il governo svizzero si oppone a questa proposta. Su richiesta dell’Ufficio federale di giustizia, l’Ufficio federale di statistica ha calcolato il numero di espulsioni che potrebbero concretizzarsi in caso di adozione di questa iniziativa: se nel 2014 sono state cacciate quasi 4mila persone, ora si tratterebbe di circa 10mila individui.

Il popolo svizzero domenica era chiamato alle urne anche per altri tre referendum: uno a sostegno della costruzione di un secondo tunnel del San Gottardo (che sembra aver ottenuto esito positivo con il 55% dei voti favorevoli), uno sulla proposta di vietare il commercio dei derivati agricoli (respinto). Il terzo riguardava l’abolizione dello sgravio fiscale per le coppie sposate e le unioni civili su cui non vi sono ancora chiare tendenze di voto.

Siria, tregua rispettata. Ad eccezione di alcuni raid aerei nella provincia di Aleppo e Hama

RSI News
L’Osservatorio siriano per i diritti umani (ONDUS) ha riferito di diversi raid aerei che hanno colpito sei città nella provincia di Aleppo e altre nella zona nordoccidentale di Hama, nel secondo giorno del cessate il fuoco entrato in vigore venerdì a mezzanotte. Una persona avrebbe perso la vita.


L’ONG, basata a Londra, non è per ora in grado di riferire chi sia il responsabile di questi bombardamenti, ma fonti indipendenti presenti sul territorio parlano di velivoli di bandiera russa.

Ad eccezione di questi raid, la tregua sembra essere comunque globalmente rispettata. Giornalisti presenti ad Aleppo e a Damasco confermano che la notte è stata calma, senza nessun combattimento. Mosca parla di 9 episodi di violazione del cessate il fuoco in 24 ore, mentre l'opposizione ne ha contate 15.

Ahmed Nagi un altro scrittore in carcere in Egitto. La comunità culturale egiziana sotto tiro.

Internazionale
Il regime “laico” del generale egiziano Abdel Fattah al Sisi ha colpito un altro simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir: lo scrittore e blogger Ahmed Nagi è stato condannato a due anni di carcere per “oltraggio al pudore” dopo la pubblicazione del suo libro Istikhdam al Hayat (L’uso della vita). La violenza esercitata sul mondo della cultura in Egitto fa cadere un altro mito che circonda il generale: quello secondo cui Al Sisi è il paladino della laicità contro gli islamisti.
Ahmed Nagi
Il giornalista Ibrahim Issa è uno storico giornalista ed editorialista egiziano, laico, di sinistra e soprattutto uno dei più tenaci oppositori dei movimenti islamisti in Egitto. Cofondatore del quotidiano laico Al Dustur e poi nel 2011 del liberale Al Tahrir, è anche uno dei commentatori più noti della televisione egiziana.

Dopo la condanna di Ahmed Nagi, Issa ha scritto sul suo nuovo giornale, Al Maqal: “Il potere fanatico di Al Sisi condanna gli scrittori”. Le parole di Issa sono la prova che sta abbandonando il regime anche chi ha sostenuto il generale per paura dei Fratelli musulmani.

In una dichiarazione firmata da quattro blog indipendenti e dai giornali Mada Masr, Za2ed18, Qoll e Zahma si legge:
Un anno di carcere per il ricercatore Islam al Beheiry, tre anni di prigione per la poeta Fatima Naoot e ora due anni di prigione per Nagi (…). La comunità culturale egiziana non ha più difese contro la censura.
La condanna di Nagi, autore di un bellissimo articolo intitolato “Addio alla gioventù”, ripubblicato ora da Mada Masr, è il simbolo di una generazione schiacciata dal potere:
Questo verdetto prova che lo stato ha intenzione di soffocare la gioventù egiziana, e che i suoi nemici non sono solo gli attivisti politici ma chiunque la pensi diversamente.
Diversi settori della società egiziana stanno alzando la voce contro il regime, ma senza coordinamento tra di loro: lo sciopero dei medici ha richiamato migliaia di manifestanti, tutti i giorni si scrivono condanne verso le violenze della polizia, e ora la “piccola minoranza” di intellettuali laici prende posizione contro il governo. Il comunicato aggiunge:
La minoranza attiva alla quale Nagi appartiene sarà anche una minoranza, ma non resterà in silenzio fino a quando Nagi non sarà liberato, e fino a quando non sarà annullata l’accusa alla creatività di ‘offendere la moralità pubblica’.
I luoghi culturali e artistici del Cairo vengono chiusi uno dopo l’altro. Il centro di arte visiva The Townhouse gallery, chiuso per due mesi, ha ricevuto l’autorizzazione a riaprire parzialmente, ma con una censura pesantissima. Lo spazio culturale dello studio Emmad Eddin, come molti altri spazi della capitale, è sotto controllo per fantasiose ragioni burocratiche.

Il mondo laico comincia a sentire il peso della spada di Damocle su di sé. Sul sito Qal, Shabroun, Abdel Shanfkrir scrive:
Cari cristiani conservatori, cari liberali, tutti sostenitori di Al Sisi, voi appoggiate il regime quando uccide l’altra sponda – i Fratelli musulmani – e lo applaudite anche. Ma ora che arriva il vostro turno, cominciate a stracciarvi le vesti. Caro liberale del sistema attuale, che aspetti il tuo Atatürk per la religione e l’identità, o il tuo nuovo Pinochet per l’economia, è chiaro che qui non ci sono né Atatürk né Bourguiba né Pinochet. Allora, che pensi di fare? (…). Comunque, rifiuto di pensare che proprio tu, adesso sia diventato un sostenitore di Ahmed Nagi.
Ahmed Nagi era stato ospite del Festival di Internazionale a Ferrara nel 2011, pochi mesi dopo la rivoluzione. Già all’epoca denunciava le diffuse limitazioni alla libertà di espressione in Egitto.

Migranti: studio Ocse su Africa nera sfata luoghi comuni

ANSAmed
Flussi subsahariani non sono massicci nè poco qualificati
Il Cairo - Un recente rapporto dell'Ocse ha sfatato alcuni luoghi comuni sulle migrazioni provenienti dall'Africa subsahariana tra cui quelli che i flussi da quest'area siano massicci, in maggioranza "maschili" e arginabili grazie allo sviluppo. Lo studio, intitolato "Resserrer les liens avec les diasporas: panorama 2015 des compétences des migrants", definisce "falso" che "la migrazione subsahariana sia massiccia e punti principalmente ai paesi ricchi".

