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sabato 28 febbraio 2015

Ospedali psichiatrici giudiziari, fine della storia. Confermata la chiusura il 31 marzo 2015 al varo le REMS

Vita
Il 31 marzo 2015 gli OPG chiuderanno per sempre. Peppe Dell’Acqua, psichiatra, erede di Franco Basaglia, intervistato da Vita.it non ha dubbi: «Sono molto contento, è una restituzione di diritto a dei cittadini. Queste persone continueranno ad essere curate nei territori»


Fra 30 giorni in Italia chiuderanno gli ospedali psichiatrici giudiziari. Questo almeno è quanto prevede la legge, che ha indicato il 31 marzo 2015 come data per la chiusura definitiva: la deadline però già due volte non è stata rispettata. Questa però sembra la volta buona, a cominciare dal fatto che il Governo - che a ottobre «auspicava» una ulteriore proroga - ora invece, nella Seconda relazione al Parlamento, scrive nero su bianco che è sua «ferma intenzione dare attuazione concreta al superamento degli OPG», commissariando le Regioni inadempienti

Il capo del Dap, Santi Consolo, in audizione in Commissione Antimafia il 19 febbraio, ha garantito che il 31 marzo «dobbiamo essere disponibili a trasferire gli internati dagli Opg e a consegnarli alle Regioni perché li destinino alle Rems». Sarà così? Stop OPG ha lanciato un digiuno a staffetta che si svolgerà per tutto il mese di marzo, proprio per tenere alta l’attenzione sul tema ed evitare una ulteriore proroga (per adesioni http://www.stopopg.it). Noi a un mese dalla scadenza abbiamo fatto il punto della situazione con Peppe Dell’Acqua, psichiatra, erede di Franco Basaglia, già direttore del DSM di Trieste.

Andiamo o no verso una nuova proroga?
No e ne sono molto contento. Questo ovviamente non significa che al 31 marzo tutto sarà a posto, significa solo che dobbiamo continuare con le strategie e i percorsi che sono stati finalmente acquisiti con la legge 81/2014.

Quante sono oggi le persone internate in OPG?
Nell’ultimo anno le dimissioni sono aumentate in modo davvero sorprendente. Molti DSM si sono sentiti provocati, all’inizio qualcuno ha reagito in maniera scomposta ma alla fine si sono messi in atto meccanismi virtuosi ed è stato presentato un progetto terapeutico riabilitativo per ciascuna persona presente in OPG. L’ultimo dato ufficiale è del 30 novembre 2014, quando in OPG c’erano 761 persone.

Tre anni prima, nel dicembre 2011 erano 1300, quindi grossomodo la metà degli internati è già uscita. Allora si può fare!
Chiudere gli OPG è una questione di straordinaria delicatezza, in questi ultimi anni sono accadute cose straordinarie. Ovviamente dobbiamo dire che chi esce da un OPG non viene messo alla porta con il suo fardellino e arrivederci, altrimenti la gente pensa a 700 matti che escono in un colpo solo… A parte che 700 persone su tutta la popolazione italiana significa 15-16 persone su un milione, sono numeri ridicoli. Queste persone continueranno ad essere curate nei territori, non c’è motivo di alcun allarme sociale: è una restituzione di diritto a dei cittadini.



Cosa ha “sbloccato” la situazione e avviato questa fase di dimissioni?
La legge 81/2014, senza dubbio. Ma anche un privato sociale che si è mostrato interessato e disponibile: la maggior parte delle dimissioni fino ad oggi ha previsto un invio in comunità, con rette che si aggirano sui 5mila euro al mese. Lo step successivo, poi, ovviamente sarà verificare come funzionano queste comunità.

Infatti la domanda spontanea è dove sono finite queste 700 e più persone…
Speriamo che non siano “finite” da nessuna parte, ma che stiano “iniziando” una nuova fase della loro vita! I percorsi dono diversi, alcuni tornano a casa, in famiglia, altri in situazioni di abitare assistito, altri in comunità vere e proprie, altri ancora in comunità terapeutiche. La prima fase ha visto il prevalere di invii in comunità, adesso mi sembrano in aumento i programmi individuali che costruiscono un progetto di accompagnamento molto forte, ma senza inviare in comunità.


Chiusi gli OPG, Governo e Regioni avevano immaginato delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive, le Rems. Le Regioni avevano inviato progetti per mille posti letto: a questo punto non sono troppi?
La prima relazione al Parlamento, a settembre, ha evidenziato come delle 826 persone presenti, 476 risultavano dimissibili: il 58%. Dei non dimissibili solo il 17% presentava un profilo di pericolosità sociale: non più cioè dell’8% del totale. Oggi sappiamo che serviranno 400/450 posti letto, quindi sì, certo, costruire Rems per mille posti è un’esagerazione! E sarebbe assurdo spendere tutti quei soldi per qualcosa che non serve. Quasi tutte le Regioni però hanno già rivisto quei programmi, riducendo i posti letto.

Che criticità e problemi aperti vede?Il primo problema è che le dimissioni aumentano ma i nuovi invii non diminuiscono, nonostante le indicazioni contenute nella legge 81/2014. Significa che i magistrati continuano a fare come prima, un po’ perché manca il supporto e il coordinamento con DSM, Asl e servizi sociali, un po’ però temo sia anche perché una parte della magistratura è convinta che si debba fare così, ha un atteggiamento securitario.

E poi?
In generale nelle politiche regionali c’è una disattenzione intollerabile per la salute mentale comunitaria, in Lombardia come in Campania, senza differenze. Forse la chiusura degli OPG metterà in evidenza i problemi di sempre e forse si genereranno finalmente degli anticorpi. Negli ultimi anni ci si è sempre più orientati alle strutture residenziali, che sono un modello anacronistico… Però i due terzi dei budget per la salute mentale sono assorbiti dalle strutture residenziali.

New book of Mario Marazziti: "13 Ways of Looking at the Death Penalty"

Blog Diritti Umani - Human Rights

Nation states and communities throughout the world have reached certain decisions about capital punishment: It is the destruction of human life. It is ineffective as a deterrent for crime. It is an instrument the state uses to contain or eliminate its political adversaries. It is a tool of “justice” that disproportionality affects religious, social, and racial minorities. It is a sanction that cannot be fixed if unjustly applied.

Yet the United States—along with countries notorious for human rights abuse—remains an advocate for the death penalty. In these thirteen pieces, Mario Marazziti exposes the profound inhumanity and irrationality of the death penalty in this country, and urges us to join virtually every other industrialized democracy in rendering capital punishment an abandoned practice belonging to a crueler time in human history. A polemical book, yes, yet one that brings together a wide range of stories to compel the heart as well the mind.




[IT] Stati nazionali e comunità in tutto il mondo hanno raggiunto alcune decisioni circa la pena di morte: è la distruzione della vita umana. È inefficace come deterrente per la criminalità. Si tratta di uno strumento che lo Stato utilizza per contenere o eliminare i suoi avversari politici. E 'uno strumento di "giustizia" che colpisce in modo sproporzionato le minoranze religiose, sociali e razziali. È una sanzione che non può essere revocata se applicata ingiustamente.

Eppure gli Stati Uniti - insieme con altri paesi noti per gli nei diritti umani - restano un sostenitore della pena di morte. In questi tredici pezzi, Mario Marazziti espone la disumanità profonda e l'irrazionalità della pena di morte in questo paese, e spinge con urgenza a unire virtualmente tutte le democrazie industrializzate a rendere la pena capitale una pratica abbandonata e appartenente ad un periodo crudele della storia umana. Un libro riunisce una vasta gamma di storie che coinvolgono il cuore e la mente.

Russia, ucciso il leader d'opposizione Boris Nemtsov

Ansa
Agenzia Tass: centrato da quattro colpi di arma da fuoco nel centro di Mosca
Boris Nemtsov, leader dell'opposizione russa a Vladimir Putin ed ex vicepremier liberale all'epoca della presidenza Ieltsin, è stato ucciso in un agguato mentre passeggiava nel centro di Mosca. Secondo l'agenzia Tass, l'uomo politico, 55 anni, è stato centrato da quattro colpi d'arma da fuoco.
Nemtsov è stato colpito dai sicari, scesi da un'automobile, nelle immediate vicinanze del Cremlino, secondo quanto ha riferito su Twitter Iuri Barmin, un suo amico e compagno di lotte politiche. Stando ai media, al momento dell'attentato era in compagnia di una donna. Fisico di formazione, Nemtsov aveva 55 anni e nella seconda metà degli anni '90 era stato indicato come un possibile delfino di Boris Ieltsin per succedergli al Cremlino. Già governatore di Nizhni Novgorod, era arrivato a ricoprire importanti incarichi di governo a Mosca imponendosi come un riformatore. Più tardi aveva fondato l'Unione delle Forze di Destra - una formazione liberale - assieme all'ex premier Serghiei Kirienko e all'altro ex vicepremier Anatoli Ciubais, ma a differenza di questi fin dai primi anni 2000 si era poi schierato in una trincea di forte e aperta critica nei confronti di Vladimir Putin. Con il presidente in carica - da lui accusato di autoritarismo - ha duramente polemizzato in tutti questi anni, seppure da posizioni minoritarie nel Paese.

