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domenica 30 settembre 2018

“Un inferno in Terra”: l’isola di Lesbo è l’epicentro della crisi migratoria

Sputnik News
Una distesa di migliaia di tende e container sulla grande pianura di ulivi nella zona orientale dell’isola di Lesbo. Migliaia di persone finite nel campo di Moria tentano di combattere la paura e la violenza, l’assenza di sicurezza, la sporcizia e la malattia.



Mentre il numero di profughi e i flussi migratori verso la Grecia continuano ad aumentare, Sputnik si è recato a Lesbo e ha parlato con la direzione del campo di Moria, con organizzazioni internazionali presenti in loco, con i cittadini dell'isola e anche con i profughi cercando di fare luce sulle principali ragioni della crisi che ha colpito questa e altre isole del Mar Egeo.



Lesbo: sogno o incubo senza fine?
Le cifre segnalano una situazione senza via d'uscita: il 9 settembre del 2018, secondo i dati dell'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati, sulle coste dell'Egeo vivevano più di 18400 tra profughi e migranti. 9500 di loro a Lesbo. Solamente nel campo di Moria fino al 14 settembre vi erano 8789 persone anche se il campo potrebbe contenerne solo 3300. Altri 700 profughi si trovano in altre strutture come Kara Tepe (un campo per le persone appartenenti alle fasce sociali più deboli).

Erdogan chiede alla Merkel di estradare 69 cittadini turchi rifugiati in Germania

Faro di Roma
Il presidente turco Erdogan avrebbe consegnato al cancelliere trdesco Angela Merkel, una lista di 69 persone accusate da Ankara di «connivenze o complicità» con presunte organizzazione terroristiche e che avrebbero trovato rifugio in Germania.


La lista, in cui compaiono anche accademici e giornalisti, comprenderebbe gli indirizzi e fotografie delle persone indicate. Da parte tedesca non c’è stato finora nessun commento.

Intanto, il giornalista turco Can Dündar — che vive in esilio in Germania dal 2016 dopo essere stato arrestato e rilasciato per alcune sue pubblicazioni ritenute legate ad attività sovversive — ha fatto sapere di aver rinunciato a partecipare alla conferenza stampa congiunta tenuta da Merkel e da Erdoğan, spiegando di aver «deciso di non partecipare dopo che il presidente turco aveva minacciato di disdire la conferenza, se il giornalista vi avesse preso parte, come annunciato nei giorni scorsi». 

Di fronte alla domanda di un altro giornalista, il presidente turco ha affermato che «Can Dündar è un agente e ha violato il segreto di stato».

Sud Sudan: il presidente Salva Kiir rilascia tutti i prigionieri politici

Blog Diritti Umani - Human Rights
Due settimane dopo la firma di un accordo di pace tra i due belligeranti, il presidente 
Salva Kiir ha annunciato la liberazione di tutti i prigionieri di guerra e prigionieri politici. Una pubblicazione che ha effetto immediato, secondo un decreto letto alla televisione nazionale giovedì sera.


Il capo dello stato ha anche chiesto che il cessate il fuoco, incluso nell'accordo di pace, fosse immediatamente attuato. Per il principale partito di opposizione di Riek Machar, è davvero un gesto di buona volontà, ma è ancora troppo presto per festeggiare.

"Questa è la prima volta che il governo ha fatto un tale annuncio sui prigionieri di guerra", ha detto Puok Both, portavoce di SPLM-IO. Diamo il benvenuto e speriamo che il governo ora rispetti le sue promesse. Ma questo rimane solo un decreto finché non sarà implementato. "

Secondo i ribelli, questa decisione interesserebbe circa 400 persone, tra cui l'ex portavoce Riek Machar, James Gatdet Dak.

L'SPLM-IO aggiunge che essi stessi hanno rilasciato circa 50 detenuti l'anno scorso. E che sono pronti a liberare coloro che rimangono - una dozzina - una volta che il governo avrà mantenuto la sua promessa.

Per l'analista politico Zacharia Diing Akol, se questa versione è confermata, è un importante passo avanti.

ES

sabato 29 settembre 2018

Filippine. Il presidente Duterte ammette di aver ordinato delle esecuzioni extragiudiziali

TG24sky
Il presidente ha definito gli omicidi legati alla guerra alla droga come il suo "unico peccato". Il suo portavoce però frena: "Commenti scherzosi, da non prendere alla lettera". La Corte penale internazionale sta indagando per crimini contro l'umanità.


Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha per la prima volta ammesso apertamente di aver autorizzato uccisioni extragiudiziali come parte della sua guerra alla droga. La conferma è arrivata in un discorso tenuto nel palazzo presidenziale, durante il quale ha sfidato direttamente chiunque avesse criticato il modo in cui gestisce il Paese.
Le parole di Duterte
"Qual è la mia colpa? Ho rubato anche un solo peso? Il mio unico peccato sono le uccisioni extragiudiziali", ha affermato Duterte. In passato, il presidente aveva già affrontato il tema degli omicidi. Ammettendo l'esistenza delle esecuzioni, ma negando che fossero promosse direttamente dallo Stato. Il principale effetto dell'ammissione sarebbe rafforzare le indagini preliminari in corso da parte della Corte penale internazionale sulle migliaia di esecuzioni extragiudiziali condotte nell'ambito della guerra alla droga di Duterte. Il portavoce del presidente, Harry Roque, ha però sottolineato che i suoi commenti sarebbero "scherzosi" e che "non dovrebbero essere presi alla lettera".
Il bilancio della guerra alla drogaA marzo, la Corte ha confermato l'indagine per crimini contro l'umanità. Sia quando Duterte era sindaco di Davao che come presidente, negli ultimi due anni. Per tutta risposta, le Filippine hanno abbandonato lo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Corte Penale Internazionale, firmato il 17 luglio 1998. In sostanza, quindi, Duterte aveva risposto alle accuse non riconoscendo l'autorità che le stava muovendo. Secondo le statistiche ufficiali, da quando Duterte è diventato presidente sono state uccise dalla polizia 4.500 persone, in maggioranza spacciatori e tossicodipendenti. I dati raccolti dalla Corte parlano invece di 8mila vittime. E alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani ne ipotizzano 12mila. Una campagna di violenze che dovrebbe continuare. Duterte ha infatti dato la sua "parola d'onore" sul fatto che la sua guerra alle droghe "non finirà". A costo di "mettere sul tavolo la mia vita e la presidenza".

In Bangladesh, un'isola Bhashan Char si prepara a ricevere 100.000 rifugiati Rohingya. L'isola è una striscia di terra inospitale e soggetta a inondazioni a un'ora di navigazione.

EuroNews
Più di mille le case in costruzione in quest'area, distante un'ora in barca dalla terra più vicina. Nonostante il ritardo nei lavori, l'inaugurazione rimane fissata per il 3 ottobre prossimo.
Bhashan Char è una piccola isola emersa nel Golfo del Bengala poco più di 10 anni fa: si tratta di una striscia di terra inospitale e soggetta a inondazioni.



L'alta esposizione ai cicloni tropicali rende la rotta marittima un'avventura assai pericolosa, tuttavia il Governo del Bangladesh continua a sostenere la fattibilità della soluzione.

Ayesha Fardaus, Parlamentare:
"Bhashan Char è molto vasta e può ospitare più di 100.000 rifugiati Rohingya, siamo in grado di aiutare più di un milione di persone".

Diversi gruppi per i Diritti Umani hanno chiesto al Bangladesh di abbandonare il progetto, tuttavia, con i campi profughi sovraffollati e dopo un investimento di $ 280 milioni in infrastrutture, il Governo procederà nella prima fase con il trasferimento di circa 50 famiglie.
Un anno dopo l'esodo


Unchiprang è un insediamento spontaneo con oltre 23 mila Rohingya a Teknaf, nel Bangladesh meridionale. L’anno scorso non esisteva. Oggi un milione di Rohingya vivono in insediamenti simili, in campi ufficiali o con le comunità locali.

