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martedì 14 maggio 2019

Reportage. Grecia, campo di Moria (Lesbo) le gabbie dei piccoli profughi siriani. Non siamo in Libia siamo in Europa!

Avvenire
A Moria nel campo greco i minori non accompagnati vivono reclusi. Il governo: «Accoglienza ottimale». E ai bambini invalidi, disabili, ammalati cronici è vietata l’uscita dal reticolato.


L’Europa muore nel petto di Achmad. Basta vederla la lunga cicatrice sul torace: quel bimbo di sei anni non dovrebbe stare in una gabbia per profughi. L’Europa muore negli occhi neri di una bimba afghana: la misera protesi al piede la fa sembrare una bambola rotta che qui non camminerà né guarirà mai.

Nel girone dei bimbi migranti le autorità hanno deciso che andavano trattati come canaglie a cui sorridere al di qua delle inferriate. Dicono che è per la loro sicurezza che devono stare reclusi come le fiere allo zoo. C’è una grata perfino tra loro e il cielo, casomai si arrampicassero fuggendo tra i tetti arroventati dei container che alla stampa vengono raccontati come “residenze”, ma che in realtà sono celle di lamiera.

Nessun essere umano dovrebbe stare qui, che poi è Europa, mica la Libia.

Il campo di Moria è una collina che dall'alto discende verso i gironi dei dannati d’ogni guerra: Yemen, Afghanistan, Iraq, Siria, Palestina. Mani affettuose hanno verniciato con colori vividi le scatolette di ferro dentro a cui alloggiano adulti e bambini. Mani ipocrite hanno ordinato e pagato milioni di euro a un Paese in crisi perché tenesse al confino i migranti che salpano dalle vicine coste turche e poi si arrampicano sulle scogliere dell’arcipelago.
I cantori della favola di Stato sanno di dover mentire ai giornalisti: «In Grecia ci sono 70mila migranti ospitati – lo ha davvero detto incontrandoci un funzionario di Atene – in condizioni del tutto ottimali». Dove per ottimale si intende un solo medico per 4mila persone. Per non dire dei colloqui per esaminare le richieste d’asilo.

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Nello Scavo, inviato a Moria (Lesbo)

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