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mercoledì 31 luglio 2019

Marocco. Il re Mohammed VI concede la grazia a migliaia di detenuti per festeggiare i 20 anni del suo regno

La Stampa
Tra loro alcuni esponenti del movimento di protesta Hirak che nel 2016 scosse il Paese con le manifestazioni per chiedere equità sociale e sviluppo economico della regione del Rif. Il re del Marocco, Mohammed VI, in occasione del ventesimo anniversario del suo regno, ha graziato migliaia di detenuti. 


Il re del Marocco, Mohammed VI
Tra di loro, anche alcuni esponenti del movimento di protesta Hirak che nel 2016 scosse il Paese maghrebino con manifestazioni in cui chiedevano equità sociale e sviluppo economico della regione del Rif. 

Un comunicato ufficiale ha annunciato la grazia per 4.764 persone. Tra i risultati più significativi del regno di Mohammed VI c'è la nuova Costituzione firmata nel 2011. 

Le precedenti risalivano al 1962, 1970, 1972, 1992 e 1996. La nuova costituzione è stata considerata rivoluzionaria perché recepiva proposte arrivate dal mondo sindacale e giovanile, anche sull'onda delle Primavere arabe.

Un altro risultato riguarda la Moudawana (Codice di stato personale marocchino), che è il diritto della famiglia marocchina codificata nel 1958 sotto il regno del defunto re Mohammed V. Questo codice è stato modificato per la prima volta nel 1993 dal defunto re Hassan II, poi rivisto nel febbraio 2004 dal parlamento marocchino e promulgato infine il 10 ottobre 2004.

martedì 30 luglio 2019

Usa-Messico - L'altalena che abbatte l'isolamento del muro. L'azione da un lato provoca una conseguenza dall'altra.

La Repubblica
Il progetto si chiama "Teeter totter wall" e i primi disegni risalgono al 2009. Ma solo a luglio 2019 Ronald Rael e Virginia San Fratello una coppia di architetti e docenti universitari hanno visto realizzata la loro idea. 



A Sunland Park, in New Mexico, dove un alto muro divide il territorio statunitense da quello messicano, Rael e San Fratello hanno installato alcune giostre dipinte di rosa acceso. Alcune persone, tra cui molti bambini, sul lato messicano non erano al corrente dell’evento, ma quando hanno visto quello che stava accadendo sono accorsi immediatamente a giocare con chi si trovava dall’altra parte del muro.

"Il muro è diventato il fulcro delle relazioni Usa-Messico e i bambini e gli adulti sono stati collegati in modo significativo da entrambe le parti con la consapevolezza che le azioni che hanno luogo da una parte hanno una conseguenza diretta dall’altra" ha scritto su Instagram Ronald Rael, parlando di questa come "una delle esperienze più incredibili" della sua carriera e di quella di Virginia.
A cura di Martina Tartaglino

USA - Pena di morte - APPELLO URGENTE per salvare la vita di Dexter Johnson, esecuzione fissata il 15 agosto. La mobilitazione internazionale e migliaia di appelli lo salvarono a maggio.

santegidio.org
Sono passati quasi tre mesi dal 2 maggio, quando una grande mobilitazione sul web ha fermato l'esecuzione di Dexter Johnson, un 31enne afroamericano condannato a morte per aver partecipato all'uccisione di una donna e del suo fidanzato quando era diciottenne. 

Al giovane, che ha un deficit mentale, è stato rifiutato il ricorso per attenuanti legate al suo stato di salute mentale. La data dell'esecuzione è fissata al 15 agosto.




domenica 28 luglio 2019

Migranti. 135 naufraghi bloccati sulla nave della Guardia Costiera "Gregoretti" non possono essere portati in salvo a terra. Si rischia di ripetere la vergogna della Diciotti.

Avvenire
A bordo 135 i naufraghi soccorsi dalla Guardia costiera italiana. Negato finora lo sbarco. Salvini: non assegno il porto, fino a che non c'è redistribuzione in tutta Europa.

Una delle motovedette della Guardia costiera italiana, la Cp920 Gregoretti è bloccata da oltre 24 ore dal governo italiano fuori dai porti italiani e ora si trova in rada a mezzo miglio dal porto di Catania. In tarda serata è stata però fatta sbarcare una donna incinta all'ottavo mese di gravidanza. Con lei sono scesi a terra anche il marito e due figli piccoli.
Si rischia di assistere a nuovo caso Diciotti: uno braccio di ferro tutto politico tra Italia e Unione Europea, consumato ancora una volta sulla pelle delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale.
A bordo dell'imbarcazione della Guardia Costiera italiana ci sono 135 naufraghi, dopo l’evacuazione di 6 naufraghi in condizioni critiche a Lampedusa. 50 erano stati avvistati e soccorsi dal motopesca "Accursio Giarratano" che per quasi 24 ore aveva prestato soccorso e atteso a sera l'arrivo della motovedetta della Guardia costiera italiana prima di rientrare in porto a Sciacca (Agrigento). 

"Non li avremmo mai lasciati alla deriva, torneremo a casa dalle nostre famiglie dopo che avremo conosciuto la loro sorte" aveva spiegato il comandante Carlo Giarratano.
Le altre 91 persone erano state, invece, soccorse dalla nave Gregoretti dopo che alcuni pescatori tunisini avevano segnalato un gommone in avaria.

Dopo che i porti italiani sono stati chiusi per le navi umanitarie delle Ong straniere, e per quelle di Mediterranea Saving Humans con bandiera italiana, questa volta a rimanere in attesa di istruzioni per l'approdo è una nave della Guardia Costiera italiana a cui, stando alle dichiarazioni del ministro dell'Interno Matteo Salvini, il Viminale sta negando l'autorizzazione a entrare in porto. 

"C'e un soccorso di 140 immigrati - ha dichiarato il titolare del Viminale - con le nostre motovedette e ho già dato indicazioni che non venga assegnato un porto prima che non ci sia sulla carta la redistribuzione in tutta Europa di tutti i 140 a bordo".

Sembra dunque che da un lato Salvini abbia negato l'approdo della nave a Lampedusa e dall'altro abbia messo in moto la burocrazia europa. Il governo - fa sapere il Viminale - "ha ufficialmente interpellato la Commissione europea affinché coordini le operazioni di ricollocazione degli immigrati che attualmente sono a bordo di una nave della Guardia Costiera italiana. Si tratta di 135 persone. In attesa di risposte ufficiali, non è stato indicato alcun porto di sbarco".

sabato 27 luglio 2019

Photo of the day. Le nonne di Campoli con i «nipotini» migranti

Avvenire
Questa foto, scattata in un piccolo paesino della provincia di Benevento, Campoli del Taburno, sta facendo il giro del web. Nell'immagine tre signore, zia Nicolina, zia Vincenza e zia Maria sono sedute all'aperto e in braccio tengono tre bambini ospiti del centro di accoglienza. 



Lo scatto è stato pubblicata sulla pagina Facebook "Sei di Campoli se...." che è stata inondata di commenti positivi. «Integrazione, accoglienza, bellezza» scrive Orsola, che in poche parole riesce a sintetizzare tutto quello che esprime la foto. 

Poi il ricordo, quasi nostalgico, di uno dei nipoti delle anziane: «Pensare che 37 anni fa ero su quelle stesse gambe – scrive Federico – avvolto dallo stesso sorriso e adesso a km di distanza e con qualche anno in più, sono contentissimo di poter condividere le stesse emozioni con un bambino che non conosco ma che merita tutto e di più, sei bellissima nonna, ovviamente belle e belli i soggetti ritratti».

Migranti, Peschereccio “Accursio Giarratano” - “Salviamo nel nome di mio figlio morto”. Come potremmo voltarci dall'altra parte davanti alla richiesta di aiuto di uomini donne e bambini.

QTS.it
“Noi soccorriamo con tutto il cuore i migranti in difficoltà, e lo facciamo anche come omaggio alla memoria di mio figlio morto”. 




