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giovedì 7 settembre 2017

Rifugiati siriani in Giordania: il 41% non va a scuola, aumentano le spose bambine

Agenzia Nova
La Giordania ospita 2,8 milioni di rifugiati: 660.582 sono i rifugiati siriani registrati (51 per cento dei quali sono bambini), di cui 337.557 sono i minorenni siriani registrati. I bambini di età inferiore ai 5 anni registrati sono 102.390. 



I profughi presenti in Giordania rappresentano circa un-quarto della popolazionen locale di 9,5 milioni di persone. Il campo profughi più grande della Giordania è quello di Zaatari, dove vivono circa 80mila persone. L'altro campo profughi, quello di Azraq, ospita circa 35mila persone (dati relativi al primo trimestre del 2017).

L’impegno di Unicef Italia in Giordania riguarda in particolare l’accoglienza dei rifugiati nei due campi principali di Zaatari e Azraq e l’istruzione dei più giovani. Lo afferma oggi ad “Agenzia Nova” il direttore generale di Unicef Italia, Paolo Rozera, a margine di un incontro sui progetti dell’Unicef in Giordania, avvenuto a Roma. “Stiamo lavorando sul campo dell’istruzione che rimane l’arma principale che questi ragazzi hanno per ipotizzare di aver un futuro quando finalmente la guerra finirà”, dichiara Rozera. Il funzionario di Unicef spiega che “tutti loro vogliono ritornare. Ma il problema è che se ritornano dopo aver perso sette anni di istruzione fanno parte di quella che viene definita ‘lost generation’”. 

L'Italia, a livello governativo, è impegnata, in particolare, nell'iniziativa "No Lost Generation", contribuendo dal 2013 con una donazione di 3,1 milioni di euro verso i programmi di protezione ed istruzione dell'Unicef in Giordania. Il progetto mira alla promozione dell'accesso all'istruzione pubblica da parte di tutti i bambini che vivono in Giordania, anche di altre nazionalità, ed offrire sostegno psico-sociale per alleviare le condizioni di disagio.

Un altro aspetto su cui si concentra l’iniziativa di Unicef Italia attraverso i fondi dei privati è quello delle spose bambine, chiarisce Rozera, che auspica di poter ritornare in Giordania il prossimo ottobre per seguire da vicino il progetto. Ricordando la precedente visita nel regno hascemita, il direttore generale di Unicef Italia cita una frase che lo ha colpito che campeggia all’ingresso del più grande campo profughi della Giordania, quello di Zaatari: “Se educhi un uomo, educhi solo quell’ uomo. Se educhi una donna, educhi un’intera nazione”. Per Rozera questa affermazione è “verissima”, per questa ragione “lavorare per aiutare le donne a cambiare il loro futuro e non essere delle spose bambine, per cui la loro adolescenza viene cancellata, è una delle cose su cui ci vogliamo concentrare ed utilizzeremo testimonial italiani per cercare di ampliare i riflettori su questo fenomeno”.

L’Unicef, ricorda Rozera, segue anche tutto ciò che riguarda il settore dell’acqua e della sanità. “Fino a due anni fa c’erano dei camion che portavano le acque alle tende, mentre adesso ci sono delle tubature costruite dall’Unicef ed in tal modo si evitano anche malattie”, precisa il funzionario. I progetti finanziati con i fondi raccolti da Unicef Italia vengono individuati dall’Unicef Giordania, da Ong locali e dal governo di Amman, che ne valuta la priorità ed i costi di realizzazione. Interrogato sugli aspetti significativi della sua visita in Giordania, Rozera si è detto “molto colpito dall’ospitalità e dall’etica dell’accoglienza del popolo giordano, un paese che è il secondo per scarsità di acqua”.

Il direttore generale di Unicef Italia evidenzia che “non è soltanto il governo giordano ad accogliere, ma anche i sindaci. L’Unicef sta facendo una campagna promozionale per far capire che i ragazzi che arrivano in Giordania rappresentano un’occasione”. Come esempio di “occasione” generata dalla presenza dei profughi nel regno, Rozera cita il caso di una scuola aveva solo due aule: attraverso un progetto di Unicef sono state costruite altre due aule e sono stati risistemati i servizi igienici. Infine, Rozera evidenzia lo “spirito costruttivo” con cui i giordani affrontano “i problemi perché sentono che è doveroso aiutare chi sta fuggendo da una guerra”.

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