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venerdì 30 aprile 2021

Italia ha esportato nel 2020 quasi 4 miliardi di armi a paesi non UE e Nato. Egitto primo acquirente nonostante violazioni diritti umani e casi Regeni e Zaki

Rete italiana pace e disarmo

La maggioranza delle armi italiane destinate a Paesi non UE e non NATO: tra i primi dieci acquirenti dopo l'Egitto, anche il Qatar, il Turkmenistan e l’Arabia Saudita
Fregate prodotte in Italia vendute all'Egitto

Come era possibile intuire dalle notizie di settore degli scorsi mesi, e come la Rete Italiana Pace e Disarmo aveva più volte anticipato sottolineandone la problematicità, per il secondo anno consecutivo è l’Egitto il principale acquirente di sistemi d’arma esportati dalle aziende italiane a produzione militare. 
Rimangono quindi floridi gli affari armati con il governo autoritario di al-Sisi nonostante le pesanti violazioni dei diritti umani e la non collaborazione nei casi Regeni e Zaki.
Nel corso del 2020 il totale delle nuove autorizzazioni rilasciate per esportazione di materiale d’armamento ha raggiunto i 3.927 milioni di euro di controvalore, in deciso calo (-25%) rispetto al totale per il 2019 (che era in linea anche con l’anno precedente). Va ricordato però come il 2020 sia stato “l’anno della pandemia” con un impatto molto forte sull’economia del Paese che sembra però non aver travolto in maniera eccessiva il comparto bellico. 

Il volume delle esportazioni militari starebbe quindi gradualmente scendendo dopo i picchi di autorizzazioni iniziati con il 2015 (8,2 miliardi in quell’anno e poi 14,9 miliardi nel 2016 e 10,3 nel 2017). Si tratta comunque di un livello complessivo di un miliardo di euro maggiore rispetto ai valori del 2014, per cui si può confermare l’analisi già fatta in passato: le esportazioni record del triennio 2015-2017 hanno trascinato le commesse per l’industria militare italiana su un livello medio superiore a quello di inizio secolo. In decisa ascesa (come già ipotizzato dalla nostra Rete in passato, in conseguenza dell’alto livello di licenze concesse negli anni passati) il dato dell’export reale: l’Agenzia delle Dogane registra infatti avanzamenti annuali di consegne definitive per complessivi 3.393 milioni di euro (2.696 milioni per licenze singole e 696 milioni per licenze globali di progetto) con un incremento del 17% rispetto all’anno precedente.

Le autorizzazioni per nuove licenze costituiscono il dato politico saliente rispetto alle decisioni prese al Governo in carica (in questo caso, per il 2020, il Governo Conte II) ed in questo senso vanno analizzate. L’Egitto si conferma il Paese destinatario del maggior numero di licenze risulta aumentando la propria quota fino a 991,2 milioni di euro (+120 milioni) grazie alla licenza di vendita delle due Fregate FREMM. 

Al secondo posto gli Stati Uniti con 456,4 milioni (+150 milioni) seguiti dal Regno Unito con 352 milioni (in calo di 67). Dopo le mega-commesse del 2017 e 2018 ritorna tra le prime destinazioni di armi italiane anche il Qatar, con un controvalore di 212 milioni di euro (+195 milioni rispetto all’anno precedente), seguito dalla Germania (con 197,6 milioni in lieve calo) e dalla sorprendente Romania con 169,6 milioni di euro (nel 2019 era a meno di 1 milione in licenze al 54 posto tra le destinazioni). Completano la lista dei primi dieci Paesi la Francia (154,5 milioni, in calo di 120), il Turkmenistan (che scende rispetto al secondo posto 2019 ma mantiene 149,5 milioni di euro di autorizzazioni pur calando di quasi 300 milioni), l’Arabia Saudita (ben 144,4 milioni di euro in licenze nonostante il blocco relativo a missili e bombe d’aereo) e la Corea del Sud (134,8 milioni, in calo di circa 30).
[...]
Si tratta di una situazione ormai strutturale e non episodica: per il quinto anno consecutivo, dal governo Renzi del 2016, sono proprio i Paesi Extra Nato-Ue i principali destinatari di sistemi militari italiani. Ma ancor più preoccupante è il fatto che per il quinto anno consecutivo la maggior parte degli armamenti e sistemi militari italiani sia destinata nella zona di maggior tensione del mondo: il Nord Africa e Medio Oriente.

Questi dati preliminari confermano come la produzione militare italiana non sia indirizzata alla difesa e alla sicurezza del nostro Paese e a quella comune europea ma risponda sempre più a logiche di profitto delle aziende produttrici di armamenti, sopratutto quelle a controllo statale. 

giovedì 29 aprile 2021

Appello Urgente per Quintin Philippe Jones condannato a morte in Texas - Data esecuzione 19 maggio 2021

nodeathpenalty.santegidio.org

Quintin Philippe Jones - Condannato a morte - Texas
Già dallo scorso novembre, lo Stato del Texas ha fissato la data di esecuzione al prossimo 19 maggio 2021. Più di 20 anni fa, una giuria della contea di Tarrant ha condannato Quintin per la rapina e la morte della sua prozia, Berthena Bryant. 

Da quel momento sono trascorsi vent’anni e Quintin, che oggi ha 42 anni, si è pentito per il crimine commesso quando era un giovane di 20 anni tossicodipendente e arrabbiato. Oggi è una persona diversa, gentile e premurosa. 

La sorella e il pronipote della signora Bryant – prozia e fratello gemello di Quintin lo hanno perdonato da tempo e hanno accolto la sua conversione e chiedono ora allo stato del Texas di non dover subire il grande dolore della sua esecuzione.

martedì 27 aprile 2021

Foggia - "Razzisti a caccia di neri". Migranti del ghetto colpiti da fucilate, avevano denunciato degli italiani che li avevano rapinati.

La Repubblica
Biggie colpito al volto da una fucilata esplosa da un suv. “Volevano punirci perché abbiamo denunciato un furto”

Foggia: il Ghetto Rignano
Foggia - Biggie fa fatica a parlare. Ma non ha perso le parole. Una pallottola gli è esplosa davanti alla faccia, mandando in frantumi il lunotto posteriore della vecchia Opel a bordo della quale viaggiava insieme con due amici. Non lo hanno ammazzato per una questione di centimetri. Biggie ha la bocca impastata dai punti che i chirurghi degli Ospedali Riuniti di Foggia gli hanno messo da poco. Fa fatica a parlare, si diceva. Ma non ha paura: "Erano in tre, ci hanno affiancati, erano a bordo di una grande macchina bianca, abbiamo sentito soltanto il rumore. È esploso il vetro, poi ho visto tutta la faccia. 

Cercavano noi, i neri del Ghetto. Volevano farci paura. Ma noi non possiamo smettere di parlare". "Ora ho soltanto sonno. Bastardi", Konate è appena rientrato al Ghetto dopo una giornata in ospedale. Parla con un filo di voce, sulla Opel c'era anche lui: "Ci volevano far pagare di averli denunciati: l'altra notte, quando sono venuti a rubare, i nostri amici li hanno fermati e fatti arrestare. Noi vogliamo vivere e lavorare come persone oneste. Noi non siamo come loro".