Gaspare Giarratano, 63 anni, ha la voce ferma.

La sua è diventata una missione dopo la morte del figlio.
E’ l’armatore della “Accursio Giarratano”, il motopeschereccio di Sciacca (Agrigento) che ha sospeso le proprie attività di pesca a circa 50 miglia dalla costa di Malta dopo essersi imbattuto in un gommone carico di migranti disidratati e in evidente difficoltà.

Non è la prima volta che a questa imbarcazione, al comando c’è Carlo, l’altro figlio di Gaspare, capita di incontrare sulla propria rotta barconi o piccole imbarcazioni piene di disperati.

Succede spesso, anche perché l'”Accursio Giarratano” è un natante autorizzato alla pesca mediterranea, che può solcare le acque internazionali.

“E tutte le volte noi facciamo il nostro dovere, sbracciandoci e aiutando uomini, donne e bambini, perché è giusto così”, dice orgoglioso l’armatore.

“Mio figlio Accursio – spiega – è morto nel 2002, dopo una lotta lunga due anni contro un male incurabile che lo aveva colpito. Se n’è andato che aveva appena 15 anni, e la nostra barca oggi porta il suo nome”. 

“Come potremmo voltarci dall’altra parte – aggiunge – di fronte alle richieste di aiuto che provengono da esseri umani, che possono essere anche bambini, che magari ci guardano con gli occhi di mio figlio? No, noi li salviamo, e lo facciamo anche pensando al mio ragazzo, perché lui era come noi, e da lassù ci benedice”. 

Intanto, dopo il no opposto alla “Accursio Giarratano” dall’autorità maltese alla disponibilità di un porto sicuro dove fare sbarcare il gommone, nella zona di mare dove il motopeschereccio si è fermato per assistere i migranti, è arrivata la motovedetta cp319 proveniente da Lampedusa, che ha preso in carico i migranti accogliendoli a bordo e riprendendo la propria rotta verso l’isola agrigentina. 

“Adesso ci sentiamo più tranquilli, possiamo tornarcene a casa”, dice il comandante del motopeschereccio Carlo Giarratano.

giovedì 25 luglio 2019

Gli Usa di Trump ripristinano le esecuzioni capitali federali che erano sospese da 16 anni. 5 previste nello Stato dell'Indiana

La Repubblica
L'ultima risale a 16 anni fa. Cinque condanne capitali sono già programmate in Indiana. Il ministro della Giustizia William Barr: "Una decisione che rispetta il nostro Stato di diritto"


Dopo 16 anni riprendono le esecuzioni capitali per le persone condannate dai tribunali federali degli Stati Uniti. Il ministero della giustizia americano ha adottato un nuovo protocollo che prevede iniezioni letali: cinque esecuzioni sono già state programmate e avverranno in una prigione federale dell'Indiana. 

I cinque detenuti condannati a morte, spiega una nota del Dipartimento di Giustizia, sono colpevoli di "orribili omicidi e crimini sessuali". Ognuno di loro, continua la nota, ha esaurito tutte le possibilità di appello.

L'annuncio è stato dato dal ministro della Giustizia statunitense, William Barr, e arriva a seguito dell'invito di Trump ad applicare pene più severe per i crimini violenti, in particolare per i trafficanti di droga e i serial killer. "Il dipartimento della Giustizia sostiene lo Stato di diritto, in rispetto alle vittime e alle loro famiglie dobbiamo applicare la sentenza imposta dal nostro sistema giudiziario", ha detto Barr.

Anche se la pena di morte è legale negli Stati Uniti, il provvedimento si pone in contrasto con le decisioni di diversi Stati che hanno dichiarato illegale la pena di morte o hanno varato delle moratorie. L'ultima esecuzione capitale, riporta l'Huffington Post, ordinata da un tribunale federale americano è avvenuta il 18 marzo 2003.

Naufragio al largo della Libia: si teme una strage con 150 migranti morti

Lettera 43
Almeno 150 persone sarebbero morte in un naufragio al largo della Libia, mentre altre 150 sono state salvate e riportate indietro dalla Guardia costiera di Tripoli. 
La denuncia arriva dall’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che ha ripetutamente chiesto che i migranti salvati non vengano ricondotti in Libia, Paese in guerra che non è considerato un porto sicuro e in cui i diritti umani non sono garantiti.

Ripetuti episodi di razzismo nel Foggiano. 4 aggressioni in pochi giorni a lavoratori immigrati

Avvenire
Quattro aggressioni negli ultimi 10 giorni a Foggia, 9 i ragazzi feriti mentre andavano nei campi L’allarme: «Regia comune». E cresce la paura: «Ci inseguono anche con le auto, vogliono investirci».
Il volto tumefatto del lavoratore
colpito a sassate martedì nel foggiano
Quattro aggressioni a lavoratori immigrati negli ultimi dieci giorni a Foggia. Tutte nella stessa zona, alla stessa ora e con le stesse modalità. E cresce la paura. Feriti nove ragazzi africani, il più grave, colpito a sassate in faccia all’alba di martedì, è ricoverato al reparto di chirurgia maxillofacciale dell’ospedale di San Giovanni Rotondo, per una frattura scomposta orbitozigomatico destra con evidente lesione cutanea ed edema palpebrale.

Dovrà essere operato e dovrà essere fatta la valutazione oculistica, per capire i danni subiti dall’occhio. Sono in tutto tre i giovani colpiti due giorni fa. Non erano insieme. Stavano andando al lavoro in bicicletta nella prima periferia est di Foggia. Ognuno da solo. E sono stati colpiti in momenti diversi anche se ravvicinati. Lungo la stessa strada ma in punti differenti. Segno di un’azione unica e preordinata.

Così come le precedenti. Il 13 luglio due persone vengono colpite alla testa da pietre lanciate da un’auto. Il 15 luglio, con la stessa dinamica, nella stessa area e sempre all’alba, vengono colpite tre persone, tutte sempre colpite alla testa. Il 17 luglio, di nuovo nella medesima zona e alle prime luci del giorno, mentre si reca al lavoro in motorino, un lavoratore viene speronato da un’auto, proprio in mezzo a un incrocio.

Nell’impatto perde un dente e si procura una ferita lacerocontusa al labbro inferiore. Mentre è riverso a terra sente una persona scendere dall’auto e colpire con forza il motorino che viene ulteriormente danneggiato. «Sul posto i carabinieri ci fanno vedere le telecamere. E dicono 'li becchiamo' – racconta Alessandro Verona, referente medico dell’unità migrazione di Intersos Italia, che sta seguendo gli immigrati feriti –. Ma dopo sei giorni arriva la quarta aggressione ».

Il 23 luglio, come detto, tre persone in bicicletta, ognuna in viaggio da sola verso il lavoro, vengono colpite alla testa ad altezze diverse della stessa strada statale. Con un particolare: i tre feriti indicano una macchina nera, piccola. Un vero bersagliamento con pietre tirate in testa. La goccia che fa traboccare il vaso è proprio il ferimento più grave, quello al volto. Il 13 luglio, quando vengono feriti dalle pietre, i primi due ragazzi non vanno subito a denunciare ma poi quando due giorni dopo l’aggressione si ripete, presentano la denuncia con l’aiuto di Flai-Cgil e Asgi.

L’episodio più grave martedì, quando un giovane africano è stato colpito a sassi in faccia: adesso è ricoverato in chirurgia all’ospedale di San Giovanni Rotondo. Gli agenti sulle tracce di una macchina presente durante gli attacchi.

Antonio Maria Mira

Spiragli di dialogo tra Russia e Ucraina. Il premier Zelensky tratta con il Cremlino per uno scambio di prigionieri

La Stampa
Mosca e Kiev tastano il terreno per un possibile scambio di prigionieri. Il neo presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è detto pronto a liberare il giornalista Kirill Vyshinsky in cambio della scarcerazione del regista ucraino Oleg Sentsov da parte del Cremlino. Si tratta di due detenuti d'eccellenza. Sentsov è ormai un simbolo delle persecuzioni di Mosca contro chi si oppone all'annessione russa della Crimea.