"E' un omicidio crudele ed una provocazione". Così Vladimir Putin commentando l'uccisione dell'oppositore Boris Nemtsov. Lo riferisce l'agenzia Ria Novosti, precisando che le indagini saranno sotto il diretto controllo del leader del Cremlino.

"Gli Stati Uniti condannano il brutale assassinio di Boris Nemtsov, e chiedono al governo russo un'indagine imparziale e trasparente" per "portare coloro che ne sono responsabili davanti alla giustizia". Lo afferma il presidente Barack Obama in una nota diffusa dalla Casa Bianca. "Ho ammirato la coraggiosa dedizione di Nemtsov alla lotta contro la corruzione in Russia e la sua volonta' di scambiare il suo punto di vista con me quando ci siamo incontrati a Mosca nel 2009", ricorda inoltre Obama.

Melilla, profughi: il varco europeo per chi viene dal Marocco è in mano alle mafie

La Repubblica
Reportage. L'entrata avviene dalla frontiera di Beni Enzan tra il Marocco e la Spagna. La marea umana che ogni giorno si accalca sulla porta dell'Enclave spagnola. Il CETI (centro dipermanenza temporanea) è pieno di migranti siriani arrivati attraverso l'Algeria. Ci sono famiglie, molti bambini, curdi-siriani. Per tutti l'arrivo a Melilla è costata migliaia di euro
Melilla
(enclave spagnola in Marocco) - Difficile la situazione nel centro di permanenza temporanea per immigrati (CETI) della città autonoma spagnola, dove sono accolte più di duemila persone. La capacità del centro di soli 500 posti è stata messa a dura a prova dagli arrivi di questi ultimi mesi, l'80% dei migranti proviene dal conflitto siriano. L'entrata avviene dalla frontiera di Beni Enzan tra il Marocco e la Spagna, per passare la marea umana che ogni giorno calca sulla porta dell'Enclave spagnola ci si affida alle mafie.

Condizioni precarie. Limitato accesso all'acqua potabile, luoghi inadeguati per ospitare famiglie con minori e sovraffollamento: queste sono alcune delle difficoltà incontrate dai migranti che aspettano di essere trasferiti nella penisola spagnola. Foto, video, preghiere e richieste vengono diffuse su un gruppo Facebook creato dagli stessi siriani del centro di accoglienza. Nel CETI di Melilla i migranti siriani sono arrivati dal Marocco attraverso l'Algeria. Famiglie, bambini, siriani di origine curda, per tutti l'entrata a Melilla è costata migliaia di Euro. La rotta Algeria, Marocco, Melilla è considerata però la più sicura. La città autonoma spagnola è uno dei due passaggi di terra che l'unione europea condivide con l'Africa. Secondo l'Associazione Andalusa a Difesa dei Diritti Umani (APDHA), nel 2014 i migranti che hanno tentano l'ingresso dalla porta di Melilla sono stati 4952.

La "generazione perduta Unicef". A pochi metri dall'affollato passo frontaliero di Farkhana, sono accampate le famiglie siriane. A causa della precaria situazione nel centro di accoglienza, i siriani preferiscono sistemarsi all'aperto. Alcune famiglie cucinano, bevono il thè e altri giocano a carte. Qasim, steso sul prato con la sua famiglia, è uno dei 4 milioni di rifugiati che ha dovuto abbandonare la Siria a causa del conflitto. Stringe tra le braccia suo figlio Amal, solo 5 anni, oggi uno dei 1,7 milioni di bambini rifugiati provenienti dalla Siria a rischio di far parte della cosiddetta "generazione perduta - Unicef". Qasim, partito dalla periferia di Aleppo è arrivato a Melilla tre mesi fa. Ha attraversato illegalmente la frontiera tra l'Algeria e il Marocco e pagato alle mafie un totale di 23.000 euro per tutto il nucleo famigliare.

Per entrare serve il passaporto marocchino. "Abbiamo attraversato di notte. Portavo mio figlio sulle spalle. Da Oujda (città marocchina sulla frontiera con l'Algeria) siamo arrivati a Nador e abbiamo aspettato qualche giorno in un hotel prima di entrare in Spagna. Inizialmente, abbiamo mostrato il nostro passaporto siriano, ma la polizia marocchina non ci ha fatto passare. Al terzo tentativo ho deciso di pagare. Sono 1200 euro a persona." Per passare serve un passaporto marocchino, poiché grazie agli accordi tra Rabat e Madrid, la circolazione nell'enclave spagnola degli abitanti di Nador, il capoluogo della regione del Rif (Marocco settentrionale) è libera da visti. Qasim aspetta impaziente con la Moglie e i suoi quattro figli di essere trasferito nella penisola, dove vuole ricominciare a vivere. Le decisioni di trasferimento da Melilla alla Spagna arrivano sulla base di "criteri casuali", spesso basati esclusivamente sulla occupazione dei centri di accoglienza.

Un fragile sistema d'asilo. Il Ministero dell'Interno spagnolo, su raccomandazione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha istituito da qualche mese un'unità dell'organizzazione internazionale in prossimità dei valichi di frontiera di Ceuta e Melilla. Un progetto che secondo il governo serve a garantire l'accesso al sistema di protezione internazionale per i richiedenti asilo in arrivo dalla Siria. Secondo i dati di CEAR (Commissione Spagnola di Aiuto al Rifugiato), nel corso del 2014 ci sono state 539 richieste di asilo a Melilla, per la quasi totalità si tratta di persone di origine siriana. Cifra che sale a 1.679 domande di protezione internazionale se si guardato i dati di tutto il paese.

Le critiche al sistema spagnolo. L'organizzazione spagnola rimane però particolarmente critica e preoccupata rispetto all'accesso alle procedure d'asilo per quanto riguarda i migranti di origine sub-sahariana che entrano a Melilla saltando la barriera (molti dei quali hanno diritto protezione internazionale). "Le autorità devono garantire a tutti, indistintamente quanto stabilito dalla legislazione spagnola, europea e internazionale. A molti migranti Sub-sahariani, viene impedito di chiedere protezione", ha insistito Estrella Galán, segretaria generale di CEAR.

I respingimenti illegali. In concreto, per raggiungere il posto di frontiera via terra, dal Marocco, è obbligatorio superare un controllo preliminare della gendarmeria marocchina, che rappresenta un problema per i migranti d'origine subsahariana che vivono nel regno senza permesso di soggiorno. E mentre nell'Europa africana i siriani attendono di essere trasferiti nella Penisola, il tribunale dell'enclave spagnola di Melilla sta indagando il capo della Guardia Civil locale, il tenente e sei agenti con l'accusa di svolgere respingimenti illegali verso il Marocco e per l'uso sproporzionato della forza durante un tentativo d'ingresso irregolare, realizzato scorso 15 ottobre. A sollevare l'attenzione sul caso, l'ONG Prodein.

venerdì 27 febbraio 2015

Egitto: avvocato Karim Hamdy muore a causa delle torture subite in carcere, arrestati 2 ufficiali polizia

La Presse
Due ufficiali della polizia egiziana, sospettati di avere ucciso un avvocato mentre si trovava in custodia, sono stati arrestati su ordine di un procuratore e potrebbero essere accusati di omicidio. 

Lo hanno riferito fonti giudiziarie, spiegando che gli ufficiali, un tenente colonnello e un maggiore, saranno trattenuti in carcere per quattro giorni in attesa dei risultati delle indagini sulla morte dell'avvocato Karim Hamdy, avvenuta martedì.

Hamdy, 27 anni, è morto a causa delle torture subite mentre era in detenzione, due giorni dopo essere stato arrestato. Il rapporto iniziale sul suo corpo mostra che ha subìto la frattura di alcune costole e percosse che hanno causato lividi ed emorragie al petto e alla testa. Decine di avvocati hanno protestato fuori da un tribunale del Cairo contro la morte di Hamdy, arrestato in casa sua per avere preso parte a manifestazioni dei Fratelli musulmani.

Onu, l'Ue rafforzi operazione Triton - Unhcr, servono più risorse e canali privilegiati rifugiati Siria

Ansa
L'Ue deve rafforzare l'operazione Triton e fornire canali di arrivo ufficiali per i rifugiati siriani: così Antonio Guterres, Alto Commissario Onu per i rifugiati in una riunione al Consiglio di Sicurezza. "Mare Nostrum dell'Italia è finita e Triton è limitata per mandato e risorse": l'Ue deve aumentare la sua capacità di salvare vite.

Onu, la crisi dei rifugiati siriani è a un punto critico, l'Europa deve fare di più. 3,8 milioni di rifugiati nei paesi confinanti alla Siria

Adnkronos
La crisi dei rifugiati siriani è giunta a un ''pericoloso punto critico'' dal momento che gli appelli umanitari restano vani e i Paesi vicini stanno tentando di fare i conti con un flusso immigratorio sempre maggiore. 