Foggia, ghetto di Rignano. Il sole sulla più grande tendopoli di braccianti d'Italia - oggi ci sono poco meno di mille persone, nei momenti di sovraffollamento sono arrivati anche a 3-4mila, all'interno ci sono supermercati, bar, barbieri, sembra una città, con le sue regole e le sue attrazioni, eppure tutto questo sulla carta non esiste, non dovrebbe esistere - si sta abbassando ma nessuno riesce a dimenticare cosa è accaduto quattordici ore prima. 

E cosa potrebbe succedere ancora se si continua a far finta di nulla. Tre ragazzi - Sinayogo Boubakar, 30 anni, del Mali, Konate Mamadou, 26, anche lui maliano, Keita Abdoulaye, 30 anni, Costa d'Avorio - si stavano spostando dal ghetto alla loro baracca, a poche centinaia di metri di distanza, a Torretta Antonacci. 
Erano le due della notte quando sono stati avvicinati da una "grande macchina bianca", un Suv, all'interno del quale c'erano tre persone, probabilmente italiani. Uno ha abbassato il finestrino e ha sparato, con un fucile a pallini. I colpi hanno mandato in frantumi il cruscotto della Opel. I vetri sono finiti addosso a Sinayogo, che tutti chiamano Biggie perché effettivamente è grandissimo, che si è tagliato tutto il volto, la bocca, i vetri sono finiti ovunque. "Poteva morire" hanno detto i medici che lo hanno operato in ospedale. Il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, che coordina le indagini affidate ai carabinieri, non ha dubbi: si è trattato di un agguato. È stata sfortuna che sia capitato a loro. Ma non un caso. Chi ha sparato aspettava la prima macchina di "neri". Per spaventarli e punirli.

"Stiamo lavorando" dice a Repubblica Vaccaro, "ma è possibile che il fatto sia da collegare con quanto accaduto 24 ore prima". Nella notte tra sabato e domenica quattro italiani si sono presentati a Torretta Antonacci per rubare del gasolio, necessario per il funzionamento dell'impianto di illuminazione del centro di accoglienza. Sono stati visti e bloccati dai migranti che hanno chiamato la polizia. 

In tre malviventi sono riusciti a scappare. E mentre fuggivano hanno gridato: "Vi uccidiamo tutti, neri bastardi". Uno non ce l'ha fatta, ed è stato bloccato dai ragazzi del Ghetto: li ha prima minacciati con una pistola. Poi ha offerto loro del denaro perché lo lasciassero andare. 
I migranti hanno rifiutato e hanno aspettato la polizia che poi l'ha arrestato. 

Così è stato. "Sono stati cittadini modello, davvero" dice il procuratore Vaccaro. "E non siamo sorpresi". Il procuratore non dimentica cosa è accaduto in questi anni. Ha visto braccianti uccisi dai caporali perché avevano provato a protestare per la loro vita da schiavi: due euro all'ora per dieci ore di lavoro al giorno. Li ha visti morire ammassati in pulmini fatiscenti, mentre andavano al lavoro. Annegati mentre cercavano di bere di nascosto nelle cisterne, come bestie. Due anni fa dei ragazzi del Ghetto sono stati presi a pietrate da delinquenti del posto: razzisti, annoiati, un migrante ha perso per sempre un occhio.

"Biggie lo conosco da più di un anno" racconta Raffaele Falcone, sindacalista della Cgil che per molti di questi ragazzi è fratello maggiore. "È un nostro iscritto, lavora regolarmente in un'azienda qui vicino, gli vogliono tutti bene". Questo è tempo di asparagi, ma le piogge hanno mandato in fumo un pezzo del raccolto. Tra un po' comincia il grande del lavoro: i pomodori. "Il Ghetto si riempirà - dice Falcone - e noi dovremo essere in grado di dare risposte a questi ragazzi. Biggie, per esempio, è ancora in attesa di avere una risposta sul suo permesso di soggiorno. E aspetta da più di un anno". Biggie in ospedale, comunque, sorride. "Sto meglio. Grazie".

lunedì 26 aprile 2021

Migranti - Di fronte alla nuova tragedia nel Mediterraneo, Sant'Egidio si raduna in preghiera e chiede salvataggi in mare e promuove con forza l'apertura di corridoi umanitari

www.santegidio.org
Al largo della Libia si è consumato l’ennesimo dramma dell’immigrazione con un bilancio di vittime che alcune Ong stimano ad oltre cento. La Comunità di Sant’Egidio esprime innanzitutto il suo cordoglio alle famiglie dei migranti, che nel loro viaggio hanno patito sofferenze e soprusi dalla partenza dal loro paese fino alla tragica sorte nelle acque del Mediterraneo.



Un sentimento di pietà che occorre riaffermare di fronte ad una notizia che rischia di passare in secondo piano in questo amaro tempo di pandemia.

Sant’Egidio lancia un appello alle autorità che avrebbero potuto provare a soccorrere il battello di fortuna andato alla deriva, a fronte di segnalazioni già arrivate nella giornata di mercoledì, perché vengano garantiti i salvataggi in mare di chi è in pericolo di vita.

È urgente rispondere al più presto alla domanda di aiuto proveniente dai migranti in transito verso l’Europa, in particolare di quelli attualmente in Libia, con progetti a lungo respiro che puntino a svuotare i luoghi di detenzione, a esaminare le situazioni delle singole persone e a consentire vie di salvezza legali come i corridoi umanitari. 

Al tempo stesso occorre costruire un futuro vivibile nei paesi di origine, soprattutto per i giovani, con il sostegno dell’Unione europea.

Etiopia - La brutale guerra del Tigray sul corpo delle donne. Stupro usato come arma.

Il Manifesto
Etiopia. La crisi umanitaria nella regione etiope si allarga. Stupro usato come arma  E mentre il Tplf avanza e guadagna nuove reclute, gli Stati Uniti chiedono il ritiro eritreo e Sudan ed Egitto avvertono sul caso caldissimo della Grande diga
Donne del Tigray fuggite al conflitto e alle violenze 
Prima era un’operazione di polizia, poi l’operazione è terminata ed è iniziata una guerra. Poi la guerra è finita, ma i combattimenti proseguono. Prima c’erano gli eritrei, poi gli eritrei se ne sono andati e invece sono ancora lì.

È la narrazione che è andata avanti durante questi sei mesi di conflitto nella regione etiope del Tigray e di cui non si vede la fine, anzi le milizie del Tplf sembrano guadagnare vittorie e soprattutto nuove reclute.

Tutto è molto complicato fuori dalle città e vi sono denunce di tentativi di manipolazione dei media occidentali. Secondo l’antropologa Natalia Paszkiewicz ai rifugiati del campo di Hitsats il Tplf avrebbe fatto «indossare uniformi dell’esercito eritreo» e li avrebbe obbligati a «tagliare il seno a un gruppo di donne». Ma gli scontri tra rifugiati e Tplf avrebbero interrotto la scena.

Fatto sta che le violenze continuano e i civili ne fanno per primi le spese: il 12 aprile 19 civili feriti gravi sono stati portati all’ospedale Kidane Mehret di Adua. A ferirli sarebbero stati soldati eritrei che indossavano uniformi dell’esercito etiope.