Come ha sintetizzato questo mese il sito del quotidiano Le Monde, il rapporto realizzato assieme all'Agenzia di sviluppo francese rileva che tra i 232 milioni di migranti internazionali censiti nel mondo nel 2013, appena 21 milioni (quindi meno di uno su dieci) sono originari dell'Africa al di sotto del deserto del Sahara, un tempo detta "nera". Su 13 milioni di migranti presenti nei paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), "un'infima minoranza" proviene da quest'area. 

Inoltre già nel 2010 il 49,5% dei migranti subsahariani nei paesi dell'Ocse erano uomini e, grazie ai ricongiungimenti familiari, la quota "è in aumento costante" rendendo la "parità" con le donne "quasi raggiunta", scrive le Monde smentendo la convinzione che "la migrazione subsahariana sia principalmente maschile e poco qualificata". Su questo secondo aspetto si sottolinea che sempre secondo dati di sei anni fa "più di un terzo" di questo tipo di migranti aveva fatto studi di scuola superiore. Inoltre la quota di emigrati "qualificati" che lascia questo enorme pezzo di Africa (13%) "è la più importante a livello mondiale".

Terza convinzione sbagliata contraddetta dallo studio è quella che "le migrazioni provenienti dall'Africa subsahariana diminuiranno grazie allo sviluppo": la diminuzione avverrà ma "non a breve termine", avverte il dossier. Per sostenere la tesi il sito del quotidiano francese - nell'articolo pubblicato il 15 febbraio - ricorda che la popolazione dell'Africa "nera" è oggi quella che "aumenta più rapidamente al mondo" e la regione avrà "un terzo dei giovani tra i 15 e i 24 anni" entro il 2050.

"Controversa" viene definita poi la previsione che l'emigrazione porterà benefici ai paesi di origine: sebbene le rimesse degli emigrati, pari a 29,6 miliardi di euro nel 2014, corrispondano al 2,3% del Pil della regione, la "vocazione" di questo risparmio privato "non è quella di sostituirsi ai finanziamenti pubblici e internazionali allo sviluppo", nota le Monde sempre citando lo studio dell'Ocse.

sabato 27 febbraio 2016

India: i Francescani per l'Anno Santo della Misericordia chiedono la libertà per mille prigionieri

Ansa
Liberare mille prigionieri, detenuti per reati minori nelle carceri indiane, concedendo loro uno speciale "indulto" nell'Anno giubilare: è la richiesta che i Francescani indiani inoltrano al governo, auspicando che anche nella società indiana possa esserci una traccia dell'Anno santo della misericordia indetta da Papa Francesco.
Come comunicato all'agenzia vaticana Fides, l'iniziativa parte dalla "Associazione delle Famiglie Francescane d'India" (Affi) una rete che unisce a livello nazionale gli oltre 50mila francescani di diverse congregazioni religiose, maschili e femminili, e laici. 

Riuniti per la loro assemblea nazionale a Bangalore nei giorni scorsi, i rappresentanti dell'Affi hanno riflettuto sul tema "Essere francescani: volto della misericordia di Cristo in questo mondo".
I francescani in India, presenti con 54 congregazioni in 164 province, sono impegnati principalmente nell'aiuto dei poveri e degli emarginati attraverso istituzioni educative, mediche e opere sociali. "Essendo già coinvolti in opere di misericordia corporali e spirituali e sulle orme di San Francesco e Santa Chiara d'Assisi, il richiamo di Papa Francesco per il Giubileo della Misericordia ha aggiunto e rinnovato una motivazione speciale alla missione dei francescani in India", spiega a Fides padre Nithiya Sagayam, dei frati minori, coordinatore dell'Affi.
Ora i francescani hanno focalizzato la loro attenzione sul rilascio dei prigionieri detenuti per piccoli reati. Alcune opere sociali gestite dai francescani già accolgono detenuti o ex detenuti che hanno le pene commutate in servizi sociali. Ora si intende avviare negoziati con le autorità governative per ottenere un piccolo indulto ma anche per "guidare gli ex detenuti e far sì che riprendano la vita con dignità e speranza", conclude padre Sagayam.

MN Oromos decry human rights violations in Ethiopia, say violence continues

MRP News
The Ethiopian government may have backed off its planned expansion of the capital after deadly protests last fall, but ethnic Oromo in Minnesota say violence and arrests continue.
Manifestazioni di Oromo  ad Addis Abeba
On Thursday, members of the community — around 40,000 Oromo people live in the state — came together for a daylong forum in Minneapolis to discuss the human rights violations in the East African nation.

In the last few months, clashes between state security forces and students in the Oromo region of Ethiopia have been deadly. Activists say more than 200 people have been killed, but Human Rights Watch said it couldn't verify the number. And it's unclear how many Oromos, the largest ethnic group in Ethiopia, have been arrested and imprisoned.

Teshite Wako, president of Oromo Community of Minnesota, said Oromo people are being targeted.

"By the name of development, and investments in the country, Oromos are evicted from their land, and students started to protest against that, and the response they got was to be killed," Wako said.

Ethiopia's prime minister said he regretted the loss of life during November's demonstrations, and since then the government has ceased its plan to develop beyond the capital. However, daily killings and arrests have continued, said Wako.

"It's an urgent matter that we need to pay attention to," he said. "We would like, really, for genocide not to happen in our country. We are not against developments, investments, but what we are against is developments and investments that marginalize our people."

Among those featured at the forum was Anuradha Mittal, executive director of The Oakland Institute, who spoke about human rights violations that her California nonprofit has been reporting about in Ethiopia since 2007.

"What is horrifying is a very systematic violation of human rights toward all communities that are not in political power," she said. "This is based on so-called development schemes, which will result in the renaissance state of Africa, grand highways, the largest dam. But all of those schemes are being carried out through land-grabbing, taking away farmlands of communities without their consent, without compensation."

Mittal added that when people protest, as young students apparently attempted to in November, there's violence.

"They've been tortured, they've been intimidated, arrested, there's no rule of law," Mittal said. "There's a complete misuse of the anti-terrorism law, which has become a tool to lock up people (and) not have them face charges for years. It is shameful for us to keep quiet."

