Pagine

lunedì 31 marzo 2014

Africa - Pena di morte - Aspetti positivi e altri allarmanti. 90% esecuzioni in 3 paesi: Nigeria, Sudan e Somalia

Atlas
Evidenzia aspetti positivi ed altri piuttosto allarmanti, il nuovo rapporto diffuso da Amnesty International sulla diffusione della pena di morte nei paesi dell’Africa.

Anche se sono ormai due terzi i paesi del continente dove la pena capitale è stata ufficialmente rimossa dalle legislazioni nazionali (37 paesi su 54) e nel 2013 anno sono rimasti come l’anno precedente sempre soltanto cinque quelli dove sono state eseguite le esecuzioni, Amnesty International sottolinea come il numero delle esecuzioni in Africa sub-sahariana sia cresciuto del 50% passando da 41 a 64.

Il 90% delle condanne a morte è stato eseguito in soli tre paesi, Nigeria, Sudan e Somalia, dove inoltre sono stati registrati anche i due terzi di tutte le pene capitali comminate dai tribunali registrate dall’organizzazione internazionale in Africa.

Preoccupante, secondo Amnesty International, è la tendenza registrata in Nigeria, dove sono riprese le esecuzioni dopo una sospensione che durava dal 2006 (quattro lo scorso anno) e sono drasticamente aumentate le condanne (ben 141).

La maggior parte delle condanne sono state eseguite in Somalia con 34 esecuzioni capitali, 19 delle quali nella regione semi-autonoma del Puntland. Quasu tutte le condanne a morte eseguite in Somalia e Puntland sono state contro presunti membri del gruppo radicale islamico di al-Shabaab.

In Sudan sono state invece 21 le condanne a morte eseguite, mentre altre quattro sono state registrate in Sud Sudan ed una in Botswana.

di Michele Vollaro

Barbados: take the first step to ending the death penalty!

Amnesty International
In Barbados, if you are convicted of treason or murder, the only punishment you can receive by law is the death penalty. It doesn't matter what your personal circumstances are, nor the circumstances of the crime itself. In these cases, judges cannot choose between a prison or death sentence. They can only choose death. This is called the mandatory death penalty. 
The mandatory death penalty is unlawful under international law. Despite the Barbadian authorities pledging to abolish its use in 2009, they have yet to put those words into action. They continue to claim that the death penalty reduces crime, without any convincing evidence to support this.

Barbados and Trinidad and Tobago are the last two countries in the Caribbean with the mandatory death penalty. If the authorities in Barbados follow through on their promises, it would not only mean ending the mandatory death penalty in Barbados, but could encourage the Trinidadian authorities to do the same.

Nigeria: 21 detenuti morti in tentata evasione dal quartier generale della polizia segreta

AnsaVentuno detenuti sono morti in un tentativo d'evasione dal quartier generale della polizia segreta (Dss) nigeriana ad Abuja, capitale della Nigeria. 

Lo ha reso noto una portavoce della stessa polizia. Anche due dipendenti della Dss sono stati gravemente feriti, ha riferito Marilyn Ogar, aggiungendo che la situazione é ormai sotto controllo. Le sedi dei Servizi di sicurezza ospitano, tra gli altri detenuti, i presunti combattenti estremisti islamici coinvolti nella rivolta in corso nel nordest del Paese, che quest'anno ha già ucciso oltre mille persone.

Centrafrica, Plan: 23.000 bimbi profughi in Camerun, un blog racconta il loro dramma

Blog di Henri-Noel Tatangang
Pubblichiamo il blog di Henri-Noel Tatangang, responsabile Rischi e Calamità di Plan Camerun, che abitualmente visita i campi profughi del Paese per monitorare la condizioni dei rifugiati e organizzare aiuti umanitari. Nella Regione Orientale del Camerun a Lolo vi sono centri che accolgono i profughi provenienti dalla Repubblica Centrafricana; nella Regione si stimano circa 23.000 bambini profughi: nei campi vi sono più bambini che adulti e molti di loro nascono in queste realtà
L'intervista alla piccola Aisha, di nove anni

Aisha
“Sono stato in uno dei campi di Lolo e appena arrivato, una folla di bambini mi è venuta incontro; sono circa 2.000 i bambini nel campo, tra questi vi è la piccola Aisha (nella foto, ndr) di nove anni della comunità Buar (Repubblica Centrafricana, ndr), ha viaggiato per circa 400 km con la sua famiglia per arrivare qui. Le ho chiesto come è riuscita ad arrivare fino a qui e Aisha mi ha risposto: «Abbiamo camminato per molti giorni trovando rifugio e un po’ di cibo da famiglie lungo la strada. Una volta arrivati al confine siamo stati trasportati qui» Aisha è una delle migliaia di bambine che purtroppo condividono in questi mesi la stessa triste esperienza. Ho voluto sapere da lei se ha paura ora: «non più» ha risposto la bambina «perché non vedo più attorno a me uomini malvagi con le pistole».

Aisha manca da scuola da un anno a causa della grave instabilità che attraversa il suo Paese: le scuole erano state chiuse e gli insegnanti fuggirono dalla sua comunità. Nel campo profughi che sto visitando ci si aspetta nei prossimi giorni un arrivo di 6.000-7.000 profughi; la condizione del campo è molto difficile: c’è carenza alimentare, di accesso all’acqua e di assistenza sanitaria; non ci sono abbastanza ripari, scarse sono le agenzie umanitarie presenti, principalmente quelle delle Nazioni Unite, poche le ONG. Il governo camerunense sta garantendo la sicurezza attorno ai confini e ha organizzato un comitato per dare un sostegno ai rifugiati; tuttavia in questo campo nulla è stato fatto per garantire protezione e sicurezza all’infanzia. Questo è un problema molto grave in quanto i bambini si sentiranno al sicuro se riuniti in attività che li proteggano da varie forme di potenziale abuso, oltre che allontanarli dai brutti pensieri per le loro tristi vicende. La maggior parte dei rifugiati sono analfabeti e non conoscono il francese, la lingua ufficiale della Repubblica Centrafricana, parlano in dialetto fulfulde.”

Plan Camerun sta mobilitando risorse per rispondere alle necessità dei bambini in termini di protezione: spazi adatti a loro saranno realizzati e personale specializzato lavorerà con loro. Per provvedere alla loro istruzione si realizzeranno spazi ad hoc, saranno mobilitati insegnanti qualificati. Inoltre Plan Camerun ha l’obiettivo di riempire quei gap in settori generalmente propri di altre agenzie umanitarie, come l’accesso all’acqua e la promozione all’igiene. L’acqua potabile rimane una delle necessità più pressanti nel campo. Alcuni dei punti d’acqua si sono seccati a causa della forte domanda e le autobotti devono percorrere lunghe distanze per rifornire i serbatoi che non hanno sufficiente capacità per soddisfare la popolazione profuga vive nel centro.

C’è il rischio di epidemie se non si interviene rapidamente. Nel campo molti rifugiati vivono in grandi sale che possono ospitare fino a 50 persone finché non vengono dato loro tende domestiche per nucleo familiare. Ma questo processo è molto lento e i profughi vengono lasciati per settimane senza alcuna possibilità di privacy. Le famiglie non hanno alcun reddito perché hanno lasciato tutto nella Repubblica Centrafricana, come ci racconta, Djoubero Haman, uno dei leader tra i rifugiati, che sa parlare francese e si offre come volontario traduttore per gli altri profughi, “avevo un negozio” – racconta – “ a un certo punto ero costretto a vendere dalla porta sul retro, poi non riuscivo più a riempire il mio deposito, finché con l’acuirsi dei contrasti ho dovuto chiudere tutto, lasciare il mio Paese e dirigermi qui”.

domenica 30 marzo 2014

USA - Mississippi - Michelle Byrom won't be executed

CNN
Thursday State Supreme Court has final say on execution dates

The Mississippi Supreme Court has denied the state attorney general's motion to set an execution date for Michelle Byrom, according to an order filed by the court Thursday afternoon.