E’ passato un anno da quando 720mila Rohingya sono stati costretti a scappare in Bangladesh in seguito a una violenta repressione militare in Myanmar. Siamo tornati in Bangladesh per vedere se sono cambiate le loro condizioni di vita in uno dei paesi più poveri al mondo.

L’esodo iniziato lo scorso anno non è stato il primo per la minoranza musulmana del Myanmar. Tuttavia è il più significativo. Secondo l’Onu, la camapagna militare lanciata in Myanmar nell’agosto del 2017 ha sempre più le caratteristiche di un genocidio.

Nessuno sa quanti Rohingya siano stati uccisi. Ma l’ultimo rapporto pubblicato da un pool indipendente di ricercatori, parla di 24 mila morti dall’inizio dell’offensiva nel Rakhine del Nord, dove i Rohingya vivono da generazioni.

“Vengo da Tula Toli. Ho visto soldati uccidere civili e poi buttare i corpi in acqua. Ho visto donne violentate. Per questo sono venuto via”, ci racconta un rifugiato.

Il villaggio di quest'uomo è noto per essere stato teatro di uno dei massacri più violenti della repressione. I rifugiati hanno trovato un posto sicuro in Bangladesh e un’assistenza di base.

I campi però sono sovraffollati e costruiti in fretta per far fronte a questa crisi tra le più repentine e massicce al mondo.

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New Book - "Diario di un condannato a morte" di Alessandro Piana

Blog Diritti Umani - Human Rights
La pena di morte deve essere abolita in ogni angolo del nostro pianeta e le motivazioni sono tante: non è un deterrente contro i crimini, la giustizia umana che è fallibile può sbagliare e compiere un errore irreparabile, abbassa lo Stato ad essere esecutore in un delitto pari a quello che si imputa al condannato, e tante altre motivazioni che dimostrano come la pena capitale al pari della tortura deve e sarà cancellata dal volto della terra.
Ma questo libro fa capire una cosa che è difficile da spiegare. Ci fa entrare nel braccio della morte descrivendo l'assurdità della vita al suo interno, e direi di più, in un modo semplice e quotidiano ci rende partecipi della vita di un condannato a morte che giorno dopo giorno con tante speranze e paure vede avvicinarsi la data della sua eliminazione per mano dello Stato.
Le sue parole e suoi pensieri non sono indirizzati ad un giudice, ad un avvocato, alla gente che pensa sia giusto che debba pagare con la vita i suoi errori, ma alla sorella con cui è cresciuto e continua con le le sue lettere quasi quotidiane a vivere la sua vita con lei. 
Si il braccio della morte, come tutte le carceri possono chiudere un corpo tra quattro mura ma non possono murare l'anima e il patrimonio di umanità che ognuno porta con se.
La reclusione e la condizione che vive un uomo nel braccio della morte fanno brillare questa umanità e la fa crescere tanto in modo inaspettato e sorprendente in un luogo che in tanti modi cerca di annientarla.
All'ora - e nel libro si coglie con drammaticità - l'arrivo dell'esecuzione che priverà un uomo della sua vita appare in tutta la sua assurdità e ingiustizia e ci da forse la motivazione per cui la pena di morte deve essere abolita. 
Perchè come dice Papa Francesco, nessun errore, anche più grave, può togliere in valore a la dignità di essere un uomo.

Ezio Savasta
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Alessandro Piana

Diario di un 
condannato a morte 


Bookabook

"Diario di un condannato a morte" racconta gli ultimi otto anni dì vita di William Van Poyck, detenuto nel braccio della morte della Florida, tra il 17 aprile 2005 e il 12 giugno 2013, giorno della sua esecuzione tramite iniezione letale. Il libro, partendo dalle lettere che William ha inviato alla sorella Lisa, mette a nudo tanti episodi di vita nel braccio della morte, portando alla luce maltrattamenti, condizioni estreme, privazioni di diritti e abusi di potere difficilmente immaginabili per un lettore "libero". Le considerazioni di William non sono mai banali e ci conducono in un mondo parallelo e nascosto dove i detenuti, alle prese con la costante paura di morire, sono costretti a trovare un senso alla loro vita "a tempo determinato".

venerdì 28 settembre 2018

India, l’adulterio non è più un reato: cancellata la legge che discrimina le donne

TPI
La legge considerava le donne come un oggetto nelle mani dei loro mariti e chi veniva ritenuto colpevole di adulterio era punito pubblicamente.
L’adulterio in India non è più un crimine: questa la storica decisione della Corte suprema.
Donne protestano contro la legge sull'adulterio. Credit: Getty Images
Il verdetto emesso dai cinque giudici della corte indiana presieduta dal ministro della giustizia Dipak Misra ha ribaltato tre precedenti sentenze sulla stessa questione.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 497 del codice penale indiano (IPC), in vigore ormai da 158 anni, l’adulterio era considerato un reato e il colpevole poteva essere condannato a cinque anni di carcere.

La legge definiva l’adulterio come un reato commesso da un uomo contro un altro uomo sposato se aveva rapporti sessuali con la moglie di quest’ultimo.

La legge era stata fortemente criticata anche perché le donne venivano considerato come un oggetto nelle mani degli uomini.

Un uomo d’affari indiano, Joseph Shine, originario dello stato del Kerala, ha presentato un contenzioso di interesse pubblico lo scorso anno, scrivendo che la legge sull’adulterio è discriminatoria.

La sezione 497 recita così: “Chi ha rapporti sessuali con una persona che è e che sa essere o ha motivo di credere che sia la moglie di un altro, senza il consenso o la connivenza di quell’uomo, tali rapporti sessuali non equivalgono al reato di stupro , ma sono considerati adulterio”.

L’articolo in questione era accompagnato dal 198 comma 2 in materia di procedimenti giudiziari per reati contro il matrimonio: la lettura combinata delle leggi sull’adulterio permetteva al marito leso di sporgere denuncia contro la moglie.

Lo stesso diritto però non poteva essere rivendicato anche dalle donne tradite dal loro marito.

Durante la lettura del giudizio, il ministro della giustizia Dipak Misra ha affermato che “l’adulterio può essere motivato da questioni civili, incluso lo scioglimento del matrimonio, ma non può essere più considerato un reato”.

La legge, ha aggiunto, ha discriminato le donne per anni, in piena violazione dell’articolo 21 della Costituzione.

“Trattare le donne con indignazione o discriminazione favorisce atteggiamenti negativi nei confronti della carta costituzionale”.

Guerre dimenticate - Sud Sudan «In cinque anni di guerra 400mila vittime»

Avvenire
I combattimenti hanno provocato l'esodo di un milione di profughi, all'interno del Sud Sudan e nei Paesi vicini
I cinque anni di guerra civile in Sud Sudan hanno causato direttamente "quasi 190mila" morti ma considerando anche altri fattori come le malattie la cifra sale a 382.900 vittime. 

Lo sostiene uno studio pubblicato oggi sul proprio sito dalla "London School of Hygiene & Tropical Medicine" (Lshtm)
Il conflitto, che sembra per ora terminato con un nuovo acordo di pace (il dodicesimo) firmato ad Addis Abeba una decina di giorni fa, ha causato anche "circa due milioni di sfollati all'interno del Sudan del Sud e altri 2,5 milioni di profughi nei paesi confinanti", rileva inoltre una sintesi dello studio dell'ateneo britannico.
La maggior parte delle morti è avvenuta nelle regioni del nord-est e del sud con un picco nel biennio 2016-2017, nota la ricerca precisando che le vittime sono stati soprattutto maschi adulti. 