Oltre la violenza delle armi sussiste la violenza dei corpi: secondo Mark Lowcock responsabile per gli aiuti umanitari dell’Onu la violenza sessuale è usata come arma di guerra nel Tigray. La crisi umanitaria, continua il funzionario, «si è aggravata nell’ultimo mese per le difficoltà di accesso in diverse aree e le persone muoiono di fame».

I problemi non riguardano solo il Tigray. La settimana è stata segnata da violenze anche nella zona di North Shewa, nella regione Amhara dove sono state uccise almeno 18 persone. Il principale indiziato delle violenze è l’Oromo Liberation Army (Ola) che tuttavia ha dichiarato di non essere presente nell’area dove sono avvenuti gli scontri.

A emergere, secondo la Commissione etiope per i diritti umani, «è la brutalità delle violenze. Non sono solo gli omicidi, ma l’entità della brutalità».

Altro problema ancora in essere è la diga della rinascita etiope (Gerd). L’Etiopia intende riempire l’invaso nel prossimo mese di giugno (stagione delle piogge), ma secondo Sudan ed Egitto questo avrebbe conseguenze gravissime. I colloqui di mediazione di Kinshasa sotto l’egida dell’Unione africana sono falliti e ieri il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok ha chiesto un vertice urgente ai leader dei tre Paesi.

L’inviata del governo americano presso l’Onu Linda Thomas-Greenfield ha chiesto il ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia «immediatamente» dopo le denunce di stupri e violenze sessuali. L’Eritrea ha respinto le accuse di abusi e un alto funzionario ha dichiarato alla Bbc che le accuse sono «fabbricate».

Al Consiglio di sicurezza Onu l’ambasciatore eritreo Sophia Tesfamariam ha dichiarato che «il ritiro delle forze eritree è iniziato, poiché la minaccia è stata sventata», ma per Lowcock «non ci sono prove del ritiro». Una lunga cicatrice percorre testa e spalla del Paese, come una collana rotta.

Fabrizio Floris

sabato 24 aprile 2021

Migranti - In Europa scompaiono ogni giorno 17 minori non accompagnati. Vittime di sfruttamento lavorativo e sessuale o preda di traffici umani.

Ansa
Diciassette bambini e adolescenti immigrati non accompagnati scompaiono ogni giorno in Paesi europei, comprese Italia, Grecia e Germania, e si teme che molti di loro diventino vittime di sfruttamento lavorativo e sessuale, siano costretti a mendicare o finiscano preda di traffici umani. 


E' quanto risulta da un'inchiesta condotta dal Guardian in collaborazione con il collettivo giornalistico internazionale Lost in Europe. Gli autori dello studio affermano che sono almeno 18.292 i minori scomparsi dal gennaio del 2018 al dicembre del 2020.

Solo nel 2020, si sottolinea ancora nello studio, 5.768 immigrati bambini e adolescenti sono svaniti nel nulla in13 Paesi europei. La maggior parte dei minorenni scomparsi negli ultimi tre anni proveniva dal Marocco, ma molti erano partiti anche da Algeria, Eritrea, Guinea e Afghanistan.

Il 90% di loro erano maschi e uno su sei aveva meno di 15 anni.

L'inchiesta, che si basa su dati raccolti nei 27 Paesi della Ue oltre che in Norvegia, Moldavia, Svizzera e Regno Unito, rileva che i numeri potrebbero essere tuttavia anche molto più alti, perché le informazioni fornite sono spesso incomplete.

Federica Toscano, dell'ong Missing Children Europe, ha detto che "le organizzazioni criminali stanno sempre più prendendo di mira i bambini, specialmente non accompagnati, e molti di loro diventano vittime di sfruttamento lavorativo e sessuale, sono costretti a mendicare o sono vittime di traffici umani".

venerdì 23 aprile 2021

Migranti - Tragico naufragio - Scomparso gommone con 130 persone, recuperati decine di corpi, si teme che siano tutti annegati

ANSA
Sos Mediterranee, scomparso gommone con a bordo 130 persone


Decine di migranti sono dispersi, e si teme siano morti annegati, nel naufragio di un gommone al largo delle coste libiche, secondo quanto riferisce Sos Mediterranee. Secondo quanto riferito dall'equipaggio della Ocean Viking, 130 persone erano a bordo di un gommone che aveva tentato la traversata in condizioni di mare proibitive e di cui si sono perse le tracce a nord-est di Tripoli.

Tredici cadaveri sono stati finora avvistati in mare ma non è stato possibile recuperarli.

Oggi - afferma Luisa Albera, coordinatrice di Ricerca e Soccorso a bordo della Ocean Viking - dopo ore di ricerca, la nostra peggiore paura si è avverata. L'equipaggio della Ocean Viking ha dovuto assistere alle devastanti conseguenze del naufragio di un gommone a nord-est di Tripoli. Mercoledì mattina era scattato l'allarme rispetto a questa stessa imbarcazione con circa 130 persone a bordo". 

"In assenza di un coordinamento efficace da parte dello Stato - aggiunge la Albera - tre navi mercantili e la Ocean Viking hanno cooperato per organizzare la ricerca in condizioni di mare estremamente difficili. Oggi, mentre cercavamo senza sosta, nella totale mancanza di supporto dalle autorità marittime competenti, tre cadaveri sono stati avvistati in acqua dalla nave mercantile My Rose. Un aereo di Frontex ha individuato poco dopo il relitto di un gommone. Dal momento in cui siamo arrivati sul posto oggi non abbiamo trovato nessun sopravvissuto, ma abbiamo visto almeno dieci corpi nelle vicinanze del relitto. Abbiamo il cuore spezzato".


giovedì 22 aprile 2021

Gli USA dopo 100 anni con Biden riconosceranno il genocidio degli Armeni in Turchia, prevale la promozione dei diritti umani

Blog Diritti Umani - Human Rights

Il riconoscimento degli omicidi della prima guerra mondiale come genocidio potrà logorare ulteriormente le relazioni degli Stati Uniti con la Turchia, ma è un rischio che il presidente sembra disposto a correre per promuovere i diritti umani, hanno detto i funzionari.

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, 
sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915. 

Più di un secolo dopo l'uccisione da parte dell'Impero Ottomano di circa 1,5 milioni di civili armeni, il presidente Biden si prepara a dichiarare che le atrocità sono state un atto di genocidio

 

L'azione segnalerebbe che l'impegno americano che per supportare i diritti umani supera il rischio di sfilacciare ulteriormente l'alleanza degli Stati Uniti con la Turchia

 

Biden lo dovrebbe dichiarare sabato in occasione del 106 ° anniversario dell'inizio di quella che gli storici chiamano una marcia della morte .

 

Almeno altri 29 paesi hanno compiuto passi simili - principalmente in Europa e nelle Americhe, ma anche in Russia e Siria, gli avversari politici della Turchia.

 

ES


Fonte: NYT

domenica 18 aprile 2021

Texas - Pena di morte - Da 45 anni nel braccio della morte, Raymond Riles disabile mentale, avrà finalmente un nuovo processo

Blog Diritti Umani - Human Rights

La Corte d'appello penale del Texas ha annullato la sentenza del condannato a morte più longevo del Texas, i cui avvocati dicono che sia in prigione da più di 45 anni. È troppo malato di mente per essere messo a morte.

