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mercoledì 29 maggio 2019

Guerra in Libia che sta diventando la nuova Siria, più vittime e più sfollati. Haftar in rotta con l'Onu.

Il Manifesto
Conflitto senza soluzioni a breve termine. Si combatte sempre più intensamente a Tripoli. E l'Unhcr allestisce grandi campi profughi oltre il confine tunisino. 


Il generale della Cirenaica accusa l'inviato speciale Salamé di imparzialità e rilancia le voci sulla presenza di miliziani Isis provenienti dalla Siria nelle file di Serraj. "Sta iniziando sulla costa Sud del Mediterraneo una lunga e sanguinosa guerra". 

Pur premettendo di "non essere Cassandra", l'inviato speciale Onu Ghassam Salamè aveva lanciato l'avvertimento una settimana fa. È stato facile profeta, in Libia le speranze di arrivare in tempi brevi ad un cessate il fuoco e a un ritorno al dialogo si fanno sempre più fioche.

I combattimenti nelle ultime ore si stanno di nuovo avvicinando al centro della città e le vittime civili negli ultimi giorni sono raddoppiate, mentre l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha appena finito di approntare enormi campi profughi - da 25 mila persone di capienza - al di là della frontiera tunisina per ospitare i libici in fuga dalla guerra, che evidentemente anche l'Unhcr non prevede risolta a breve. 

L'autoproclamato Esercito nazionale libico del generale Haftar che dal 4 aprile ha lanciato l'offensiva per "liberare la capitale dalle milizie e dai terroristi che combattono tra le loro fila" ora sta avanzando lungo la strada del vecchio aeroporto, chiuso dal 2014, a Salah al Din, dove sta ingaggiando una violenta battaglia a base di missili Grad a pochi di chilometri in linea d'aria dalla centralissima piazza dei Martiri. Le milizie a libro paga del premier Serraj per contrastare l'avanzata hanno richiamato rinforzi dalla città di Misurata, che già fornisce il grosso delle forze di difesa di Tripoli. Oltre all'aviazione, che nel fine settimana ha concentrato i raid sulla zona di Qasr bin Ghashir, dove dovrebbe essere l'acquartieramento delle truppe della Cirenaica.

La luce elettrica e i collegamenti internet sono stati ripristinati solo ieri in tutto il quadrante meridionale della periferia cittadina, dopo un'interruzione di giorni a causa dei danneggiamenti. E due ospedali nell'area più calda sono finiti sotto tiro. L'Organizzazione mondiale della Sanità che soltanto lunedì scorso contava ancora solo una ventina di vittime civili, ha aggiornato il bilancio, raddoppiandolo, mentre i combattenti morti sono ora 562, i feriti 2.855 (106 i feriti civili) e gli sfollati oltre 82 mila. Haftar al quotidiano francese Le Journal du Dimanche ha ribadito che non intende fermare le operazioni militari per un cessate-il-fuoco né tanto meno ritirarsi. E ha anche accusato l'inviato Onu Salamé di "imparzialità". Ciò che probabilmente lo ha infastidito di recente è stata la richiesta di Salamé al Consiglio di sicurezza di istituire una commissione d'inchiesta sulle forniture estere di armi che continuano ad affluire in Libia, su entrambi i fronti, in violazione dell'embargo Onu.

A completare il quadro che sempre più fa somigliare la Libia a una nuova Siria, distante però solo poche decine di miglia marittime dalle coste meridionali italiane, c'è poi l'annuncio dell'arrivo in massa di combattenti qaedisti in fuga proprio dalla Siria. 

Giorni fa un membro libico della missione Unsmil dell'Onu, Medhi al Mijrabi, in una lettera al ministro degli Esteri di Tripoli, Mohamed Taher Siala, ha rivelato come lo stesso Salamé in una comunicazione riservata al Consiglio di sicurezza avesse accreditato l'ingaggio di combattenti provenienti da Idlib tra le milizie a difesa del governo Serraj. L'Unsmil ha poi smentito via Twitter la rivelazione. Ma ieri il comando di Haftar ha ribadito e precisato l'informazione: "Da alcuni giorni la brigata Abu Obeida dello Stato islamico è arrivata nella città di Zawiya". Sarebbe guidata da un marocchino, Shaban Hadia, chiamato Abu Obeida, che in passato ha fatto parte anche del Fronte al Nusra. I jihadisti sarebbero arrivati in Libia tramite la Turchia, alleata di Serraj.

di Rachele Gonnelli

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