"Having duly considered the motion and Byrom's response, the court finds that the Motion to Reset Execution Date is not well taken and should be denied," the order reads.

Earlier Thursday, the court said Byrom, convicted of a murder to which her son has confessed multiple times, would not be executed Thursday, as the Mississippi Supreme Court continues to review her post-conviction motion.

Byrom's motion for the court is still pending, and there is no word on when the court's decision on that particular motion will be made, court spokeswoman Beverly Pettigrew Kraft said.

Attorney General Jim Hood had requested the 57-year-old death row inmate be executed "on or before (the date of) March 27," Kraft said. The Mississippi Supreme Court has the final say on execution dates and they haven't yet issued a decision on the attorney general's request.

During Michelle Byrom's original trial, prosecutors said she plotted to kill her husband, Edward Byrom Sr. He was fatally shot in his home in Iuka, Mississippi, in 1999 while Michelle was in the hospital receiving treatment for double pneumonia, but a jury convicted her based on evidence and testimony, saying she was the mastermind.

Byrom Jr. admitted in jailhouse letters that he committed the murder on his own after growing tired of his father's physical and verbal abuse, and a court-appointed psychologist has said that Byrom Jr. gave him a similar story.

On the stand, Byrom Jr. pinned the murder on one of his friends, whom he said his mother hired for $15,000.

Following her attorney's advice, Michelle Byrom waived her right to a jury sentencing, allowing the judge to decide her fate. He sentenced her to death.

Michelle Byrom's attorney has now filed a motion asking the court for additional discovery so the confession to the court-appointed psychologist can be fully explored.

Additionally, attorneys want to depose the prosecutor from her trial, Arch Bullard, regarding his knowledge of Byrom Jr.'s confession to the psychologist.

Bullard has told CNN that he firmly believes Michelle Byrom was the mastermind of the murder-for-hire plot.

According to those familiar with the process, the Supreme Court typically issues opinions at 1:30 p.m. on Thursdays. The nine-member court could issue a decision regarding the Byrom case Thursday, but there is no requirement on the timeline for the decision.

Link:
USA - Un'innocente sta per essere messa a morte nello stato del Mississippi

Egitto: tribunale Alessandria, condannati a morte 2 Fratelli Musulmani

La Repubblica
Il Cairo - Nuove condanne a morte in Egitto per i Fratelli Musulmani.

Il tribunale di Alessandria ha condannato alla pena capitale due esponenti della Fratellanza Musulmani, accusati di aver ucciso dei ragazzini gettandoli dall'alto di un palazzo durante i disordini seguiti al rovesciamento del presidente Mohammed Morsi la scorsa estate. Nei giorni scorsi al Cairo stessa sorte era toccata ad altri 52 .

Israele - La prevista liberazione del quarto gruppo di detenuti della Palestina non è avvenuta

Ansa
Il ministro palestinese per i prigionieri, Issa Qaraqae, ha confermato oggi che la liberazione di un nuovo gruppo di palestinesi detenuti nelle carceri di Israele non avverrà oggi come previsto nell'ambito dei colloqui di pace. 

Ha aggiunto però di sperare in un loro prossimo rilascio, precisando di aver "avvisato le famiglie" che oggi nessuno tornerà a casa.

Ieri un responsabile di al-Fatah, il movimento del presidente Abu Mazen (Mahmopud Abbas), aveva preannunciato che Israele non avrebbe liberato la quarta tranche di detenuti palestinesi, il cui rilascio era previsto per oggi dall'accordo negoziato l'anno scorso dal segretario di Stato Usa, John Kerry. Nelle prime tre fasi sono stati scarcerati 78 palestinesi detenuti da prima degli accordi di Oslo del 1993.

Svizzera: detenuto 28enne nigeriano si è suicidato nel carcere ginevrino di Champ-Dollon

www.cdt.ch
Un 28enne nigeriano si è tolto la vita nella propria cella sabato pomeriggio.
Un nigeriano di 28 anni è morto oggi nella sua cella del carcere ginevrino di Champ-Dollon. Stando ai primi accertamenti si è tolto la vita impiccandosi, ha indicato la polizia cantonale. 

I secondini hanno trovato il corpo esanime intorno alle 16.30: i tentativi di rianimazione non hanno avuto successo. Il giovane era stato condannato a sei mesi di prigione per reati di droga e infrazione della legge sugli stranieri. L'ultimo suicidio avvenuto a Champ-Dollon risale al novembre 2012.

sabato 29 marzo 2014

Dopo il carcere di Rebibbia visita a Poggioreale della delegazione del Parlamento EU: Situazione insostenibile

Il Mattino
Fino a nove detenuti stipati in una cella senza quasi poter fare una doccia. Duro lo spagnolo Aguilar "I penitenziari? Mai stati una priorità per voi". "La situazione penitenziaria in Italia è un problema che non è mai stato considerato come priorità politica e finanziaria e sembra non esserci alcun cambiamento".

È severo il giudizio espresso dall'europarlamentare Juan Fernando Lopez Aguilar - capo della delegazione della commissione libertà civili, giustizia e affari istituzionali del parlamento europeo - al termine della due giorni in trasferta in Italia. Roma e Napoli le tappe toccate dalla delegazione di Strasburgo.

Ma se l'Italia resta osservata speciale sul fronte del trattamento riservato ai detenuti, Lopez Aguilar dimostra di non avere peli sulla lingua quando, all'uscita dal carcere di Poggioreale, rilascia una dichiarazione che non ha bisogno di sottolineature o commenti. "Durante la nostra visita qui a Poggioreale - dice - abbiamo visto con i nostri occhi situazioni insostenibili: fino a nove detenuti che vivono per ventidue ore al giorno in cella e che devono attendere anche solo per poter fare semplicemente una doccia".

Una cosa è certa: al ritorno a Strasburgo l'europarlamentare spagnolo e i suoi vere nella loro relazione che finirà al vaglio dell'assemblea.

La commissione è venuta a Napoli per visitare il carcere di Poggioreale, ma prima della visita al penitenziario si è svolto un incontro con il sindaco Luigi De Magistris a palazzo San Giacomo. La delegazione, al termine della visita in Italia cominciata ieri a Roma, realizzerà un report per esporre all'Europa le condizioni delle carceri visitate.

Secondo Aguilar sarebbe necessario "che il nuovo governo presieduto da Matteo Renzi facesse un passo in avanti per mettere la situazione penitenziaria dell'Italia all'altezza della civiltà giuridica e del prestigio del paese che è tra i fondatori dell'Europa".

Un cambio di passo quello che chiede l'Europa all'Italia "visti anche - ha sottolineato l'eurodeputato Aguilar - i programmi ambiziosi che questo governo si è posto. E necessario che il governo italiano incorpori anche la priorità politico-legislativa che fino ad oggi non c'è stata per far fronte alla situazione drammatica dei penitenziari". Sull'Italia - come ricordato - pendono la condanna e la sanzione dell'Europa a cui "c'è ancora il tempo di reagire, ma - ha evidenziato - c'è bisogno di una strategia, di decisioni politiche".

La delegazione che ha visitato Poggioreale, e - il giorno precedente - il carcere di Rebibbia era composta da Juan Fernando Lopez Aguilar (spagnolo del gruppo Socialisti e Democratici, presidente della commissione e capo della delegazione), Frank Engel (lussemburghese del gruppo Popolari europei), Kinga Gòncz (ungherese del gruppo Socialisti e Democratici); come accompagnatori li accompagnavano tre parlamentari europei italiani: Salvatore Iacolino (gruppo Popolari Europei), Roberta Angelilli (gruppo Popolari Europei) e Salvatore Caronna (Socialisti e Democratici). Nella tappa romana hanno incontrato anche i vertici del ministero della Giustizia e il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino e il suo vice Francesco Cascini.
di Giuseppe Crimaldi

Vademecum sui diritti di migranti, detenuti e rom sottoposto ai candidati italiani alle elezioni europee

SOS Sanità
Agenda dei diritti umani in Europa: vademecum sui diritti di migranti, detenuti e rom che sarà sottoposto ai candidati italiani alle elezioni del Parlamento europeo

L’Europa e i diritti di migranti, detenuti e rom. Le associazioni Antigone, Lunaria e 21 luglio presentano un vademecum per i candidati italiani alle prossime elezioni europee.