Raymond Riles - 70 anni, 45 passati trascorsi nel braccio della morte - Texas

La condanna a morte di Raymond Riles deve essere rivista perché la malattia mentale del detenuto di 70 anni non è stata adeguatamente considerata dai giurati.Il caso di Riles sarà rinviato a un'aula di tribunale di Houston per la nuova condanna.

Fu mandato nel braccio della morte nel 1976 per omicidio.Quando Riles è stato processato, la legge statale non prendeva in considerazione come prove attenuanti la malattia mentale del condannato a morte. 

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito nel 1989 le indicazioni ai giurati del Texas erano incostituzionali perché non consentivano di considerare la disabilità mentale come attenuanti nel processo per omicidio capitale. 

I detenuti come Riles sono restati nel braccio della morte perché condannati a morte, ma la sentenza non è stata eseguita la loro malattia mentale. 

Ciò significa che le persone sono state lasciate a languire nell'unità Polunsky in condizioni di detenzione di completo isolamento. 

Il caso di Riles è rimasto indefinito per 45 anni, nel nuovo processo molto probabilmente sarà condannato all'ergastolo, e dato che ha scontato 45 anni di carcere sarà rilasciato.

Il Texas che durante la maggior parte degli anni ha messo a morte più detenuti di qualsiasi altro stato, non ha avuto esecuzioni dal luglio 2020.

ES

Fonte: KLTV

sabato 17 aprile 2021

Diritti umani. La scure di Pechino su Hong Kong, condanne da 8 a 18 mesi di carcere agli oppositori democratici

Avvenire
Da otto a 18 mesi di reclusione ad avvocati, parlamentari, attivisti. Con loro anche il magnate Jimmy Lai. Dei nove «puniti» solo per aver manifestato pacificamente nel 2019, cinque sono cattolici


In quella che è forse la sentenza più dura nel colpire il movimento democratico di Hong Kong, ieri nove dei suoi leader – 5 dei quali cattolici – sono stati condannati a pene variabili da otto a 18 mesi di reclusione per la partecipazione alle manifestazioni che il 18 e 31 agosto 2019, hanno sfidato le pretese di controllo di Pechino sull’ex colonia britannica e aperto un periodo di forti tensioni, con punte di quasi rivolta e una repressione che ha sfiorato l’intervento militare.

Ieri era la giornata prevista per la lettura della sentenza per sette degli accusati condannati il primo aprile, ma ad essi se ne sono aggiunti altri due, giudicati per gli stessi reati. Secondo il giudice Amanda Jane Woodcock, tutti i condannati erano «consapevoli di violare la legge» partecipando alle proteste e intervenendo pubblicamente. 

Ancor più grave «considerando l’instabilità di quei giorni» e di conseguenza, ha indicato il giudice del tribunale di West Kowloon, dove un intero piano era stato riservato a media e osservatori locali e stranieri, «il caso implica una sfida diretta all’autorità della polizia. La marcia del 18 agosto era premeditata e ha causato interruzioni del traffico. E anche se era pacifica, c’era un rischio latente che potesse finire in violenza».

Nel contesto attuale, dominato dall’imposizione – dallo scorso giugno – della Legge sulla sicurezza nazionale cinese, le pene sono risultate relativamente “leggere”, considerando i cinque anni di detenzione potenzialmente applicabili per questi reati, e per cinque dei condannati, tra cui l’ottuagenario avvocato e fondatore del Partito democratico, Martin Lee, e la combattiva Margaret Ng, pure avvocato, condannati rispettivamente a 11 e 12 mesi di carcere, la pena è stata sospesa per 24 mesi.

Che questo avvenga nonostante le pressioni di Pechino resta positivo, ma nulla toglie alla gravità di provvedimenti che colpiscono personalità impegnate a chiedere il rispetto delle garanzie stabilite negli accordi che hanno accompagnato il passaggio di Hong Kong alla Repubblica popolare cinese il primo luglio 1997 e nella Legge base che ne avrebbe dovuto garantire per 50 anni un’ampia autonomia. Leggi non ignote ai condannati, quasi tutti avvocati, oltre che parlamentari, sindacalisti o attivisti, ma piegate per quanto possibile agli ideali repressivi. Non a caso, decine di leggi per almeno 600 pagine di testo, sono in via di revisione a Pechino per adeguarle alla nuova realtà di Hong Kong. 

venerdì 16 aprile 2021

Nel Mediterraneo dove sono ormai assenti le navi delle Ong. Naufragio con almeno 21 migranti annegati al largo della Tunisia

ANSA - 16 aprile 2021 ore 14:43
E' di almeno 21 morti - i cui corpi sono stati finora recuperati - il primo provvisorio bilancio del naufragio di un'imbarcazione di migranti al largo di Sidi Mansour, in Tunisia. 

Foto d'archivio

Lo rende noto la radio locale Mosaique Fm precisando che unità della Guardia costiera tunisina, in coordinamento con due pescherecci nella zona di mare interessata, sono riusciti a soccorrere tre migranti (un uomo e due donne della Costa d'Avorio e Guinea).

Le operazioni di ricerca di altri eventuali superstiti continuano, secondo la stessa fonte e un'indagine è stata aperta dal pubblico ministero.

La Corte Costituzionale ha deliberato: l'ergastolo ostativo è incostituzionale. Il Parlamento ha tempo un anno per abolire il "fine pena mai"

ANSA
E' incompatibile con la Costituzione l'ergastolo ostativo a cui sono condannati boss e affiliati alla mafia e che impedisce loro, se non collaborano, di accedere (dopo 26 anni di reclusione) alla liberazione condizionale, anche quando è certo che si sono ravveduti. 


La Corte costituzionale non ha alcun dubbio e dà un anno di tempo al Parlamento per provvedere con una legge, consapevole dell'impatto che una sentenza di incostituzionalità immediatamente efficace potrebbe avere sulla lotta alla mafia.

Ma è chiaro sin da ora che se il legislatore resterà a braccia conserte, a maggio del 2022 la Consulta cancellerà quella norma che ritiene in contrasto con principi basilari della Carta fondamentale. Il perchè lo spiega in un'ordinanza che depositerà nelle prossime settimane, come anticipato da una nota dell'Ufficio stampa.

Già monta però la polemica, che divide la maggioranza di governo. "Per mafiosi e assassini l'ergastolo non si tocca", attacca il leader della Lega Matteo Salvini. In trincea anche i parlamentari M5S della commissioni Antimafia e Giustizia (nessun "passo indietro" sull'ergastolo ostativo, chiedono). 

Consulta di dar tempo al Parlamento di intervenire, già compiuta in due altre occasioni, sul suicidio assistito cioè sul caso del Dj Fabo, e sul carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, si augura che il legislatore intervenga "presto" ma "in modo da non pregiudicare l'efficacia di una normativa antimafia costata la vita a tanti uomini delle istituzioni". Per Antigone invece ''l'incostituzionalità è accertata e non si potrà tornare indietro''.