When President Barack Obama visited Ethiopia last year, he reportedly discussed greater business developments with officials, as well as human rights in the state. But Oromo Minnesotans say that's not enough and many are urging Obama to help the Oromo before he leaves office.

Rifugiati - La strage degli innocenti: Annegati oltre 340 bambini come Aylan in 5 mesi

Famiglia Cristiana

Stefano Pasta
Tre agenzie Onu – Oim, Unhcr e Unicef – lanciano un appello garantire «la sicurezza di coloro che fuggono da conflitti e disperazione». Lo chiedono all’Europa che invece pensa ad alzare muri. Mentre Medici senza frontiere, al confine fra Grecia e Macedonia, si trova a curare ferite persino da morsi di cani. Cani della polizia.

Dal settembre 2015 oltre 340 Aylan sono annegati nel Cimitero Mediterraneo.
In media, due bambini ogni giorno fanno la stessa fine del piccolo siriano che sei mesi fa aveva attirato l’attenzione di tutto il mondo. In realtà, il bilancio potrebbe essere ancora peggiore, considerato il numero di corpi dispersi in mare, che finiscono mangiati dai pesci e corrosi dal sale.
Da alcuni mesi il “fronte” in cui si muore cercando di entrare in Europa è soprattutto quello orientale, ma anche nel Canale di Sicilia, martedì 23 febbraio, sono stati recuperati quattro cadaveri. Per lanciare l’allarme sull’aumento delle morti in mare, tre agenzie delle Nazioni Unite – l’Oim, l’Unhcr e l’Unicef – hanno lanciato un appello, chiedendo di garantire «la sicurezza di coloro che fuggono da conflitti e disperazione».
«Non possiamo voltarci dall’altra parte davanti alla tragedia della perdita di così tante vite innocenti, o fallire nel fornire risposte adeguate rispetto ai pericoli che molti altri bambini stanno affrontando», dice il direttore dell’Unicef Anthony Lake.Spiega il motivo per cui famiglie siriane rischiano la vita per scappare da una guerra ormai giunta alla fine del quinto anno: «Nessuno metterebbe un bambino su una barca se fosse disponibile un’alternativa più sicura». Non c’è. E così rimane il tratto di Egeo che si estende fra la Turchia e la Grecia, una delle rotte che provoca più morti di rifugiati e migranti al mondo. Mari agitati durante l’inverno, imbarcazioni inadeguate e sovraccariche, mezzi di salvataggio insufficienti e inadatti aumentano il rischio di naufragi, rendendo il viaggio molto più pericoloso.
Un gruppo di profughi nei pressi del confine greco-macedone.
Un gruppo di profughi nei pressi del confine greco-macedone.
Tra i profughi che transitano dalla Turchia alla Grecia i bambini rappresentano il 36%. Cresce la probabilità che anneghino nel Mar Egeo: durante le prime sei settimane del 2016 sono morte 410 persone delle 80.000 che hanno attraversato il Mediterraneo orientale, cioè un aumento pari a 35 volte le morti dello stesso periodo dell’anno precedente.
Filippo Grandi, l’italiano che da quest’anno guida l’Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr), sottolinea come l’assenza di alternative ai “barconi della morte” sia la conseguenza di una scelta precisa dell’Europa:«C’è bisogno di maggiori sforzi per combattere il traffico di persone: promuovere soluzioni che consentano alle persone di spostarsi in modo legale e sicuro, ad esempio attraverso programmi di reinsediamento e ricongiungimento familiare, dovrebbe essere un’assoluta priorità se vogliamo ridurre il numero delle morti».

È quello che stanno sperimentando i corridoi umanitari realizzati dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle chiese evangeliche (Fcei), la Tavola valdese e il Governo italiano. Con questa iniziativa pilota arriveranno in Italia – senza rischiare la vita, senza riempire le tasche dei trafficanti – mille profughi che ora si trovano nei campi di Libano, Etiopia e Marocco. La prima famiglia – quella di Falak, una bimba malata di tumore – è arrivata il 4 febbraio, mentre lunedì 29 sbarcheranno a Fiumicino 93 siriani, di cui 41 minori. Tra loro c'è anche Dia, che a otto anni ha perso una gamba sotto i colpi di un mortaio ad Homs: sarà accolto dalla Fondazione Zanardi a Bologna dove gli verrà costruita una protesi.
Profughi bloccati al confine fra Grecia e Macedonia.
Profughi bloccati al confine fra Grecia e Macedonia
Se c’è la volontà politica, insomma, le vie legali sono possibili e diventano il vero modo per contrastare i trafficanti. Per questo il Segretario generale dell’Onu ha convocato per il 30 marzo a Ginevra una riunione per affrontare a livello globale il tema della responsabilità condivisa, attraverso vie legali per l’ammissione di rifugiati siriani.

Intanto, l’Unhcr stigmatizza il comportamento di molti Stati europei: «Oltre l’85% di coloro che arrivano in Europa provengono dai dieci Paesi che producono più rifugiati al mondo. Rischiano la propria vita e quella dei figli per fuggire da guerre e persecuzioni e hanno bisogno di protezione internazionale. Eppure, ogni settimana che passa, sembra che alcuni Stati europei si stiano sempre più focalizzando su come allontanare rifugiati e migranti piuttosto che su come gestire responsabilmente questi flussi e lavorare a una soluzione comune. Spostano oltre il problema piuttosto che cercare di condividerne la responsabilità e mostrare solidarietà l’uno verso l’altro e verso coloro che hanno bisogno di protezione».

Tra le immagini di queste settimane vengono in mente le foto dei papà e delle mamme che spingono i figli di pochi anni a passare tra i fili spinati posizionati alle frontiere europee, o all’ultima denuncia di Medici senza Frontiere: «A Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, le nostre équipe hanno curato più di 100 persone con ferite dovute a violenza, tra cui morsi di cane. Hanno detto di averle subite da parte della polizia». 