Venerdì 28 marzo alle ore 11 presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana – corso Vittorio Emanuele II 349, Roma – le associazioni Antigone, Lunaria e 21 luglio presentano l’Agenda dei diritti umani in Europa, un vademecum sui diritti di migranti, detenuti e rom che sarà sottoposto ai candidati italiani alle elezioni del Parlamento europeo del 24 e 25 maggio prossimi.

L’Agenda è solo la prima tappa della Campagna “Per i diritti, contro la xenofobia”, che sarà lanciata ufficialmente nella stessa giornata, promossa dalle tre associazioni e da ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) per portare le istanze dimigranti, detenuti e rom e la lotta alla discriminazione e alla xenofobia al centro del dibattito per le elezioni europee 2014.

Alle candidate e ai candidati delle diverse forze politiche che parteciperanno alle elezioni, sarà chiesto un impegno diretto durante la campagna elettorale e, una volta eletti, all'interno dell’istituzione europea per garantire la tutela dei diritti umani delle categorie considerate.

Le modalità con le quali viene limitato l’ingresso dei migranti nel territorio europeo; gli ostacoli posti all’accesso aldiritto di asilo e all’acquisizione della cittadinanza; le violazioni del diritto alla salute, all’istruzione e all’assistenza sociale che subiscono i migranti, i rifugiati, i rom, ma in molte carceri italiane anche i detenuti; la segregazione dei rom nei cosiddetti “campi nomadi” più o meno istituzionalizzati e dei migranti nei centri di detenzione; la negazione del diritto alla partecipazione attiva alla vita della comunità di residenza sono solo alcune delle molteplici violazioni dei diritti umani denunciate nell’Agenda.

Tra le attività della Campagna “Per i diritti, contro la xenofobia”, realizzata grazie al sostegno di Open Society Foundations, rientrano anche un Osservatorio sui discorsi di odio nei confronti dei migranti, una campagna di informazione sul diritto di voto dei detenuti e la realizzazione di video-interviste sui contenuti dell’Agenda a un gruppo di candidati, di detenuti, di migranti e di rom.

L’Agenda dei diritti umani in Europa sarà disponibile online a partire dal 28 marzo 2014 all’indirizzo http://campagnaperidiritti.eu, sito web dedicato alla Campagna “Per i diritti, contro la xenofobia”.
Interverranno alla conferenza stampa: Patrizio Gonnella e Alessio Scandurra (Antigone), Grazia Naletto (Lunaria), Carlo Stasolla (Associazione 21 luglio).

Nordcorea: Consiglio diritti umani Onu, sanzioni per crimini contro umanita'

Adnkronos/Dpa
Ginevra - Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di prendere in considerazione l'imposizione di sanzioni ai leader della Corea del Nord e di perseguirli a livello internazionale per crimini contro l'umanità. 
La richiesta del Consiglio arriva dopo un recente rapporto della commissione di inchiesta dell'Onu secondo cui ci sarebbero state prove di violazioni sistematiche dei diritti umani, tra cui arresti di massa, omicidi e torture nei campi di prigionia.

venerdì 28 marzo 2014

Grecia - L’inferno della prigione di Korydallos. Sovraffollamento e emergenza sanitaria.

Squer.it
A Korydallos, comune del Pireo (periferia Attica), si trova la più grande prigione della Grecia.
Il noto complesso carcerario è da anni nel mirino delle associazioni umanitarie come Amnesty International per il trattamento dei detenuti. 

Nel 2007 una commissione composta da dottori della regione del Pireo ha riconosciuto come l’ospedale e la clinica psichiatrica del carcere operino senza le minime condizioni di igiene, in strutture decadenti e gravi carenze di personale medico e infermieristico.

Nel novembre 2009, ad un anno dal primo storico sciopero della fame, migliaia di detenuti di diverse carceri greche, tra cui naturalmente quella di Korydallos, hanno rifiutato il cibo delle mense per protesta contro le condizioni di detenzione e per chiedere una riforma del sistema carcerario. Intanto la prigione prendeva a riempirsi anche di ragazzi accusati di “insurrezione” anarchica per gli scontri seguiti alle imposizioni della troika al governo di Atene.

Da allora la situazione non è cambiata, semmai peggiorata. Da metà dello scorso febbraio i detenuti dell’ospedale del carcere sono di nuovo in sciopero della fame e delle cure mediche (pratica pericolosa soprattutto per i sieropositivi che rifiutano di assumere medicinali antiretrovirali).
Il tutto per mettere in risalto il livello indecente della loro degenza, dimostrato con degli scatti, alcuni dei quali postati anche su Twitter.


Come palesa anche il video de Les Observateurs, si tratta di stanze piene oltre misura in cui molti detenuti sono costretti a dormire su materassi semplicemente poggiati a terra, in un ambiente sporco dove è altamente probabile il contagio di malattie infettive.
Nelle proteste delle organizzazioni per i diritti umani si fa leva innanzitutto sul sovraffollamento: ideato per ospitare 60 persone, al momento il carcere ne ospita oltre 200.
Già stracolmo, rovinato sia dai nuovi ingressi dei “figli” della devastante crisi economica e sia dai tagli al personale carcerario, l’ospedale di Korydallos è inoltre la sola struttura all’interno del sistema greco in grado di ospitare detenuti malati.

Crimea: 3.000 detenuti, condannati con leggi ucraine, la Russia non li vuole, ma neanche l'Ucraina

Ansa
Onori e oneri: prendendosi la Crimea, la Russia si deve accollare anche il destino dei suoi detenuti, oltre 3.000 carcerati che ora si trovano in una situazione kafkiana. Condannati in base a leggi ucraine, si sono ritrovati improvvisamente in un altro Paese dove non hanno commesso reati: ma Kiev non li vuole, né intende sostenere le spese per il loro mantenimento, soprattutto ora in tempi di austerity, e Mosca non sa che fare in questo vuoto giuridico senza precedenti.

Il ministero della giustizia russo e il servizio penitenziario, riferisce il quotidiano Novi Izvestia, stanno insistendo per il loro trasferimento in Ucraina, ma Kiev proprio non ci sente. Cosi' i 3.250 detenuti di Crimea, rinchiusi in due carceri a Kerch e in uno a Sinferopoli, sono diventati i "detenuti di nessuno". Tra loro oltre 600 sono stati condannati per gravi reati.

Il consiglio per i diritti umani del Cremlino ha in programma una visita in Crimea per risolvere la situazione. Impossibile processarli una seconda volta. Tra le ipotesi, la scarcerazione anticipata per coloro a cui manca poco da espiare e l'amnistia per i responsabili di reati economici non gravi. Ma con i carcerati più pericolosi, condannati per omicidio o rapina, che fare? Forse, ipotizza il giornale, dovranno essere scomodate la corte suprema e la corte costituzionale russe.

Iran, la guerra al narcotraffico ha provocato solo in un anno 500 impiccagioni

La Repubblica
Il possesso o il trasporto di droga anche meno di 500 grammi in Iran viene punito con la pena capitale. Circa 390 tonnellate di oppio sono state sequestrate in Iran nel 2012 che è pari al 72 per cento di tutti i sequestri nel mondo
Teheran - L'Iran sta combattendo da anni una dura guerra alla droga, sia all'interno del Paese che alle sue frontiere. Le Nazioni Unite hanno elogiato il ruolo molto attivo dell'Iran per la lotta contro le droghe ma condannano i metodi volti a frenare questa piaga. Il Primo Ministro Zarif, in una lettera inviata ieri 26 marzo a Ban Ki-moon critica il poco interesse da parte della comunitá internazionale per non fronteggiare abbastanza questa minaccia globale.