La decisione critica della Consulta sull'ergastolo ostativo non giunge però inaspettata: anche in due pareri resi dall'ufficio legislativo del ministero della Giustizia ,quando ancora a guidarlo era Alfonso Bonafede, si evidenziavano le "notevoli possibilità" che la questione di costituzionalità fosse accolta. Sul punto la Consulta è chiara: l'attuale disciplina dell'ergastolo ostativo "è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione"

giovedì 15 aprile 2021

Francia - Firmato l'accordo - Altri 300 rifugiati da Iraq e Siria potranno arrivare in Europa con i corridoi umanitari.

ww.santegidio.org
È stato firmato a Parigi, dai ministri dell’Interno e degli Esteri, insieme ai responsabili della Comunità di Sant’Egidio e delle Semaines Sociales de France, il rinnovo del protocollo per il progetto dei Corridoi umanitari.

Arrivo Corridoi Umanitari in Francia - 2018

L’accordo stabilisce le condizioni di identificazione, accoglienza e integrazione in Francia nei prossimi due anni di 300 rifugiati attualmente in Libano, provenienti dall'Iraq e dalla Siria, con priorità a persone e famiglie vulnerabili.

Questo secondo protocollo segue il primo, firmato nel 2017, che ha già permesso, con gli stessi criteri, l'ingresso in Francia di 504 persone.
Avviati in Italia nel febbraio 2016, i Corridoi Umanitari hanno già accolto in Europa (in Italia, Francia, Belgio e Andorra) oltre 3.500 rifugiati in fuga da Siria, Iraq, Libia, Etiopia e Lesbo, ai quali è stato garantito un percorso sicuro (in aereo) insieme ad un programma di integrazione.
Promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, insieme a diverse realtà a seconda dei protocolli, come la Federazione della Chiese evangeliche in Italia e la Conferenza episcopale italiana - e autofinanziati - i Corridoi Umanitari costituiscono ormai un modello concreto e replicabile a livello europeo.

Le storie di coloro che sono già arrivati dimostrano che è possibile non solo salvare chi rischia di cadere nelle mani dei trafficanti di esseri umani, ma anche avviare percorsi di integrazione.

Soprattutto in questo tempo di pandemia, pieno di difficoltà di ogni tipo – basta pensare alla situazione di alcuni Paesi di prima accoglienza, come lo stesso Libano - è importante non lasciare soli tanti profughi che attendono, con le loro famiglie, una risposta di solidarietà. 

l Corridoi umanitari hanno visto crescere in cinque anni la generosità di molti cittadini che, con il loro impegno volontario e gratuito dimostrano che è possibile costruire un'Europa coerente con i suoi ideali di umanesimo e di solidarietà.

mercoledì 14 aprile 2021

Turchia, diritti umani violati: Erdogan imprigiona centinaia di avvocati e giudici. Negata libertà di azione per gli avvocati: chi difende un presunto terrorista viene accusato di terrorismo

Osservatorio Diritti
Ogni settimana la Turchia di Erdogan arresta legali e magistrati, accusati di terrorismo dal nuovo codice penale. L’associazione turca Arrested Lawyers denuncia gravi violazioni dei diritti umani e per difendersi chiede l'uso di strumenti come il Magnitsky Act

Manifestazione degli avvocato in Turchia

L’ultimo arrestato in ordine cronologico è stato il parlamentare curdo Ömer Faruk Gergerlioğlu, domenica 21 marzo, accusato di affiliazione al partito Pkk. Ma l’attacco a qualunque tipo di opposizione al regime ha già colpito duro molte volte negli ultimi anni.

Dal fallito presunto colpo di stato, che nel 2016 aveva cercato di destituire il presidente Recep Tayyip Erdogan, ad oggi, sono oltre 1.600 gli avvocati e giudici arrestati e in attesa di processo, detenuti in custodia cautelare, in Turchia. La generica accusa di terrorismo mossa contro gli oppositori del regime è utilizzata per imprigionare anche i legali che rappresentano i propri clienti.

«Quegli avvocati che difenderanno persone accusate di terrorismo non possono che essere dei terroristi. Se agiscono in questo modo, devono pagare anche loro», ha detto Erdogan all’apertura dell’anno giudiziario.
Codice penale turco cambiato per fermare l’opposizione


Il report 2021 dell’associazione Arrested Lawyers Initiative denuncia come 450 avvocati siano stati condannati in questi ultimi cinque anni a 2.786 anni di prigionia per i reati di terrorismo e propaganda contro il regime.
[...]
La persecuzione è peggiorata dopo la morte per sciopero della fame della giurista Ebru Timtik. Dall’estate 2020, infatti, gli ordini degli avvocati delle principali città sono stati indagati per terrorismo, portando in carcere in pochi mesi oltre un centinaio di legali.

La Turchia si trova così a non rispettare i principi base dell’Onu relativi al ruolo degli avvocati, adottati a L’Avana nel 1990, che determinano la libertà di azione per rispettare lo stato di diritto.
Avvocati e giornalisti: diritti umani violati in Turchia

Laura Fazioni

martedì 13 aprile 2021

Auguri a tutti i lettori di fede islamica: "Ramadan Mubarak"

Blog Diritti Umani - Human Rights

"In occasione dell'inizio del mese benedetto di Ramadan, 
un augurio di pace a tutti i lettori di fede islamica,
Ramadan Mubarak"



Siria - In aumento il numero di vittime causate dall'esplosione di mine. Migliaia di vittime e 11,5 milioni di persone a rischio

Agenzia Nova
Il numero di vittime causate dall’esplosione di mine in Siria è aumentato in tempi recenti, nonostante il relativo calo delle tensioni tra le parti coinvolte nel conflitto nel Paese, perché le mine sono posate in terreni agricoli e aree residenziali e colpiscono soprattutto civili. 
Siria - Bambino vittima di una mina - Foto: Msf

È quanto emerge da un rapporto dell'Osservatorio euro-mediterraneo per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Ginevra. 

Secondo il rapporto, la responsabilità maggiore per l’installazione di mine spetta al governo di Damasco, le cui forze armate possiedono un ampio equipaggiamento militare comprendente diversi ordigni di fabbricazione russa. 

Le province siriane più colpite dalle esplosioni di mine sono secondo il rapporto quelle di Aleppo e Raqqa, dove è morto il 50 per cento delle vittime, mentre seguono quella orientale di Deir ez-Zor (16 per cento), Daraa e Hama. 

Secondo un rapporto del Comitato internazionale della Croce rossa, circa 11,5 milioni di persone in Siria rischiano di essere colpiti dall’esplosione di mine, e secondo l’Onu più di 12 mila persone hanno avuto incidenti con gli ordigni, il 35 per cento delle quali ha perso la vita.

lunedì 12 aprile 2021

Pakistan - Pena di morte - Una lezione dalla Corte Suprema: moratoria delle esecuzioni dal 2019 e libertà dopo 25 anni di carcere

Il Riformista
Nei Paesi musulmani, è tradizione che tutte le esecuzioni siano sospese durante il mese di Ramadan. Nel 2020, in Pakistan, la tregua religiosa di un mese è durata tutto l’anno. Nessuno è stato impiccato, e la moratoria è sconfinata nei primi mesi di quest’anno.