Kirill Vyshinsky
Mentre Vyshinsky è considerato dalla Russia un detenuto politico. Ma le trattative di questi giorni hanno riguardato anche i 24 marinai ucraini catturati l'anno scorso dai russi dopo uno scontro nello Stretto di Kerch, nonché centinaia di prigionieri catturati nella guerra del Donbass, dove la Russia appoggia militarmente i separatisti.

Vyshinsky in cambio di Sentsov - Si tratta di colloqui difficili, ma che segnano la ripresa di un dialogo che mancava da tempo. L'11 luglio Putin e Zelensky hanno parlato per la prima volta al telefono e lunedì le responsabili dei diritti umani di Russia e Ucraina si sono incontrate a Kiev alla ricerca di un compromesso. Resta da vedere quali saranno i risultati di queste discussioni. Per il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, scarcerare Vyshinsky sarebbe "un eccellente primo passo".

Oleg Sentsov
Ma Mosca chiede che il giornalista sia liberato a prescindere, e sostiene che lui stesso non voglia assolutamente essere incluso in uno scambio. In ogni caso, si dovrà ancora aspettare e trattare. Ieri il tribunale di Kiev ha infatti prolungato di altri due mesi la custodia in carcere del reporter. Vyshinsky è il capo della sede ucraina dell'agenzia di stampa russa Ria Novosti.

È stato arrestato a Kiev l'anno scorso per "alto tradimento" e rischia fino a 15 anni per aver preso parte - questa è l'accusa che gli viene rivolta - alla "guerra di disinformazione" condotta da Mosca. Il regista ucraino Oleg Sentsov è finito invece in manette nel 2014. Nel 2015 un tribunale militare russo lo ha condannato a 20 anni di reclusione, e ora è dietro le sbarre in un carcere di massima sicurezza oltre il Circolo Polare Artico.

Secondo gli inquirenti, avrebbe tentato di "organizzare atti terroristici" in Crimea. Lui però si dice innocente e denuncia che la confessione gli è stata estorta a suon di percosse. D'altronde sono in molti a pensare che Sentsov in realtà sia stato arrestato solo perché fortemente contrario all'annessione russa della Crimea, la terra in cui è nato. L'anno scorso ha protestato con uno sciopero della fame durato ben cinque mesi: ha perso 20 chili e ha fatto temere seriamente per la sua vita.
Giuseppe Agliastro

mercoledì 24 luglio 2019

Vacanze dei volontari di Sant'Egidio con i profughi di Lesbo e Samos. Una vicinanza concreta per sostenere le migliaia di profughi presenti.

SIR
I 28 Paesi Ue si sono incontrati ieri a Parigi, a livello informale per cercare di affrontare la drammatica situazione dei migranti nei centri di detenzione in Libia e risolvere la questione sbarchi nel Mediterraneo. Ma le rotte migratorie non si fermano davanti ai porti chiusi e le destinazioni cambiano, costringendo le persone ad affrontare viaggi lunghissimi e pericolosi. 


In Grecia, nelle isole di Lesbo e Samos, in questi giorni stanno sbarcando centinaia di persone. La Comunità di Sant'Egidio ha deciso quest'anno di essere presente tutta l'estate: i volontari organizzano cene, pranzi domenicali, gite, corsi di inglese e attività di animazione per i giovani e i bambini.

Mentre i 28 Paesi europei cercano soluzioni alla situazione in Libia e nel Mediterraneo, gli sbarchi non si fermano nelle isole greche di Lesbo e Samos, nel mar Egeo, dove la situazione è drammatica ed esplosiva da tempo. 

In questo periodo a Lesbo arrivano ogni giorno, dalle coste turche, 100/150 persone, e non solo afghani e siriani, le prime due nazionalità presenti nei campi ufficiali e negli insediamenti informali. 

Molti provengono anche dall’Africa sub-sahariana, dal Congo, dal Camerun, dalla Somalia, perfino dallo Yemen, segno che le rotte sono cambiate e le persone, disperate, sono disposte a fare viaggi lunghissimi e ancora più pericolosi. 

Nell’isola di Lesbo sono già presenti oltre 7.000 donne, uomini e bambini migranti, fermi per mesi e mesi in attesa che la loro domanda di asilo venga presa in considerazione. Sono accolti nell’affollatissimo hot spot di Moria (oltre 5.000 persone ma la capienza è di 2.200 posti) e nel campo di Kara Tepe, destinato principalmente agli africani. Il centro di identificazione di Moria è gestito dal governo greco con l’aiuto dell’esercito, ma tanti servizi sono delegati alle Ong. 

Moltissime persone sono invece costrette a vivere in baracche malsane o tende in insediamenti informali, fuori dai campi. Tutti in condizioni disagiate e difficili, con i servizi ridotti all’essenziale: code lunghissime per mangiare cibi precotti, toilette disagevoli, le docce con acqua calda una rarità. Il volontariato e l’associazionismo cercano, come possono, di alleviare le carenze. 

Tra le realtà locali e internazionali presenti a Lesbo e Samos, ora anche la Comunità di Sant’Egidio ha deciso di puntare l’attenzione sull’emergenza dimenticata nelle isole greche. 
Dal 20 luglio e fino al 31 agosto, 150 volontari, a turni di dieci giorni, insieme ad un gruppo di mediatori culturali, trascorreranno le loro vacanze insieme ai profughi. 

I volontari stanno organizzando cene, feste e pranzi domenicali in parrocchia, gite, corsi di inglese e apriranno laboratori artistici, musicali, con attività di animazione per i bambini, le mamme, i giovani presenti. L’obiettivo è cercare di riportare la speranza tra chi si trova in una sorta di limbo dopo essere fuggito da guerre, persecuzioni o condizioni di vita insostenibili.

Priorità al cibo. Attualmente ci sono 23 volontari a Lesbo e 10 a Samos. Affittano appartamenti o stanze e si appoggiano a sedi di associazioni locali o alle parrocchie per realizzare le loro iniziative. 

“Abbiamo scelto di dedicare le nostre vacanze ai profughi per dare un segnale – racconta al Sir da Lesbo Valeria Guterres, volontaria della Comunità di Sant’Egidio -. Questa è la prima settimana, tante attività sono ancora da predisporre, ma abbiamo già iniziato ad organizzare ogni sera, dal lunedì al venerdi, una cena, seduti al tavolo, per circa 200 persone. Li facciamo mangiare e bere bene”.

Siria - Unicef: 49.000 bambini altamente vulnerabili, sopravvissuti ad atrocità e combattimenti, chiusi nel campo di Al-Hol. Urge intervento umanitario.

Roma Sette
L’Unicef chiede a tutte le parti in conflitto in Siria di «facilitare un accesso umanitario incondizionato ovunque», per raggiungere ogni piccolo in difficoltà


Assumersi «piena responsabilità» per il reintegro dei bambini nelle comunità locali e per un «rimpatrio sicuro» nelle loro terre e facilitare un «accesso umanitario incondizionato, all’interno di Al-Hol e ovunque in Siria, per raggiungere ogni bambino che abbia bisogno di aiuto, ovunque esso sia».
 

Sono le richiesta rivolte nella giornata di ieri, 17 luglio, dall’Unicef a «tutte le parti in conflitto in Siria». Nel nordest del paese, denunciano dall’organismo internazionale, almeno 70mila persone vivono nel campo di Al-Hol; si stima che più del 90% di loro siano donne e bambini. Tra i bambini, circa 20mila sono siriani. I restanti 29mila provengono da 62 Paesi diversi, compresi 9mila dall’Iraq. La maggior parte ha meno di 12 anni. Questi bambini sono altamente vulnerabili, sono sopravvissuti a duri combattimenti e hanno visto inimmaginabili atrocità».