Giustiziati per reato di droga. Lo scorso febbraio, le Nazioni Unite hanno dichiarato che almeno 80 persone, ma probabilmente di piú, sono state giustiziate per presunti reati legati alla droga dall'inizio dell'anno. Il possesso o il trasporto di droga anche meno di 500 grammi in Iran viene punito con la pena capitale. Dall'11 ottobre 2012 al 10 ottobre 2013 piú di 500 persone sono state impiccate in diverse città dell'Iran e questa cifra rappresenta un aumento del 9 % del numero di impiccagioni, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le autoritá hanno dichiarato che l'80 per cento dei giustiziati erano detenuti condannati per reati di droga.

Le accuse da parte delle Nazioni Unite. In un recente rapporto, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha accusato la nuova amministrazione iraniana di non impegnarsi per migliorare la situazione dei diritti umani, sottolineando il forte aumento delle esecuzioni capitali nel paese, ma riconoscendo al nuovo leader Hassan Rouhani di aver fatto alcuni lodevoli passi in avanti.

La risposta dell'Iran. Non é tardata la risposta da parte del Governo iraniano, che ha definito "vergognoso" privo di fondamento e mancante di credibilitá giuridica il rapporto delle Nazioni Unite, suggerendo che le impiccaggioni sono dovute ai trafficanti di droga, nei confronti dei quali il Paese ha ingaggiato una vera e propria guerra da anni. Secondo i media iraniani, le accuse sarebbero rivolte in particolare alle numerose esecuzioni dei trafficanti di sostanze stupefacenti. La campagna massiva contro il narcotraffico ha provocato la morte di quasi 4.000 forze di polizia iraniane nel corso degli ultimi 34 anni.

Gli elogi all'Iran. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif e il direttore esecutivo dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), Yury Fedotov, a margine di un incontro tenutosi a Vienna sui negoziati sul nucleare delle sei grandi potenze mondiali, hanno avuto uno scambio di opinioni sugli sforzi internazionali necessari per combattere la crescente minaccia del narcotraffico. Fedotov che aveva elogiato l'Iran per il suo impegno e successo della campagna anti-narcotici ha dichiarato che l'Iran ha assunto un ruolo attivo e fondamentale per la lotta contro le droghe illecite; ha inoltre aggiunto che circa 390 tonnellate di oppio sono state sequestrate in Iran nel 2012 che è pari al 72 per cento di tutti i sequestri nel mondo.

La lettera del Ministro Javad Zarif a Ban Ki-moon. In una lettera inviata a Ban Ki-moon ieri, 26 marzo, Javad Zarif ha messo in risalto come le Nazioni Unite non stiano dando alcun aiuto all'Iran nei numerosi attacchi terroristici riferendosi in particolare all'uccisione di uno dei cinque soldati catturati da un gruppo di estremisti al confine con il Pakistan. In gran parte della lettera Zarif ha sottolineato che la lotta al narcotraffico sta costando all'Iran molteplici vite umane. "Mentre il nostro sacrificio serve a proteggere l'intera umanitá dal flagello della droga la comunitá internazionale non sembra fare abbastanza per questa guerra senza fine", ha scritto Zarif.

Barriere anti droga. L'Iran è da sempre considerata una delle principali vie per il traffico di oppio ed eroina provenienti dall'Afghanistan che fornisce circa il 90 per cento dell'oppio mondiale. Per contrastare il fenomeno, le autorità iraniane hanno eretto negli ultimi vent'anni delle barriere anti-droga, hanno schierato al confine orientale 50 mila guardie e introdotto (2011) una nuova squadra di 40 cani antidroga. Fino ad oggi lo Stato ha speso circa 1 miliardo di dollari per erigere muri, trincee, recinzioni, torrette di osservazione e comprare apparecchiature sofisticate e tecnologiche.

Secondo l'ONU il 2,2 per cento di iraniani usa droghe. Secondo i dati delle Nazioni Unite circa il 2,2 per cento degli adulti iraniani sono dipendenti da droghe, il tasso più alto al mondo. Dopo la rivoluzione del '79, l'Iran ha risposto con forza alla nuova emergenza, modificando la legge sulla droga e imponendo pene più severe e controlli mirati. A preoccupare di più le autorità di Teheran non è solo il traffico di oppiacei di produzione afgana, bensì la crescente emergenza legata al fiorente mercato delle metamfetamine. Nell'ultimo anno, le autorità iraniane hanno provveduto al sequestro di laboratori per la produzione di droghe sintetiche, dislocati nel paese.

Pakistan, ancora un cristiano condannato a morte per blasfemia

Avvenire
Ancora una condanna a morte di un cristiano per blasfemia in Pakistan. La legge antiblasfemia, che punisce con la pena capitale chi offende Dio e il Corano, continua ad essere usata contro i cristiani, ma anche contro islamici non allineati col potere e credenti di altre religioni. 


Mamifestazione in Pakistan
contro la persecuzione dei cristiani
In questo caso un uomo, Sawan Masih, è stato ritenuto colpevole dall'Alta corte di Lahore di "blasfemia" per aver "insultato il profeta Maometto". Il suo difensore, Naeem Shakir, che ha annunciato ricorso.

L'episodio risale al marzo del 2013, quando Sawan Masih, abitante del quartiere cristiano di Joseph Colony, una baraccopoli di Lahore, venne accusato da un amico di aver insultato Maometto durante una discussione. Poche ore più tardi circa 3.000 musulmani inferociti presero d'assalto Joseph Colony, incendiando un centinaio di baracche. Tutto sul sentito dire.

giovedì 27 marzo 2014

Libri vietati in carcere, la dura protesta degli scrittori a Londra

Libreriamo
Sulle pagine di Repubblica, il corrispondente a Londra Enrico Franceschini analizza la situazione che ha portato romanzieri ed intellettuali a lanciare una petizione per riportare i libri a disposizione dei carcerati
LA CRITICA QUOTIDIANA - Il governo britannico ha trovato un nuovo sistema per rendere più dura la vita in carcere: proibire ai detenuti di ricevere libri. Esordisce così sulle pagine di Repubblica il corrispondente da Londra Enrico Franceschini nell’analizzare la notizia che sta indignando gli scrittori: da novembre il governo britannico ha vietato a parenti e amici di inviare ai propri congiunti o conoscenti che si trovano dietro le sbarre libri da leggere.

LA REAZIONE DEGLI SCRITTORI - La notizia ha creato scalpore in seguito alla denuncia su un blog che parla di diritti umani. Da qui la reazione immediata, con alcuni scrittori tra cuiPhilip Pullman e Mark Haddon che hanno lanciato una petizione online e che in 24 ore ha raccolto migliaia di firme.

LIBRI SOLO IN PRESTITO DALLA BIBLIOTECA CARCERARIA - In seguito al polverone sollevato dalla notizia, il ministro della Giustizia Chris Grayling ha dovuto giustificare il provvedimento, precisando che ciascun carcerato può avere fino a 12 libri nella propria cella, prendendoli però in prestito dalla biblioteca carceraria o ottenendo un certificato di buona condotta. Questo, secondo il ministro della Giustizia, per incentivare i condannati a comportarsi meglio. Franceschini sottolinea, però, che le biblioteche delle carceri sono mal fornite e visitate dai carcerati ogni due-tre settimane.

QUESTIONE MORALE – Per gli scrittori la questione non è solo pratica, ma soprattutto morale. Secondo Philip Pullman si tratta di “uno degli atti più maligni, disgustosi, vendicativi di un governo barbaro”, per Susan Hill “vietare i libri in carcere è una mossa da stato totalitario”, mentre secondo il docente di storia e letteratura a Cambridge Mary Beard “i libri educano e riabilitano, vietarli in prigione è una follia”.

Iwao Hakamada Freed From Death Row In Japan After Record 48 Years

AP
Tokio — A Japanese court has decided to release a man on death row for more than 30 years in a high-profile murder case based on new DNA evidence.

The Shizuoka District Court on Thursday suspended the death sentence for 78-year-old Iwao Hakamada and ordered him released after 48 years behind bars. Guinness World Records lists him the longest-serving death row inmate. The top court sentenced him to death in 1980.

The court says DNA analysis obtained by his lawyers suggests investigators fabricated evidence. It also ordered a retrial.