Il Portogallo richiede 10.000 rifugiati: aiutano lo sviluppo del Paese e contrastano la crisi demografica

EUNews
Il premier ha scritto una lettera ad Austria, Grecia, Italia e Svezia dicendosi pronto ad accogliere in tutto 10mila migranti per contrastare l’invecchiamento della popolazione


Bruxelles – In un momento in cui i Paesi membri dell’Unione europea tendono a reagire alla crisi dei migranti chiudendosi all’interno delle loro frontiere e irrigidendo le politiche di accoglienza, il Portogallo fa l’esatto opposto: non solo afferma di poter gestire, ma anche di volere l’arrivo di migranti nel Paese. Il premier socialista Antonio Costa ha dichiarato di essere contrario ad una Europa che chiude le sue frontiere per bloccare l’accesso ai rifugiati e, mettendo in pratica le sue parole, ha indirizzato una lettera ad Austria, Grecia, Italia e Svezia (cioè i Paesi che hanno dovuto fronteggiare i maggiori flussi di persone) offrendosi di ricevere più di 5.800 rifugiati, oltre ai 4.500 che aveva già accettato prendendo parte al sistema di relocation concordato a livello europeo.

Per quanto la prima motivazione sia quella di aiutare i rifugiati che richiedono asilo, il Portogallo ha anche valutato il vantaggio economico che l’afflusso di migranti porterebbe al Paese. Sebbene sia necessario sostenere una spesa iniziale per fare in modo che questi possano apprendere la lingua, formarsi professionalmente e vedere riconosciute le loro competenze, secondo Lisbona i nuovi arrivati finirebbero per costituire un potente elemento a favore dello sviluppo economico, contrastando gli squilibri demografici causati dall’invecchiamento della popolazione.

Fin ad ora il Portogallo non ha quasi ricevuto domande di protezione internazionale, poiché le rotte migratorie non toccano il suo territorio (da un punto di vista storico è sempre stato un Paese di emigrazione). Nella parte più occidentale della penisola iberica si stanno elaborando e applicando piani di intervento locale a favore della ripopolazione delle zone desertiche, incoraggiando lo sviluppo delle regioni ed esaltando le opportunità legate ai mestieri agricoli e a quelli direttamente connessi, come la lavorazione della terra e il commercio agricolo. Sono questi i settori maggiormente abbandonati, soprattutto dai giovani, verso i quali si cerca di indirizzare i migranti tramite corsi di formazione tecnica. E per quanto una parte della popolazione sostenga il valore che i rifugiati potrebbero avere nella ripresa economica del Paese, un’altra parte continua a manifestare contro il loro arrivo, per paure legate a possibili infiltrazioni terroristiche e alla perdita di posti di lavoro.

venerdì 26 febbraio 2016

Turchia: reporter Dundar e Gul liberi, in carcere per 92 giorni per scoop su armi in Siria

AnsaMed
Roma - Sono stati scarcerati Can Dundar ed Erdem Gul, direttore e caporedattore di Cumhuriyet. Lo riferisce lo stesso quotidiano. "Ci dispiace avervi fatto aspettare tanto", ha detto Dundar ai giornalisti appena fuori dal carcere. "Lo sapete, oggi è il compleanno del presidente Erdogan. Siamo felici di celebrarlo con questa decisione" di essere rilasciati, ha aggiunto con ironia.
Poco dopo le 3 di notte, dopo 92 giorni trascorsi nella prigione di Silivri a Istanbul, Can Dundar torna in libertà con la barba lunga e una battuta consegnata ai colleghi giornalisti, che lo aspettavano fuori dal carcere insieme a una folla di amici e sostenitori. 

Il direttore del quotidiano turco di opposizione laica Cumhuriyet era stato arrestato con il suo caporedattore Erdem Gul per un scoop su un presunto passaggio di camion di armi dalla Turchia alla Siria, dopo il quale Erdogan promise che avrebbero pagato un "caro prezzo". Nella tarda serata di ieri, il tribunale ha deciso di scarcerarli dopo che la Corte costituzionale aveva definito la loro detenzione in attesa di giudizio come una "violazione dei diritti".

"È una decisione storica che apre la strada non solo per noi ma per tutti i nostri colleghi in termini di libertà di stampa e di espressione. Noi siamo liberi ma più di 30 colleghi sono ancora dentro - ha detto Dundar - Non proviamo rancore ma siamo determinati a combattere. Continueremo a difenderci e le nostre voci saranno più forti".

I corridoi umanitari si sono aperti! 93 profughi siriani a Fiumicino lunedì 29 febbraio

www.santegidio.org
29 febbraio 2016 - Arrivato a Fiumicino il primo aereo dei #corridoiumanitari: 93 profughi, metà bambini. Benvenuti in Italia! >>>>


27 Febbraio 2016 - Lunedì 29 febbraio, da Beirut arriverà a Fiumicino il primo cospicuo gruppo di profughi siriani che, grazie ai corridoi umanitari, entrerà in tutta sicurezza e legalmente in Italia. Si tratta di 24 famiglie, 93 persone in tutto - di cui 41 minori - che in ragione della loro condizione di vulnerabilità hanno ottenuto un visto umanitario a territorialità limitata rilasciato dall’ambasciata italiana in Libano.


La maggior parte delle famiglie proviene da Homs, città siriana ormai rasa al suolo. Altri da Idlib e Hama. Una volta in Italia saranno trasferiti in diverse località.
Lo scorso 4 febbraio la piccola siriana Falak, malata di tumore, con la sua famiglia era giunta a Roma aprendo di fatto il primo varco legale verso l’Europa.
I corridoi umanitari sono un progetto-pilota che nel quadro di un accordo raggiunto a metà dicembre tra governo italiano, Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e Tavola Valdese, prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni non solo dal Libano, ma presto anche dal Marocco e dall’Etiopia.

Amnesty: 2015 anno difficile per i diritti umani in EU Discriminazione rifugiati e rom nei Balcani

ANSA
Rapporto annuale 2015, 'Anno turbolento per l'Europa'
Trieste - Il 2015 è stato un "anno turbolento" per l'Europa. Così il rapporto annuale dell'Amnesty International sui diritti umani nel mondo, secondo il quale "il rispetto dei diritti umani è peggiorato in tutta la regione". Nei Balcani, il report segnala soprattutto la discriminazione dei rom, le violazioni dei diritti dei rifugiati e della libertà di informazione come problemi ricorrenti tra vari Paesi della regione.

I
n particolare, in Albania Amnesty segnala che alle comunità rom ed egiziana è stato negato un alloggio adeguato e sono state sottoposte a sgomberi forzati. Inoltre, migliaia di albanesi, spinti dalla povertà, hanno cercato asilo nell'Ue. Problematica anche la protezione contro la violenza domestica, che è rimasta "inadeguata".