L’Unicef accende i riflettori sulla «difficile situazione umanitaria» che questi piccoli affrontano, «per molti ulteriormente aggravata dall’aver subito recenti esperienze di abuso o dall’essere stati costretti a combattere o a compiere atti di violenza estrema. Questi – si legge nella nota diffusa ieri – sono solo una parte di un più ampio gruppo di bambini presumibilmente associati al conflitto armato, bloccati nei campi, in centri di detenzione e orfanotrofi in Siria, soprattutto nel nordest. Molti, anche di 12 anni, sarebbero stati detenuti. Nella provincia di Idlib, nel nordovest del Paese, circa 1 milione di bambini sono stati intrappolati per mesi e mesi nel mezzo di pesanti combattimenti. Il loro destino e il loro futuro sono in bilico».

Entrando nello specifico del campo di Al-Hol, il rappresentante Unicef in Siria Fran Equiza, di ritorno da una missione sul luogo, racconta di «migliaia di ragazzi e ragazze che non hanno mai avuto la possibilità di essere soltanto dei bambini. Questi sono bambini! Meritano di ricevere cure, protezione, attenzione e servizi a i massimi livelli». Al contrario, «dopo anni di violenze, non sono desiderati, sono stigmatizzati dalle loro comunità locali o evitati dai loro governi». Per loro, e non solo, ogni giorno l’Unicef e i suoi partner forniscono circa 1,7 milioni di litri di acqua potabile e 750mila litri di acqua per uso domestico. Ma il consumo di acqua in estate cresce e dall’Unicef avvertono: sarà una sfida continuare a garantire quantità sufficienti di acqua. Di qui la richiesta di «9 milioni di dollari per continuare a fornire assistenza e supporto ai bambini e alle famiglie nei campi e ampliare le operazioni per rispondere ai loro bisogni».

Roma - Sgombero di Primavalle - Il bambino con i libri. Foto simbolo del futuro rubato ai bambini più fragili

Linkiesta
Guardatela sino a stamparvela nella testa, la foto del bambino sgomberato, che se ne va con una pila di libri in mano. È lo specchio dell’Italia di oggi, che odia la cultura, se la prende coi più deboli e ha distrutto ogni ascensore sociale.

ANSA/Massimo Percossi

Non serve FaceApp per vedere come sarà l’Italia da vecchia. Basta una fotografia, quella scattata da Massimo Percossi dell’Ansa durante lo sgombero dell’ex istituto agrario di via Cardinal Capranica, a Roma, nel quartiere di Primavalle

La foto la conoscete, l’avrete vista centomila volta, solo ieri, ma dovreste continuare a guardarla fino a stamparvela nel cervello: ritrae un bambino di sette, otto anni appena, che esce dall’edificio occupato reggendo una pila di libri tra le mani, sotto lo sguardo di un poliziotto. 

Quel bambino è tra gli 80 e più minori che abitavano lì, che frequentavano la scuola del quartiere, che pur in una situazione di illegalità - di cui non aveva responsabilità né colpa - aveva trovato un suo posto nel mondo, un futuro possibile fatto di sapere e cultura.

Non sono un vezzo, quei libri, per il bambino di Primavalle. Sono l’unica possibilità di salvezza, l’unica via per emanciparsi dall’indigenza e dalla marginalità. L’unica legale, perlomeno. 

E lo sono anche per noi, quei libri nelle mani di quel bambino: l’unica speranza di ridare vita a un Paese morto, di far ripartire quell’ascensore sociale che è precondizione di ogni crescita e di ogni benessere, l’unica strada per costruire un po’ di futuro, anziché subirlo. 

E che il bambino abbia tratti somatici da italiano autoctono o da italiano di seconda generazione, o da straniero, sinceramente non ci interessa nulla: per noi è solo un bambino coi libri, il bene più prezioso che abbiamo, cui viene impedito di studiare.

Fonte: Likiesta

martedì 23 luglio 2019

Italia assente! Non vuole risolvere il problema migranti, ma l'Europa trova un'intesa con 14 paesi disposti ad accogliere i salvati in mare.

La Stampa
Al vertice di Parigi Macron porta a casa l’adesione di 14 Stati al principio per cui i profughi vanno redistribuiti. Salvini da Roma: è stato un flop
Parigi. Attacca il ministro dell'Interno Matteo Salvini, assente “ingiustificato” alla riunione informale di Parigi sui migranti e raccoglie l'adesione di 14 Stati Ue ad un “meccanismo di solidarietà” per ripartire le persone salvate in mare, con un'indicazione indigesta per il titolare del Viminale: lo sbarco deve avvenire nel porto più vicino. 

Il presidente francese Emmanuel Macron illustra la sua soluzione sul dossier migranti, aprendo ad un nuovo scontro con l'Italia. La replica di Salvini? La riunione “è stata un flop” e “noi non prendiamo ordini da Macron”.

Le posizioni erano cristallizzate: da una parte l'asse Parigi-Berlino con una bozza di documento che apriva alla redistribuzione tra i Paesi europei dei migranti soccorsi, fermo restando che questi ultimi devono sbarcare nel “porto più vicino”. 

Dall'altra Italia e Malta, i “porti più vicini” per eccellenza. Così Salvini ha disertato l'appuntamento di oggi nella capitale francese, inviando una delegazione tecnica del Viminale con il preciso mandato di affondare i tentativi di arrivare ad un documento condiviso.

Alla fine Macron deplora gli assenti (“non si guadagna ma nulla non partecipando”) e porta a casa l'accordo di 14 Stati “volontari”, pronti a ripartirsi in modo sistematico i migranti soccorsi in mare, senza dover avviare ogni volta complesse trattative dopo il salvataggio. 

Resta però fermo, ha sottolineato il presidente, che “quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vicino. E' una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità”. Non ci sta, ovviamente, Salvini.

lunedì 22 luglio 2019

Rifugiati - Sono partiti nelle isole di Lesbo e Samos 150 volontari di Sant'Egidio. Vacanza solidale fino al 31 agosto con le migliaia di profughi.

santegidio.org
Fino al 31 agosto 150 italiani, a turno, animeranno numerose attività per gli stranieri che, in migliaia nei campi profughi, vivono una lunghissima attesa dell’asilo politico.


Dal 20 luglio, fino al 31 agosto, 150 volontari, giovani e adulti della Comunità di Sant’Egidio, insieme ad un gruppo di mediatori culturali, passeranno, a turno, la loro vacanza insieme ai profughi di Lesbos e Samos. 

La scelta - che rientra in un più ampio programma di estate all’insegna della solidarietà #santegidiosummer – è dettata dalla situazione che si è venuta a creare nelle due isole greche, dove si possono attendere tempi molto lunghi prima di avere una risposta alla domanda di asilo politico.

I volontari terranno corsi di inglese e apriranno laboratori con diverse attività, animazione per i numerosi bambini e giovani presenti, feste e scambi culturali. L’obiettivo è quello di mantenere viva la speranza per chi è fuggito dalle guerre o da condizioni di vita insostenibili nel proprio Paese ed ora si ritrova in una sorta di “limbo” che porta soprattutto i giovani alla perdita di fiducia nel futuro.

A Lesbos, dove attualmente sono presenti oltre 7.000 profughi, la nazionalità più rappresentata è quella afgana mentre a Samos, che registra più di 5.000 presenze è giunto anche un buon numero dall'Africa subsahariana. Molti i minori e i giovanissimi che sognano una vita migliore.

Fonte: santegidio.org

Gli Usa stanno sprofondando nell'assurdo, si arrestano suore e preti che pregano per i bimbi migranti

Avvenire
Anche una religiosa 90enne tra i 70 fermati al Senato: «Immorale il nostro sistema contro gli immigrati». La protesta contro i centri di detenzione in cui vengono costretti anche i più piccoli.



Arrestati per aver pregato all’interno del Senato americano, riuniti per opporsi al trattamento inumano inflitto dall’Amministrazione Trump ai bambini immigrati al confine meridionale degli Stati Uni
ti.