La guerra civile, iniziata dal 2013, due anni dopo la conquista dell'indipendenza dal Sudan, è stata combattuta tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle del suo ex vice Riek Machar, spaccando il Paese lungo faglie etniche a sostegno del capo di Stato (i maggioritari dinka) e del suo avversario (i nuer).

USA - Texas, eseguita pena di morte di Troy Clark, di 51 anni.

Blog Diritti Umani - Human Rughts
USA - Lo stato del Texas, dopo aver respinto le richieste di clemenza, ha eseguito il 26 settembre la pena di morte di 
Troy Clark, di 51 anni

Troy Clark




Ringraziamo tutti coloro che, firmando l'appello per salvare la sua vita, hanno creduto nella giustizia umana che rispetta la vita

giovedì 27 settembre 2018

Halime, bimba rifugiata dalla Siria che sogna la scuola e studia in mezzo all'immondizia ad Istanbul

Globalist
La bambina è fuggita dalla Siria e vive a Istanbul con la famiglia. Il video che la ritrae mentre "studia" tra i cassonetti è diventato subito virale in Turchia.


Hanno suscitato rabbia e compassione le immagini di una bambina siriana seduta tra l'immondizia della periferia di Istanbul, mentre stringe tra le mani un quaderno di scuola, così simile a quello che miliardi di bambini in tutto il mondo proprio in queti giorni hanno ripreso in mano, dopo la fine delle vacanze estive. 

Solo che Halime, questo il suo nome, a scuola non può andarci, o meglio non poteva: perché le autorità turche, mosse a pietà, sono riuscite a identificarla dal video che è stato diffuso sui social e l'hanno iscritta a una scuola che potrà frequentare grazie all'aiuto economico del Comune.

Halime è scappata dalla Siria quasi un anno fa e fino a questo momento aiutava il padre nella raccolta di carta nei cassonetti dell'immondizia del quartiere di Arnavutkoy, dove abitava con i suoi sei fratellini. 


RD Congo - Massacri e rivolte nel Nordest per l'incursione di ribelli ugandesi

Agenzia Fides
Kinshasa – In una incursione di presunti ribelli ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF) contro la città congolese di Beni e nel municipio di Rwenzori e Beu, nordest della Repubblica Democratica del Congo (RDC), sono rimasti uccisi almeno 14 civili e 4 militari, mentre altre centinaia di persone sono rimaste ferite. 


Secondo informazioni pervenute a Fides, i ribelli hanno raggiunto la località, situata al confine con l’Uganda e vicina alla città di Beni, nord Kivu, la notte di sabato 22 settembre.

Mons. Sikuli Paluku Melchisedech, Vescovo della diocesi di Butembo-Beni, ha esortato le forze governative e la Mission de l'Organisation des Nations unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo (MONUSCO), a rivedere la loro strategia contro l'ADF a Beni: “Esprimo soprattutto le mie condoglianze alle famiglie colpite che inaspettatamente hanno perso i loro cari in questa tragedia insopportabile e, nella fede in Gesù, che è la risurrezione e la vita, raccomando le anime di questi innocenti alla misericordia di Dio”, ha scritto nel messaggio inviato a Fides.

Il Vescovo ha invitato le autorità governative “ad adempiere meglio alle loro responsabilità per proteggere la popolazione, difendere il territorio e salvaguardare la sovranità nazionale”.

Si calcola che, dal 2014, il gruppo sia responsabile della morte di oltre 1.500 persone e 800 rapimenti. Si tratta di una formazione di matrice islamista che imperversa in una regione a stragrande maggioranza di religione cristiana, dove operano da anni i Missionari d’Africa (Padri Bianchi), impegnati a promuovere la dignità umana e l’apostolato evangelico in mezzo ai musulmani. Beni si trova anche al centro dell’attuale epidemia di Ebola nell’est del Congo, che ha già ucciso 99 persone e lasciato orfani quasi 200 bambini. (AP)

Gallagher all’Onu cita Catechismo riformulato: abolire la pena di morte diventa per la Chiesa un impegno per tutto il mondo

La Stampa
Il «ministro degli Esteri» della Santa Sede ricorda l’insegnamento di Giovanni Paolo II e l’apporto recente di Francesco

Il «ministro degli Esteri» della Santa Sede, 
Paul Richard Gallagher
Ha ricordato l’insegnamento di Giovanni Paolo II, prima, e la recente riformulazione del Catechismo della Chiesa cattolica da parte di Francesco, il «ministro degli Esteri» della Santa Sede, monsignor Paul Richard Gallagher, che, a New York per la 73esima sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, è intervenuto per tornare a chiedere «l’abolizione universale della pena di morte».

«Come è ben noto – ha detto il Segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede all’evento collaterale di alto livello sul tema “Pena di morte: Povertà e diritto alla rappresentanza legale” – nell'ultimo secolo la Santa Sede ha coerentemente perseguito l'abolizione della pena di morte e negli ultimi decenni questa posizione è diventata più chiaramente articolata. Venti anni fa, la questione è stata inquadrata all’interno del giusto contesto etico della difesa della dignità inviolabile della persona umana e del ruolo dell'autorità legittima per difendere in modo giusto il bene comune della società», ha proseguito Gallagher in riferimento alla enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II: «Considerando le circostanze pratiche presenti nella maggior parte degli Stati, come risultato dei continui miglioramenti nell’organizzazione del sistema penale appare evidente al giorno d’oggi che mezzi altri dalla pena di morte “sono sufficienti a difendere la vita umana contro un aggressore e a proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone”. Per questa ragione, “la pubblica autorità deve limitarsi a questi mezzi, perché corrispondono meglio alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”».

«Papa Francesco – ha proseguito l’arcivescovo britannico – ha ulteriormente sottolineato che l’azione legislativa e giudiziaria dell’autorità statale deve essere sempre guidata dal “primato della vita umana e la dignità della persona umana”. Egli ha messo in guardia dal fatto che c’è “la possibilità di errore giudiziario e sull'uso fatto dai regimi totalitari e dittatoriali... come mezzo per reprimere la dissidenza politica o per perseguitare le minoranze religiose e culturali”», ha ricordato Gallagher citando un discorso pronunciato nel 2015 da Jorge Mario Bergoglio ai delegati dell’associazione internazionale di diritto penale. 

«Di conseguente, il rispetto per la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono i due pilastri su cui la Santa Sede ha sviluppato la sua posizione. Questo è esattamente quello che la nuova versione del Catechismo della Chiesa cattolica mette in evidenza laddove afferma che “la Chiesa cattolica insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e alla dignità della persona’ e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. L’abolizione universale della pena di morte – conclude mons. Gallagher – sarebbe una coraggiosa riaffermazione della convinzione che l'umanità può affrontare con successo il crimine e del nostro rifiuto di cedere alla disperazione davanti al male, offrendo al criminale la possibilità di cambiare».

Nell’introdurre il suo discorso, l’arcivescovo ha registrato con soddisfazione il fatto che cresce il numero di Stati membri delle Nazioni Unite che sostiene l’abolizione della pena capitale ed ha in particolare ringraziato gli organizzatori dell’incontro, ossia l’alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Ohchr), l’Italia, il Brasile, il Burkina Faso, la Francia e Timor est.


mercoledì 26 settembre 2018

Rifugiati, non farli lavorare fa male all'integrazione (e all'economia)

WIRED
La possibilità di lavorare per gli immigrati rifugiati è la chiave di un’integrazione vantaggiosa per tutti. Mentre imporre un divieto anche temporaneo di accedere al mercato del lavoro, pratica comune in Europa sostenuta da chi teme la competizione o da chi vuole scoraggiarne la permanenza dei nuovi arrivati nel proprio paese, ha un costo, non solo per gli immigrati stessi, ma anche a livello sociale ed economico. 