La corte suprema del Pakistan
L’ultima esecuzione in Pakistan è avvenuta il 16 dicembre 2019, quando Taj Muhammad è stato impiccato per aver aiutato i Talebani nel massacro del dicembre 2014 in una scuola a conduzione militare di Peshawar, in cui rimasero uccise 150 persone, tra cui 134 bambini.
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La foga giustizialista è scemata quasi subito: dopo il 2015, di anno in anno, le esecuzioni sono diminuite drasticamente fino a scomparire del tutto nel 2020.



La Corte Suprema del Pakistan è sempre stata un argine alla pratica della pena capitale nel Paese: ha posto limiti giuridici, creato precedenti, commutato migliaia di sentenze capitali. Uno studio condotto dal Justice Project Pakistan ha rivelato che, tra il 2010 e il 2018, la Corte Suprema ha annullato la pena di morte nel 78% dei casi. Il 97% delle condanne è stato commutato in ergastolo o in altre pene detentive nel 2018. La linea della più alta corte del Paese ha fatto scuola nei tribunali di grado inferiore. Nel 2019, erano state emesse 632 condanne a morte. Il numero è sceso a 177 nel 2020. Anche la popolazione del braccio della morte tra i più affollati del mondo è diminuita dai 4.225 detenuti del 2019 ai 3.831, tra cui 29 donne, registrati alla fine del 2020.
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La Corte Suprema non si è fermata a quel che accade nei tribunali, ha rivolto la sua attenzione anche alla esecuzione delle pene. Nel luglio scorso, ha annullato la condanna a morte di due fratelli – Sikandar Hayat e Jamshed Ali – che avevano passato 27 anni della loro vita in carcere. 

Accogliendo l’istanza di revisione presentata dai prigionieri nel braccio della morte, la Corte ha affermato che i condannati, dopo più di 25 anni di carcere in attesa di esecuzione, avevano maturato il “diritto all’aspettativa di vita”. Secondo la sentenza, il “diritto all’aspettativa di vita” è un diritto che va riconosciuto al condannato a morte che, nel fare ricorso a tutti i rimedi giudiziari legalmente previsti volti a evitare l’esecuzione, sia rimasto in carcere per un periodo uguale o superiore a quello prescritto per l’ergastolo. 
In Pakistan l’ergastolo equivale a una pena che può durare al massimo 25 anni. Dopo tale termine, anche per un condannato a morte può maturare il diritto a vivere in libertà la parte di vita che gli rimane.
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Dal Pakistan, che decide una moratoria delle esecuzioni per i condannati a morte e, dopo massimo 25 anni, dona la libertà ai condannati a vita, giunge una lezione di civiltà a un Paese che prevede ancora e pratica senza sosta pene che vanno oltre ogni aspettativa di vita, svolge processi di irragionevole durata, fissa misure di sicurezza perpetue, infligge regimi crudeli di detenzione che durano fino alla morte. 

Dopo solo sei anni dalla “strage degli innocenti” nella scuola di Peshawar, il Pakistan ha deciso di voltare pagina. Dopo quasi trent’anni dalla strage di Capaci, l’Italia continua invece a usare leggi e codici di emergenza, articoli come il 4 bis, il 41 bis e il 416 bis che negano il diritto umano minimo, quello “pakistano”, il diritto a sperare di vivere quel che resta della tua vita dopo un quarto di secolo di non vita.

Sergio D'Elia

domenica 11 aprile 2021

In Libia, "paese sicuro". Sparano ai migranti appena catturati dalla guardia costiera. 1 morto e due adolescenti feriti

Avvenire
Violenze poche ore dopo la visita del premier Draghi. Msf: "Condizioni deplorevoli". Nel centro di detenzione vengono portate le persone catturate in mare. Nell'ultimo mese numerosi ferimenti.


Una sparatoria per tenere “sotto controllo” i migranti appena intercettati e catturati dalla cosiddetta guardia costiera libica che li aveva condotti in un centro di detenzione nel porto di tripoli in attesa del trasferimento nei campi di prigionia.

Sul posto è stato permesso di arrivare a un team di Medici senza frontiere che ha prestato i primi soccorsi. Uno straniero e morto e due sono rimasti gravemente feriti.

E accaduto nella notte tra giovedì e venerdì, poco dopo la conclusione della visita del premier Mario Draghi. Due adolescenti di 17 e 18 anni, con ferite d'arma da fuoco, sono stati trasferiti per cure mediche urgenti. Secondo le informazioni raccolte da Msf nel corso della notte era cresciuta la tensione a causa del sovraffollamento nel “Centro di raccolta e rimpatrio”.

"Questa sparatoria dimostra i gravi rischi che le persone affrontano mentre sono rinchiuse in questi centri di detenzione per un periodo di tempo indefinito", afferma Ellen van der Velden, responsabile operativo di Msf per la Libia. "Quest'ultimo atto di violenza è una chiara conferma che i centri di detenzione sono luoghi pericolosi per le persone rinchiuse".

Nelle ultime settimane, le équipe mediche di Msf sono state testimoni di tensioni crescenti all'interno dei centri di detenzione, dove rifugiati e migranti - tra cui donne, bambini e minori non accompagnati - sono trattenuti contro la loro volontà in condizioni deplorevoli.

“I centri sono diventati sempre più sovraffollati dall'inizio di febbraio, quando - spiega una nota di Medici senza frontiere - c'è stato un aumento delle intercettazioni di migranti e rifugiati in fuga dalla Libia via mare da parte della guardia costiera libica finanziata dall'Ue”. Almeno 5mila persone, confermano fonti Onu, sono state bloccate in mare nel 2021, e questo ha reso ingestibili i campi di detenzione.

Nella prima settimana di febbraio, il numero di persone detenute ad Al-Mabani è passato da 300 a 1.000 in pochi giorni. Al momento della sparatoria oltre 1.500 persone era ammassate nella struttura. Malattie infettive come la scabbia e la tubercolosi sono diffuse. Il distanziamento imposto dalle norme sul Covid è semplicemente impossibile in una prigione con 3 persone per metro quadro.

Non è la prima volta che i rifugiati e i migranti detenuti sono esposti alla violenza. Sparatorie e morti sono state segnalate più volte negli ultimi mesi. Il personale di Msf riferisce di avere assistito “all'uso della forza fisica da parte delle guardie”. Solo a febbraio l’organizzazione internazionale ha curato “36 detenuti per fratture, traumi contundenti, abrasioni, ferite agli occhi, ferite d'arma da fuoco”.

sabato 10 aprile 2021

La barbara violenza degli jihadisti ricaccia il Mozambico all'inferno

Andrea Riccardi, Il Blog
Chi sta dietro i terroristi di Ansar al-Sunna in un Paese che ha la terza riserva di gas naturale di tutta l'Africa?

Rifugiati del Nord del Mozambico - Foto OIM/Matteo Theubet

Ho conosciuto il Mozambico negli armi Ottanta, dopo la lotta di liberazione dal colonialismo portoghese. Era appena indipendente (dal 1975), già alle prese con una guerra civile con la Renamo, movimento di guerriglia antimarxista, collegato al Sud Africa. Quello che mi colpì era una miseria diffusa e profonda.

Al grande mercato centrale di Maputo c'era poco altro che pesce secco. La guerra civile ha provocato un milione di morti e tanti sfollati. Si è conclusa con un negoziato tra il Governo e la Renamo nel 1992, a Roma, presso Sant'Egidio. Da allora è cominciata la storia di un Mozambico pluralista, con tanti problemi, che ha conosciuto però lo sviluppo.

