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martedì 30 marzo 2021

Migranti, altri soccorsi della Open Arms (unica nave umanitaria presente nel Mediterraneo), ora a bordo sono 219 tra loro molti bambini.

QTS
Dopo un primo soccorso avvenuto sabato mattina e una giornata di ricerche, la Open Arms, con a bordo il personale di Emergency, ha concluso ieri le operazioni di salvataggio di altre due imbarcazioni in difficoltà in zona Sar maltese.


Adesso a bordo della nave della Ong spagnola ci sono 219 persone: 56 sono minori e tra questi diciassette hanno meno di dieci anni.

Durante la prima operazione sono stati recuperati 61 uomini e 23 minori, tra cui un bambino non accompagnato di dieci anni. Nella seconda, sono invece stati trasferiti a bordo 74 uomini, cinque donne – di cui due incinte – e diciotto minori, tra i quali un bambino di appena un anno.

Attualmente la Open Arms è l’unica nave umanitaria presente nel Mar Mediterraneo.

In questi giorni, ha sottolineato la Ong, “abbiamo ricevuto varie segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà. Tuttavia, raggiunte le coordinate indicate, non siamo stati in grado di rintracciare le imbarcazioni in difficoltà, respinte da motovedette libiche presenti nella zona”.

Open Arms ed Emergency hanno richiesto più volte l’assegnazione di un porto sicuro a Malta che lo ha negato “attendiamo ora la risposta dell’Italia. Siamo preoccupati di questo silenzio”.

“È evidente infatti – hanno sottolineato – che a breve i bambini più piccoli non potranno più rimanere sul ponte della nave, e non vogliamo certo che debbano soffrire di più di quanto hanno già patito, prima di poter essere sbarcati in un luogo protetto”.

lunedì 29 marzo 2021

Libia. Nuove fosse comuni scoperte a Tarhouna - Se ne contano 18 con almeno 1000 persone uccise dal 2013

Corriere della Sera
I 13 cadaveri sono avvolti in altrettanti lenzuoli bianchi. Li hanno trovati negli ultimi giorni tra la terra fine del cosiddetto "progetto Rabat", una zona di cantieri alla periferia dei quartieri abitati. 


Qui si trova una delle fosse comuni più grandi. "Vi abbiamo individuato oltre 160 corpi. In tutto, le fosse comuni sono 18, sparse per le campagne attorno a Tarhouna. Stimiamo vi si trovassero i resti di un migliaio di persone uccise dal 2013 al 2020. 

 Lorenzo Cremonesi


sabato 27 marzo 2021

L'appello degli intellettuali all'Azerbaigian: "Liberate i prigionieri armeni" - Centinaia di prigionieri di guerra e civili ancora nelle carceri

Corriere della Sera
La richiesta a Baku: rispettate la convenzione di Ginevra dopo il cessate il fuoco. Pubblichiamo l'appello al governo dell'Azerbaigian per il rilascio dei prigionieri di guerra nel 
Nagorno Karabakh cui hanno aderito tra gli altri Dacia Maraini, Antonia Arslan, Laura Efrikian, Carlo Verdone e Giovanni Donfrancesco. 

Un bombardamento sul Nagorno Karabakh il 6 ottobre 2020 - Ansa


È estremamente allarmante che, nonostante la Dichiarazione tripartita di cessate il fuoco firmata dai leader di Armenia, Azerbaigian e Russia il 9 novembre 2020, centinaia di prigionieri di guerra armeni e civili, tra cui anche donne, restino prigionieri e non siano ancora stati rilasciati dall'Azerbaigian. Molti di loro sono stati catturati dopo la fine delle ostilità.


Ci appelliamo all'Azerbaigian perché restituisca immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di guerra e tutte le altre persone catturate alle loro famiglie in conformità con le Convenzioni di Ginevra e con la Dichiarazione tripartita. Tutti gli ostacoli per il rilascio dei prigionieri di guerra armeni politicizzano il processo di ripresa umanitaria postbellica. La diffusione sui social media dei video che dimostrano il trattamento degradante e disumano nei confronti dei prigionieri di guerra armeni è profondamente preoccupante.

Inoltre, il trattamento disumano dei prigionieri di guerra e di altre persone catturate costituisce una flagrante violazione dei principi del Diritto Internazionale. Crediamo fermamente che il rilascio immediato di tutte le persone catturate sia una questione puramente umanitaria e non debba essere soggetto ad alcuna manipolazione e politicizzazione. 