Suore – una di queste, Pat Murphy, che portava la foto di un bambino di 8 anni morto mentre si trovava in un centro di detenzione – frati, sacerdoti e alcuni laici, portati via dalla polizia del Campidoglio e rilasciati solo in serata, dopo essere stati schedati e rinviati all’autorità giudiziaria con l’accusa di intralcio di uno spazio pubblico, precisamente il pavimento dell’ingresso del Senato, dove si erano sdraiati, formando una croce, per recitare il Rosario.

C’è anche una suora 90enne tra le circa 70 persone (molti, oltre ai laici, i sacerdoti e le religiose) arrestate giovedì a Washington nel corso di una protesta contro le politiche anti-immigrazione dell’Amministrazione Trump. Suor Pat Murphy, 90 anni, si era recata nella capitale federale proveniente da Chicago insieme alle sue consorelle, le Sorelle della Misericordia.
Secondo la religiosa, la situazione nei centri di detenzione degli immigrati è “immorale”: “Queste persone sono fratelli e sorelle e sono parte della famiglia umana”, ha sottolineato, aggiungendo che ciò che sta accadendo al confine con il Messico è “una situazione abominevole”. Suor Pat Murphy, entrata a far parte delle Suore della Misericordia 71 anni fa, ha aggiunto che gli immigrati “vengono puniti perché il sistema dell’immigrazione non funziona, non esiste”.
[...]
Alcuni dei partecipanti alla dimostrazione avevano poster che mostravano bambini deceduti dal 2018 mentre si trovavano sotto custodia federale, altri si erano sdraiati sul pavimento formando con i loro corpi una croce. William Critchley-Menor, giovane studente gesuita di St. Louis, ha sottolineato: “Siamo qui perché il trattamento che i migranti stanno ricevendo è completamente incompatibile e contrario al messaggio di Gesù Cristo e della Chiesa cattolica”.

Perché la protesta?
A fare scattare la protesta, le martellanti notizie delle condizioni agghiaccianti subite da minori rinchiusi in celle di metallo alla frontiera fra Stati Uniti e Messico che sono emerse negli ultimi giorni. 

Un gruppo di avvocati è riuscito a dare voce ai rapporti inquietanti comparsi nelle ultime settimane sulla vita nei centri per immigrati irregolari, registrando le testimonianze o raccogliendo letterine scritte a mano di bambini ammassati senza i genitori in prigioni non costruite per accogliere famiglie. 

Storie di notti passate sul freddo cemento di una cella, a decine in pochi metri quadri, senza materassini o coperte. Racconti di panini freddi o di scatolette di carne senza frutta o verdura fresca o latticini mangiati per giorni, fino ad avere la bocca piena di piaghe. Descrizioni di pochi minuti di aria fresca in un cortile recintato ogni due o tre giorni, senza possibilità di correre o giocare. E il trauma della separazione dai propri cari unito al costante terrore delle guardie, note per chiudere a chiave in stanze punitive i piccoli che piangono, urlano o chiedono di poter vedere i genitori.

I religiosi portavano cartelli con messaggi chiari: «Rispettiamo i bambini: mettiamo fine alla detenzione infantile», e richieste esplicite: «Il Congresso deve smettere di finanziare questi centri, e l’Amministrazione deve interrompere queste pratiche atroci».

Paolo M. Alfieri ed Elena Molinari, New York

domenica 21 luglio 2019

Prima gli italiani ma ... Gli anziani italiani non si curano più. Terapie costose e tempi lunghi.

Avvenire
Tempi troppo lunghi di attesa per accedere alle prestazioni, visite specialistiche e ticket sanitari costosi, mancanza di strutture ambulatoriali e carenza di medici nel territorio. 


Roberto Messina, FederAnziani: «L’allarme c’è: l'età media sale e i soldi pubblici non sono sufficienti, i cittadini si sono stancati, governo e parlamento devono intervenire»

Aumentano, in Italia, gli ultrasessantacinquenni che, scoraggiati dalle difficoltà, rinunciano a curarsi o a sottoporsi ad accertamenti clinici: sarebbero circa 3 milioni e 200mila (su 4 milioni di malati cronici) secondo il Rapporto OsservaSalute 2018. 

Un fenomeno, peraltro, che cresce durante l’estate, per il caldo che impedisce agli anziani di uscire di casa anche nel caso di malesseri per i quali dovrebbero rivolgersi al pronto soccorso o andare dal medico di famiglia.

«Si tratta di un’emergenza – denuncia Roberto Messina, presidente di Senior Italia FederAnziani – causata soprattutto dalle scelte di Stato e Regioni che devono di contenere i costi della sanità e quindi limitano i servizi ma determinate anche da un complesso sistema di accesso alle prestazioni e ai piani terapeutici individuali. Le procedure amministrative previste sono spesso complicate e così, più di un quinto dei malati cronici – prosegue Messina – abbandona la cura senza rendersi conto che gli effetti negativi sulla propria salute, nella maggior parte dei casi, non sono immediati ma possono comparire anche dopo molto tempo».

Ma cosa accade, in concreto? «Che un diabetico, per esempio, non prenda più le sue compressine perché costano o perché è difficile ottenere la prescrizione del medico: subito non avrà sintomi ma si sentirà male dopo sei mesi...». Sapere di dover attendere anche un anno per una tac e una scintigrafia, è un altro fattore che induce a... lasciar perdere. Il numero dei medici, ospedalieri e di base, poi, è insufficiente. Quali provvedimenti sono necessari, allora? «La prima cosa da fare – dice il presidente di FederAnziani – è diminuire le liste d’attesa attraverso l’aumento del numero di ore sul territorio degli ambulatori specializzati portandoli al massimale orario di 38 ore settimanali e istituendo nuovi turni per le branche critiche».

Una soluzione prospettata anche dal Sumai (sindacato che rappresenta il 90% dei medici specialisti italiani), il quale, attraverso il segretario generale Antonio Magi, auspica anche l’aumento delle borse di studio nelle specialità carenti come medicina d’urgenza, radiologia, anestesia, chirurgia, ginecologia, ortopedia. Manca una rete di assistenza socio-sanitaria adeguata, «ormai è improcrastinabile il potenziamento delle strutture territoriali – aggiunge Magi – dopo anni di depauperamento dei servizi, che sta costringendo i cittadini a rinunciare alle cure o a rivolgersi in maniera inappropriata al pronto soccorso». E, ancora, i farmaci: non tutti quelli che servono a un malato cronico (quindi soprattutto “over 65”) sono mutuabili: costano e non sempre sono reperibili.

Le proiezioni dell’Osservatorio sulla salute indicano peraltro che nel 2028 il numero di malati cronici salirà a oltre 25 milioni (più dell’80% dei quali sopra i 65 anni). La patologia più frequente sarà l’ipertensione, con quasi 12 milioni di persone affette mentre l’artrosi/artrite interesserà quasi 11 milioni di italiani: per entrambe le patologie si stima già la presenza di oltre 1 milione di malati in più nel 2018 rispetto all’anno precedente. Tra 10 anni gli italiani affetti da osteoporosi, invece, saranno circa 5,3 milioni (+500 mila) e i diabetici saranno oltre 3,6 milioni, i cardiopatici circa 2,7 milioni. 

Un “esercito” al quale bisogna cominciare a pensare subito con iniziative concrete. «L’allarme c’è: gli anziani aumentano e i soldi pubblici non sono sufficienti, i cittadini si sono stancati – commenta Messina –, governo e parlamento devono intervenire».