Anche in Bosnia-Erzegovina sono continuati a verificarsi atti di discriminazione contro ebrei e rom e violazioni del diritto alla libertà di espressione. Inoltre, l'accesso alla giustizia e alla riparazione per i crimini del passato è rimasto limitato "a causa della mancanza di impegno".

Dal canto suo, la Croazia ha incontrato difficoltà nel fornire adeguate condizioni di accoglienza e accesso alle procedure di asilo per il grande numero di rifugiati e migranti giunti nel Paese, mentre non è cessata la discriminazione contro serbo-croati e rom.
Più di 600.000 rifugiati e migranti hanno attraversato la Serbia diretti nei paesi Ue. Il perseguimento dei crimini di guerra è progredito con lentezza. In Kosovo, i partiti di opposizione hanno ritardato l'istituzione di un Tribunale speciale per crimini di guerra e l'attuazione di un accordo con la Serbia mediato dall'Ue.

In Macedonia, la diffusione di audioregistrazioni "non ha soltanto rivelato prove di corruzione del governo ma ha dimostrato quanto fosse diffusa la sorveglianza clandestina", segnala Amnesty. Inoltre, le autorità non hanno rispettato i diritti di rifugiati e migranti, ricorrendo alla detenzione illegale e all'uso eccessivo della forza.

In Montenegro non sono cessate le minacce e le aggressioni contro organi d'informazione e giornalisti indipendenti; pochi responsabili sono stati assicurati alla giustizia. La polizia ha fatto uso eccessivo della forza durante le proteste di massa organizzate dai partiti dell'opposizione contro l'incapacità del governo di affrontare povertà, criminalità e corruzione.

Anche in Bulgaria sono perdurate le segnalazioni di respingimenti di rifugiati e migranti da parte della polizia di frontiera; le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo sono rimaste carenti e non è stato organizzato un piano di integrazione per i rifugiati riconosciuti. Le autorità locali e nazionali hanno continuato a sgomberare con la forza i rom. La riforma delle norme sui crimini d'odio è in una fase di stallo.

Discriminazioni contro i rom anche in Romania, dove nell'arco dell'anno scorso sono stati registrati sgomberi forzati e altre violazioni. A seguito della diffusione del rapporto del senato Usa sul programma di detenzioni segrete della Cia, è stata aperta una nuova inchiesta sulla collaborazione della Romania.

Ad aprile, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha esaminato la situazione della Romania per la prima volta in 18 anni.

Foto del giorno: "Dammi il cinque!" La gioia del piccolo rifugiato salvato dalla Marina Militare

Blog Diritti Umani - Human Rights

Il piccolo migrante batte cinque con un soccorritore in tuta biana a bordo della nave «Cigala Fulgosi» della Marina Militare. Il piccolo fa parte di un gruppo di migranti salvato il 24 febbraio nel Canale di Sicilia (Reuters)

giovedì 25 febbraio 2016

Perchè la moratoria delle esecuzioni non è inutile per combattere la pena di morte

Blog Diritti Umani - Human Rights
Dopo l'appello del Papa all'Angelus del 21 febbraio per l'abolizione della pena di morte e la richiesta di un gesto coraggioso dei governanti cattolici di mettere in atto una moratoria delle esecuzioni non eseguendo nessuna condanna nell'Anno Santo della Misericordia, ci sono state varie reazioni.



Si sono registrati dei commenti sui “Social” del tipo: “Finito l'Anno santo li fanno fuori? ..” oppure altri più ragionati sull'inutilità della moratoria in quanto sospende il problema ma non lo risolve.

Ma la moratoria ha l'efficacia di salvare vite umane, come una sorta di “cessate il fuoco” in questa guerra che semina morte ogni giorno.

Inoltre da' tempo agli Stati di non fare vittime in attesa che gli ordinamenti si adeguino per modificare il Codice Penale e la Costituzione togliendo ogni richiamo alla pena di morte.

La moratoria è stata proposta per la prima volta dall'Italia nel 1994 all'ONU, la maggioranza dei favorevoli non venne raggiunta per 8 voti ma nel 1997 la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani approvò una risoluzione per "una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte”. 


Varie associazioni si mobilitarono per raggiungere questo obiettivo come la Comunità di Sant'Egidio, Amnesty International, Nessuno Tocchi Caino.

Dei paesi che hanno all'interno dei loro ordinamenti la pena capitale ma nella prassi l'hanno superata o la vogliono superare hanno già messo in atto la moratoria.
Dei paesi che ancora la praticano la possono applicare  – e l'Anno Santo può essere questa occasione – per compiere questo gesto.

La storia di questi ultimi anni dimostra che per uno Stato che inizia a praticare una moratoria non è facile tornare indietro e riprendere le esecuzioni.

All'ora l'invito di Papa Francesco è una offerta nobile di fare un passo coraggioso ma possibile per i governati cattolici - e non solo - che eseguono delle sentenze capitali come ad esempio negli USA.

Chi la metterà in pratica farà sicuramente un passo avanti.  Diminuiranno le vittime di questa “guerra” che i governi praticano eliminando i loro cittadini che hanno compiuto dei reati anche gravi. 
Governi anche eletti democraticamente che mettono in atto lo stesso reato compiuto dalle persone condannate: “l'omicidio”.

Ezio Savasta

Israele: in sciopero fame da 84 giorni, respinta richiesta Mohammed al-Qeeq

ANSAmed
Tel Aviv- La Corte Suprema di Gerusalemme ha respinto la richiesta del palestinese Mohammed al-Qeeq, detenuto in via preventiva e impegnato in uno sciopero della fame da 84 giorni, di essere trasferito dall'ospedale di Afula (Galilea) dove e' attualmente ricoverato, in quello di Ramallah.
Mohammed al-Qiq
I giudici hanno autorizzato il suo ricovero in un ospedale palestinese di Gerusalemme est, ma ne hanno vietato il passaggio in Cisgiordania dove "un suo nuovo arresto metterebbe a rischio l'incolumità di soldati israeliani".

Giornalista in un'emittente saudita, al-Qeeq (33 anni) ha avviato lo sciopero della fame in segno di protesta per non essere stato finora ne' incriminato ne' liberato. Vicino all'ospedale di Afula hanno adesso avviato uno sciopero della fame di solidarietà lo sceicco Raed Sallah, leader del Movimento islamico, e l'ex deputato comunista Mohammed Barake.