Sbarrando questa porta, infatti, i rifugiati rimangono dipendenti dai governi e non riescono a pagare le tasse, una scelta che non conviene a nessuno. A mostrare e documentare questo dato è uno studio condotto da un team della Stanford University e della Eth Zurich, il politecnico federale di Zurigo. I risultati sono pubblicati su Science Advances.

In generale la maggior parte dei paesi europei prevede un divieto dell’ingresso nel mondo del lavoro che va dai 6 ai 12 mesi, un tema a lungo dibattuto, le cui conseguenze finora non risultavano chiare a causa della difficoltà di studiare dal punto di vista scientifico gli effetti a lungo termine senza confonderli con altri fattori che possono intervenire. 

Così i ricercatori hanno deciso di studiare un caso che risale a qualche anno fa, prendendo in considerazione due gruppi di rifugiati jugoslavi che hanno raggiunto la Germania, nel 1999 oppure nel 2000. La scelta dell’anno non è stata casuale: proprio nel 2000, infatti, c’è stato in Germania un cambio di legislazione che ha visto una riduzione del divieto di lavorare da 24 a 12 mesi. Così, il gruppo arrivato nel 1999 avrebbe dovuto attendere sette mesi in più per poter entrare nel mercato del lavoro, il periodo mancante al raggiungimento dei 24 mesi previsti per loro.

A partire da questi due gruppi, i ricercatori hanno studiato i tassi di occupazione a distanza di anni e le eventuali conseguenze dei sette mesi in più di inattività forzata per il primo campione di persone. Cinque anni dopo, nel 2005, soltanto il 29% degli individui nel gruppo arrivato nel 1999 lavorava, contro il 49% delle persone nell’altro gruppo. Una differenza, questa, che secondo gli autori non può essere spiegata attraverso cambiamenti dell’economia e del mercato del lavoro: immigrati arrivati in Germania dall’attuale ex Jugoslavia nel 2000 e 2001, infatti, presentavano circa gli stessi tassi di occupazione, e lo stesso vale anche per i turchi giunti fra il 1999 e 2000 e non colpiti dal blocco del lavoro. Insomma, le differenze nelle percentuali di occupati sono attribuibili a questi sette mesi di sbarramento in più, un gap che dal 2000 si appianerà soltanto 10 anni dopo, nel 2010.

E la disoccupazione, sia imposta sia involontaria, può avere effetti molto negativi. In primo luogo per i rifugiati stessi, che sperimentano scoraggiamento e demoralizzazione, che può portare a una vera e propria sindrome, lo scar effect, o effetto cicatrice, comune fra chi ha subito un trauma (violenze, persecuzioni, abusi), per cui anche una volta conclusa il blocco forzato del lavoro la motivazione per darsi da fare per trovarlo scarseggia. “Politiche come il divieto dell’occupazione sono di vedute ristrette”, commenta il ricercatore Moritz Marbach, ricercatore post-doc alla Eth Zurich e coautore dello studio. “Invece di avere rifugiati che dipendono dal welfare del governo per anni, i paesi dovrebbero capitalizzare la loro motivazione iniziale e favorirne una rapida integrazione”.

Anche perché, oltre agli svantaggi a livello individuale per gli immigrati, per la loro salute generale, gli effetti negativi si manifestano anche sull’economia del paese ospitante e di tutti i cittadini, a lungo termine. Basti pensare, infatti, che i costi per i contribuenti dovuti al divieto del lavoro in Germania nel 2000 sono stati stimati nella cifra di 40 milioni di euro all’anno dal 2001 al 2009, per le spese per il welfare e per le mancate entrate legate alle tasse da parte dei rifugiati disoccupati. In questa cornice, inoltre, gli occupati nativi del paese non beneficiano dell’esclusione degli immigrati, come emerge da studi precedenti: ironia della sorte, queste strategie di blocco nascono per iniziativa dei decisori politici che vogliono rassicurare i cittadini dell’assenza di minacce a livello lavorativo. Ed è un cane che si morde la coda: quando i cittadini percepiscono gli immigrati come un peso per il welfare scatenano una reazione negativa ancora più forte contro gli stessi decisori politici.

Insomma, un’integrazione migliore e più rapida porta vantaggi a tutti: tutto sta nel considerare gli immigrati non come un peso da ridurre ma come una risorsa da poter massimizzare e valorizzare. Come? Permettendogli di lavorare subito.

Paola Pintus

USA. I 1.500 bambini immigrati scomparsi. Minori non accompagnati di cui non si conosce più la sorte

Il Fatto QuotidianoIl fallimento dell'ente che doveva vigilare sui minori arrivati soli o divisi dai genitori. In Texas, nella città di Browswille, al confine con il Messico, un centro commerciale dismesso della catena Walmart ospita ben 1.470 minori.


È il centro governativo per ragazzi (la maggioranza tra i 10 e i 16 anni) più affollato degli Usa, sotto la custodia dell'Health and Human service. Molti di questi minori hanno passato il confine da soli, altri sono stati separati dai loro genitori dopo la decisione di Trump di far perseguire dai tribunali chi entra negli Usa senza documenti.

Nel centro i minori hanno due ore di libertà e alcuni sono riusciti a scappare pur di non vivere sotto sorveglianza. Chi riesce a uscire senza fuggire è perché gli incaricati federali sono riusciti a trovare dei parenti residenti negli Usa o i cosiddetti sponsor, persone che hanno mostrato, a sentire gli ufficiali federali, di avere le carte in regola per l'affido temporaneo. Peccato che di 1.500 bambini, tra quelli messi al "riparo" nelle strutture statali, si siano perse le tracce.

L'amministrazione Trump, per la seconda volta in meno di un anno, non è stata in grado di individuare dove e con chi circa 1.500 bambini immigrati irregolarmente abbiano trascorso gli ultimi 3 mesi. La cifra è stata resa nota da un gruppo bipartisan di senatori che hanno messo a punto un disegno di legge per rendere il governo responsabile della custodia di questi bambini anche dopo il loro rilascio.

Negli ultimi 8 mesi la polizia di frontiera ha fermato 32mila minori non accompagnati, 1.300 poco più che neonati. Intanto il numero di quelli accompagnati è sceso a 59mila a partire dall'anno scorso. Dal 1 ° aprile al 30 giugno, l'Hhs ha effettuato chiamate di controllo a 11.254 bambini immigrati rilasciati ma non è stata in grado di sapere dove sia il 13%, rivelano i dati rilasciati dalla sottocommissione investigativa del comitato di senatori. Venticinque sarebbero fuggiti dalle case dove erano stati trasferiti.

Rob Portman, presidente della sottocommissione, si occupa di questo enorme problema dal 2015, quando 8 bambini privi di documenti sono stati scoperti nelle mani di trafficanti di esseri umani in Ohio: "Il nostro disegno di legge garantirà che i minori vengano protetti dalla tratta e dagli abusi di eventuali sponsor e inoltre contribuirà ad assicurare che compaiano davanti alle commissioni incaricate di aiutarli a chiedere l'asilo", ha detto Portman in una nota.

"Non si tratta di essere democratici o repubblicani, è una soluzione pragmatica oltre che umanitaria. I problemi sono iniziati durante la precedente amministrazione e sono continuati sotto l'attuale". Uno dei co-sponsor della legge, il senatore James Lankford, repubblicano dell'Oklahoma, ha detto in un'audizione di martedì che vorrebbe anche che l'Hhs non affidi più bambini senza documenti a nessuno che sia entrato negli Usa illegalmente.

Un funzionario dell'immigrazione e delle dogane che ha testimoniato, Matthew Albence, ha affermato che eliminerebbe circa l'80% degli sponsor. Il numero di bambini immigrati detenuti negli Stati Uniti è salito alle stelle, sebbene il tasso di minori non accompagnati che attraversano illegalmente la frontiera sia relativamente stabile da diversi anni.

