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domenica 3 settembre 2017

Turchia. Le purghe di Erdogan affollano le carceri, 22mila detenuti dormono per terra

asianews.it
Per la prima volta il totale della popolazione carceraria supera quota 224mila. Ad oggi le galere turche possono ospitare un massimo di circa 200mila detenuti. Il governo libera i detenuti comuni per richiudere i presunti "golpisti". I fondi stanziati per le carceri superano il budget di molti ministeri. Entro la fine del 2017 pronte 76 nuove prigioni.


A causa del sovraffollamento delle carceri, almeno 22mila detenuti rinchiusi nelle prigioni della Turchia, molti dei quali in seguito al fallito golpe del luglio 2015, sono costretti a dormire per terra (il 9% circa del totale). Secondo quanto riferisce il sito web di informazione artigercek.com dall'ultimo bilancio emerge che, per la prima volta nella storia del Paese, il totale della popolazione carceraria ha superato quota 224mila.

Nei giorni scorsi il ministero turco della Giustizia ha riferito che, di 381 prigioni sparse per il Paese, 139 sono state costruite negli ultimi 10 anni; di queste, almeno 38 sono sorte nell'ultimo anno per ospitare le vittime delle purghe di Erdogan

Ankara intende ampliare la capacità delle carcere di almeno 11mila unità entro fine 2017, finalizzando la costruzione di 76 nuove prigioni. Altri 113 sono in fase iniziale, cui se ne aggiungono altre 18 al momento solo sulla carta.

Secondo il rapporto, al momento le prigioni del Paese possono ospitare sino a 202mila persone; tuttavia, in seguito alla caccia agli oppositori e ai (presunti) golpisti lanciata dalle autorità turche, le persone oggi in galera sono oltre 224mila. Di queste, 22mila dormono ogni notte sul pavimento.

In una inchiesta pubblicata dal quotidiano Cumhuriyet emerge che i fondi stanziati per le prigioni sono di gran lunga maggiori rispetto al budget a disposizione di diversi ministeri. Il costo annuale per il mantenimento di centinaia di migliaia di detenuti è aumentato in modo vertiginoso, toccando quota 6,4 miliardi di lire turche (poco meno di 1,9 miliardi di dollari).
Da qui la scelta del governo di concedere la libertà vigilata a 3mila persone incriminate per crimini minori (che non riguardano terrorismo, reati sessuali o coinvolgimento nel golpe); altri 10mila verranno trasferiti da prigioni chiuse a carceri aperte

Solo in questo mese di agosto le autorità turche hanno rilasciato 38mila detenuti per lasciare spazio a nuovi cittadini arrestati per coinvolgimento nel colpo di Stato. 

Ad un anno dal fallito golpe in Turchia, che nella notte fra il 14 e il 15 luglio 2016 ha visto vacillare, per alcune ore, il dominio del presidente Recep Tayyip Erdogan, prosegue la campagna di repressione lanciata dalle autorità contro presunti complici o sostenitori. 

Secondo l'ultimo bilancio ufficiale fornito dal ministero turco degli Interni, in poco più di un anno sono state arrestate 58.138 persone, oltre 124mila poste in stato di fermo per un periodo di tempo variabile e 170mila circa sono state oggetto di indagine. Oltre 130mila persone hanno perso il lavoro.
Giornalisti, intellettuali, professori, militari, funzionari pubblici o giudici; e ancora medici, sportivi, imprenditori e semplici cittadini, la repressione governativa post fallito golpe non ha risparmiato nessun ambito della società turca. Fra le accuse, il più delle volte pretestuose, l'affiliazione a gruppi "terroristi" curdi o l'appartenenza al movimento che fa capo al predicatore islamico Fethullah Gülen, in esilio in Pennsylvania (Stati Uniti).
Secondo Erdogan e i vertici di governo, egli sarebbe la mente del colpo di Stato in Turchia in cui sono morte 270 persone, migliaia i feriti. Il leader islamico, un tempo alleato del presidente, ha sempre negato con forza ogni responsabilità e ha invocato una inchiesta internazionale per fare piena luce sul golpe e le forze che lo hanno ispirato. Intanto, nei mesi scorsi il leader turco - che ha definito il colpo di Stato "un dono di Dio" - ha promosso (e vinto con margine risicato e accuse di brogli) un referendum sul presidenzialismo che ne ha ampliato. Ora, egli è di fatto il padre padrone della nazione.

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