Pena di morte: vice-presidente Zimbabwe al congresso di Sant'Egidio, stiamo studiando come abolirla

OnuItalia
Roma  - Da Roma, dove e’ avvenuto il Convegno Internazionale sulla pena di morte organizzato dalla Comunita’ di Sant’Egidio a Montecitorio, il vice-presidente dello Zimbabwe ha annunciato che il suo paese sta seriamente considerando la possibilita’ di abolire le esecuzioni.

Emmerson Mnangagwa
Il vicepresidente Emmerson Mnangagwa, che e’ anche ministro della giustizia del suo paese, ha detto che lo Zimbabwe “non esitera’ a cancellare la pena capitale dai codici” perche’ “le esecuzioni sono una flagrante violazione del diritto alla vita e alla dignita'”. 

Secondo il testo del discorso pubblicato sul sito della conferenza, Mnangagwa ha precisato che Harare ha recentemente avuto una possibilita’ di farlo quando nel 2013 e’ stata adottata una nuova Costituzione prodotto del contributo inclusivo di tutti i cittadini. “Era una occasione d’oro per decidere l’abolizione, ma poi la maggioranza della popolazione, nel corso del referendum, ha votato per mantenerla”.

Lo stesso Mnangagwa fu condannato a morte quando la Zimbabwe era ancora la Rhodesia. Era stato arrestato nel 1965 e ha scontato 1o anni di prigione ma aveva scampato la forca perche’ le autorita’ lo giudicarono troppo giovane per essere impiccato. Nello Zimbabwe ci sono circa 100 detenuti nel braccio della morte su una popolazione di 13 milioni. L’ultima esecuzione risale al 2005 in parte perche’ e’ difficile per le autorita’ trovare persone disposte a fare il boia. 
(@alebal)

Turchia: almeno 30 giornalisti sono in carcere, non lasciamoli soli

Il Fatto Quotidiano
Ricevo dal collega turco Murat Cinar un appello rivolto a tutti i giornalisti italiani. Un appello che credo non possa che essere raccolto e rilanciato. Perché ci chiede di impegnarci a non sottacere le notizie che arrivano dalla Turchia, un Paese oggi al centro delle dinamiche di guerra (in Siria e non solo) e che fa parte della Nato. "Alleato" dell'Occidente, che calpesta i diritti umani, nega la libertà di espressione e di informazione e che molti accusano di complicità verso l'Isis.
"Nel 2012 Reporter Senza Frontiere definiva la Turchia come "carcere più grande del mondo per i giornalisti". Sono passati 4 anni ed attualmente nelle carceri si trovano almeno 30 giornalisti. Giornalisti che pubblicano o ripubblicano certi articoli, alcune fotografie, interviste o video, vengono accusati di "incitare la popolazione per provocare una rivolta armata contro il governo centrale", "istigare e delinquere", "collaborare con un'organizzazione terroristica" oppure di "appartenere ad un'organizzazione terroristica". 

Tutto questo diventa possibile grazie ad una serie di realtà legislative presenti nel codice penale. Censura e repressione vengono sostenute anche con l'ausilio del potere amministrativo e di buona parte dei media mainstream. Non mancano umiliazioni pubbliche, offese volgari, accuse senza fondamenti, licenziamenti, violenze fisiche e processi informali seguiti da esecuzioni mediatiche.
Mentre attraverso diversi cambiamenti legislativi, il sistema giuridico e quello amministrativo riescono ormai in pochi minuti a oscurare interi portali di notizie online oppure singoli articoli, bloccare l'accesso ad un singolo account nei social media, nel mondo cinematografico, televisivo ed artistico crescono e si radicano a 360 gradi anche la cultura della censura e dell'autocensura. Diversi giornalisti sono in carcere da anni e aspettano la condanna, alcuni sono in attesa di sentire e capire quali siano le loro colpe ed alcuni invece vengono trattenuti per attendere l'inizio del loro processo. Le condanne richieste in alcuni casi prevedono anche l'ergastolo in condizioni aggravate.
Nonostante i diversi appelli lanciati da varie istituzioni in tutto il mondo e da altri singoli e gruppi di giornalisti, la Turchia continua ad essere un paese fortemente difficile e rischioso per la libertà di stampa. Per questi motivi invitiamo tutti i giornalisti che lavorano in Italia a non lasciare soli nella loro battaglia i colleghi detenuti in Turchia. Chiediamo a tutti i giornalisti di aggiornare sistematicamente i propri lettori in merito alla libertà di stampa, espressione e pensiero in Turchia.

Roma elezioni comunali: i canditati della destra alimentano l'odio verso i Rom

Blog Paolo Ciani
Alla faccia dei programmi, delle alleanze, dei candidati, la destra a Roma riesce a fare una sola cosa: dagli allo zingaro! Salvini, Meloni, Bertolaso, Marchini, Storace, da giorni si rincorrono per far vedere ai media chi è più contro la popolazione più odiata di Roma. Complimenti! Che spettacolo penoso…
Roma è in uno stato di prostrazione totale, umiliata da anni di malgoverno, senza una bussola quotidiana, né una vocazione, con i problemi di tutte le grandi metropoli e quelli specifici di una capitale che ha visto nel nepotismo, nella corruzione e nel laissez faire alcuni dei suoi modi di essere. C’è stata poi l’inchiesta mondo di mezzo, quella che ha fatto il giro del mondo come Mafia Capitale.
Ma per loro niente! Non esiste nulla: è colpa dii zingheri! Sono gli stessi che hanno governato per 5 anni dal 2008 al 2013 (perché si possono cambiare partiti o nomi ai partiti, ma la gente è sempre quella…), vincendo le elezioni speculando sulla paura e il razzismo, che hanno fatto centinaia di sgomberi inutili e costosi, che hanno chiuso campi rom da una parte per riaprirli in altri quartieri, che hanno sperperato oltre 20 milioni di euro per un “piano nomadi” che ha peggiorato la vita ai Rom e non ha migliorato quella degli altri romani. I cui amici sono sotto processo perché hanno fatto affari con la criminalità organizzata proprio sui Rom.
Salvini ha uno dei suoi arrestato per tangenti pochi giorni fa (per non parlare dei diamanti, del Trota, di Roma Ladrona…), eppure cala con la sua felpa per andare ad attizzare in periferia sentimenti antigitani.
Tutti ripartono da li: dagli allo zingaro! Perché non c’è niente di meglio quando si ha la testa (e il cuore) vuoti, quando si ha tanto da nascondere e poco da proporre, di trovare un nemico contro cui scagliarsi: il più lontano da me, il più diverso, quello in cui è più difficile immedesimarsi.
Ma allora la situazione dei Rom a Roma va bene? Neanche per sogno. E’ una pessima situazione, va totalmente cambiata e va iniziata ad affrontare seriamente e non demagogicamente.

mercoledì 24 febbraio 2016

Costa d'Avorio: rivolta nel carcere di Abidjan, dieci persone uccise

Askanews
Si tratta di nove detenuti e una guardia di sicurezza. Dieci persone sono morte durante una protesta nella principale prigione della Costa d'Avorio, ad Abidjan. 