Roberta Zunini

Inail, nei primo otto mesi del 2018 aumento dei morti sul lavoro, sono 713

Rai News
Aumentano le morti sul lavoro nei primi 8 mesi dell'anno. Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all'Inail tra gennaio e agosto sono state 713, 31 rispetto alle 682 dell'analogo periodo del 2017 (+4,5%). 


L'aumento, afferma l'istituto, è dovuto soprattutto all'elevato numero di decessi avvenuti nel mese di agosto di quest'anno rispetto all'agosto 2017 (92 contro 51), alcuni dei quali causati da incidenti "plurimi", ovvero quelli che causano contemporaneamente la morte di due o piu' lavoratori. 

Il crollo del Ponte di Genova e i decessi di braccianti stranieri in Puglia nel mese di agosto provocano un aumento degli infortuni mortali sul lavoro nei primi 8 mesi dell'anno. Secondo l'Inail ad agosto si è contato lo stesso numero di vittime (34) in incidenti plurimi dell'intero periodo gennaio-agosto 2017. 

Nel confronto di periodo dei primi otto mesi, nel 2018 si sono verificati 15 incidenti plurimi che sono costati la vita a 60 lavoratori, rispetto agli 11 incidenti plurimi del 2017, quando le morti furono 34. Nell'agosto di quest'anno, in particolare, si e' contato lo stesso numero di vittime (34) in incidenti plurimi dell'intero periodo gennaio-agosto 2017. Tra gli eventi piu' tragici del mese scorso si ricordano il crollo del ponte Morandi a Genova e gli incidenti stradali avvenuti in Puglia, che hanno provocato la morte di braccianti stranieri a Lesina e Foggia. 

martedì 25 settembre 2018

Libia nel caos: mezzo milione di bambini a rischio a Tripoli, e fuggire è sempre più difficile.

corrierenazionale.it
Allarme dell'Unicef: già 8 minori uccisi nelle ultime settimane in Libia. Oltre 1200 famiglie sfollate negli ultimi due giorni a causa dell'intensificarsi degli scontri nella parte meridionale di Tripoli. 


"Siamo sconvolti e rattristati dalle notizie secondo cui un'intera famiglia, fra cui due bambini, è stata uccisa a Tripoli ieri a causa della caduta di un missile sulla loro casa. Quanto accaduto porta a 8 il numero totale di bambini uccisi dall'inizio delle violenze, il 27 agosto, nella città di Tripoli. Molti altri bambini stanno affrontando molteplici e gravi violazioni dei diritti dei minorenni". 

A lanciare l'allarme è Geert Cappelaere dell'Unicef.

Secondo le notizie, un numero maggiore di bambini è stato reclutato per combattere, esponendoli a un pericolo immediato. A causa di ciò, almeno un bambino è stato ucciso. 

Oltre 1.200 famiglie sono state sfollate solo nelle ultime 48 ore a causa dell'intensificarsi degli scontri nella parte meridionale di Tripoli, portando il numero totale di sfollati a oltre 25.000. Secondo le stime dell'Unicef, la metà sono bambini. 

La mancanza di cibo, acqua ed energia elettrica è fra le sfide quotidiane che i bambini e le famiglie affrontano. Nel paese è in corso un'epidemia di morbillo, con oltre 500 casi segnalati - la maggior parte dei quali bambini. Una sempre maggiore mancanza di servizi sanitari pienamente operativi porterà soltanto a ulteriori casi di morbillo. 

Ancora altre scuole vengono utilizzate per offrire un riparo alle famiglie sfollate, e questo probabilmente ritarderà l'inizio dell'anno scolastico, previsto per il 3 ottobre. Per i bambini migranti in transito attraverso la Libia, questa violenza sta aumentando le loro già profonde sofferenze. 

Centinaia di rifugiati e migranti detenuti, fra cui bambini, sono stati costretti a trasferirsi a causa delle violenze. Altri sono bloccati nei centri in condizioni disperate. L'Unicef sta lavorando per fornire aiuti d'emergenza a questi bambini e continua a chiedere il loro rilascio.

"L'Unicef chiede a tutte le parti in conflitto in Libia di proteggere i bambini, sempre. La soluzione ai recenti scontri e alla crisi in Libia non si ottiene attraverso la violenza, ma attraverso la diplomazia e gli accordi politici, tenendo al centro l'interesse dei bambini".

Egitto: Cassazione conferma la condanna a morte di 20 islamisti

Agenzia Nova
Il Cairo  - La Corte di cassazione egiziana ha confermato il 24 settembre le condanne a morte contro 20 militanti islamisti nel cosiddetto processo del “Massacro di Kerdasa”. 

Lo riferisce il quotidiano statale "al Ahram". I giudici hanno confermato anche l'ergastolo nei confronti di 80 imputati, 15 anni di prigione contro altri 34 e dieci anni di carcere nei confronti di un minore. Assolti altri 21 imputati

Il caso ha origine il 14 agosto 2013 e riguarda quello che nel paese nordafricano è conosciuto come l’incidente di Kerdasa in riferimento alla cittadina nella provincia di Giza, a 15 chilometri a ovest del Cairo, dove ebbero luogo le violenze. Alcuni uomini armati attaccarono con granate e razzi la stazione di polizia del piccolo villaggio e tagliarono la gola ad almeno un agente di polizia prima di radere al suolo l’edificio. 

Ore dopo, l’intervento delle forze di sicurezza egiziane disperse la folla, uccidendo centinaia di persone. Il tribunale è ora in attesa del parere della massima autorità religiosa, il Gran Muftì, per una posizione non vincolante ma legalmente richiesta sulla condanna a morte. (Cae)

Decreto immigrazione. Le associazioni: «Così avremo tanti irregolari e molti ghetti». Un passo indietro sui diritti umani il decreto dice che «le persone non sono tutte uguali»

Avvenire
Coro di critiche dagli esperti in tema di diritti umani: testo in contrasto con la Costituzione e con l'Ue. «Misure illegittime che restringono le libertà degli individui».




C'è molta preoccupazione. C’è paura di nuovi ghetti, di stranieri considerati "diversi" e quindi persone di serie "B". Si temono nuove tensioni sociali ma, soprattutto, si teme di cancellare con un colpo di spugna i diritti fondamentali degli stranieri. 

Società civile, terzo settore, enti ed associazioni impegnati da anni nell'accoglienza e nell'integrazione dello straniero non solo non nascondono i timori ma col decreto sicurezza e immigrazione varato dal Consiglio dei ministri si parla addirittura di elementi di incostituzionalità e illegittimi.

Molto dura la critica dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Parla di una «gravissima lacerazione del sistema democratico», di «norme che vanno in un’unica direzione, che è quella della restrizione della libertà degli individui»

Nel decreto si dice che «le persone non sono tutte uguali». L’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, forme allargate di trattenimento dei richiedenti asilo, l’ipotesi di sospensione della protezione internazionale senza un’affermazione definitiva della persona in sede penale, ma anche l’abolizione dello Sprar e l’ipotesi di revoca della cittadinanza italiana, spiega Lorenzo Trucco, presidente di Asgi «vanno tutte nella direzione della restrizione delle libertà degli individui». 

Nel decreto varato «ci sono molti profili di illegittimità dal punto di vista della Costituzione e della normativa europea aggiunge, lanciando un appello. «È un momento delicatissimo, tutti coloro che hanno fondato i principi costituzionali devono dare il massimo per contrastare questa deriva gravissima che sta facendo scivolare l’Italia in un baratro per quanto riguarda i diritti delle persone». 

Della stessa opinione il Centro italiano per i rifugiati. «Il decreto va a colpire diritti solennemente riconosciuti dalla nostra Costituzione e potrebbe avere conseguenze su temi che vanno al di là della questione migratoria» dichiara Mario Morcone, direttore del Cir. «È un decreto che mira a creare irregolarità non certo a gestire l’immigrazione» aggiunge».