Fulvio Fulvi

Fonte: Avvenire

Una tonnellata e mezza di cocomeri: così #santegidiosummer è entrata nelle carceri romane incontrando 1.500 detenuti

santegidio.org
Una tonnellata e mezza di cocomeri, ed il caldo diventa festa. Nelle carceri romane Sant'Egidio, con l'aiuto del CAR (Centro Agroalimentare Romano), ha dato vita ad una specie di festosa "maratona" estiva: il 15 luglio a Rebibbia Femminile, il 17 e 18 a Regina Coeli e il 18 e 19 a Rebibbia Nuovo Complesso, circa 1500 detenuti e detenute hanno potuto godere di un momento di festa, giochi, canzoni e...cocomero freschissimo. 
Foto credit Mimmo Frassineti/AGF
Un modo di spezzare il caldo e la sensazione di essere dimenticati, che nel periodo estivo diventa più acuta. L'estate insieme al caldo porta la rarefazione di attività e visite, e per chi è in carcere è un momento di particolare tristezza. 

Con i cocomeri - dono del Centro Agroalimentare Romano, portati a destinazione nei tre diversi carceri con i camion refrigerati - arrivano gli amici di tutto l'anno e questo è già un ristoro: "Noi qui siamo rassegnati, poi arrivate voi con questo cocomero così fresco e dolce..."
Foto credit Mimmo Frassineti/AGF
Anche i detenuti delle sezioni di isolamento a Regina Coeli e a Rebibbia, o nelle sezioni per i malati, hanno ricevuto il cocomero nelle celle. Uno di loro, affacciandosi allo spioncino, spiega bene il senso di questa iniziativa: “Il cocomero è buono, ma la cosa più bella è che vi siete ricordati di noi. Grazie!” 

Gli stessi detenuti sono stati coinvolti nella preparazione e nella distribuzione, che ha visto coinvolti nella festa anche il personale della polizia penitenziaria.

Andrea Riccardi: "La Libia approdo sicuro? Tra guerra e lager è un inferno" - "Apriamo corridoi umanitari, si salverebbero migliaia di persone e, con essi, l'onore del Paese"

Andrea Riccardi, il blog
Non lontano da noi ci sono 200 mila persone allo stremo. Apriamo corridoi umanitari insieme ad altri Paesi Ue
Frans Francken il Giovane, La parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro 
Più volte abbiamo parlato del dramma dei rifugiati e migranti in Libia: specie nei campi di detenzione ufficiali e in quelli "privati" dei vari signori della guerra e delle mafie. Abbiamo sempre auspicato l'apertura di corridoi umanitari per salvarli. 

Il recente bombardamento aereo del generale Haftar su un campo di profughi ha provocato quaranta morti. Come si può parlare della Libia come di una terra che offre garanzie di vivibilità e di porti sicuri? Come restare indifferenti? 

Papa Francesco, in un recente Angelus, si è così espresso dopo la morte dei quaranta profughi: «La comunità internazionale non può tollerare fatti così gravi. Prego per le vittime... Auspico che siano organizzati in modo esteso e concertato i corridoi umanitari per i migranti più bisognosi».

Se non si muoverà qualcosa, gli europei saranno accusati di aver abbandonato i profughi in un "inferno" come la Libia. Perché questa è la Libia di oggi. Basta pensare ai campi "irregolari", dove la gente vive in condizioni disumane: si muore per malattia, denutrizione, mentre i maltrattamenti e le torture sono all'ordine del giorno. 

Nei campi ci sono circa 20 mila persone. Papa Francesco, tempo fa, parlò di questi luoghi come "lager". Ci fu chi si scandalizzò, ma la realtà documentata di alcuni di essi lo conferma. I rifugiati in Libia sono presi nella morsa di una guerra tra leader in lotta con le loro milizie, tra mafie d`ogni genere, terroristi. 

Chi riesce a fuggire in mare ha oggi meno possibilità di salvarsi di ieri. Nel 2018 c'è stato un morto nel Mediterraneo su 14 che hanno compiuto il viaggio (nel 2017 il rapporto fu di uno su 38). Non si può abbandonare questa gente. 

In Italia si è creata una visione deformata della realtà. Non siamo invasi! Nei primi mesi del 2019, la Grecia ha ricevuto 17 mila rifugiati e la Spagna 12.500. Più di 1.000 sono stati accolti dalla piccola Malta (450 mila abitanti, poco più di Bologna). L`Italia ha ricevuto 2.400 persone. Sono i dati dell`Agenzia dell`Onu per i rifugiati. Eppure, a ogni sbarco in Italia, c'è un polverone mediatico, tanto che sembra siamo sulla soglia dell`invasione dal Sud.

Proviamo a ragionare responsabilmente. Assumiamo uno sguardo umano ed equilibrato, non emozionale: non solo nella prospettiva italiana, ma anche in quella di chi languisce a 500 chilometri dalle nostre coste. Ci sono 200 mila persone in gravissima difficoltà. 

Aprire corridoi umanitari significa che, a scaglioni e nel tempo, partendo dai fragili, si potrebbe liberare questa gente da una condizione impossibile, facendoli venire in Europa. L`Italia potrebbe stimolare accordi bilateri con Paesi europei che, come Francia, Belgio, Germania, Portogallo, praticano le ammissioni umanitarie.

Si salverebbero queste persone e, con essi, l'onore del Paese. Per noi cristiani, restare indifferenti ricorda l`atteggiamento del "ricco epulone" che banchettava lautamente, mentre il povero Lazzaro giaceva alla porta, affamato, coperto di piaghe e tra i cani. Sì, perché i rifugiati sono alla nostra porta! 

Non possiamo guardare solo a noi stessi. Non lo abbiamo fatto anche quando eravamo più poveri. Guardiamo oltre la nostra porta con meno paura!

Andrea Riccardi

sabato 20 luglio 2019

Carola Rackete è libera e torna in Germania. Adesso sotto la lente dei magistrati funzionari di ministeri Trasporti e Interno

The Social Post
Non è stata espulsa ma è tornata in Germania da donna libera, dopo 4 ore di interrogatorio nella Procura di Agrigento, avvenuto ieri. 


Carola Rackete ora “si riposerà un po’“, come ha fatto sapere la ong tedesca Sea Watch. Intanto, rivela Avvenire, sotto la lente dei magistrati finiscono i funzionari dei ministeri dei Trasporti e dell’Interno per la loro reiterata richiesta di portare i migranti soccorsi il 29 giugno in Libia.

Carola Rackete è tornata in Germania
Non è stata resa nota la destinazione della capitana Carola Rackete per questioni di sicurezza, ma è probabile sia tornata in Germania. Né è stata attuata l’espulsione ventilata dal ministro Matteo Salvini, dato che la donna ha libertà di movimento. Rackete è indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ed è stata ascoltata per diverse ore dal pa Salvatore Vella e dai pm Cecilia Baravelli e Alessandra Russo.

Salvini aveva scritto sui social: “L’eroina della sinistra è stata interrogata per quattro ore… Ci sarà un giudice che almeno stavolta farà rispettare le leggi, la sicurezza e la dignità del nostro Paese? Io non vedo l’ora di espellere questa comunista tedesca e rimandarla a casa sua“. Speranza sfumata, e la situazione potrebbe aggravarsi dato che le indagini starebbero prendendo un’altra direzione.
Irregolarità nel comportamento dei funzionari italiani?
La testata Avvenire fa sapere, riportando fonti della Procura, che le indagini stanno confluendo verso l’atteggiamento delle autorità italiane. La richiesta più volte reiterata di riportare i migranti in Libia contrasterebbe con le indicazioni del governo italiano e degli organismi internazionale che lo hanno riconosciuto come un porto non sicuro. A questo proposito potrebbero essere sentiti funzionari del ministero dell’Interno che avrebbero indirizzato la Guardia Costiera libica.

La Procura deve ora attendere la pronuncia della Cassazione sulla mancata convalida dell’arresto per resistenza a pubblico ufficiale e resistenza e violenza a nave da guerra.

Italia - Di carcere si muore: 25 suicidi nel 2019 tra i detenuti, 7 tra gli agenti. Tragica realtà che rileva il profondo disagio che si vive nei luoghi di pena.