L'allarme arriva da Antonio Guterres, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, che riferendo al Consiglio di sicurezza dell'Onu ha detto che la comunità internazionale in generale e l'Europa in particolare devono aumentare i loro sforzi per aiutare i rifugiati siriani, avvertendo che ''la natura della crisi dei rifugiati sta cambiando''.

Guterres ha quindi detto che i Paesi vicini alla Siria stanno cercano di trovare una soluzione per 3,8 milioni di rifugiati e che molti siriani stanno cercando di raggiungere l'Europa attraverso il Mar Mediterraneo. Lo scorso anno i siriani sono stati un terzo dei 220mila rifugiati arrivati in Europa via nave. ''L'Europa deve migliorare la sua capacità di salvare vite o moriranno in migliaia'', ha detto Guterres.

CIR - Rifugiati: "Cambiate le regole decise a Dublino ci sono in ballo i diritti e la dignità delle persone"

La Repubblica
Nel 25° anniversario della sua Fondazione il Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) fa il punto sui limiti del sistema che norma le richieste di asilo nell'Unione europea. Il principio europeo del "primo accesso" costringe migranti e rifugiati a rimanere nel stato europeo dove si è arrivati e resta indifferente alla necessità delle persone di ricongiungersi con familiari o di scegliere dove vivere

Roma  - "La Convenzione di Dublino ha messo in atto un sistema inumano che non prende in considerazione i diritti e le necessità delle persone". Bastano queste poche parole di Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) per definire le criticità del protocollo che regola l'accoglienza di rifugiati e richiedeti asilo nell'Unione europea. In occasione del 25° anniversario della sua Fondazione, il Consiglio per i rifugiati attraverso una tavola rotonda ospitata nella sala Aldo Moro di Montecitorio ha deciso di aprire un dibattito circa l'accoglienza, la solidarietà e le regole che detreminano il destino di migliaia di persone in fuga dai loro paesi d'origine.

Cos'è "Dublino". Il Sistema-Dublino è formato dal regolamento "Dublino III" del 2013 e dal regolamento "Eurodac II", sempre del 2013. La norma si basa sul principio che lo stato membro che ha svolto il ruolo più importante nell'ingresso o nel soggiorno dei richiedenti asilo deve farsi carico della responsabilità dell'esame della domanda d'asilo. Una legge che grava soprattutto sugli stati "di cofine", primi fra tutti Italia e Grecia. La Spagna infatti attraverso l'enclavi di Melilla e Ceuta in Marocco gestisce i flussi prima che questi arrivino sul territorio spagnolo. Dal 2008 al 2013 gli stati membri hanno richiesto il trasferimento di circa 11 mila persone in Italia, al contrario solo 239 persone registrate in Italia sono state accolte da altri stati membri.

I limiti. I problemi circa l'attuazione del regolamento sono molti. Primo fra tutti la sua marginalità. Nel 2013 a fronte di 435 mila domande d'asilo è stato richiesto il trasferimento di 16.014 persone. Un incidenza minima che sottolinea come solo al 3,7% dei richiedenti è stato applicato il regolamento. "Ogni volta che penso a Dublino - afferma Laurens Jolles, delegato Unhcr per il sud Europa - mi riesce difficile credere che l'Unione Europea che promuove il principio di libertà anche di movimento ponga tali limiti sui richiedenti asilo". "Rispettando il principio della competenza per ingresso - continua - l'Unione non considera l'aspetto umano, come per esempio la volontà del richiedente asilo di stabilirsi vicino ad altri familiari già presenti in un paese diverso da quello in cui è arrivato".

Una promessa tradita. "Dublino - sottolinea il professor Mario Morcone capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell'Interno - è una promessa tradita anche in riferimento allo spirito originario che voleva l'accordo come meccanismo regolatore e non come arido schema". Ad esser tradito è il principio di solidarietà presente nell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che stabilisce il principio di solidarietà tra gli stati membri in materia di controllo delle frontiere, asilo e immigrazione. Un'utopia che si infrange contro i dati relativi alle domande d'asilo, ai trasferimenti, alla gestione delle frontiere comuni o nel salvataggio in mare. "L'accordo di Dublino - continua Morcone - è una solidarietà mancata. E l'Italia è la prima coinvolta".

Ripensare Dublino. Davanti a al moltiplicarsi delle crisi e dei conflitti alle porte dell'Europa è necessario fermarsi e riflettere sull'efficacia del sistema dell'Unione nell'accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Un'urgenza giustificata dai dati. Circa 278.000 migranti irregolari sono arrivati in Europa nel 2014, il 160% in più rispetto all'anno precedente e quasi il doppio rispetto al 2011, l'anno delle primavere arabe. 

"L'Italia - sottolinea Roberto Zaccaria, presidente del Cir - insieme con gli altri Stati del Sud Europa è sicuramente tra i Paesi maggiormente interessati a promuovere a livello europeo un profondo ripensamento che esca dalla logica perversa per cui il paese che salva una vita in mare, sarà poi il paese che dovrà dare accoglienza a quella persona". 

"C'è ormai - conclude Hein - la consapevolezza che bisogna trovare approcci che partano dal principio di solidarietà con chi è costretto alla fuga. Siamo parte di un'Europa che fa circolare liberamente le merci senza pagare dazi, ma che continua a legare a un paese le persone che hanno bisogno di protezione, senza prendere in minima considerazione la loro volontà e i loro legami. Vogliamo che finalmente sia riconosciuto da tutti gli Stati europei il valore della protezione internazionale rilasciata da ogni Paese membro. Un rifugiato riconosciuto dall'Italia deve essere un rifugiato anche per la Germania: deve avere diritto come ogni cittadino europeo di muoversi liberamente".

di Chiara Nardinocchi

giovedì 26 febbraio 2015

Isis, uccisi 15 dei cristiani rapiti in Siria. In 350 nelle loro mani

Ansa
L'Isis ha ucciso i primi cristiani rapiti in Siria, nel governatorato di Hassake, al confine Nord-orientale con l'Iraq. L'archimandrita Emanuel Youkhana, che lunedì scorso riferì del rapimento, dà notizia ad Aiuto alla Chiesa che soffre dell'uccisione di 15 persone fra gli ostaggi: "Molti di loro - afferma Youkhana - stavano difendendo i loro villaggi e le loro famiglie". 

Nel villaggio di Tel Hormidz una donna è stata decapitata, mentre due uomini sono stati uccisi con colpi di arma da fuoco. Per ora non ci sono informazioni circa le esecuzioni subite dalle altre dodici vittime. 

L'archimandrita Youkhana, inoltre, informa che il numero dei rapiti è salito a circa 350. Oltre alle centinaia di persone menzionate la volta scorsa, parliamo di altri 80 abitanti del villaggio di Tel Jazira, 21 di Tel Gouran, 5 di Tel Feytha e 3 di Qabir Shamiya. Quasi tutti sono tenuti ostaggio nel villaggio sunnita di Um Al-Masamier. 

Altre 51 famiglie, "con circa 5 componenti a testa", come riferisce Youkhana, sono state rapite a Tel Shamiram; ma di queste non si conosce la posizione precisa: "Non sappiamo - continua l'Archimandrita - dove siano tenute in ostaggio. 

È probabile che siano stati portati nella regione del Monte Abdul Aziz, controllata dallo Stato Islamico". Una fonte non confermata riferisce che si prepara, per venerdì 27 febbraio, un'esecuzione di massa nella Moschea di Bab Alfaraj, villaggio sunnita della zona. 

Nei 35 villaggi cristiano-assiri non è rimasto più nessuno: coloro che sono riusciti a scappare lo hanno fatto verso la regione di Hassake o verso Qamishli: "Le famiglie sfollate - riferisce Youkhana - sono 800 ad Hassake e 175 nel Qamishli".

Libia, assassinata attivista dei diritti umani Intissar al Hasaari

La Repubblica
Tra i membri fondatori del movimento per i diritti umani Tanweer, la 35enne era scomparsa con la zia lunedì. I corpi scoperti nel bagagliaio di un'auto. Il governo di Al Thani: "E' la prova che Tripoli (dove si è insediato il governo rivale di ispirazione islamica) non è al sicuro dal terrorismo". Le forze filoegiziane riparate a Tobruk bloccano il negoziato
Ancora brutte notizie dalla Libia: a Tripoli l'altra notte è stata uccisa Intissar al Hasaari, 35 anni, una militante dei diritti umani che aveva fondato il gruppo "Tanwer", "illuminazione". Intissar era da mesi in prima linea contro lo strapotere delle milizie armate in Libia, ed era impegnata contro l'avanzare dell'integralismo più violento e umiliante per le donne. E' stata ritrovata nel bagagliaio della sua auto, crivellata di colpi, assassinata assieme alla zia che viaggiava con lei. Per mesi la campagna di "omicidi mirati" dei fondamentalisti islamici è andata avanti a Bengasi, in Cirenica, dove uno dopo l'altro venivano assassinati poliziotti, giudici, militanti dei diritti umani, in una parola avversari dei jihadisti e degli integralisti. A Tripoli questi omicidi erano stati relativamente rari, ma la situazione di estremizzazione progressiva della lotta politica non lascia presagire nulla di buono.