A tal proposito, Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi, fa notare come, col nuovo decreto, e «con l’abolizione della protezione umanitaria – scrive in un Tweet – entro il 2020 in Italia avremo 60mila nuovi irregolari. Da aggiungersi agli oltre 70mila nuovi irregolari nello scenario di status quo. Totale: 130mila nuovi irregolari in Italia».
Sono però molti i punti del decreto sui quali un po’ tutti puntano il dito. Primo fra tutti «l’arretramento sostanziale» della riforma Sprar (il Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati) e l’esclusione da questo tipo di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. «Lo Sprar, un sistema virtuoso, riconosciuto come tale anche da osservatori internazionali, viene ridotto, nonostante sia l’unico sistema di accoglienza che garantisce la massima trasparenza nella gestione delle risorse» sottolinea il Centro Astalli, esprimendo «preoccupazione per gli effetti che le nuove misure introdotte dal decreto potranno avere sulla vita dei migranti e sulla coesione sociale dell’intero Paese». Per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, si tratta di «un passo indietro che non tiene conto da un lato delle vite e delle storie delle persone e dall'altro del lavoro di costruzione che da decenni tante organizzazioni umanitarie e di società civile hanno fatto in stretta collaborazione con le istituzioni, in particolare con gli enti locali, in un rapporto di sussidiarietà che ha rappresentato la linfa vitale del welfare del nostro Paese».

Criminalizzare i migranti non è la via giusta per gestire la presenza in Italia di cittadini stranieri, aggiunge Ripamonti, «aumentare zone grigie, non regolamentate dalla legge, e rendere meno accessibili e più complicati i percorsi di legalità contribuisce a rendere il Paese meno sicuro e più fragile». Puntano il dito contro la riforma dello Sprar naturalmente anche i sindaci delle città. «Con le grandi concentrazioni di migranti si generano tensioni sui territori» sottolinea Matteo Biffoni, delegato dell’Anci per l’immigrazione. «Sono, infatti, proprio i centri come i Cas – continua Biffoni – ad aver creato più malcontento tra la popolazione, per l’eccessivo impatto sulle comunità e la mancanza di adeguati percorsi di integrazione».

Anche Refugees Welcome Italia «esprime forte preoccupazione per le misure contenute nel decreto, misure preoccupanti che segnano un passo indietro». Ad allarmare Refugees Welcome Italia è soprattutto l’abolizione della protezione umanitaria. «Nel nostro progetto – spiega Fabiana Musicco, presidente dell’associazione – accogliamo diversi ragazzi con protezione umanitaria e conosciamo bene le loro storie. Questo tipo di protezione è un modo per tutelarli, per consentirgli di costruirsi una nuova vita in Italia e di non interrompere il percorso di inserimento nel nostro Paese».

Parla di «una picconata al diritto d’asilo e alla tradizione umanitaria italiana» anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia e Diaconia valdese, mentre per Medici senza frontiere (messa al bando insieme alle altre organizzazioni non governative dalle operazioni di ricerca e soccorso in mare) il decreto «sembra orientato a smantellare ulteriormente il sistema di accoglienza italiano, già fragile e precario, a prolungare la detenzione amministrativa di persone che non hanno commesso alcun crimine, e a ridurre le protezioni attualmente disponibili per persone vulnerabili».

Daniela Fassini

lunedì 24 settembre 2018

Camerun. Violenze, terrore e uccisioni nella regione anglofona. Centinaia di morti tra civili e l'esercito. Migliaia di sfollati.

Corriere della Sera
Video con scene di fucilazioni e decapitazioni, 260 episodi di violenza con 400 civili e 160 membri delle forze di sicurezza assassinati. Il 2018 sarà ricordato come l'anno del terrore nella regione nord-occidentale del Camerun, la cui popolazione anglofona denuncia da due anni di sentirsi discriminata ed emarginata. 


Ma il tempo delle proteste pacifiche, salvo quelle delle donne per il cessate-il-fuoco, è terminato. Nella regione opera ormai stabilmente un gruppo armato separatista, le Forze di liberazione dell'Ambazonia.
Gli scontri con l'esercito camerunense sono all'ordine del giorno. Non si contano i casi di rapimenti, distruzioni di beni pubblici e privati, incendi di villaggi e assalti alle scuole. Gli sfollati interni e quelli che hanno trovato riparo in Nigeria sono migliaia

Dal paese africano arrivano video terrificanti. Alle riprese di un'esecuzione extragiudiziale avvenuta a luglio, ha fatto seguito un video diffuso dai separatisti che mostra la testa decapitata di un agente della gendarmeria lasciata in una pozza di sangue con accanto quelli che paiono gli organi genitali della vittima. 

Con le elezioni alle porte, è probabile un'ulteriore aumento della violenza: le Forze di liberazione dell'Ambazonia sono disposte a tutto pur di non far votare nella regione anglofona.

Riccardo Noury

Iran - 9 esecuzioni per uno stupro di una donna che aveva ritirato la denuncia

Fanpage
Nonostante la vittima avesse ritirato la denuncia, nove uomini, tutti sotto i 23 anni, sono stati condannati a morte. Inutili le proteste in strada dei familiari delle vittime. L'esecuzione è avvenuta nel carcere di Shiraz, nella provincia iraniana di Fars.

Giudicati colpevoli di aver stuprato una donna dopo essere entrati con la forza nella sua abitazione, 9 uomini sono stati impiccati nel carcere di Shiraz, nella provincia iraniana di Fars. Lo riportano oggi i media locali. Ali Alghasimehr, responsabile provinciale del dipartimento Giustizia ha riferito che nonostante la vittima avesse ritirato la denuncia contro i suoi aggressori il tribunale ha insistito affinché nei loro confronti fosse applicata la pena di morte.

Le agenzie di stampa statali hanno pubblicato i nomi dei condannati per stupro: Abdolkhalegh Safaie, Aliakbar Haghighi, Ali Shah Alian, Hamidreza Safaie, Behnam Roustaie, Ehsan Safaie, Mohammadreza Safaie, Davoud Zarèi e Mehdi Zamani. 

Gli uomini, tutti sotto i 23 anni, sono stati impiccati nonostante la vittima dello stupro avesse ritirato la denuncia. Le famiglie degli uomini si erano radunate in diverse occasioni, fuori dall'ufficio del governatore del villaggio "Ghir va Karzin", chiedendo l'interruzione delle sentenze di esecuzione nei confronti dei loro cari.



Il deserto che avanza e che spinge i migranti ambientali verso le nostre coste

Gloabalist
Gran parte dei migranti non sono economici, spiega Francois Gemenne, ma ambientali: scappano dalla desertificazione.

Si continua a sostenere che il motivo principale per l'aumento dei flussi migratori sia da ricercare nell'economia, ma Francois Gemenne, esperto in materia, sostiene che la ragione sta nel cambiamento climatico.
"La metà della popolazione africana subsahariana dipende completamente dall'agricoltura per la sua sussistenza" spiega Gemenne, "e ciò significa che la maggior parte di coloro che arrivano in Europa sono anche migranti ambientali. I cambiamenti climatici imporranno una ridistribuzione della popolazione mondiale e dobbiamo essere preparati a questo".

Ma ad oggi, i leader occidentali non concordano su una politica comune né sull'argomento migranti né sullo scottante problema del clima, calamità ridicolmente ignorata e che dovrebbe invece essere al primo posto dell'agenda di ogni governo del pianeta.

"Bisogna creare programmi di migrazione con rotte sicure e legali per coloro che vogliono venire in Europa" spiega Gemenne, "farne una crisi politica conviene ad alcuni governi perché sono in grado di trarne un beneficio personale".

domenica 23 settembre 2018

Pressioni italiane su Panama che cancellerà Aquarius dai registri navali, l'accusa è per non aver restituito alla Libia i migranti salvati

Ansa
SOS Méditerranée e Medici Senza Frontiere sono "sconvolte dall'annuncio dell'Autorità marittima di Panama di essere stata costretta a revocare l'iscrizione dell'Aquarius dal proprio registro navale sotto l'evidente pressione economica e politica delle autorità italiane.