Dal 2017, la fame è purtroppo tornata in Mozambico. Ben 670.000 mozambicani hanno lasciato il Nord del Paese sotto gli attacchi dei jihadisti di Ansar al-Sunna, nato da terroristi keniani e tanzaniani, che hanno reclutato giovani marginali e senza lavoro.

La regione, arretrata, ha subìto l'impatto della scoperta della più grande riserva di gas naturale, la terza in Africa, dopo Nigeria e Algeria. Con la presenza di grandi imprese, il clima sociale è molto cambiato. Villaggi sono stati spostati e un mondo, un po' remoto, è stato sconvolto. Ne ha approfittato il jihadismo che, in una proiezione verso Sud, dalla Somalia verso Kenya, Tanzania e Mozambico, segue quasi le tracce dell'antica espansione arabo-musulmana. L'islam del Nord Mozambico, tradizionale, è stato sconvolto.

Se la violenza inumana dei terroristi è attestata da tanti rifugiati (e giunge sino alla decapitazione dei bambini), c'è incertezza su chi ci sia dietro il nuovo movimento jihadista. Si comprendono le cause sociali dell`adesione di parecchi mozambicani: rappresenta l'alternativa alla miseria e allo spaesamento di una generazione dell'area più povera di un Paese povero. Avevamo già segnalato su Famiglia Cristiana come il Jihad globale stia divenendo un'alternativa per i giovani africani marginali in molti Paesi.

Lo Stato mozambicano è fragile: non è riuscito ad arginare l'avanzata terrorista, che si profila quasi come un nuovo Boko Haram, rapisce le persone e ha provocato 2500 morti. Inoltre il centro del Paese è stato sconvolto da vari cicloni. Nella città di Beira, in buona parte distrutta, i lavori per la ricostruzione stentano a avanzare e molti vivono sotto le tende.

Purtroppo è un modello di economia che non dà i suoi frutti. Gli interessi delle grandi imprese internazionali, che operano nelle concessioni mozambicane, non producono in tempi ragionevoli sviluppo nella giovane società. 

Ci sono enormi problemi sociali e giovanili che si incrociano, aggravati dal Covid-19. C'è bisogno di una nuova riflessione sullo sviluppo e di un coinvolgimento della comunità internazionale, fuori dalle modalità di costante concorrenza che spesso caratterizza il suo agire. 

D'altra parte è triste constatare come l'Italia, così attiva e determinante in Mozambico tra gli anni Ottanta e Novanta, sia poco interessata a un Paese decisivo per l'Africa australe e in cui l'Italia ha investito tanto in energie umane e risorse.

Andrea Riccardi

venerdì 9 aprile 2021

Migranti - Minori non accompagnati arrivati via mare in Italia: 670 da inizio 2021 e 4.687 nel 2020

Il Blog - Minori Stranieri Non Accompagnati
I minori stranieri non accompagnati giunti in Italia via mare da inizio anno sono 670, in tutto il 2020 sono stati 4.687, 1.680 nel 2019, 3.536 nel 2018 e 15.779 nel 2017.

Complessivamente le persone migranti arrivate sulle nostre coste da inizio annosono 6042, il dato è stato diffuso dal Ministero degli Interni.

960 sono di nazionalità ivoriana (16%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Tunisia (819, 13%), Guinea (598, 10%), Bangladesh (493, 8%), Sudan (381, 6%), Eritrea (343, 6%), Algeria (291, 5%), Mali (271, 4%), Egitto (232, 4%), Camerun (164, 3%) a cui si aggiungono 1.490 persone (25%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.


Leonardo Cavaliere


giovedì 8 aprile 2021

Amnesty - Pubblica il "Rapporto Annuale 2020/2021" sulla situazione dei diritti umani nel mondo.

Blog Diritti Umani - Human Rights 

Amnesty International pubblica il Rapporto Annuale 2020/2021 sulla situazione dei diritti umani nel mondo. La pandemia ha conseguente devastanti per i diritti umani ...

Download Report


mercoledì 7 aprile 2021

Turchia: maxi-processo golpe, ergastoli aggravati (una sorta di 41 bis) per 22 alti ufficiali, sono tra i 497 accusati di partecipazione al tentato golpe

AnsaMed
Un tribunale turco ha condannato all'ergastolo aggravato - una sorta di 41 bis - diversi imputati nel maxi-processo contro 497 persone accusate di aver partecipato alle azioni eversive la notte del fallito colpo di stato del 15 luglio 2016. 


Il carcere a vita, riferisce Anadolu, è stato deciso tra gli altri per l'ex tenente colonnello Umit Gençer, che lesse sulla tv di stato Trt la dichiarazione dei golpisti, e l'ex colonnato Tanju Poshor, che guidò l'occupazione della stessa sede della Trt. Ergastolo anche per l'ex capo della guardia del palazzo presidenziale di Recep Tayyip Erdogan, l'ex maggiore Osman Koltar.

Gli ex militari condannati all'ergastolo risultano in tutto 22. Tra i reati di cui sono stati giudicati colpevoli ci sono quelli di "tentato rovesciamento dell'ordine costituzionale" e "tentato omicidio del presidente". 

La maggioranza degli imputati, già epurati dalle forze armate dopo il fallito putsch, aveva servito presso la guardia presidenziale di Ankara. 

La Turchia ritiene responsabile del tentativo di colpo di stato la rete del magnate e imam Fethullah Gulen, auto-esiliatosi negli Usa, a lungo alleato di Erdogan contro la vecchia guardia kemalista dell'esercito.

martedì 6 aprile 2021

Iran, eseguite almeno 267 condanne a morte nel 2020. Ong: Iran Human Rights - Rapporto pena di morte 2020.

Il Fatto Quotidiano
L’organizzazione non governativa Iran Human Rights ha pubblicato il suo 13esimo rapporto sulla pena di morte in Iran.


Le esecuzioni registrate nel 2020 sono state almeno 267, rispetto alle 280 del 2019 e alle 273 del 2018. Anche se si riscontra un piccolo calo rispetto all’anno precedente, va sottolineato che la diffusione della pandemia da Covid-19 non ha minimamente disturbato il lavoro dei boia nei bracci della morte iraniani. E quell’avverbio, “almeno”, sta a indicare che il conteggio potrebbe essere incompleto, dato che in media solo un terzo delle esecuzioni viene reso noto dalle autorità.

Delle 267 condanne a morte eseguite lo scorso anno, 211 hanno riguardato omicidi e 25 reati di droga; due condanne a morte sono state eseguite per partecipazione a manifestazioni, una per consumo di bevande alcooliche, una per la gestione di un canale social a contenuto politico. Sulle altre non sono disponibili informazioni. Le donne messe a morte sono state nove, i minorenni al momento del reato quattro e altri 84 sono in attesa dell’esecuzione.

È stato registrato un aumento delle esecuzioni nei confronti delle minoranze etniche, soprattutto i baluci. Una tendenza confermata nei primi mesi del 2021: un terzo dei prigionieri messi a morte apparteneva a quell’etnia.