[...]
di Vincenzo Nigro

Malawi - Verso un sistema carcerario “dal volto umano”

Agenzia Fides
Lilongwe - “Decisamente qualcosa sta cambiando nel sistema carcerario del Malawi” dice all’Agenzia Fides p. Piergiorgio Gamba, missionario monfortano, commentando il discorso del Presidente alle 731 nuove guardie carcerarie al termine del loro corso di formazione. 

Oggi ricevete il mandato non di punire, ma di riabilitare e riformare i carcerati che possano essere di aiuto allo sviluppo socioeconomico del Paese” ha affermato il Presidente.
“Le cose stanno cambiando, non solo perché il Presidente ha sperimentato lui stesso alcuni giorni di carcere dove il sovraffollamento è oltre il massimo consentito anche dalla protezione degli animali” dice p. Gamba. “Le nuove norme carcerarie sono orientate al recupero di chi ha trasgredito la legge” spiega il missionario. “Esse prevedono: programmi di recupero del condannato trasformandolo in un cittadino utile al Paese; costruzione di nuove prigioni e rifacimento delle attuali celle; l’introduzione del Community Services, ovvero completare la pena rendendo un servizio alla comunità”.
“Non tutto cambierà immediatamente” aggiunge p. Gamba. “Basta guardare le uniformi delle nuove guardie durante la cerimonia tenutasi il 21 febbraio. Pulitissime, ma non certo fatte a misura di chi le deve indossare. Il salario delle guardie è meno della metà di quanto guadagna un poliziotto, costringendole spesso a rubare ai carcerati le loro stesse razioni alimentari. Ma si è sulla strada giusta per dare un volto umano a un sistema carcerario ingiusto, che da sempre diverse Chiese cristiane hanno cercato di cambiare dall’interno”. (L.M.)

Afghanistan: dopo denuncia Onu il governo annuncia piano contro tortura sui detenuti

Aki
Il governo afghano ha annunciato un nuovo piano per affrontare la questione delle torture e dei maltrattamenti dei detenuti dopo la denuncia contenuta in un rapporto della Missione delle Nazioni Unite di assistenza all'Afghanistan (Unama)

Lo ha annunciato la presidenza afghana. Nel documento redatto dalle Nazioni Unite emerge che il 35 per cento dei detenuti afghani, minorenni compresi, ha subito torture e maltrattamenti nelle carceri del Paese. Secondo Kabul, sono 27.800 i detenuti nelle prigioni dell'Afghanistan.

Profughi reclusi dell'isola di Nauru nel tentativo di entrare in Australia presto trasferiti in Cambogia

MISNA
Una mossa di carattere umanitario, che non influisce sulle scelte repressive del governo australiano in materia di immigrazione e su quelle di Phnom Penh di accoglienza di profughi finora o in futuro detenuti per conto australiano nello Stato isolano di Nauru.
L’impegno è di garantire una migliore sistemazione a quanti sono in attesa di una qualche forma di ricollocazione una volta accertata la condizione formale di rifugiato, oppure che aspettano una verifica che potrebbe durare molti mesi.

L’accordo firmato lo scorso anno tra i governi australiano e cambogiano ha suscitato non poche perplessità, dato anche la fama non certo gratificante del governo di Phnom Penh riguardo ai diritti umani e al controllo di fenomeni di abuso sui gruppi sociali più fragili. Tuttavia, se sotto il controllo internazionale, l’accoglienza in un paese più vasto, già fortemente segnato dal lavoro delle ong e che per la sua debolezza economica comunque ha necessità di ulteriori fonti di guadagno che possano derivare da forme di cooperazione internazionale, rende l’opzione meno rischiosa – soprattutto per i soggiorni a lungo termine – rispetto al famigerato centro di Nauru.

Ancor più, a essere positiva è la possibilità di una ricollocazione temporanea sul territorio al di fuori dei campi per alcune categorie di profughi. Possibile in Cambogia, impossibile a Nauru o sull’isola di Manus (altro centro di raccolta off-shore in Papua-Nuova Guinea), per spazio, isolamento, opportunità.
Sono attualmente 400 i profughi provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Iran al momento ospitati a Nauru con il riconoscimento dello status di rifugiato. Altri 800 attendono che sia verificata la loro condizione. 

Una decisione non facile, quella dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), e non si sa al momento quanti degli “ospiti” di Nauru possano optare per il trasferimento. Tuttavia, la leadership dell’organizzazione internazionale ritiene che la sua esperienza nel settore, con milioni di individui ricollocati in nuove destinazioni in 64 anni di attività, potrebbe consentire una prospettiva migliore a quanti hanno cercato inutilmente di raggiungere l’Australia e una vita più sicura.

[CO]

mercoledì 25 febbraio 2015

Papa Francesco: "Il clochard non ha una tomba: diamogli una degna sepoltura in Vaticano"

HuffingtonPost
Ancora una volta Papa Francesco apre le porte agli emarginati per eccellenza, i clochard. Dopo l'apertura del barbiere e delle docce dedicate ai senzatetto, il Santo Padre ha deciso di dare degna sepoltura a uno dei barboni più conosciuti a Piazza S. Pietro riservandogli un posto tra le tombe dei nobili benefattori della Chiesa.
Come racconta il Messaggero, Willy Herteleer era uno dei tanti barboni che affollano i vialetti e le arcate della città santa. Era un uomo mite e dal temperamento docile e innocuo, tanto che era conosciuto e benvoluto dai negozianti, dai portieri degli stabili della Città Leonina e dai sacerdoti. Come tanti altri nella sua condizione tutti i suoi averi erano concentrati in un piccolo trolley che portava sempre con sé. Le guardie svizzere che montano la guardia a Porta Sant'Anna avevano imparato a riconoscerlo e gli avevano attribuito affettuosamente il soprannome di "Araldo di sant'Anna".

Le sue giornate passavano tra la ricerca di un po' di calore in inverno e di un po' di fresco in estate; religiosi e non si fermavano spesso a salutarlo e in molti, discretamente, gli donavano un po' di denaro, del cibo caldo, una coperta, della frutta.

Fiammingo di nascita, Willy aveva vissuto una vita turbolenta e per molti versi sconosciuta a tutti. Erano ormai decenni che si trovava nella condizione di vivere senza fissa dimora.

Monsignor Ciani, giurista rotale e canonico di San pietro, era diventato suo amico: Willy lo seguiva quando andava in basilica o nella chiesetta di sant'Anna e spesso pregavano insieme. Il canonico spesso si fermava a scambiare due chiacchiere con l'uomo, lo aiutava in ogni modo possibile, lo invitava a pranzo: erano diventati amici.

Durante una notte, lo scorso Gennaio, Willy muore all'ospedale Santo Spirito in Sassia. Il freddo ha la meglio sul suo corpo vecchio e malandato; alcuni passanti, notando la sua agonia, hanno chiamato un'ambulanza e prestato i primi soccorsi. Ma, per Willy, era troppo tardi.

Dopo qualche tempo Monsignor Ciani si è accorto dell'assenza del suo amico e ha iniziato a chiedere in giro se qualcuno sapesse dove fosse. Le indagini lo hanno condotto all'ospedale, dove Willy era ancora in obitorio. Nessuno aveva idea di dove seppellirlo.
"Santità, non sanno dove seppellirlo" - ha confidato il monsignore a Papa Francesco - "Diamogli una degna sepoltura in Vaticano" è stata la sua risposta.
Un evento fuori dalla norma, mai avvenuto prima. La vita di Willy, l'Araldo di sant'Anna, spesa dormendo sui marciapiedi attanagliato dal freddo, si è conclusa con un funerale sfarzoso dove è stato ricordato e onorato da quanti gli volevano bene.
Il clochard riposerà alle spalle della Basilica nel più antico cimitero germanico tra principi, cavalieri e nobili d'altro lignaggio.

USA: a Chicago c'è una "prigione segreta" della polizia, è nota come Homan Square

Adnkronos
Una prigione segreta dove i detenuti vengono picchiati e sottoposti ad altri abusi. Non si tratta di un nuovo "black site" della Cia, ma di centro di detenzione, noto come Homan Square, della polizia di Chicago dove, secondo quanto rivela oggi The Guardian, fermati sono scomparsi per ore, anche un giorno intero, senza che venissero informati i loro legali. Tra di loro anche un ragazzo di 15 anni, scrive ancora il giornale britannico che rivela quanto emerso da un'inchiesta interna della polizia di Chicago.
Il quotidiano britannico ha anche intervistato un manifestante fermato durante la conferenza della Nato del 2012 che racconta di essere stato tenuto in questa prigione segreta per quasi un giorno, negandogli la possibilità di chiamare un avvocato, prima di essere trasferito nel vicino commissariato dove è stato formalmente incriminato. "Homan Square è veramente un posto strano - ha detto Brian Jacob Church - mi fa pensare ai centri per gli interrogatori che la Cia ha in Medio Oriente e chiama black site. È un black site interno, quando ci finisci nessuno sa quello che ti succede".