Questo provvedimento condanna centinaia di uomini, donne e bambini, alla disperata ricerca di sicurezza, ad annegare in mare e infligge un duro colpo alla missione umanitaria di Aquarius". Così in una nota le due organizzazioni umanitarie.

SOS Mediterrannee e MSF chiedono all'Europa di permettere all'Aquarius di poter continuare ad operare nel Mediterraneo centrale e di far sapere alle autorità panamensi che "le minacce del governo italiano sono infondate o di garantire immediatamente una nuova bandiera per poter continuare a navigare". 

E' quanto chiedono le due Ong in una nota nella quale è riportata anche una dichiarazione di Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per Msf. "I leader europei - afferma Kleijer - sembrano non avere scrupoli nell'attuare tattiche sempre più offensive e crudeli che servono i propri interessi politici a scapito delle vite umane. Negli ultimi due anni, i leader europei hanno affermato che le persone non dovrebbero morire in mare, ma allo stesso tempo hanno perseguito politiche pericolose e male informate che hanno portato a nuovi minimi la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale e in Libia. Questa tragedia deve finire, ma ciò può accadere solo se i governi dell'Ue permetteranno all'Aquarius e alle altre navi di ricerca e soccorso di continuare a fornire assistenza".

Salvini,denuncerò ong che aiutano scafisti - "Denuncerò per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina chi aiuta gli scafisti". Lo afferma il Ministro dell'Interno Matteo Salvini che aggiunge: "Nelle ultime ore i trafficanti hanno ripreso a lavorare, riempiendo barchini e approfittando della collaborazione di qualche Ong. Tra queste c'è Aquarius 2, che poco fa ha recuperato 50 persone al largo di Zuara. Altri due gommoni, con a bordo 100 immigrati ciascuno, sarebbero in navigazione".

Aquarius 2 recupera 50 persone,altre 100 in arrivo - Aquarius 2 ha recuperato 50 persone al largo della Libia, più precisamente al largo della città di Zuara. A renderlo noto è il Ministro dell'Interno Matteo Salvini.
Salvini riferisce anche che Aquarius 2 sta per essere cancellata dai registri navali di Panama. La notizia era stata pubblicata due giorni fa dal quotidiano panamense La Prensa.

 "Per aver disatteso le procedure internazionali in materia di immigranti e rifugiati assistiti al largo delle coste nel Mediterraneo - si legge nell'articolo - l'amministrazione marittima panamense ha avviato l'iter per annullare d'ufficio la registrazione della nave "Aquarius 2", ex "Acquarius", con numero IMO 7600574. Questa nave ha registrato la prima immatricolazione in Germania e circa un mese fa è arrivata a Panama". 
"L'autorità marittima di Panama - riporta ancora la Prensa - ha riferito che la denuncia principale proviene dalle autorità italiane, che hanno riferito che il capitano della nave si è rifiutato di restituire gli immigranti e i rifugiati assistiti al loro luogo di origine". 
Nell'articolo si ricorda inoltre che già "l'amministrazione marittima di Gibilterra aveva negato il permesso di 'Aquarius' di agire come un battello di emergenza e anche nel mese di giugno e luglio di quest'anno, ha chiesto formalmente che 'sospenda le sue operazioni' e ritorni al suo stato di registrazione originale come 'nave oceanografica'".

Galantino, strano parlare di migranti in dl sicurezza - "A me sembra strano che si parli di immigrati all'interno del decreto sicurezza. Inserirlo lì dentro significa giudicare già l'immigrato per una sua condizione", "per il suo essere immigrato e non per i comportamenti che può avere. E' un brutto segnale sul piano culturale, perché si tratta di un tema sociale che va affrontato nel rispetto della legalità ma non possiamo considerare la condizione degli immigrati come una condizione di delinquenza". Lo ha detto a "Stanze Vaticane" di Tgcom24, Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale Cei.

ONU - Denuncia violazioni dei diritti umani in Nicaragua per la violenta repressione che ha causato 400 morti

Treccani
La situazione del Nicaragua è sotto l’attenzione dell’ONU; il 18 settembre il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si è riunito a Ginevra ponendo la crisi nel Paese centroamericano all’ordine del giorno dopo che la Commissione permanente dei diritti umani nicaraguense (CPDH) ha denunciato la violenta repressione – con uccisioni, arresti e torture – da parte del governo di Daniel Ortega delle manifestazioni che si susseguono ormai da cinque mesi. 

Adolfo Jarquín Ortel, che ha partecipato alla riunione di martedì 18 in rappresentanza ufficiale del Nicaragua, ha negato le violazioni, sostenendo che gli scontri sono solo atti vandalici frutto di una campagna contro il governo. 

Del resto Managua si è sempre opposta con decisione a qualsiasi ingerenza da parte dell’ONU: il 31 agosto era stata espulsa dal Paese la missione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, dopo che era stato pubblicato un rapporto dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani che denunciava un «uso sproporzionato della forza» da parte delle autorità, un tema che è stato poi oggetto di discussione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, lo scorso 5 settembre.

Le proteste e i disordini sono iniziati in aprile a seguito di alcune riforme socioeconomiche del governo e le manifestazioni, represse con la forza, si sono trasformate in veri e propri scontri che hanno causato un numero altissimo di morti: oltre quattrocento secondo organizzazioni non governative, circa duecento secondo fonti ufficiali.

Sant'Egidio - Corridoi Umanitari: arrivati in Belgio altri 29 profughi siriani dalla Turchia

www.santegidio.org
All’aeroporto di Bruxelles-Zaventem, sono giunti oggi 29 profughi siriani dalla Turchia, grazie ai corridoi umanitari. Il nuovo gruppo, composto da 22 adulti e 7 minori, verrà accolto dalle strutture messe a disposizione dalle diverse associazioni belghe che hanno aderito.


I corridoi umanitari – promossi in Italia, Francia, Andorra e Belgio dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con diverse confessioni religiose – hanno permesso finora l’arrivo in Europa di quasi 2000 persone in condizioni di “vulnerabilità”: famiglie con bambini, anziani e malati.

Fonte: www.santegidio.org

Liberati dopo 20 giorni di carcere 6 pescatori tunisini che avevano salvato 14 migranti: "Non sono scafisti"

Il Giornale di Sicilia
Il tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata il 2 settembre scorso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Agrigento Stefano Zammuto nei confronti dei 6 componenti l’equipaggio del peschereccio tunisino, arrestati il 29 agosto dalla guardia di finanza.

Il peschereccio tunisino mentre porta in salvo i 14 migranti a bordo di un barchino
Erano accusati di aver favorito l’immigrazione clandestina, trainando un barchino con migranti. I sei sono stati immediatamente scarcerati. Si sono sempre difesi sostenendo d’aver salvato i 14 migranti che vagavano su un barchino al largo di Lampedusa.

La richiesta di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere era stata avanzata dall’avvocato Salvatore Cusumano, legale di fiducia del comandante Chamseddine Bourassine, e dagli avvocati Leonardo Marino e Giacomo La Russa.

Ieri, mentre al tribunale del Riesame si è svolta l’udienza, ad alcune decine di metri dal palazzo di giustizia di Palermo hanno manifestato - per sollecitare la scarcerazione dei pescatori tunisini - alcune decine di militanti di associazioni di volontariato.


Il video del salvataggio

sabato 22 settembre 2018

La pagina Facebook di questo Blog "Diritti Umani - Human Rights" seguita da più di 10.000 persone

Blog Diritti Umani - Human Rights

La pagina Facebook di questo Blog "Diritti Umani - Human Rights" ha raggiunto un traguardo importate, piace ed è seguita da più di 10.000 persone.