The ruling underscores Japan's much criticized closed interrogations that rely heavily on self-confession.

Hakamada, a professional boxer, was convicted of killing a company manager and his family and setting fire to their central Japan home, where he was a live-in employee.

mercoledì 26 marzo 2014

USA - Un'innocente sta per essere messa a morte nello stato del Mississippi

Corriere della Sera - Amnesty International
Il Mississippi sta per procedere alla prima esecuzione di una donna dal 1944. Secondo l’ex giudice della Corte suprema dello stato Oliver Diaz Jr., “se l’esecuzione avverrà ne saremo tutti complici, dato che in questo caso tutto è stato fatto meno che fare giustizia”.
L’esecuzione di Michelle Byrom, 56 anni (nella foto tratta da womenofdeathrow.com) è prevista dopodomani, giovedì 27.

Accenno appena alla circostanza che Michelle Byrom ha vissuto in ambienti turpi e di violenza estrema: stuprata dal padrino per sei anni, costretta a prostituirsi, scappata di casa a 15 anni, stuprata a quell’età dall’uomo di 31 anni che la sposò, Edward Byrom Sr., madre di un figlio, Edward Byrom Jr., stuprato a sua volta dal padre e che la obbligava a fare sesso di gruppo con altri uomini e riprendeva la scena con videocamera. Non c’è da meravigliarsi che la donna avesse tentato il suicidio ingerendo veleno per topi.

Queste circostanze sarebbero state considerate attenuanti, o almeno un buon avvocato le avrebbe presentate come attenuanti riuscendo ad evitare che la sua cliente venisse condannata a morte per l’omicidio del marito.

Quando Byrom Sr. venne ucciso, Michelle Byron era ricoverata in ospedale per una polmonite acuta. Dunque, non è lei l’assassina e, come vedremo, con ogni probabilità non è neanche la mandante.

La giuria del processo di primo grado credette all’impianto accusatorio, basato sulle confessioni rese in ospedale da una donna inferma di mente e imbottita di medicinali e sulle dichiarazioni di Byrom Jr. secondo il quale la madre aveva pagato tale Joey Gillis per uccidere il padre. In cambio di questa testimonianza, Byron Jr. ebbe uno sconto di pena (lui e Gillis sono liberi da alcuni anni) mentre Michelle Byrom venne condannata a morte. Gli avvocati di Michelle Byrom erano al loro primo processo per un reato punibile con la pena capitale.

“Ho provato in tutti i modi a immaginare un caso peggiore di assistenza legale inefficace, ma non ci sono riuscito” – sono le parole di un altro giudice della Corte suprema del Mississippi, Jess H. Dickinson.

Ma le colpe dell’avvocato sono il meno, rispetto al fatto che la successiva confessione di Byrom Jr. – reiterata più volte – non è mai stata presa in considerazione e che i ricorsi di Michelle Byrom tanto alla Corte suprema del Mississippi quanto a quella federale siano stati respinti.

Come ha efficacemente scritto Warren Yowder, direttore del Public Policy Center del Mississippi, “neanche John Grisham avrebbe potuto scrivere una storia del genere. In un mondo normale, questo sarebbe stato un racconto breve di Flannery O’Connor”.

Invece, sta per accadere tra poche ore in Mississippi. A meno che la Corte suprema dello stato non ci ripensi.

Stati Uniti: 74enne libera dopo 32 anni trascorsi in carcere per un crimine non commesso

Ansa
Una donna americana di 74 anni, in carcere per 32 anni per un crimine che non ha mai commesso, è stata finalmente rilasciata grazie alla perseveranza di un pugno di studenti di diritto. 

Lo hanno reso noto ieri sera fonti giudiziarie. Mary Virginia Jones era stata condannato nel 1981 per omicidio, sequestro di persona e furto. Il giudice William Ryan della Corte superiore di Los Angeles ha però annullato le sue condanne e ne ha ordinato il rilascio.

La settantaquattrenne, soprannominata 'madre Mary' dai suoi amici e familiari, era stata considerata complice nell'omicidio di uno spacciatore, perpetrato dal suo allora compagno Mose Willis. Ma secondo gli studenti di legge presso la University of Southern California (Usc), che hanno difeso il caso della Jones in tribunale, Willis aveva puntato una pistola alla testa della moglie per costringerla a condurre la vittima in un vicolo, dove lui gli ha sparato. "È surreale, è il giorno che aspetto da una vita", ha dichiarato la donna dopo l'annuncio della sentenza da parte del giudice.

Egitto 529 condanne a morte: "Non si ricordano precedenti di una giustizia così sommaria e violenta" (Marazziti)

Comitato Diritti Umani - Camera dei Deputati
Egitto: 529 Condanne a Morte di Sostenitori di Morsi, Fratelli Musulmani, 387 in Contumacia. Una sentenza senza precedenti e inaccettabile per un Paese che vuole essere un partner internazionale nel Mediterraneo. Inaccettabile la vendetta politica di massa. Una prova in più di come la pena di morte va abolita a livello mondiale.
"Non si ricordano precedenti di una giustizia così sommaria e violenta da parte di uno stato in epoca contemporanea - afferma Mario Marazziti, presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati e Coordinatore della Campagna mondiale della Comunità di Sant'Egidio contro la pena capitale. Il fatto che il 24 marzo 2014 la Corte Penale di Minya, nel Sud Egitto, ha comminato per l'assalto alla stazione di polizia di Matay nel 2013, in cui e' stato ucciso un poliziotto, e durante il quale sono state sequestrate armi e liberati prigionieri rischia di marchiare negativamente il processo di riconciliazione nazionale e di riforma costituzionale avviata in Egitto allontanando drammaticamente i tempi di un Egitto pluralista e democratico.

Le modalità che hanno portato a una sentenza così grave e che coinvolge centinaia di posizioni e responsabilità diverse risultano anche a un esame superficiale imbarazzanti. Due sole udienze in un arco di tre giorni; il divieto per la difesa di accedere all'aula nella seconda udienza; il divieto per gli imputati ad essere ascoltati e a presenziare all'udienza e meno di un'ora per la sentenza finale.

Oggi e' previsto un altro processo che coinvolge 700 imputati per identici reati, legati alle proteste di massa contro i processi militari del novembre 2013. E c'e' il rischio di un'altra sentenza "monstre".

Dal Parlamento italiano inviamo un appello a che la pena di morte venga esclusa dalle sanzioni che possono colpire le opposizioni politiche in Egitto e perché l'Egitto applichi la Risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU per una moratoria universale delle esecuzioni sulle condanne definitive."

"Sono profondamente preoccupato per la stessa possibilità di una riconciliazione nazionale - conclude in una nota Marazziti -se sentenze come queste non vengono rapidamente annullate e se la vendetta politica di massa -anche per via legale- diventa il modo in cui l'Egitto intende ridurre la violenza nel Paese e superare la critiche ha portato alla deposizione del presidente Morsi.

Link correlati:
Les peines de mort en masse en Egypte violent le droit international selon l'ONU


Les peines de mort en masse en Egypte violent le droit international selon l'ONU

www.peinedemort.org
Geneve - Le Haut-Commissariat de l'ONU aux droits de l'Homme a affirmé mardi que la condamnation à mort, en masse, de 529 partisans du président islamiste destitué Mohamed Morsi par la justice en Egypte viole le droit international.
Le nombre stupéfiant de personnes condamnées à mort dans cette affaire est sans précédent dans l'Histoire récente. L'imposition en masse de la peine de mort après un procès qui a été marqué par des irrégularités de procédure est une violation du droit international des droits de l'Homme, a déclaré un porte-parole du Haut-Commissariat, Rupert Colville, lors d'un point presse.

Selon le droit international, la peine de mort ne peut être prononcée qu'après un procès équitable et dans le respect des procédures, a-t-il souligné.

Or, a-t-il relevé, un procès de masse de 529 personnes qui a duré deux jours ne peut pas avoir répondu aux exigences les plus fondamentales d'un procès équitable.

Il a en outre dénoncé le fait que la majorité des accusés n'étaient pas présents à leur procès.