Secondo quanto riferisce il giornale, la prigione segreta di Chicago appare modellata proprio su quelle diventate tristemente famose nella guerra al terrorismo, con tanto di cellette per gli interrogatori, mezzi militari e persino una gabbia. E se nelle prigioni segrete Cia sono finiti sospetti terroristi stranieri, in queste di Chicago finiscono rinchiusi soprattutto americani poveri, afroamericani o ispanici. "È un po' un segreto di Pulcinella per gli avvocati che frequentano i commissariati, se non puoi trovare un cliente nel sistema, ci sono buone possibilità che sia lì", racconta l'avvocato Julia Bartmes.

Marocco: più di 800 migranti sub-sahariani detenuti in tutto il Paese. Tra loro minori e richiedenti asilo

La Repubblica
È in corso una vasta operazione di detenzione di migranti d'origine sub-sahariana: al di fuori di tutte le procedure legali, in violazione alla legge marocchina e contro tutte le convenzioni internazionali. La denuncia del Gadem (Gruppo antirazzista di difesa e d'accompagnamento degli stranieri e dei migranti) e del Ccsm (Consiglio dei Migranti Sub-sahariani in Marocco). Tra i migranti detenuti ci sono minori, richiedenti asilo e persone in attesa di regolarizzazione. Sono trattenuti in diversi centri di detenzione.


In Marocco è in corso una vasta operazione di detenzione di migranti d'origine sub-sahariana: al di fuori di tutte le procedure legali, in violazione alla legge marocchina e contro tutte le convenzioni internazionali ratificate dal regno, denunciano Gadem (Gruppo antirazzista di difesa e d'accompagnamento degli stranieri e dei migranti) e Ccsm (Consiglio dei Migranti Sub-sahariani in Marocco). Almeno 1.200 persone sono state arrestate il 10 febbraio 2015 secondo le informazioni diffuse dall'Amdh (Associazione Marocchina per i Diritti Umani) e trasferite "contro la loro volontà" su autobus in varie città marocchine. Tra i migranti detenuti ci sono minori, richiedenti asilo e persone in attesa di regolarizzazione. Sono in queste ore trattenuti in diversi centri di detenzione a Errachidia, Goulmina, El Jadida, Safi, Kelaat, Sraghna, Chichaoua, Tiznit, Essaouira, Youssoufia e Agadir.

La mappa dei centri di detenzione. Realizzata grazie ad una missione in tutto il paese, la mappa localizza i diciotto centri di detenzione che il gruppo di attivisti di Gadem è riuscito a documentare. L'associazione per la difesa dei migranti ha denunciato i fermi come arbitrari. I migranti sono stati divisi nelle città costiere e interne, dove alcune strutture nazionali come centri sportivi o colonie estive sono state trasformate in luoghi di detenzione, che non sono idonei secondo la legge. "Abbiamo paura di essere deportati. Cosa ci succederà? Quali sono i nostri diritti? Le autorità marocchine non ci danno risposta".

Al telefono rispondono due migranti della Guinea Conakry, trattenuti in una struttura sorvegliata e inaccessibile alle organizzazioni che in queste ore stanno cercando di entrare per verificare la situazione di detenzione. Abubakari, guineano di 28 anni è detenuto a El Kelâa Des Sraghna (vicino a Marrakesh) insieme a lui 58 uomini tra cui Camerunesi, Maliani, Ivoriani, Guineani, Burkinabè, Congolesi, Gabonesi, Centro Africani e Senegalesi. Abubakari continua: "Ci sono una decina di minori e anche un ragazzo ferito". I migranti raccontano: "Ci hanno fotografato e identificato. Sono passati giorni e nessuno di noi sa cosa ci succederà". Secondo le testimonianze raccolte le ambasciate dei paesi di provenienza sono già state avvisate e alcune tra cui la Guinea Conakry e il Cameron hanno visitato i centri di detenzione.

Gli accampamenti non sono più tollerati. Tutto è cominciato con l'operazione eccezionale di regolarizzazione marocchina che si è conclusa brutalmente lo scorso 12 febbraio, quando il campo di Gougrugu, dove vivevano circa un migliaio di migranti ai piedi di Melilla è stato sgomberato. 

Linea dura dal Ministero dell'Interno del regno: retate a tappeto per smantellare tutti gli accampamenti dei migranti africani. Pochi giorni dopo anche i campi di Selouane e Zegangan, dove vivevano famiglie con bambini, nei pressi di Nador sono stati evacuati. "Hanno distrutto e bruciato il nostro campo, ora vogliamo essere liberati". Risponde al telefono Fredy, camerunese di 21 anni, da un anno in Marocco. Viveva con altri migranti nella foresta marocchina. Il giovane si trova ora in un centro ad Ain Melloul, a pochi kilometri da Agadir, insieme a lui 65 migranti sono trattenuti in un complesso nazionale.

Una politica securitaria contradditoria. L'ufficio Oim - Organizzazione Internazionale della Migrazione di Rabat parla di tre proposte di legge sul tavolo in tema di asilo, tratta di esseri umani e migrazione, preparate da tre strutture ministeriali sotto la leadership della Delegazione inter-ministeriale dei diritti umani (Didh). L'ufficio Oim di Rabat, inaugurato ufficialmente nel 2007, si prepara a ricevere altri 1.6 milioni di Euro per il biennio 2015-2016 per sostenere un progetto di ritorno volontario assistito (Avrr) e per l'assistenza umanitaria ai migranti irregolari, finanziato dall'Unione Europea/Devco.

Nel 2014 si è sfiorato il record di 1200 ritorni volontari effettuati soprattutto verso il Cameroon, Nigeria, Guinea Conakry e Costa d'Avorio. "Il Marocco deve continuare con un approccio umano alla migrazione come dichiarato dal regno nel 2013 - continua Rudolf Anich, responsabile progetto Oim - storicamente paese di emigrazione, con più di quattro milioni di cittadini oltre confine, il Marocco può riuscire a diventare un modello per la regione, ma resta una grande sfida".

La risposta della commissione europea. Un forte impegno nel sostenere gli sforzi del Marocco per realizzare una politica migratoria genuina è visibile. La commissione ha confermato per periodo 2015-2019 un sostegno finanziario di 10 milioni di euro per facilitare il processo d'integrazione di migranti e rifugiati e per garantire l'accesso ai servizi pubblici nazionali. Critiche e forti preoccupazioni sono però state sollevate anche dal responsabile per Migrazione, Affari interni e Cittadinanza della Commissione europea, Dimitris Avramopoulos, che ha denunciato le violazioni dei diritti umani dei migranti nel regno, soprattutto nelle zone di frontiera di Ceuta e Melilla.
di Sara Creta

Afghanistan: Rapporto Onu; almeno 35% dei detenuti torturato e maltrattato in carcere

Adnkronos
I detenuti afghani continuano a subire torture e maltrattamenti da parte delle autorità penitenziarie. La denuncia arriva dalla Missione delle Nazioni Unite di assistenza all'Afghanistan (Unama), che su 790 detenuti intervistati ha documentato 278 casi di torture o maltrattamenti da parte delle forze delle sicurezza afghane. Vittime di torture anche ragazzi di età inferiore ai 18 anni. Secondo Kabul, sono 27.800 i detenuti nelle carceri dell'Afghanistan.

"Il nuovo studio mostra che il 35 per cento dei detenuti intervistati è stato torturato o maltrattato, contro il 48 per cento dello studio precedente" condotto nel 2011, si legge in un comunicato dell'Unama. Forme di tortura documentata sono l'elettroshock, il pestaggio violento e la torsione dei genitali, denuncia l'Onu. In molti casi, come l'asfissia fino allo svenimento o la costrizione a posture stressanti, le torture non hanno lasciato segni fisici evidenti. Inoltre è una pratica diffusa e documentata la minaccia di violenze sessuale nei confronti di detenuti minorenni.

Nel rapporto diffuso nel 2014, l'Onu ha "trovato la mancanza persistente di impunità". Nel testo redatto nel 2013, era il 43 per cento di detenuti a risultare torturato o maltrattato dalle autorità afghane, mentre nel 2011 gli abusi riguardavano la metà dei prigionieri. Nel 2013 l'allora presidente afghano Hamid Karzai approvò un decreto contro le torture dopo che una squadra da lui incaricata provò la diffusione di maltrattamenti nelle carceri del Paese. Da allora, però, c'è stato solo un caso giudicato dalla magistratura. L'Onu, quindi, denuncia che la sicurezza afghana continua a restare "inadeguata e manca di indipendenza, autorità, trasparenza e capacità". Questo, ha detto la direttrice dell'Unama per i diritti umani Georgett Gagnon, è "motivo di preoccupazione". "L'impunità rispetto alle torture fa sì che le torture continuino", ha detto.

Pubblicato il Rapporto 2014-2015 di Amnesty International sulla situazione dei Diritti Umani in 160 paesi e territori

Amnesty International 
Il Rapporto 2014-2015 di Amnesty International documenta la situazione dei diritti umani in 160 paesi e territori nel corso del 2014. 

Contiene anche riferimenti ad alcuni eventi salienti del 2013. 