Il carcere di Abidjan
Tra le vittime figura anche una guardia, ha riferito il procuratore generale Aly Yeo. Secondo quanto si è appreso, la rivolta è scoppiata sabato, quando alcuni detenuti armati di kalashnikov hanno attaccato lo staff della prigione. 

Nove detenuti sono morti, compreso Coulibaly Yacouba, conosciuto come Yacou il cinese", considerato boss di alto rango nel Paese. Il bilancio della rivolta comprende anche otto feriti tra le guardie di sicurezza e 13 fra i prigionieri.

Rapporto Amnesty: Il 2015 anno nero per violazioni diffuse dei diritti umani nella generale indifferenza

Famiglia Cristiana
Il Rapporto 2015-2016 denuncia violazioni sempre più diffuse e impunite in vari Paesi del mondo. Anche l'Italia presenta gravi insufficienze


«Un anno brutto e difficile», così Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia, definisce il 2015 dal punto di vista di chi si batte per il rispetto dei diritti umani.

«Abbiamo assistito a un aumento dei conflitti, delle crisi umanitarie, dei conflitti contro l'umanità», aggiunge, «e al tempo stesso constatiamo una generale indifferenza nei confronti del destino dei civili nei conflitti». È un grido di dolore quello che sale da parte di Amnesty in occasione della presentazione del Rapporto 2015-2016 sulla situazione dei diritti umani nel mondo.

I dati sono impressionanti: in almeno 122 paesi ci sono stati maltrattamenti e torture; in almeno 19 sono stati commessi crimini di guerra; in almeno 61 sono stati messi in carcere prigionieri di coscienza; in almeno 113 la libertà d'espressione e di stampa sono state sottoposte a restrizioni arbitrarie.
«Abbiamo assistito a un degrado dei diritti anche in Paesi dove si sperava che i diritti fossero ormai al sicuro. Il mondo sembra tornato indietro di cinquant'anni e rispetto alla crisi dei rifugiati constatiamo un crollo dell'Europa dei valori», denuncia Rufini.

Le violazioni dei diritti umani si esprimono in varie forme. In Egitto (Amnesty sostiene la campagna “Verità per Giulio Regeni”) ci sono migliaia di arresti e detenzioni prolungate senza accusa né processo. In Messico si contano almeno 27.000 scomparsi. In Burundi ci sono stati diversi casi di uccisioni illegali di persone considerate oppositori del presidente. L'Arabia Saudita esercita una brutale repressione contro gli oppositori interni e compie crimini di guerra in Yemen. In Slovacchia c'è una diffusa discriminazione contro i rom. Gli Stati Uniti mantengono aperto il centro di detenzione di Guantanamo (anche se proprio ieri Obama ha presentato un piano per la sua chiusura). L'Ungheriaha chiuso i confini ai rifugiati. Poi c'è ovviamente la Siria, che da cinque anni è un concentrato di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.

Amnesty denuncia un altro dato preoccupante: sono a rischio non solo i diritti, ma anche coloro che li difendono.«Milioni di persone stanno patendo enormi sofferenze nelle mani degli Stati e dei gruppi armati, mentre i governi non si vergognano di descrivere la protezione dei diritti umani come una minaccia alla sicurezza, alla legge, all'ordine e ai "valori nazionali"», dichiara Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

Le minacce alla sicurezza nazionale, originate dal terrorismo, hanno prodotto, secondo Shetty, «un attacco alla società civile, al diritto alla riservatezza e alla libertà di parola».

Per quanto riguarda l'Italia, il presidente di Amnesty Italia , Alberto Marchesi, rileva «poche sufficienze e alcune insufficienze particolarmente gravi» rispetto all'Agenda in 10 punti presentata all'inizio della legislatura (sottoscritta da solo 118 parlamentari).

In Italia non c'è ancora il reato di tortura, la legge contro l'omofobia si è arenata, resta nel nostro ordinamento il reato di ingresso e soggiorno illegale, sono state esportate armi verso l'Arabia Saudita, responsabile di violazioni dei diritti umani e di crimini di guerra in Yemen. Inoltre in Italia non è stata ancora creata una istituzione nazionale per la difesa dei diritti umani.


Roberto Zichittella

Guantanamo chiuderà, l’annuncio di Obama: “Identificate 13 strutture alternative”

Fanpage
Il Presidente Usa annuncia il piano di chiusura del carcere: "È giunta l'ora di chiudere questo capitolo della nostra storia"

Dopo anni di proteste, dibattiti e anche scontri politici, gli Stati Uniti presto diranno addio al supercarcere di Guantanamo, la struttura nell'enclave cubana voluta dal presidente George W. Bush dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 e dove per anni sono stati rinchiusi i terroristi islamici e presunti tali spesso con detenzioni extra giudiziarie e brutali metodi di interrogatorio. 

Ad annunciarlo dalla Casa Bianca è stato lo stesso presidente Usa Barack Obama dopo aver presentato il piano di dismissione al Congresso di Washington. "Se qualcosa non funziona, dobbiamo cambiare corso. Da tempo è evidente che Guantanamo mina i valori americani e non aiuta la nostra sicurezza nazionale. È controproducente nella lotta al terrorismo. Non è un parere mio ma degli esperti" ha dichiarato infatti Obama, sottolineando che l'obiettivo è di chiudere la prigione entro la fine dell'anno.