Ces faits constituent une violation de l'article 6 du Pacte international relatif aux droits civils et politiques n'ont pas été respectés, constitue , a insisté M. Colville.

Sur les 529 condamnés à la peine capitale dès la seconde audience de ce procès en première instance ouvert samedi à al-Minya, au sud du Caire, seuls 153 sont en détention, les autres étant en fuite. Dix-sept autres accusés ont été acquittés.

Ils étaient poursuivis pour leur rôle présumé dans les violences qui ont suivi la destitution par l'armée du président islamiste Mohamed Morsi en juillet dernier.

Le porte-parole du Haut-Commissariat aux droits de l'Homme a souligné que les charges exactes retenues contre chacun des accusés ne sont pas claires car elles n'ont pas été lues.

Il a également indiqué que les avocats ont dit ne pas avoir eu suffisamment accès à leurs clients. En outre, selon des témoins présents au procès, le juge n'a pas appelé chaque accusé par son nom, ce qui constitue une irrégularité, selon l'ONU.

D'après l'ONU, la peine de mort ne peut être appliquée que lorsqu'il s'agit des crimes les plus graves, ce qui n'est pas le cas de l'appartenance à un groupe politique illégal ou la participation à des manifestations, a considéré M. Colville.

martedì 25 marzo 2014

Macedonia - Sindacato giornalisti indipendenti: detenuti maltrattati da polizia e guardie carcerarie

Nova
È quanto emerge dall'ultima ricerca pubblicata dal Sindacato dei giornalisti macedoni indipendenti (Ssnm), che denuncia "maltrattamenti fisici di detenuti e prigionieri da parte di polizia e guardie carcerarie, le condizioni precarie e il sovraffollamento in alcune carceri del paese e negli istituti psichiatrici. 

Altri problemi di diritti umani segnalati nel corso dell'anno sono il ritardo d'accesso all'assistenza legale da parte dei detenuti e degli imputati, le restrizioni sulla capacità dei Rom di lasciare il paese, la violenza domestica contro le donne e i bambini, la discriminazione contro i disabili e le tensioni tra le comunità di etnia albanese e macedone.

Il rapporto evidenzia anche numerose discriminazioni nei confronti dei Rom e di altre minoranze etniche, discriminazione antisindacale, il lavoro minorile, compreso l'accattonaggio forzato e l'applicazione inadeguata del diritto del lavoro. Il governo ha preso alcune misure per punire i funzionari di polizia colpevoli di aver utilizzato forza in modo eccessivo, ma l'impunità continua a essere un problema.

Congo: più di 250 rifugiati annegano cercando di rientrare in patriadall’Uganda

Radio Vaticana

Oltre 250 rifugiati congolesi sono morti nel ribaltamento di un’imbarcazione che stava riportandoli nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). 

Secondo una nota inviata all’agenzia Fides dal Coordinamento della società civile del Nord Kivu, la tragedia si è verificata il 22 marzo. I rifugiati erano fuggiti dalla località di Watalinga, nel territorio di Beni, nel Nord Kivu (est della Rdc), tra luglio e dicembre 2013. In un primo momento erano stati accolti in alcune località di frontiera tra la Rdc e l’Uganda. In seguito erano stati trasferiti dalle autorità ugandesi nel campo di rifugiati di Kyangwali (Uganda) a più di 350 km dalla frontiera.


Quando i rifugiati hanno appreso la notizia che l’esercito congolese aveva liberato i loro villaggi dalla presenza dei ribelli ugandesi dell’Adf-Nalu, hanno chiesto di rientrare nella Rdc. Due imbarcazioni motorizzate erano state messe a loro disposizione per attraversare il Lago Alberto. La prima ha effettuato la traversata senza problemi, mentre la seconda, con 292 persone a bordo, è affondata nel mezzo del lago. Secondo la nota inviata a Fides, l’incidente si è verificato alle 9 del mattino del 22 marzo. Solo 41 persone sono sopravvissute, compreso il comandare e l’intero equipaggio (tutti ugandesi) e qualche rifugiato. La società civile del Nord Kivu chiede al governo congolese un’inchiesta indipendente per accertare le circostanze della tragedia. (R.P.)

Mondiali 2022: violazione diritti umani e già 1200 morti? Il Qatar smentisce

Goal
L'International Trade Union Confederation denuncia 1200 morti fra gli operari impegnati nella costruzione deglio impianti per il Mondiale 2022. I lavoratori: "Passaporti requisiti"



Brasile e Qatar unite nella tragedia anche se con numeri e forme ben differenti. Purtoppo si parla ancora di 'morti bianche' durante la costruzione degli impianti per i Mondiale del 2022. A far scattare l'allarme è la denuncia International Trade Union Confederation.

Secondo l'ITUC infatti sarebbero addirittura già 1200 i decessi avvenuti durante i lavori negli impiati qatarioti. Nel comunicato ufficiale non si usano mezzi termini: "Che le cause siano attacchi cardiaci per il troppo stress o malattie dovute alle squallide condizioni di vita, la radice del problema è una sola: le condizioni di lavoro".

Secca la risposta della commissione del Qatar: "Le affermazioni della ITUC sono fuorvianti ed errate. Ci sono problemi, ma il processo di cambiamento non si può ottenere da un giorno all'altro. Ci impegneremo a vederci chiaro". Intanto alcuni dei circa 500 mila operai al lavoro provenienti per lo più dall'India, si sono fatti sentire contattanto la redazione del quotidiano inglese 'Guardian': "Hanno trattenuto le nostre paghe. Ci fanno lavorare al caldo e senza pausa pranzo e inoltre hanno confiscato i nostri passaporti così che non possianmo lasciare il paese".

Accuse pesanti a cui la FIFA che vigila sull'organizzazione dovrà dare delle risposte: "Lavoreremo per trovare soluzioni sostenibili". A questo punto, il problema del caldo torrido per i calciatori (il Mondiale potrebbe slittare in inverno) sembre davvero un'inezia di fronte ad una possibile violazione dei diritti umani.

lunedì 24 marzo 2014

Azerbaigian altri due oppositori condannati per aver criticato il governo

Corriere della Sera - Amnesty International
Non passa mese, in Azerbaigian, senza che manchi qualcosa da raccontare sulle violazioni dei diritti umani che si verificano nel paese, governato in modo autoritario dal presidente Ilham Alyazov, [...]

Lunedì 17 altri due oppositori - Ilgar Mammadov, presidente di Alternativa repubblicana, e Tofig Yagublu, giornalista e vicepresidente del partito Musavat, sono stati condannati rispettivamente a sette e cinque anni di carcere.

I due oppositori, dopo aver trascorso un anno e un mese in detenzione preventiva, sono stati giudicati colpevoli di istigazione alla violenza in relazione aincidenti avvenuti il 24 gennaio 2013 a Ismaili, di fronte alla sede del governatore locale, di cui si chiedeva la destituzione.

Il giorno prima un parente del governatore aveva centrato con la sua automobile un palo della luce e aveva aggredito un conducente di taxi, fermo al vicino parcheggio… Ne erano seguite proteste col consueto intervento brutale delle forze di polizia.

Mammadov e Yagublu erano arrivati sul posto il 24 gennaio per raccogliere informazioni di prima mano, trascorrendovi meno di un’ora.

Tra meno di due mesi l’Azerbaigian assumerà la presidenza del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Vi sono pochi dubbi sul fatto che autorità di Baku proveranno a sfruttare l’occasione per aumentare il loro prestigio internazionale. Vi sono altrettanti pochi dubbi che tutto questo gli verrà lasciato fare.

L’unico modo serio per accrescere il prestigio internazionale e svolgere in modo serio e credibile il ruolo all’interno del più importante organismo regionale europeo per i diritti umani, sarebbe quello di rilasciare tutti i prigionieri di coscienza e porre fine alle prassi repressive che da tempo intendono ridurre al silenzio, con accuse prefabbricate e processi irregolari, ogni forma d’opposizione politica in Azerbaigian.