Se da un lato il 2014 sarà ricordato per i violenti conflitti e l’incapacità di tanti governi di proteggere i diritti e la sicurezza dei civili, è stato anche un anno che ha visto significativi progressi nella difesa e nella garanzia di alcuni diritti umani. 

Ha segnato anche alcune date importanti, quali l’anniversario della fuoriuscita di gas a Bhopal del 1984, la commemorazione del genocidio del Ruanda del 1994 e l’analisi, a 30 anni dalla sua adozione, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. 

Momenti che ci hanno fatto riflettere sui passi in avanti compiuti ma anche su quanto resti ancora da fare per garantire giustizia alle vittime e alle persone sopravvissute a gravi violazioni. 

Il Rapporto vuole inoltre essere un tributo a tutti coloro che nel mondo si battono per difendere i diritti umani, spesso in circostanze difficili e rischiose. 

Presenta inoltre i principali motivi di preoccupazione di Amnesty International a livello mondiale e rimane uno strumento di riferimento essenziale per coloro che prendono decisioni politiche, per le attiviste e gli attivisti e per chiunque abbia a cuore la difesa dei diritti umani.

Iran - Pena di morte - media locali riferiscono di 12 prigionieri eseguiti il 22 febbraio

Blog Diritti Umani - Human RightsI media di stato iraniani hanno riferito dell'esecuzione di 12 prigionieri domenica 22 febbraio.


Secondo Iranian State Broadcasting otto prigionieri sono stati impiccati domenica nel carcere di Bandar Abbas (Iran meridionale). Uno dei prigionieri è stato accusato di stupro, mentre gli altri sette sono stati condannati a morte per accuse di droga.
Di nessuno dei prigionieri sono stati forniti i nomi.ll sito ufficiale della magistratura iraniana nella provincia Markazi (sud di Teheran) ha riferito circa l'esecuzione di altri quattro prigionieri condannati per accuse legate alla droga nella prigione di Arakm.

[ES]

martedì 24 febbraio 2015

Danimarca - La polizia di Copenaghen proibisce "l'anello di pace" dei musulmani intorno alla Sinagoga attaccata

Haaretz
La polizia di Copenaghen ha negato la richiesta da parte dei musulmani danesi per creare un anello di pace attorno a una sinagoga della città che è stata sotto un attacco mortale.

Secondo i media danesi la polizia cita problemi di sicurezza per respingere la richiesta dagli organizzatori. 

"Abbiamo scelto di dire di no a causa di una valutazione di sicurezza specifica della situazione che abbiamo in questo momento", ha detto il portavoce della polizia di Copenaghen Mads Jensen ad una televisione danese.

Gli organizzatori speravano di duplicare a Copenaghen una simile iniziativa a quella che ha avuto luogo nella notte di Sabato a Oslo, dove più di 1.000 persone, tra cui molti musulmani, hanno formato una catena umana intorno una sinagoga in una dimostrazione di sostegno agli ebrei.

Niddal El-Jabri ha detto all'emittente pubblica Danimarca Radio che avrebbe cercato di ottener dalla la polizia l'autorizzazione a tenere una veglia di pace in un momento successivo.

"E 'davvero una buona iniziativa," Dan Rosenberg Asmussen, il capo della comunità ebraica danese, ha detto a DR, secondo The Local.dk. "Penso che sia bella e commovente."

Il 14 febbraio, al di fuori della centrale Sinagoga di Copenaghen, una guardia di sicurezza volontaria, Dan Uzan, è stato ucciso da un islamista solitario armato che ore prima aveva ucciso una persona in una sparatoria in un centro culturale nella capitale danese durante un evento.

USA - Texas - Pena di morte - Corte di appello sospende l'esecuzione di Rodney Reed

KVUE.com
Austin - La Corte d'Appello del Texas ha sospeso sull'esecuzione del condannato a morte Rodney Reed in risposta ad una mozione presentata dal suo avvocato il 13 febbraio.
Rodney Reed
Nel maggio 1998, Reed è stato condannato per lo stupro e l'omicidio della 19enne, Stacey Stites e fu condannato a morte. Reed da allora si è sempre dichiarato innocente

Stites è stata uccisa poche settimane prima del suo matrimonio nel 1996. Gli investigatori hanno trovato sperma di Reed sul suo corpo, accusandolo del crimine.

L'avvocato di Reed ha detto il test potrebbe fornire ulteriori informazioni su Jimmy Fennell, il fidanzato di Stites, che è sospettato della sua morte. L'ex ufficiale di polizia sta scontando 10 anni di carcere per aver aggredito una donna sul posto di lavoro a Georgetown.

La sentenza della Corte d'Appello e i suoi avvocati affermano che una recente scoperta nel caso di Reed possa avvalorare la sua innocenza.

La corte ha sospeso sull'esecuzione di Reed, in programma per il 5 marzo, "in attesa di ulteriori ordini di questa Corte."

L'avvocato di Reed, Bruce Benjet, ha rilasciato la seguente dichiarazione Lunedi:

Siamo estremamente sollevati dal fatto che il tribunale ha sospeso l'esecuzione del signor Reed così ci sarà un'adeguata considerazione delle nuove e rilevanti prove della sua innocenza. Siamo inoltre ottimisti che questo ci darà la possibilità di fare finalmente il test del DNA che potrebbe rivelare chi effettivamente ha commesso il reato.

Più di 100 manifestanti sabato si sono radunati presso la Texas State Capitol a sostegno di una sospensione dell'esecuzione programmata per Reed, chiedendo il test del DNA per verificare la presunta evidenza della recente scoperta.

Un giudice Bastrop County nel mese di novembre ha negato la richiesta di Reed per testare nuove prove del DNA.

Traduzione Blog Diritti Umani - Human Rights


Link correlati: 

USA - Texas - Imminente l'esecuzione di Rodney Reed che si dichiara innocente. Condannato da una giuria di soli bianchi.

Egitto, cinque anni di carcere per il blogger Alaa Abd El-Fattah leader delle manifestazioni di piazza Tahrir

La Repubblica
Il giovane attivista, già incarcerato a lungo, è stato condannato in base alla legge contro le manifestazioni. Sentenza accolta da cori di protesta.

Il Cairo - Alaa Abd El-Fattah, uno dei più noti attivisti e blogger egiziani, è stato condannato oggi al Cairo a cinque anni di reclusione nella riedizione del processo intentato a suo carico sulla base della controversa legge contro le manifestazioni. 

La sentenza, trasmessa in tv, è appellabile. In aula i numerosi attivisti presenti per ascoltare la sentenza hanno intonato cori contro il regime: "Via, via il regime militare". Insieme con lui erano imputati altri 15 dissidenti, ai quali sono state inflitte pene da tre a 15 anni i carcere.
Alaa è stato tra i leader delle manifestazioni di piazza Tahrir, cominciate il 25 gennaio 2011, che hanno portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Nel settembre scorso Alaa era stato liberato, in attesa del nuovo processo.


E' stato invece rinviato al prossimo 8 marzo il processo a carico di due giornalisti di Al-jazeera, arrestati nel dicembre 2013 con il collega australiano Peter Greste con l'accusa di sostenere il movimento fuorilegge dei fratelli musulmani. Baher Mohamed e Mohamed Fahmy sono stati liberati il 13 febbraio scorso, dopo oltre 400 giorni di prigione. 

Oggi la corte ha deciso di aggiornare l'udienza per l'assenza dei testimoni. Fahmy, Mohamed e Greste, deportato il 1 febbraio scorso su decreto presidenziale e rientrato da allora in Australia, erano stati condannati in primo grado a 10 anni di prigione, ma a gennaio la corte di cassazione ha ordinato di tenere un nuovo processo per mancanza di prove. "Speriamo che la giustizia prevalga, in modo da avere un giusto processo", ha detto oggi Fahmy.

Isis in Siria, presi in ostaggio centinaia di cristiani caldei tra loro donne e bambini

La Stampa
Donne e bambini rapiti dopo l’assalto a due villaggi
Sono centinaia tra donne e bambini, ma il numero non è confermato, i caldei presi in ostaggio dall’Isis dopo l’attacco a due villaggi in Siria. Lo riferisce Newsweek. In base a quanto si è appreso, i jihadisti hanno bruciato una chiesa cattolica. L’Isis chiederebbe la liberazione di loro membri in cambio del rilascio degli ostaggi.

Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa siriana Sana, i jihadisti hanno lanciato attacchi in diversi villaggi in Siria incluso Tal Hermez, Tal Shamiram, Tal Riman, Tal Nasra, al-Agibash, Toma Yalda and al-Haooz, nell’est del Paese, uccidendo decine di persone. 

Gli attacchi sono stati compiuti a bordo di veicoli pesanti e i miliziani hanno bruciato una delle chiese più antiche della Siria, a Tal Hermez. La Sana, che cita fonti locali, riferisce che l’obiettivo dell’Isis è quello di aprirsi un passaggio, facendo terra bruciata di questi villaggi, per arrivare al confine con la Turchia e facilitare il passaggio di armi e mercenari.