Grazie a tutti gli amici e follower che la seguono 
e ai preziosi contributi dati con i loro commenti.


Tragedia Rebibbia - Signor ministro Bonafede, di che cosa dovete occuparvi se non dei bambini?

Il Foglio
Il fallimento di una giustizia che manda i neonati in galera e se muoiono dice: state zitti.
Chiedo al ministro della Giustizia, che davanti alla tragedia dei due bambini uccisi a Rebibbia ha detto che "i tuttologi gli fanno schifo", ma anche a tutti gli altri ministri: di che cosa dovete occuparvi se non dei bambini? Su che cosa dovete fare decreti, fare casino, scandalizzarvi, fare la rivoluzione, se non sui bambini che non devono stare in carcere?


Il ministro Bonafede ha detto, di fronte al trattamento abominevole verso una madre georgiana che non parla una parola d'italiano, con i suoi due figli di sei e venti mesi (morti, lanciati giù dalla tromba delle scale, in carcere), che "c'è solo da stare zitti". Zitti, e continuare a credere che sia normale che i bambini stiano in carcere in braccio a una madre probabilmente devastata che non sa nemmeno come dire: bisogna scaldare il latte.

Che si trova in carcerazione preventiva (in attesa di giudizio, quindi presunta innocente), perché l'hanno fermata ed era su un'auto con i suoi figli e altri due uomini, e su quell'auto c'era molta marijuana, e allora l'hanno arrestata. Lei che parla solo tedesco ha detto che non ne sapeva niente, ma con una bambina in braccio di cinque mesi (l'hanno arrestata a fine agosto) e un altro di un anno e mezzo è andata lo stesso in galera. Il ministro ha detto, per far tacere i tuttologi che appunto gli fanno schifo, che questa madre andava sorvegliata "acca ventiquattro".

Per la sicurezza degli altri cittadini? Che cosa poteva farmi questa madre, chiedermi due euro, provare a vendermi una canna? Andava sorvegliata non in carcere, proprio perché aveva (aveva, perché adesso sono morti) due bambini così piccoli. In carcere in base a quale principio, in base a quale studio, poteva stare meglio, riprendersi, rasserenarsi, riuscire a occuparsi dei suoi figli? Appunto: il carcere. È come se il carcere non ci riguardasse, come se quello che accade in carcere non succedesse davvero. 

Due bambini piccolissimi muoiono in carcere, e "c'è solo da stare zitti". Signor ministro, a me non importa niente delle sue misure a tempo di record, del licenziamento della direttrice e vicedirettrice della sezione femminile, e anzi sono sicura che loro facevano tutto quello che potevano. Che cosa cambia adesso?
Non erano loro a mandare in galera i bambini. 

Una società la valuti per quello che riesce a fare per gli ultimi, e questa donna con i suoi figli era proprio l'ultima fra gli ultimi, e questa nostra società allora ha completamente fallito: è stata disumana nella sua totale indifferenza. Quella giovane donna avrà avuto un avvocato d'ufficio che ha chiesto la scarcerazione, e la scarcerazione è stata negata, e questo avvocato dovrebbe incatenarsi da qualche parte e urlare che lui aveva sbattuto i pugni sul tavolo e poi si era inginocchiato per evitare la carcerazione preventiva a una piccola, debolissima, famiglia.

Ma nessuno si è incatenato, e quasi nessuno si pone il problema, che non è di tuttologia ma costituzionale, che le mamme con bambini piccoli non devono stare in carcere. Che i bambini non hanno nessuna colpa e vanno protetti. C'è una legge complicata, c'è il diritto alla salute, c'era un pacchetto di misure dell'ex ministro Orlando, che diceva fra le altre cose: fuori i bambini dalle carceri, che è stato buttato via per paura di perdere voti.

Meglio far morire i bambini che perdere voti. Va bene. Ma c'era una possibilità per questa madre con i suoi due figli: l'unica casa protetta di Roma, prevista dalla legge del 2011, ha posto per sei madri con i figli e ne ospita adesso soltanto quattro, mentre a Rebibbia sono tredici. Signor ministro, lei lo sa che una bambina di sei mesi sta sempre in braccio a sua madre o le sembra una tuttologia? E che un bambino di venti mesi sa dire quasi solo: mamma?

Annalena Benini

Belgio come in Texas. Bimbi detenuti per essere espulsi: "abbiamo paura di morire"

today.it
È polemica sui "Centre fermé", le strutture create dal governo di Bruxelles per espellere i migranti irregolari e le loro famiglie. Un bambino è stato liberato dopo che i servizi sociali hanno riscontrato "traumi psicologici" provocati dalla detenzione. Il governo lo chiama "Centre fermé 127bis", centro chiuso. 
Centre fermé 127bis - Belgio
Ma per molti quello di Steenokkerzeel, piccolo comune alle porte di Bruxelles, è una vera e propria prigione in cui vengono rinchiusi i migranti irregolari in attesa di espulsione. E con loro le famiglie, minori compresi. Una situazione che ricorda da vicino i centri di detenzione creati in Texas da Donald Trump.

Belgio come il Texas - In Belgio come negli Usa, vi sono casi di danni psicologici arrecati ai bambini detenuti. L'ultimo ha riguardato uno dei cinque figli di una donna dell'Azerbaijan, tutti rinchiusi a Steenokkerzeel, almeno fino a ieri: già, perché in seguito a un'ispezione dei servizi sociali è emerso che il minore aveva sviluppato seri traumi psicologici. E per questo, le autorità sono state costrette a rimettere l'intera famiglia in libertà.

Nel centro, fino a fine agosto, c'erano anche i figli di una coppia serba. La famiglia è stata rimpatriata, ma prima di lasciare il Belgio una pediatra che li aveva visitati aveva denunciato le gravi condizioni psicologiche in cui versavano questi bambini: "La detenzione potrebbe avere effetti negativi sul loro sviluppo cognitivo, sulle capacità di apprendimento e di socializzazione", aveva detto Paulene De Backer. Uno di questi bambini, ha raccontato un assistente sociale, aveva espresso le sue paure legate alla detenzione, tra cui quella di morire.

Il piano di Francken - Per queste ragioni, diversi cittadini e organizzazioni, tra cui Amnesty International, chiedono al governo belga di evitare la detenzione dei bambini. Ma il ministro per l'Immigrazione, Theo Francken, tira dritto e invita le famiglie "a cooperare alle procedure di rimpatrio per il bene dei loro figli". Non contento, nei prossimi giorni, Francken proporrà al governo di aumentare il numero di posti disponibili nei centri chiusi (a quello di Steenokkerzeel se ne aggiunto uno a Bruges), portandoli a 160 in tutto. L'obiettivo è di rimpatriare 40 irregolari al giorno.

di Dario Prestigiacomo

venerdì 21 settembre 2018

Allarme Save the Children: Yemen, 5 milioni di bambini rischiano di morire di fame

Ansa
Sono più di 5 milioni i bambini che rischiano di morire di fame in Yemen, secondo Save the Children. Lo riferisce Gulf Times.

"Milioni di bambini non sanno quando o se arriverà il loro prossimo pasto" ha dichiarato Helle Thorning-Schmidt, CEO di Save the Children International. 

"Questa guerra rischia di uccidere in Yemen una generazione intera di bambini che affrontano diverse minacce, dalle bombe alla fame, a malattie che si possono prevenire come il colera - ha aggiunto - In un ospedale che ho visitato nel nord dello Yemen, i neonati erano troppo deboli per riuscire a piangere, i loro corpi erano stremati dalla fame". 

Dal 2015 è in corso un conflitto in Yemen tra le forze governative, sostenute dalla Coalizione Araba a guida saudita, e le milizie Houthi: in questi tre anni le vittime sono state circa 10mila, soprattutto fra i civili.