Un dettaglio molto importante riguarda le condanne a morte che non sono state eseguite a seguito del perdono concesso dalle famiglie delle vittime: 662 rispetto alle 274 del 2019. In altre parole, se le famiglie non fossero intervenute, nel 2020 le esecuzioni sarebbero state quasi un migliaio.

Resta in isolamento da fine novembre e a rischio costante di impiccagione lo scienziato iraniano-svedese Ahmadreza Djalali: le sue condizioni di salute sono così precarie che rischia di morire prima che, nella sua cella, si affacci il boia.

Riccardo Noury

lunedì 5 aprile 2021

Venezuela - La crisi ha prodotto più rifugiati che in Siria, ma non se ne parla. 5.000 sfollati al confine con la Colombia

Corriere della Sera
Le azioni militari, iniziate dieci giorni fa sul versante venezuelano di Apure, sono ancora in corso e tante famiglie continuano a scappare verso la Colombia. Intersos: «La crisi venezuelana ha finora prodotto più rifugiati di quella siriana ma non se ne parla»


Ancora tensione al confine tra Colombia e Venezuela, quest’ultimo Paese interessato da una crisi economica, politica ma soprattutto umanitaria, definita dagli esperti una delle peggiori mai viste negli ultimi 200 anni. L’ultimo fronte di tensione, che si è aperto sul confine il 21 marzo, è a La Victoria (stato di Apure, Venezuela), teatro di scontri armati tra le forze militari venezuelane della FANB (Forza Aerea Nazionale Bolivariana) e i gruppi armati dissidenti colombiani delle FARC. Gli scontri hanno generato un massiccio spostamento di persone in cerca di rifugio e protezione dal Venezuela verso la Colombia. E ancora in migliaia sono bloccati tra le due linee di fuoco.

Secondo i primi dati - parziali - si tratta di circa 4700 ad oggi, ma il numero è in continua crescita. Tra questi, ci sono circa 1700 bambini e adolescenti e 136 donne incinte. 

Il numero di civili rimasti nelle aree delle operazioni militari non è noto ma dai dati dell’ultimo censo si desume che 5000 persone siano rimaste in quelle aree. L’accesso umanitario a La Victoria non è ancora garantito. «I combattimenti sono ancora in corso», spiega al Corriere, Simona Canova, capo missione di Intersos, ong che da due anni, grazie alla collaborazione con il CISP, opera nel dipartimento di Arauca e nello stato di Apure per fornire assistenza umanitaria ai migranti e sfollati in transito nella zona. «Abbiamo fatto prima valutazione dei bisogni urgenti: medicine e accesso ai servizi sanitari, accesso all’acqua e ai servizi igienici sono le priorità in questo momento tra gli sfollati che sono nei diversi insediamenti informali che si sono creati principalmente nella area urbana di Rivera».

Ad aggravare la situazione oltre i rischi di dissesto idrogeologico che la regione presenta ( c’è anche il Covid-19: è già stata accertata la presenza di 4 persone positive e «c’è preoccupazione - riferiscono gli operatori – di ulteriore aumento dei contagi date le scarse misure di protezione e la scarsa possibilità di eseguire test di massa». Inoltre le strutture sanitarie non sono preparate per affrontare nessuna emergenza epidemiologica associata a situazioni simili. 

di Marta Serafini

giovedì 1 aprile 2021

Il futuro incerto dei rifugiati a Lesbo - L'aiuto di Sant'Egidio e la speranza dei corridoi umanitari

www.santegido.org
Il futuro incerto dei profughi di Lesbo. L'aiuto di Sant'Egidio è cibo e la speranza di una porta aperta.
Dal 22 al 26 marzo una delegazione della Comunità di Sant’Egidio è tornata a Lesbo per aiutare i profughi con distribuzioni di cibo e prodotti per l’igiene personale, nella visita in preparazione dei corridoi umanitari.


La primavera inizia con giorni freddi nell’isola di Lesbo, in Grecia, dove migliaia di profughi vivono con pochi vestiti e le loro povere cose, sopravvissute agli incendi del campo. Oltre le recinzioni e i ripari di fortuna, la loro vita è confinata dal lockdown a causa della pandemia: nessuno può uscire liberamente, ogni settimana viene pubblicata la lista dei numeri di tessera che hanno diritto a brevi uscite per motivi di necessità.


Alla distribuzione di generi alimentari, prodotti per l’igiene e buoni spesa portati dalla Comunità si sono recate 450 persone, di cui molte sono arrivate da poco. Sono i capifamiglia, hanno ricevuto l’invito grazie a profughi amici della Comunità, e sono gli unici autorizzati a uscire dal campo recintato.


Nuovi arrivi
Ci sono molti volti nuovi. Negli ultimi tempi sono ricominciati gli sbarchi. Le isole dell’Egeo sono la porta dell’Europa per le migrazioni da Siria, Afghanistan, Congo, Somalia e crescono gli arrivi da altri paesi africani come Sierra Leone, Marocco e Uganda.
Le donne che arrivano, spesso orfane o giovani prese a servizio dalle famiglie già da piccole, fuggono da povertà, matrimoni forzati, violenze e sfruttamento da parte di loro connazionali nei paesi d’arrivo. È il doloroso fenomeno della tratta femminile e delle nuove rotte che si stanno delineando.

Incertezze
Dopo mesi senza servizi igienici nel campo, sono ora funzionanti le docce, dove a turni di sette minuti i profughi possono lavarsi. Le famiglie hanno diritto a delle tende con ambienti separati, che con qualche ironia vengono chiamate ‘appartamenti’.
Se alcuni aspetti della vita del campo stanno migliorando, negli ultimi mesi si sta verificando una nuova situazione: Mitilene, città sull’isola di Lesbo, si sta popolando di occupazioni e alloggi fatiscenti che ospitano le famiglie uscite dal sistema di accoglienza: chi ha ricevuto il diniego dell’asilo e chi un mese dopo aver ottenuto l’asilo non ha più diritto all’assistenza.

La storia di B., da aiutante a senza documenti
Alcuni profughi si nascondono da mesi, senza uscire mai dalla loro “casa”, nella paura di essere rimpatriati. È la storia di B., amico della Comunità dal 2019, che faceva l’interprete per il servizio di asilo greco. Ricevuto il rifiuto alla sua domanda di asilo, ha iniziato a nascondersi, mentre i funzionari del campo che non conoscevano l’esito della sua pratica, continuavano a cercarlo perché avevano bisogno di lui.

Le porte dell’Europa
Nei giorni della visita, gli operatori di Sant’Egidio hanno continuato ad ascoltare le storie dei profughi, in preparazione dei prossimi arrivi dei corridoi umanitari. Molte domande di asilo sono respinte, migliaia di persone, famiglie con bambini non sanno dove andare o dove tornare, non hanno diritto alla ricollocazione in un altro paese dell’Unione europea. Ci si domanda con preoccupazione che fine faranno, mentre si vagliano le condizioni giuridiche che permettono di entrare in Europa. Mentre di discute del futuro del modello di accoglienza dei profughi in Europa e si attende la visita della commissaria europea Ylva Johansson, si consolida il progetto di un nuovo campo chiuso in mezzo alla foresta, al termine di una strada sterrata. Sempre più lontano dagli occhi dell’Europa.