Durante gli attacchi, secondo quanto risulta alla Sana, le forze della coalizione sorvolavano la zona presa di mira dai jihadisti senza intervenire.

lunedì 23 febbraio 2015

Ebrei di Francia premiano Lassana Bathily l'eroe musulmano del supermercato kosher

ANSAmed
Parigi - Dopo aver ottenuto la cittadinanza onoraria francese, Lassana Bathily - il ragazzo di religione musulmana che ha contribuito a proteggere numerosi ostaggi ebrei durante l'assalto jihadista all'Hyper Cacher di Parigi - verrà premiato questa sera dal consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif).

"Lassana ha mostrato che tutti uniti possiamo battere il terrorismo", ha detto a radio Europe 1 il presidente del Crif, Roger Cukierman, riferendosi al ragazzo di origini maliane ormai noto come l'eroe dell'Hyper Cacher, il supermercato di Porte de Vincennes, teatro della strage perpetrata il 9 gennaio scorso da Amedy Coulibaly.

Circa settecento invitati sono attesi questa sera alla cena annuale del Crif, un appuntamento tradizionale a cui partecipano anche esponenti di primo piano della maggioranza e dell'opposizione, tra cui il presidente François Hollande e il premier Manuel Valls.

Lassana, 24 anni, che si definisce "musulmano praticante", arrivato in Francia come immigrato irregolare nel 2006, aveva ottenuto il permesso di soggiorno nel 2011 dopo essersi diplomato e aver sempre lavorato. Aveva presentato una richiesta per la cittadinanza francese nel luglio 2014. La procedura di naturalizzazione è stata però accelerata e "trattata con il rispetto dovuto al suo eroismo". Lo scorso 20 gennaio, nel corso di una cerimonia solenne con Manuel Valls e il ministero dell'Interno Bernard Cazeneuve, Lassana ha ufficialmente ottenuto la cittadinanza francese. Mentre su internet c'è chi chiede per lui la Legion d'Onore.

Nigeria combattimenti contro Boko Haram e emergenza rifugiati. 32.000 profughi in un campo che ne prevedeva 18.000

EuroNews
Le forze nigeriane hanno ripreso la città sudorientale di Baga: teatro, all’inizio dell’anno, di una strage di civili da parte di Boko Haram.

La conquista di questa località strategica al confine con Ciad, Niger e Camerun è una delle vittorie più significative ottenute contro il gruppo terroristico, divenuto ormai una minaccia per tutti i Paesi della regione.

I combattimenti hanno investito diverse isole nel lago Ciad, provocando più di una cinquantina di vittime da venerdì, secondo i bilanci forniti dagli eserciti dei Paesi coinvolti.

Scappando da Boko Haram, migliaia di rifugiati nigeriani hanno varcato la frontiera con il Camerun. Nei campi sovraffollati, manca di tutto: dal cibo ai medicinali.

Lucas Isaac parla a nome dei rifugiati: “Questo campo era stato rifornito per assistere fino a 18mila persone – spiega – ma, con il passare del tempo, gli arrivi si sono moltiplicati. Quel che avrebbe dovuto bastare per 18.000 persone ce lo dividiamo oggi in 32.000. E’ chiaro che mancano molte cose”.
Nigeria, Ciad, Niger, Camerun e Benin stanno approntando una forza militare di 8.700 uomini per combattere Boko Haram. La settimana prossima, metteranno a punto il progetto durante una riunione a N’Djamena.

Indonesia: detenuto cattolico brasiliano è stato fucilato il 18 gennaio senza che gli siano stati concessi i sacramenti

www.ilsussidiario.net
È crisi diplomatica tra Brasile e Indonesia dopo che Marco Archer Cardoso Moreira, un cittadino brasiliano condannato a morte per traffico di stupefacenti, è stato fucilato senza che gli venisse concesso di ricevere i sacramenti.


Marco Archer Cardoso Moreira
fucilato il 18 gennaio scorso
È quanto denuncia Padre Charles Burrows all'agenzia australiana Fairfax Media sostenendo che per motivi non chiariti non gli è stato permesso di raggiungere il carcere dove era rinchiuso l'uomo per dargli i sacramenti della confessione e della comunione come prevede la legge. Moreira è stato fucilato il 18 gennaio scorso, padre Brown sottolinea come l'uomo fosse in stato di depressione estrema, letteralmente trascinato a forza fuori della cella mentre piangeva e si disperava per essere fucilato.

Tutto questo senza che gli fosse permesso di incontrare il sacerdote per un momento almeno di consolazione e di penitenza. L'ambasciata brasiliana in Indonesia ha espresso il suo disappunto per l'episodio chiedendo spiegazioni in merito.

I due paesi sono in mezzo a un duro scontro diplomatico: la scorsa settimana il presidente Dilma Rousseff ha rifiutato di riconoscere il nuovo ambasciatore indonesiano in Brasile. Tutto questo, sembra, perché recentemente il paese asiatico aveva condannato e ucciso già un altro prigioniero brasiliano, Rodrigo Gularte, nel braccio della morte dal 2004 per contrabbando di cocaina. L'uomo, secondo la difesa, soffriva di schizofrenia paranoie e per tale motivo gli si sarebbe dovuta evitare la condanna a morte.

Laos: presto liberi i 5 cristiani arrestati, “avevano solo pregato a fianco di una donna morente"

MISNA
I cinque cristiani incarcerati per “esercizio illegale della medicina”, mentre pregavano per la guarigione di una donna morente, potrebbero essere presto liberati, secondo un funzionario responsabile per gli affari religiosi nella provincia di Savannakhet. “E’ illegale che il giudice li abbia condannati al carcere per aver praticato medicina senza licenza” ha detto ai media il funzionario.

I cristiani sono stati arrestati nel giugno scorso dopo aver pregato per la guarigione di una donna di nome Chansee, convertita dal buddismo al cristianesimo. Dopo la sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia, un membro della sua famiglia aveva chiesto alla polizia di arrestare i cristiani per aver causato la morte della donna con le loro preghiere.

Gruppi internazionali per i diritti umani hanno criticato gli arresti. Sirkoon Prasertsee, direttore della Human Rights Watcher per la libertà di religione nel Laos (Hrwlrf), aveva detto che la sentenza della Corte rappresenta un messaggio per i cristiani del paese. “Le autorità governative possono arrestarli e criminalizzarli anche quando si radunano per pregare per gli ammalati” ha detto Prasertsee, sottolineando che la Corte non aveva fatto alcuna ricerca sulla causa della morte della signora e agli imputati non era stata concessa la possibilità di avere un avvocato difensore.

Secondo Phil Robertson, direttore di Hrw per l’Asia, i dati del Laos sulla libertà religiosa lasciano molto a desiderare, soprattutto quando si tratta di tipi di molestie e di repressione inflitte dalle autorità su qualsiasi comunità o gruppo che non abbia ricevuto il permesso ufficiale di operare. “Se questo gruppo di cinque è accusato e condannato per aver pregato al fianco di una donna morente, allora questo potrebbe segnare una nuova recrudescenza per la libertà religiosa nel paese. Speriamo che il buon senso prevalga” aveva commentato Robertson al momento della sentenza.

Nel paese a maggioranza buddista i cristiani sono solo 1,5% della popolazione.

In Ucraina si continua a sparare tra migliaia di sfollati, tanti bambini e gente che muore di fame

La Voce del Trentino
A nulla sono valsi gli sforzi dell’Europa per il rispetto del cessate il fuoco e degli accordi di Minsk da parte delle fazioni coinvolte nella guerra: in Ucraina si continua a sparare e le violazioni sarebbero state nell’ultima settimana oltre le trecento.

[...] I Paesi dell’UE sono sempre più intenzionati a cercare una soluzione negoziale e a mettere in atto una strategia più incisiva per il monitoraggio del rispetto del cessate il fuoco. Il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha infatti dichiarato che sono aperte le consultazioni tra i vari leader europei per discutere sui “prossimi passi diretti verso un ulteriore aumento dei costi da sostenere per l'aggressione all'Ucraina […] caratterizzati da ulteriori contributi alla de-escalation”.

Tale sforzo verrà concordato e coordinato con gli osservatori dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, già pronti a mettere in atto un piano di monitoraggio del cessate il fuoco non senza molte difficoltà. Prima fra tutte l’impossibilità di raggiungere alcune aree come quella di Donetsk, teatro di violenze che ormai vive sotto il fuoco delle armi pesanti inviate dalla Russia, il cui ritiro deciso a Minsk, non è stato ancora avviato.

Tuttavia il vero, grande e più imminente problema da risolvere e a cui bisognerebbe prestare molta più attenzione, è quello dell’emergenza umanitaria che sta raggiungendo proporzioni sempre più preoccupanti in Ucraina dell’Est.

Le condizioni in cui si trovano oggi a vivere gli abitanti della regione del Donetsk e delle aree occupate dai ribelli e dai militari russi sono sempre più precarie. Ciò che manca maggiormente è l’acqua seguita a ruota dai medicinali e dall’attrezzatura medica.

La scorsa settimana l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, insieme all’Unicef e all’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha consegnato oltre 60 tonnellate di aiuti umanitari alla popolazione del Donbass.

