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sabato 4 maggio 2019

Migranti - Zero sbarchi, 200 vittime: nel Mediterraneo si muore come prima. La strategia di Salvini è non farcelo sapere

Linkiesta
La Libia continua a essere un inferno, i gommoni continuano a partire, le persone continuano a morire: la differenza è che oggi, senza le Ong, se ne sa poco o nulla. E intanto il governo ha tagliato i fondi per la cooperazione internazionale: alla faccia dell’aiutarli a casa loro.


I migranti non arrivano, ma continuano a vivere nell’inferno libico, continuano a partire e continuano a morire, come prima, più di prima. Questo è quel che Salvini e i chi ne sostiene l’azione dovrebbero aver ben chiaro in testa, perlomeno. Perché di fronte a 170 morti nel giro di due giorni, 117 nella notte tra il 18 e il 19 gennaio a largo di Tripoli, altri 53 tra Spagna e Marocco nella notte precedente, impongono ben più di una riflessione alle nostre coscienze.

Primo: la dottrina Salvini produce meno arrivi - siamo ancora a zero, in Italia - ma lo stesso numero di morti in mare. Stando ai calcoli del sito Missing Project, erano 201 nei primi 20 giorni di gennaio dello scorso anno, sono 200 quest’anno, perlomeno quelle di cui sappiamo. Negli anni record degli arrivi, il 2015 e il 2016, erano state molte meno. La strategia del ministro degli interni italiano, di fatto, si sta mostrando per quel che è: usare le morti in mare come deterrente alle partenze. E nasconderle agli occhi delle opinioni pubbliche occidentali, togliendo alle organizzazioni non governative il presidio del Mediterraneo. Dettaglio; senza l’avvistamento da parte di un aereo di Sea Watch che stava sorvolando le coste libiche probabilmente non avremmo saputo nulla del destino di quelle 117 persone e avremmo continuato a dormire senza pensieri, né sensi di colpa.

La strategia del ministro degli interni italiano, di fatto, si sta mostrando per quel che è: usare le morti in mare come deterrente alle partenze. E nasconderle agli occhi delle opinioni pubbliche occidentali, togliendo alle organizzazioni non governative il presidio del Mediterraneo

Secondo: la retorica dell’aiutarli “a casa loro” si sta mostrando per quella che è. Niente più di un espediente retorico, o di una clamorosa impostura. E non solo perché in legge di bilancio, com'era ampiamente prevedibile, sono stati tagli i fondi per la cooperazione internazionale. Delle condizioni dei campi di prigionia libici non sappiamo più nulla, ma da ogni migrante che soccorriamo, ultimi della lista i tre superstiti dell’ultimo naufragio, riceviamo parole che dovrebbero dirci qualcosa: meglio la morte che la Libia. E del resto, ci sono rapporti dell’Unhcr e inchieste giornalistiche come quella di Fabrizio Gatti de L’Espresso che hanno documentato quanto accade nell’ex colonia italiana: torture di massa, uomini, donne e bambini venduti come schiavi, condizioni della popolazione carceraria al limite dell’inumano. In tutto questo noi, oltre a chiudere i porti e a combattere le organizzazioni non governative, cosa stiamo facendo? Davvero anche in questo caso la soluzione è chiudere gli occhi, ministro Salvini?

Terzo49 persone in rada a Malta, 117 morte in mare a largo di Tripoli. Gli ultimi casi di cronaca, le ultime prove di forza del ministro dell’interno parlano di numeri infinitesimi rispetto alle capacità di accoglienza italiane. Siamo tutto fuorché un Paese allo stremo, incapace di accogliere persone più di così. Abbiamo mezza Italia, al contrario, che soffre le malattie dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione. E ogni anno salutiamo 120mila persone che scappano dall’Italia, alla ricerca di un altrove migliore. Con un sistema Sprar potenziato, in grado di distribuire uniformemente i richiedenti asilo, in numeri congrui rispetto al totale della popolazione, e attraverso sperimentazioni come quelle di Riace, non ci sarebbe alcuna emergenza sociale. Anche in questo caso, stiamo andando nella direzione opposta, chiedendo alle nostre coscienze di pagare il prezzo delle nostre inefficienze e della nostra paura.

Quarto«Noi italiani siamo abituati a un banale principio di civiltà: quando c'è un uomo in mare, una donna in mare, un bambino in mare non importa a chi tocca perchè noi italiani andiamo e proviamo a salvarli». E ancora: «Nessuna battaglia ideologica vale la morte di cento persone affogate o morte di freddo in mare».

Sono parole di Matteo Renzi di ieri, che ci sentiamo di sottoscrivere in toto, così come le applaudimmo nel 2015, quando ripetè le stesse cose di fronte alla foto del corpo esanime del piccolo Aylan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum. A Renzi e al Pd tuttavia andrebbe chiesto conto di quel che è successo nel mezzo. Di quanto abbia pagato nelle urne, per la sinistra italiana, l'acquiescenza alla retorica della grande invasione, con a corredo frasi del tipo “Non abbiamo il dovere morale di accoglierli tutti”, come se davvero tutta l'Africa premesse alle nostre porte. Allora il Pd aveva il 30% e Salvini poco meno del 15%. Oggi è il contrario. Pensiamoci su.

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