UNHCR: circa 980 mila profughi siriani in Libano

CRI On Line
Secondo un rapporto pubblicato il 23 marzo a Beirut dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), finora il numero dei siriani rifugiatisi in Libano per ottenere lo status di rifugiato ha superato quota 979 mila, 11 mila in più rispetto alla settimana scorsa.
Visitando il 14 marzo Parigi, l'alto commissario dell'UNHCR, Antonio Guterres, ha affermato che la crisi in atto da 3 anni in Siria ha causato l'esodo di 2,5 milioni di profughi siriani nei paesi vicini per rifugiarsi dalla guerra. Egli ha rilevato che il Libano, pur essendo un piccolo Paese con una popolazione di 4 milioni di persone, è quello che ha accolto il maggior numero di profughi siriani. Egli si è appellato alla comunità internazionale affinché fornisca sostegno materiale al Libano, ripartendo gli oneri nell'accoglienza dei profughi.

Egitto: condannati a morte 549 sostenitori di Morsi, ma solo 153 si trovano già in carcere

Tm News

Un tribunale egiziano ha condannato a morte in primo grado 529 sostenitori del presidente islamico deposto, Mohamed Morsi, per le violenze della scorsa estate. Lo hanno indicato fonti giudiziarie. Solo 153 dei condannati sono già in carcere mentre tutti gli altri sono latitanti.

Dopo la destituzione di Morsi da parte dell'esercito il 3 luglio scorso, 1.400 sostenitori e/o membri dei Fratelli Musulmani sono stati uccisi dalla violenta repressione delle forze di sicurezza e migliaia di altri sono stati arrestati.

Rifugiati Rep. Centrafricana: Crisi umanitaria nella regione. Camerun, R.D.Congo

Toscana News 24
Bangui. Il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (Wfp), Ertharin Cousin, ha detto che l’esodo di circa 296 mila persone dalla Repubblica Centrafricana nei paesi vicini di Camerun, Ciad, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica del Congo sta creando una crisi regionale in paesi dove già il cibo scarseggia. 

C’è bisogno che la comunità internazionale intervenga urgentemente per far fronte al disastro nella Repubblica Centrafricana, ma c’è anche bisogno del sostegno internazionale alla crisi regionale dei rifugiati. Dobbiamo fare in modo che coloro che sopravvivono alle violenze nella Repubblica Centrafricana non cadano vittime, da esiliati, della malnutrizione e delle malattie”, ha detto Cousin, arrivata oggi in Camerun dopo una visita nella Repubblica Centrafricana dove ha incontrato persone fuggite dalle proprie case.

Le agenzie umanitarie hanno bisogno di maggiore sostegno finanziario dalla comunità internazionale, al fine di poter fornire cibo ed altra assistenza necessaria ai rifugiati finché non potranno tornare nelle proprie case. I paesi che ospitano i rifugiati dalla Repubblica Centrafricana devono, a loro volta, far fronte all’insicurezza alimentare e a sacche di malnutrizione. L’afflusso di rifugiati aumenta in maniera significativa la pressione sulle comunità ospitanti e sui governi, nonché sulle operazioni del Wfp, già fortemente sotto-finanziate. Senza nuove donazioni, il Wfp non potrà continuare a fornire assistenza vitale e sostegno nutrizionale ai rifugiati.

I donatori hanno generosamente contribuito con più di 37 milioni di dollari all’operazione di risposta all’emergenza del Wfp in Repubblica Centrafricana. Tuttavia l’agenzia ha ancora bisogno di quasi 70 milioni di dollari per continuare l’intervento fino alla fine di agosto, mentre nei paesi vicini le operazioni del Wfp richiedono un totale di oltre 17 milioni di dollari per fornire assistenza alimentare ai rifugiati. Quando arrivano in Camerun e negli altri paesi confinanti, le persone che fuggono dalle violenze sono esauste, traumatizzate, affamate e spesso in cattive condizioni di salute. Ogni giorno arrivano nuovi rifugiati. Ciò nonostante, i paesi confinanti, tra cui il Camerun, continuano a tenere aperte le proprie frontiere.

“Siamo profondamente grati al governo del Camerun per il suo pieno sostegno al lavoro del Wfp e dei suoi partner delle Nazioni Unite. Apprezziamo la generosa assistenza fornita ai rifugiati della Repubblica Centrafricana. Ringraziamo anche per il sostegno fornito dal governo nell’agevolare i canali di approvvigionamento alimentare vitale da Douala verso la Repubblica Centrafricana”, ha concluso il direttore.

Mario Marazziti, Comunità di Sant'Egidio, Rom "La via all'integrazione è dargli alloggi e scuole"

La Repubblica
"Alemanno ha ordinato 140 sgomberi in pochi anni e la situazione è peggiorata"
"Ci vuole un piano di inserimento dei rom nella vita della città. Da 20 anni la questione richiede una soluzione stabile, che non può essere solo quella campi attrezzati. Bisogna aprire ai rom le porte degli alloggi popolari". A parlare è Mario Marazziti della Comunità di Sant'Egidio, presidente del comitato Diritti umani della Camera.
Su alcuni siti web l'intolleranza sta montando in modo preoccupante.

"In periodi di crisi sociale e economica, purtroppo, si tende a cercare un capro espiatorio nei più deboli. Ma la campagna strumentale che equipara il degrado ai rom è pericolosa. Rischia di riaccendere una tensione sociale alimentata, durante l'amministrazione precedente, dal battage sulla sicurezza. Quando poi le politiche di Alemanno sono andate nella direzione opposta".

In che senso?
"La politica degli sgomberi dei campi ha peggiorato la situazione. Perché così è aumentata la precarietà dei rom, che a Roma sono 78 mila: si è interrotto spesso anche il percorso di scolarizzazione dei minori ed è più difficile per le forze dell'ordine monitorare la situazione".

sabato 22 marzo 2014

Uruguay: in arrivo 5 detenuti Guantánamo, lavoreranno e staranno con le loro famiglie

Il Velino
Cinque prigionieri del campo di detenzione di Guantánamo a Cuba saranno trasferiti in Uruguay. Lo ha annunciato il presidente Jose Mujica, spiegando di aver accolto una richiesta del suo omologo statunitense, Barack Obama. "I cinque detenuti - ha aggiunto - sono i benvenuti, potranno lavorare e stare con le loro famiglie nel nostro paese".
Col questo trasferimento rimangono nel carcere speciale altri 154 persone, la maggior parte delle quali di nazionalità yemenita. "Il presidente usa vuole risolvere questo problema - ha detto Mujica riferendosi alla promessa di Obama di chiudere la struttura quanto prima -, vuole risolvere questo problema. Di conseguenza, ha chiesto a diversi paesi di ospitare i detenuti. Io gli ho risposto che lo faremo volentieri". Anche l'ambasciata americana a Montevideo è entrata nella questione, facendo sapere che Washington sta trattando con diversi paesi della Regione. Si è scelto di parlare prima con Mujica per la sua leadership nell'area latino americana.

Il presidente afferma: "Potranno lavorare e stare con le loro famiglie". Inoltre, il presidente uruguayano conosce bene il problema, in quanto come ex membro della guerriglia, ha passato 15 anni in un carcere durante il governo militare del paese tra gli anni 70 e 80.

Nel motivare il prossimo trasferimento, il capo dello Stato uruguayano ha detto di aver agito per "ragioni umanitarie". Sembra peraltro, che lo stesso Obama voglia chiudere al più presto quello che lui stesso ha definito "un danno all'immagine dell'America nel mondo". Tanto che i trasferimenti da Guantánamo a paesi terzi negli ultimi mesi si sono incrementati.

Fino a poco tempo fa, invece, il principale avversario del presidente americano in relazione alla chiusura della struttura detentiva era stato il Congresso Usa. C'era preoccupazione diffusa sul fatto che i prigionieri, una volta tornati a casa, potessero ricominciare le attività terroristiche.