Cibo, coperte, vestiti invernali per ripararsi dal freddo e acqua potabile, nonché kit per l’igiene costituiscono la gran parte degli aiuti umanitari fatti pervenire agli sfollati. La popolazione di queste aree è, o forse è meglio dire era, di circa 5 milioni di persone. 600.000 di queste sono riuscite a fuggire dal Paese e a raggiungere Stati confinanti dove sono adesso rifugiati, mentre un milione di loro sono sfollati interni e tra questi più di 130.000 sono bambini.

È sempre più difficile per i medici e gli operatori sanitari riuscire a raggiungere le aree dove quesi sfollati si sono riversati e ammassati a causa del protrarsi degli scontri armati e della violazione del cessate il fuoco che rende la zona controllata dai ribelli del tutto irraggiungibile.

I combattimenti sempre più aspri hanno distrutto non solo le case ma anche le infrastrutture essenziali annullando di fatto l’erogazione dei servizi fondamentali. Il governo legittimo ucraino sta tentando di evacuare le zone più a rischio, trasferendo gran parte della popolazione da quelle più colpite dagli scontri verso aree più sicure ma troppe sono le persone rimaste intrappolate tra i combattimenti.

La garanzia del rispetto del cessate il fuoco è diventata priorità assoluta soprattutto per poter portare aiuti a tutta quella parte di popolazione che non ha in alcun modo accesso alle strutture sanitarie della zona. Le persone affette da HIV non riescono a reperire i medicinali di cui hanno bisogno e la tubercolosi si sta diffondendo a macchia d’olio e colpisce soprattutto i bambini, più deboli e vulnerabili.

Chissà quanto ancora l’Ucraina e la sua gente potranno resistere in queste condizioni ma una cosa è certa: qualcosa va fatto e va fatto subito.

Rapporto Amnesty International, Svizzera diritti umani: pecche nelle carceri, rifugiati e parità uomo-donna

TicinoNews
Il rapporto punta il dito su discriminazioni di minoranze, carceri e centri rifugiati. "Prosegue la discriminazione uomo-donna"

Carcere di Champ-Doullon - Ginevra
Sembra assurdo, visto il panorama globale odierno, con l'ISIS a spaventare il mondo (da Twitter, è apparsa ancora una foto con la bandiera issata sul Colosseo) e le guerre sparse per il globo, eppure la Svizzera fa parte dei 160 paesi messi sotto la lente di ingrandimento di Amensty International.

Sebene si siano guadagnate posizioni nella classifica redatta secondo l'indice di sviluppo umano, vengono contestati la situazioni nelle carceri e in alcuni centri rifugiati e sopratutto la discriminazione ai danni di alcune minoranze.

È quanto anticipa il settimanale Il Caffè del rapporto che sarà presentato fra un paio di giorni.

La Svizzera non sarebbe all'avanguardia per quanto concerne l'uguaglianza di genere. "Le donne continuano a essere meno pagate degli uomini, sia nel pubblico che nel privato", spiega Denise Graf, coordinatrice del settore rifugiati e responsabili per i diritti umani della sezione svizzera di Amnesty, nonostante ci sia un articolo nella Costituzione in merito.

Amnesty punta il dito anche sulle carceri, in particolare su quella di Champ-Doullon, nel canton Ginevra. "Ci sono prigioni sovrappopolate, che impongono ai detenuti ma anche al personale, condizioni davvero difficili" prosegue la Graf, parlando di "situazioni inumane" e specificando come manchino strutture apposite per carcerati con problemi psicologici (o dove esse ci sono, manca il personale adeguato).

Infine, per quanto riguarda i richiedendo l'asilo, vengono citate alcune richieste respinte che riguardavano cinque iraniani a rischio nel loro paese a causa dell'attività politica.

"Sono stati chiusi molti centri d'accoglienza, ed ora mancano posti", dice Denise Graf. Dunque i rifugiati vengono alloggiati in centri della protezione civile, atti a ospitare gente per poco tempo ma non per mesi come invece accade.

Afghanistan: liberato p. Alexis Prem Kumar gesuita indiano rapito e da 8 mesi in prigionia

Korazym.org
Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) apprende con immenso piacere della riconquistata libertà di p. Alexis Prem Kumar, dopo oltre otto mesi di prigionia, ed esprime immensa gratitudine al governo indiano per il ruolo svolto nel processo di liberazione.
p. Alexis Prem Kumar
“Gli ultimi otto mesi sono stati per noi amici e colleghi, ma soprattutto per i familiari di p. Prem, un lungo e probante periodo di terribile incertezza. Non potete immaginare il nostro sollievo nell’apprendere del suo rientro a casa, sano e salvo. Siamo consapevoli degli sforzi indefessi esperiti a più livelli per conseguire la sua liberazione e siamo grati per la consolazione dataci dal sostegno e dalle preghiere di un numero incalcolabile di amici, non ultimi i bambini della scuola da cui il padre era stato rapito”, sono le parole di p. Peter Balleis SJ, direttore del JRS International.

P. Kumar era stato rapito il 2 giugno dell’anno scorso nell’Afghanistan occidentale da parte di un gruppo di uomini non meglio identificati, mentre era in visita a una scuola per rifugiati rientrati in patria sostenuta dal JRS, sita all’interno di un insediamento situato a 34 chilometri dalla città di Herat. Il 47enne sacerdote gesuita, proveniente dallo stato meridionale indiano del Tamil Nadu, stava per rientrare a Herat quando è stato fermato e costretto sotto minaccia di armi da fuoco a salire su un veicolo di uomini armati.

Il JRS è attivo in Afghanistan fin dal 2005. Pur nei difficili mesi della prigionia di p. Prem, il JRS non ha mai smesso di portare avanti i propri programmi nel paese, intendendo comunque assicurare agli studenti afghani che non venisse loro meno l’accesso a un’educazione di qualità.

“Il nostro ruolo in Afghanistan è quello di aiutare le persone sfollate e le comunità ospitanti, offrendo loro possibilità educative e di formazione professionale, cosicché possano rifarsi una vita sia individualmente che a livello comunitario. Siamo stati al fianco degli afghani ben prima del rapimento di p. Prem, e continueremo ad accompagnarli in ogni modo possibile”, ha assicurato p. Stan Fernandes, direttore regionale del JRS in Asia Meridionale

Prima di trasferirsi in Afghanistan, cinque anni fa, p. Kumar aveva lavorato per il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati presso i rifugiati srilankesi che vivevano nel Tamil Nadu. Al momento del rapimento era Direttore del JRS Afghanistan.

“In questo momento, è nostra cura occuparci delle condizioni psicofisiche di p. Prem. Noi tutti del JRS faremo quanto in nostro potere perché gli siano assicurati dalla famiglia, dai confratelli della Compagnia di Gesù, e dai molti amici e colleghi del JRS ogni attenzione e sostegno”, ha tenuto a precisare p. Fernandes.

USA - Lo stato della Georgia fissa la data d'esecuzione di una donna la prima dal 1945

Corriere della Sera
Il giudice della contea di Gwinnett, nello stato della Georgia, ha firmato l’ordine di esecuzione di Kelly Renee Gissendaner. La morte per iniezione letale avrà luogo alle 7 di sera di mercoledì 25 febbraio, a meno che in extremis il comitato per la grazia convocato il 24 febbraio non intervenga in suo favore.
Kelly Renee Gissendaner
Gissendaner è stata condannata a morte nel 1998 per aver spinto l’anno prima il suo fidanzato, Gregory Owen, a uccidere il marito per incassarne la polizza assicurativa sulla vita. Owen ha collaborato alle indagini, assumendosi la responsabilità dell’omicidio e chiamando in causa la mandante. Per questo, gli è stata risparmiata la pena capitale ed è stato condannato all’ergastolo.

Per chi si batte contro la pena di morte, il genere dei condannati alla sanzione estrema fa poca differenza. Per altri versi, il caso fa notizia.

Gissendaner rischia di essere la prima donna messa a morte in Georgia dal 1945. Le poche altre esecuzioni di donne nello stato risalgono addirittura al XIX secolo.

Il 5 marzo 1945 Lena Baker, un’afroamericana di 44 anni, finì sulla sedia elettrica per aver ucciso il suo datore di lavoro, un bianco di nome Ernest Knight. Il verdetto venne emesso da una giuria di uomini bianchi, al termine di un processo durato un solo giorno.

Sessant’anni dopo, lo stato della Georgia ha riconosciuto che Lena Baker non avrebbe dovuto essere messa a morte, avendo agito per autodifesa contro Knight, che l’aveva imprigionata e minacciata di morte se lo avesse lasciato.
Gissendaner è una delle 59 donne in attesa dell’esecuzione nei bracci della morte di 18 degli stati degli Usa.
La prima esecuzione documentata di una donna negli Usa risale al XVII secolo: dal 1632 al 2014 ve ne sono state 574 di cui 15 dal 1977 (su un totale di 1402), l’anno del ripristino della pena di morte dopo un quinquennio di moratoria.

Le ultime tre esecuzioni di donne (una nel 2013 e due nel 2014) hanno avuto luogo tutte in Texas.


Riccardo Noury