Il Dubbio
Continua la macabra conta delle vittime negli istituti penitenziari italiane. Drammatica la situzione in Campania. Il garante: «solo 95 educatori per 15 carceri ( 7.832 persone), 32 psicologi e 16 psichiatri»


Di cella si muore. Il carcere continua a mietere vittime, detenuti ma anche agenti penitenziari. Una escalation senza fine quella dei suicidi. L’ultimo, in ordine cronologico, è avvenuto nel carcere campano di Secondigliano.

Domenica pomeriggio, Giovanni Pontillo, un 59enne di Capodrise ( CE), si è impiccato nella sua cella del carcere napoletano. Era detenuto nel reparto Ionio, alta sicurezza del carcere, dove stava scontando una condanna in primo grado a 20 anni per spaccio internazionale di droga e associazione a delinquere.

È il quinto suicidio in un carcere in Campania dall’inizio dell’anno, gli altri erano avvenuti nel carcere superaffollato di Poggioreale, al centro di una recente rivolta.

La denuncia del Garante. Il Garante dei Detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, ha denunciato la carenza di personale adatto a occuparsi della salute mentale dei reclusi negli istituti detentivi della regione: «Ogni carcere, anche Secondigliano, ha avuto approvato e validato dall’Osservatorio regionale della sanità il Protocollo di prevenzione del rischio suicidario in istituto. Ma mancano le figure sociali di psicologi ed educatori: 95 educatori per 15 Istituti penitenziari ( 7832 detenuti), 32 psicologi e 16 psichiatri, per complessive 1428 ore mensili. In media ogni mese queste figure sociali dedicano ad ogni detenuto 10/ 11 minuti. E adesso gli psicologi devono stare anche nei consigli di disciplina», spiega il Garante. «Non si può morire in carcere e di carcere», prosegue Ciambriello.

«Ogni morte violenta è un’offesa alla vita, al buon senso, alla Costituzione ed un invito, un desiderio di saperne di più sulla vita detentiva, ma anche il coraggio di dubitare delle proprie credenze in merito al carcere». Il penultimo suicidio, invece, è avvenuto nel carcere di Ferrara. Il detenuto, come accade troppo spesso, aveva problemi psichiatrici e l’ 11 luglio si è impiccato.

La strage. Con l’ennesimo recente suicidio, siamo giunti a 25 persone che si sono tolte la vita dall’inizio dell’anno. Parliamo di una macabra conta senza fine, una lunga lista funebre.

L’istituto penitenziario è come un luogo pieno di cappelle mortuarie e infatti le celle, tecnicamente, vengono anche chiamate “cubicoli”. D’altronde la parola “carcere” deriva anche dall’ebraico “carcar” che vuol dire, appunto, “tumulazione”.

Il tema dei suicidi in carcere rimane di estrema attualità. Secondo un vecchio studio del Consiglio d’Europa, in Italia il rischio di suicidio in carcere era risultato fra i più elevati.

Non solo, mentre fra la popolazione libera negli ultimi 20 anni i tassi di suicidio diminuiscono progressivamente, ciò non accade in carcere. Diversi sono i fattori e in diverse Regioni le direzioni del carcere e le Asl hanno aderito a un protocollo di intesa per prevenire i suicidi e gli atti di autolesionismo. Ma non appare sufficiente.

Molte sono le situazioni – basti pensare ai detenuti con problemi psichici – che a buon titolo possono essere comprese nel concetto di vulnerabilità: lo stesso numero dei suicidi viene considerato per certi aspetti un indicatore, così come lo sono i tantissimi casi di autolesionismo registrati.

Anche gli agenti tra le vittime. Ma il sistema penitenziario non risparmia nemmeno gli agenti. Tra il 1997 e il 2018 sono 143 coloro che si sono tolti la vita ( dati registrati da Ristretti Orizzonti), già sette i casi registrati nel 2019.

L’ultimo il 10 luglio: un agente in servizio alla Casa circondariale di Bologna si è ucciso nella sua casa in Abruzzo, aveva 35 anni. Ad aprile un altro, sempre a Bologna. A giugno un agente originario di Sassari che, da anni, lavorava a Vigevano si era ucciso mentre era in ferie in Sardegna.

«Il carcere è un contenitore di disagio sociale e noi siamo dall’altra parte, disarmati, senza strumenti per affrontarlo», dice amaramente Nicola D’Amore, delegato del Sinappe, il Sindacato nazionale autonomo di Polizia penitenziaria, di stanza alla Casal circondariale di Bologna.

Damiano Aliprandi

Fonte: Il Dubbio

venerdì 19 luglio 2019

Migranti - Nuovo governo in Grecia - Ministro del Lavoro Vroutsis blocca accesso alla Sanità per gli immigrati. Criticato per scelta 'razzista ed inumana'

ANSAmed
Il nuovo ministro del Lavoro greco, Yiannis Vroutsis, ha come primo atto bloccato una legge passata solo poche settimane fa dal governo di sinistra di Alexis Tsipras, che garantiva accesso al sistema sanitario nazionale e ad altri servizi pubblici a tutti gli stranieri extracomunitari (compresi i rifugiati), senza eccezione. 

Yiannis Vroutsis
La mossa del governo di destra guidato da Kyriakos Mitsotakis ha scatenato dure polemiche, con il Movimento contro la minaccia razzista e fascista (Keerfa) che parla di "misura razzista, senza cuore e disumana contro persone che arrivano in Grecia per sfuggire alla morte. Questa disumanità è diretta contro i diritti di poveri, disabili, donne e rifugiati, dal momento che impedisce loro il libero accesso a ospedali pubblici, scuole e servizi pubblici". 

"Con questa mossa, il governo di Nea Dimokratia attacca il movimento di solidarietà che è stato appoggiato dalla maggioranza dei greci a partire dal 2015. Chiediamo che venga revocata questa decisione razzista e che sia ristabilito il libero accesso per tutti ad ospedali, scuole e servizi, senza eccezione", continua la nota. Molte altre ngo si sono unite alla protesta.

Vroutsis ha annunciato la sua decisione con un tweet, affermando che la decisione del governo Tsipras era "lacunosa e contraria alla legge", aggiungendo: "Il nostro paese non è una vigna senza recinto!". Vroutsis non è nuovo alle controversie. 

Già ministro del Lavoro col premier Antonis Samaras (2013-2015), fu oggetto di dure critiche quando durante il suo periodo al ministero la disoccupazione toccò il 28%.

«Migranti rinchiusi nei container al confine in Francia»: 19mila persone respinte e rimandate in Italia nell’ultimo anno.

Open
L’Ong ha chiesto al relatore speciale Onu di recarsi sul posto «per constatare i gravi oltraggi ai diritti delle persone perpetrati dalle autorità francesi»
«Ogni notte, al posto di frontiera di Mentone (in Francia, ndr), delle persone vengono rinchiuse nei container», questa la denuncia pubblicata su Twitterdall’Ong Medecins du Monde che ha già allertato la procura di Nizza.


Cosa succede in Francia: i dati
A fine giugno 2019 sono state depositate 13 segnalazioni presso la Procura di Nizza. Tutte riguardano la privazione illegale di libertà di cui sarebbero state oggetto delle persone nella fase precedente al loro respingimento in Italia.

Negli ultimi 12 mesi 18.125 persone sono state respinte alla frontiera di Ventimiglia dalla polizia francese. La maggioranza provenienti da Nigeria, Mali, Costa d’Avorio, Guinea e Algeria.

Numeri che si aggiungono a quelli espulsi a causa del Trattato di Dublino e riaccompagnati a Bardonecchia o fatti volare dall’Austria, Olanda e Germania di nuovo in Italia.

I dati, come riporta il Fatto Quotidiano, vengono dal Ministero dell’Interno. Il quotidiano è riuscito a ottenerli grazie alla richiesta dell’avvocato Alessandra Ballerini impegnata nell’Associazione Diritti e Frontiere.