India: un'altissima presenza di detenuti che appartengono alle minoranze socio-religiose

www.asianews.it
Secondo il rapporto Prison Statistics India 2012 del National Crimes Record Bureau (Ncrb), la percentuale di detenuti dalit, tribali, musulmani e cristiani è superiore alla loro presenza reale nella popolazione. Attivista cristiano: "Lo Stato prende di mira le minoranze".
L'altissima presenza di detenuti che appartengono alle minoranze socio-religiose "è dovuto all'atteggiamento di alcuni Stati, che prendono di mira le sezioni più vulnerabili della società". Lo afferma ad AsiaNews Arun Ferreira, attivista cristiano per i dalit e i tribali, commentando l'ultimo rapporto Prison Statistics India preparato dal National Crimes Record Bureau (Ncrb). Stando ai dati, nel 2012 il 28,02% dei carcerati di tutto il Paese appartiene alla comunità islamica: una percentuale molto alta, dal momento che in India i musulmani rappresentano solo il 13,4% della popolazione. La situazione è analoga per i prigionieri di fede cristiana: il 6% dei detenuti su scala nazionale, nonostante solo il 2,3% degli indiani sia cristiano.

"Queste percentuali - spiega l'attivista - si verificano perché dalit, tribali, musulmani e cristiani diventano spesso vittime per colpa di cavilli e sezioni del Codice penale indiano". Ferreira ha scontato sulla propria pelle la realtà delle carceri: nel maggio 2007 è stato arrestato a Nagpur (Maharashtra) con l'accusa di essere un naxalita (guerrigliero maoista), e processato per 11 capi d'imputazione secondo l'Unlawful Activities (Prevention) Act. Durante la detenzione è stato torturato e interrogato due volte con il "siero della verità", farmaco psicoattivo oggi illegale. Dopo quattro anni e otto mesi di prigione è stato rilasciato su cauzione.

Ferreira racconta ad AsiaNews: "La mia esperienza in carcere è che ogni Stato tende a prendere di mira le minoranze, mostrando così alcune sue caratteristiche specifiche. Negli Stati in cui prevale l'aspetto induista - come l'Orissa post pogrom di Kandhamal - ci sono stati numerosi casi di cristiani innocenti arrestati e detenuti in prigione, con accuse false di essere naxaliti. È accaduto anche in Gujarat dopo i disordini del 2002. In Jharkhand e Chhattisgarh, con una forte influenza indù, si scagliano con intensità contro la comunità cristiana, trattandola come la parte criminale dei dalit e dei tribali".

Molto spesso poi i cristiani finiscono nelle maglie della giustizia con dei pretesti, perché sostengono battaglie giudicate "scomode" dalle autorità. "In Jharkhand, Chhattisgarh e Orissa - aggiunge - alcuni tribali cristiani sono stati catturati con finte accuse di terrorismo, quando in realtà il problema era la loro lotta contro i grandi progetti minerari, che avrebbero causato molti espropri terrieri. Lo stesso è accaduto in Tamil Nadu, dove i cristiani sono stati accusati di eversione perché si opponevano alla costruzione dell'impianto nucleare di Kudankulam. Purtroppo né il governo, né il Ncrb riconoscono i prigionieri politici come categoria a parte, quindi non ci sono statistiche a riguardo".

Etiopia: emergenza umanitaria per decine di migliaia di rifugiati sud sudanesi

Radio Vaticana
Sono tra i 72.000 e i 100.000 i rifugiati sud-sudanesi che si sono riversati nella regione occidentale etiopica di Gambella, secondo le stime di alcune associazioni umanitarie che operano nell’area. 

Gli scontri tra i militari del governo sud sudanese e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar - riporta l'agenzia Fides - hanno costretto alla fuga diverse centinaia di migliaia di persone tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini, in primo luogo l’Etiopia.

La situazione umanitaria dei rifugiati nella regione di Gambella è precaria e si aggrava di giorno in giorno per il continuo arrivo di nuovi profughi. A destare la maggior preoccupazione sono le condizioni igienico sanitarie dei due campi dove sono accolti i rifugiati (in gran parte donne e bambini), quello di Kule (situato 40 km dalla capitale regionale, Gambella) e Pagak, 80 a km ad ovest di Kule. Il governo di Addis Abeba ha lanciato un appello alla comunità internazionale per ottenere supporto nel fare fronte all’emergenza umanitaria. (R.P.)

"Hoy en Venezuela hay una dictadura", dijo diputada opositora

El Pais
La diputada opositora venezolana Maria Corina Machado afirmó hoy que la represión a las protestas es "una política de Estado" en Venezuela, asegurando al mismo tiempo que el movimiento ciudadano y pacífico ya es "irreversible".
La legisladora viajó a EE.UU.
para hablar de la situación
que vive su país.
La diputada opositora venezolana Maria Corina Machado afirmó hoy en Washington que la represión a las protestas es "una política de Estado" en Venezuela, asegurando al mismo tiempo que el movimiento ciudadano y pacífico ya es "irreversible".

"¨Cómo se llama a un régimen que persigue, que reprime, que asesina, que censura, que tortura?" se preguntó. "Hay que llamar a las cosas por su nombre, y hoy en Venezuela hay una dictadura", dijo Machado ante la prensa en una sala de la Organización de los Estados Americanos (OEA).

La diputada viajó a la capital estadounidense para hablar de la situación que se vive en Venezuela en la reunión ordinaria del Consejo Permanente de la OEA, invitada por el representante de Panamá ante esa organización, Arturo Vallarino, que le había cedido su lugar.

Pero los embajadores de los Estados miembros de la OEA votaron, en primer lugar, para celebrar la sesión a puerta cerrada, impidiendo a la prensa estar presente, y, en segundo, para sacar del orden del día el tema.

Esta última votación se saldó con 22 votos a favor de sacar el tema de Venezuela de la agenda, 3 en contra y 9 abstenciones. "Quedó claro que tienen miedo que se conozca la magnitud de la represión brutal que se registra mientras estamos aquí ahora hablando", dijo Machado.

"El largo brazo de la censura que oprime a Venezuela llega hasta la OEA", escribió la diputada en su cuenta de Twitter.

Ante medios internacionales y estadounidenses, Machado remarcó que la OEA "no es un club de presidentes" sino que es un organismo multinacional que debería defender la democracia de sus integrantes. "Cuando es cuestión de libertad, la indiferencia es complicidad", agregó.

También se dirigió a políticos como Dilma Rousseff y Michelle Bachelet, recordando cómo ambas lucharon contra regímenes militares cuando eran jóvenes. "Que nos digan si esa rebeldía de juventud es capaz de conmoverlas para apoyar las movilizaciones".

Machado también aseguró que el movimiento estudiantil, que se lleva prolongando desde semanas en el país, con un saldo de una treintena de muertos y 500 heridos, es "imparable". "Se equivocan quienes creen que van a conseguir que claudiquemos", sostuvo.

"Le arrebatamos la careta al señor Nicolás Maduro", señaló a continuación la diputada, quien subrayó que en Venezuela "se ha alterado el orden democrático".

Por ese motivo, Machado abogó por una "transición a la democracia y a la libertad", siempre por vías democráticas y "en el marco de la Constitución", que prevé diversas posibilidades como un referéndum revocatorio, una Asamblea nacional constituyente o la renuncia de quien ejerce la presidencia.

"La protesta ha adquirido fuerza", subrayó asimismo Machado, quien dijo desconocer qué le sucederá a su regreso al país. La Asamblea nacional votó para retirarle su inmunidad parlamentaria.

"No sé cuál es mi destino, lo que sí sé es cual es mi tarea, que es continuar con un movimiento que es pacífico y no tiene marcha atrás, y que va a acabar conquistando la democracia y la libertad". "Esta lucha es de la esperanza contra el miedo, de la libertad contra la sumisión", remarcó Machado, quien viajó a Washington acompañada por Rosa Orozco, madre de Geraldine Moreno, joven muerta por los disparos recibidos en una manifestación; Carlos Vargas, uno de los líderes del movimiento estudiantil; e Iván Freites, dirigente sindical petrolero.

Ante la sede de la OEA, medio centenar de personas se congregaron con banderas de Venezuela y pancartas y recibieron con gritos de "valiente" a Machado.