"Non voglio passare il problema di Guantanamo a un altro presidente" ha aggiunto infatti Obama che, conscio dei rischi in un periodo delicato con le primarie Usa in corso, ha voluto chiarire che "questo piano merita un esame imparziale anche in un anno elettorale" come questo. "Tenere aperto Guantanamo è contrario ai nostri valori, è vista come una macchia. Quando parlo con gli altri leader, sottolineano che è un problema non risolto", quindi "è giunta l'ora di chiudere questo capitolo della nostra storia", ha insistito il Presidente Usa, evidenziando che Guantanamo è costosa sia in termini economici che di immagine perché "gli estremisti la usano come strumento di propaganda".

In base al piano preparato dalla Casa Bianca, infatti, la chiusura di Guantanamo dovrebbe portare a risparmi tra i 65 e gli 85 milioni di dollari all'anno. Per i 91 detenuti che vi sono ancora rinchiusi, il progetto conta di trasferirne una parte all'estero, con 35 che andrebbero nei rispettivi paesi o in quelli disposti ad accoglierli, mentre i restanti dovrebbero essere distribuiti in carceri presenti sul territorio Usa. In particolare il Pentagono ha preso in esame 13 siti alternativi, tutti carcere di massima sicurezza.
"Lavoreremo con il Congresso per trovare un posto sicuro negli Stati Uniti per i detenuti rimanenti che pongono una specifica minaccia agli Stati Uniti" ha assicurato Obama. Dagli esponenti repubblicani, però, è già arrivato un coro di critiche al piano giudicato vago e poco credibile. “Ci sarà una grossa opposizione alla chiusura. Fosse stato facile, sarebbe avvenuta anni fa. Però anche in un anno elettorale, dovremmo essere in grado di avere un dialogo aperto e onesto per assicurare la nostra sicurezza nazionale. Facciamo ciò che è giusto per l'America. Andiamo avanti e chiudiamo questo capitolo", ha concluso Obama.

Antonio Palma

Siria, liberati dal Daesh 43 cristiani assiri

Avvenire
Il Daesh ha liberato 43 cristiani assiri che erano stati sequestrati un anno fa nella provincia siriana settentrionale di Al-Hasaka.


Più di 200 assiri furono sequestrati nel febbraio 2015, durante un attacco condotto dai jihadisti. Negli ultimi mesi, molti loro sono stati liberati. Prima dell'inizio del conflitto in Siria, nel Paese vivevano 200mila assiri, mentre ora ne restano tra 15mila e 20mila.

All'inizio dello scorso ottobre - riferisce l'agenzia Fides - sui siti jihadisti era stato diffuso il video dell'esecuzione di tre cristiani assiri della valle del Khabur. Il filmato, girato secondo i macabri rituali scenici seguiti anche in altri casi analoghi dalla propaganda jihadista, avvertiva che le esecuzioni degli altri ostaggi sarebbero continuate fino a quando non fosse stata versata la somma richiesta come riscatto per la loro liberazione. 

Al ritorno, la gioia delle persone liberate che cantano l'inno di lode per ringraziare il Signore. Guarda il video sulla pagina di Assyrian Church of the East Relief Organization.

martedì 23 febbraio 2016

Calais, Australia, Sassonia: società "civili" che maltrattano i minori rifugiati

Left
Storie di rifugiati. Bambini e adolescenti, che ormai nemmeno per loro l’Europa (o la civile Australia) sembrano essere capaci di essere solidali. Da Calais alla lontana Nauru, «Dobbiamo trovare una soluzione, in particolare per i bambini. È scioccante pensare che così vicino a Londra e Parigi la gente, specialmente centinaia di bambini non accompagnati, vivano in una situazione così terribile. Due terzi del settore verranno evacuati». 


Così Jude Law, l’attore britannico in visita con una serie di colleghi artisti alla Jungle di Calais, che attende di essere sgomberata del suo migliaio di rifiugiati nei prossimi giorni.
Lo sgombero è stato rinviato dopo che l’organizzazione britannica Help Refugees ha diffuso la notizia che, a guardar bene, i rifugiati nel campo non sono un migliaio ma 4500, il dieci per cento circa tra questi sono bambini e minori.

Sotto il tendone del Good Chance Theatre, il teatro messo su, come molti altri servizi e un centro per le vaccinazioni, all’interno del campo, Law ha letto una lettera a David Cameron chiedendo di ospitare dei minori in Gran Bretagna e adoperarsi perché protezione venga garantita dalle autorità francesi e, garantire, che la Jungle non venga sgomberata prima di aver individuato soluzioni per le persone che la abitano.

Al suo fianco, il comico Shappi Khorsandi, l’attore di sitcom Matt Berry, Toby Jones, Tom Stoppard – il regista di “Rosencrantz e Guildenstern sono morti” – e attrici Harriet Walter e Juliet Stevenson. Nel frattempo in Gran Bretagna, la lettera ha raccolto 100mila firme, tra cui quelle di altre figure importanti di cultura e spettacolo.

Dall’Australia un’altra storia poco edificante che riguarda minori rifugiati: una bambina di un anno, figlia di richiedenti asilo giunti nel Paese via mare e ricoverata in ospedale per ustioni, verrà spedita a Nauru, isola stato dove l’Australia tiene i richiedenti asilo in attesa di dichiararne lo status giuridico, nonostante le proteste di queste settimane: «La bambina verrà curata in un centro di detenzione e poi andrà a Nauru» ha dichiarato il ministro dell’immigrazione Dutton, aggiungendo: «Non vogliamo si pensi che essere ammessi in un ospedale sia una maniera per riuscire a rimanere legalmente nel Paese». 

L’Australia ha persino rifiutato la proposta neozelandese di accogliere una parte dei richiedenti asilo.
La pessima legge australiana prevede l’arresto per chi entra nel Paese, poi rispedisce le persone a Nauru o, addirittura, obbliga le barche che intercetta a tornare indietro. I morti in mare non si contano.

E per chi se lo fosse perso, in Germania nei giorni scorsi abbiamo visto scene di violenza poliziesca contro i rifugiati che non volevano scendere da un autobus mentre fuori qualche centinaio di animali urlava loro contro. Nella stessa località, Bautze, Sassonia, l’albergo che ospitava i richiedenti asilo ha preso fuoco. Tra le grida di gioia di quache locale. La vicenda ha generato grandi polemiche in Germania, i Verdi hanno chiesto al capo della polizia locale di dimettersi. La scena qui sotto, c’è un video peggiore, in cui un ragazzino viene trascinato via dalla polizia tra le grida urlanti della piccola e incivile folla. Basta descriverlo.