Da gennaio a giugno sono stati respinte al confine francese 8.200 persone. Un numero elevato che si ricollega ai problemi derivanti dalla convenzione di Dublino che prevede che la verifica delle procedure d’asilo vengano fatto nel Paese di primo arrivo. Una procedura su cui il vicepremier Salvini è intrevenuto aspramente molte volte, senza mai, però, partecipare ai tavoli europei per modificarne i contenuti.

Ma dal 2014 lo Stato italiano avrebbe incassato 200 milioni dalla Commissione per far fronte alle spese di protezione internazionale, a cui si aggiungono i 653,7 milioni di euro assegnati nell’ambito del Fondo Asilo (AMIF) e del Fondo sicurezza interna (ISF).
I container
«In effetti, ogni sera – prosegue Medecins du Monde nel testo sottoscritto da altre Ong come Amnesty International e Caritas France – degli individui vengono rinchiusi per tutta la notte, in moduli “Algeco” adiacenti al posto di polizia situato al confine di Mentone. Questi moduli sono container di 15 m, sprovvisti di letti, in cui possono essere trattenute decine di persone simultaneamente, private di cibo, per una durata di tempo che supera ampiamente le quattro ragionevoli ore di privazione di libertà consentite dal Consiglio di Stato».

Anche dei minori sarebbero stati «regolarmente rinchiusi insieme agli adulti e le donne non vengono sempre separate dagli uomini» fanno sapere dall’Ong.

L’appello al relatore speciale Onu
Anche se al momento non si sono osservati «cambiamenti nelle procedure amministrative e di polizia», le Ong chiedono di includere i 13 nuovi casi nell’inchiesta giudiziaria.

Infine l’invito al relatore speciale Onu, Felipe Gonzalez Morales, affinché possa recarsi il prima possibile sul posto «per constatare i gravi oltraggi ai diritti delle persone esiliate perpetrati dalle autorità francesi» e «formulare le opportune raccomandazioni che, speriamo, facciano finalmente rispettare i diritti al confine franco-italiano».

Fabio Giuffrida

Fonte: Open

Giovani per la Pace “A Global Friendship to live Together in Peace” - 1.000 studenti da 16 Paesi europei ad Auschwitz per dire "NO" ad ogni forma di razzismo

Avvenire
A 80 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, all'incontro in Polonia parteciperanno ragazzi provenienti da 16 diversi Paesi europei.


Arrivano da 16 diversi Paesi europei i mille giovani che saranno a Cracovia, in Polonia, dal 19 al 21 luglio per partecipare all’incontro “A Global Friendship to live Together in Peace”, a 80 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale. 

A organizzarlo, per lanciare un messaggio di unità e pace è il movimento dei Giovani per la Pace - legato alla Comunità di Sant’Egidio - impegnato, ogni giorno, nelle periferie con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli in un tempo caratterizzato dalla reviviscenza di pregiudizi antisemiti e razzisti, dalla diffusione di slogan e atteggiamenti intolleranti e dalla crescita, specie tra i giovani, di movimenti nazionalisti, sovranisti e xenofobi.

Durante i giorni dell'incontro, i giovani (studenti universitari e delle scuole superiori) faranno memoria dell’orrore della seconda guerra mondiale, dell’abisso della Shoah e del Porrajmos (lo sterminio di Rom e Sinti), convinti che continui a essere un riferimento decisivo per il futuro dell’Europa, per costruire una civiltà del convivere e società inclusive.

Per i ragazzi ci sarà anche la possibilità di ascoltare la testimonianza di Lidia Maksymowicz, sopravvissuta da bambina al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau e vittima di esperimenti medici nazisti. E sabato 20 luglio sono in programma la visita al museo del campo di Auschwitz e una marcia silenziosa nel campo di sterminio di Birkenau, con la deposizione di corone di fiori al monumento memoriale delle vittime del lager: saranno l’espressione dell’impegno dei ragazzi a contrastare ogni forma di violenza e razzismo

giovedì 18 luglio 2019

Migranti - La UE in Croazia realizza espulsioni di massa in Bosnia e Serbia, territori extra-UE

L'Espresso
Un'inchiesta-reportage dell'Espresso in edicola da domenica e già online su Espresso+ rivela le espulsioni di massa effettuate di notte dalla polizia di Zagabria. Una pratica che viola tutte le regole dell'Unione ma che, paradossalmente, viene effettuata con i soldi di Bruxelles. 


L'Unione Europea ha deportato illegalmente oltre i propri confini migliaia di profughi, rispedendoli verso Paesi extra Ue come Serbia e Bosnia. Una pratica che continua anche in queste settimane.

A confermare quello che fino a ieri era solo un sospetto (e un atto di accusa di Amnesty International) ci sono ora diverse testimonianze, tra cui quella del sindaco della città bosniaca di Bihac, Šuhret Fazlic, oltre a quella di un ufficiale della polizia croata che ha deciso di rivelare le pratiche illegali di deportazione collettiva.

Ciò che succede nei boschi tra Bosnia e Croazia è questo: migliaia di persone che provengono da Siria, Afghanistan e Pakistan e che hanno fatto tutta la rotta balcanica attraversano il confine della Ue entrando in territorio croato.

La Croazia, membro Ue, utilizza i fondi di Bruxelles per rimandare con la forza i rifugiati in Bosnia e Serbia. Una prassi del tutto illegale. Migliaia di persone portate via di nascosto e di notte attraverso i boschi, con i gps oscurati

A questo punto le norme della stessa Ue (tra cui il Trattato di Dublino) imporrebbero che i migranti venissero mandati negli appositi centri per l'identificazione, le impronte digitali e la richiesta dello status di rifugiati. Invece quello che accade in Croazia è che i migranti vengono prelevati e forzosamente riportati oltre la frontiera bosniaca (o talvolta serba), in violazione di tutte le norme.

I trasferimenti forzosi avvengono in camionette della polizia e molto spesso in maniera violenta, come provano le diverse testimonianze e le fotografie delle ferite degli stessi immigrati una volta riportati in Bosnia. Milena Zajovic Milka dell'Ong croata Are You Syrious sostiene che nel 2018 sono stati effettuati, secondo le loro stime, ben 10 mila respingimenti illegali oltre le frontiere Ue.

Il sindaco di Bihac, Šuhret Fazlic sostiene di aver personalmente incontrato dei poliziotti croati armati, mentre andava a caccia nei boschi fuori dalla sua città: stavano riaccompagnando con la forza in Bosnia un gruppo di 30-40 migranti. "Erano a circa 500 metri dal confine croato, sul suolo bosniaco. Mi presentai agli agenti e dissi loro che erano sul territorio bosniaco e che quello che stavano facendo era illegale. Ma fecero spallucce e si giustificarono spiegandomi che avevano ricevuto degli ordini". Un ufficiale anonimo della polizia croata spiega nei dettagli come avvengono queste deportazioni: di solito di notte e sempre di nascosto, dopo aver distrutto tutti i telefonini dei migranti per evitare che possano lasciare tracce digitali dei loro percorsi.

L'Europa sempre più piena di muri e frontiere. La Lega inzeppata di traffichini e fascisti. E il web in bilico tra libertà e privatizzazione selvaggia. Ecco cosa trovate sul numero in arrivo in edicola e sui device. E gli articoli in anteprima per gli abbonati Espresso+

Anche il difensore civico croato, Lora Vidovic, conferma la pratica delle deportazioni illegale di migranti dalla Croazia - cioè dalla Ue - verso Bosnia e Serbia. La Commissione europea ha stanziato oltre 100 milioni di euro per la Croazia negli ultimi anni, una parte significativa dei quali è stata destinata alla sorveglianza dei confini e al pagamento degli stipendi degli agenti di polizia e delle guardie di frontiera. Di fatto quindi, la stessa Ue finanzia operazioni illegali e contrarie alle norme Ue per espellere migranti che hanno diritto a chiedere lo status di rifugiati.

Barbara Matejcic


Fonte: Espresso