Pertanto, sollecitiamo l'Azerbaigian ad astenersi dall'utilizzo di questa questione per scopi politici e a permettere a tutti i prigionieri di riabbracciare i loro cari al più presto possibile. Il rilascio immediato di tutte le persone catturate contribuirebbe a rafforzare la fiducia tra i due paesi, essenziale per la stabilità della regione e nell'auspicio di una pace duratura.

venerdì 26 marzo 2021

Il Kenya ordina la chiusura dei campi profughi di Dadaab e Kakuma che ospitano 410 mila rifugiati, sopratutto somali

africarivista.ir
Il Kenya ha ordinato la chiusura di due vasti campi che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati dalla vicina Somalia e ha dato all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) due settimane per presentare un piano in tal senso. 


I campi profughi di Dadaab e Kakuma nel nord del Kenya ospitano più di 410.000 persone soprattutto somali; una piccola percentuale di queste proviene anche dal Sud Sudan.

Citando preoccupazioni per la sicurezza nazionale, le autorità di Nairobi avevano annunciato per la prima volta la loro intenzione di chiudere il campo di Dadaab, che è più vicino al confine con la Somalia rispetto a Kakuma, nel 2016.

Fred Matiang’i, ministro degli Interni del Kenya, ha concesso ora all’Unhcr 14 giorni per elaborare un piano per la chiusura di entrambi i campi, ha riferito il ministero in un tweet, aggiungendo che non c’è spazio per ulteriori colloqui sulla questione.

“La decisione avrebbe un impatto sulla protezione dei rifugiati in Kenya, anche nel contesto della pandemia covid-19 in corso”, ha riferito da parte sua l’Unchr in una dichiarazione.

La mossa del Kenya arriva in momento in cui le relazioni con la Somalia sono ai minimi: lo scorso dicembre Mogadiscio ha tagliato i rapporti diplomatici con Nairobi accusando il vicino di interferire nei suoi affari interni.

Le due nazioni si stanno inoltre confrontando presso la Corte internazionale di giustizia per una controversia sui confini marittimi, sebbene il Kenya abbia boicottato l’udienza. In commenti affidati alla Reuters, il ministero degli interni del Kenya ha sostenuto che la decisione di chiudere i campi non è collegata a difficoltà diplomatiche con la Somalia.

giovedì 25 marzo 2021

Virginia - Il Governatore Northam sceglie il braccio della morte del Greensville Correctional Center per firmare l'abolizione della pena di morte

Blog Diritti umani - Human Rights
Il governatore ha firmato mercoledì 24 marzo ha firmato la legge che rende la Virginia il 23° stato ad abolire la pena di morte, un importante cambiamento nello stato che ha avuto i più alti numeri di esecuzioni superato solo dal Texas.

Il governatore Ralph Northam firma la legge che abolisce la pena di morte 
in Virginia in una tenda nel Greensville Correctional Center (Foto AP) 

Il governatore Ralph Northam, un democratico, ha firmato i progetti di legge della Camera e del Senato in una cerimonia sotto una tenda mercoledì dopo aver visitato la camera della morte al Greensville Correctional Center, dove 102 persone sono state condannate a morte dall'inizio degli anni '90.

Il governatore Ralph Northam visita la celle dei condannati
a morte 
del Greensville Correctional Center (Foto AP) 

"Non c'è posto oggi per la pena di morte in questo stato, nel sud o in questa nazione", ha detto Northam poco prima di firmare la legge.

La stanza delle esecuzione con iniezione letale
 nel Greensville Correctional Center (Foto AP) 

Northam ha detto che la pena di morte è stata applicata in modo sproporzionato ai neri ed è il prodotto di un sistema giudiziario imperfetto che non sempre lo fa bene. E ha detto inoltre che dal 1973, più di 170 persone in tutto il paese sono state rilasciate dal braccio della morte perchè scoperte innocenti.

La Virginia ha giustiziato quasi 1.400 persone da quando era una colonia. In tempi moderni, lo stato è secondo solo al Texas per numero di esecuzioni eseguite, con 113 da quando la Corte Suprema ha ripristinato la pena di morte nel 1976.

Fonte: AP

mercoledì 24 marzo 2021

Guerre dimenticate - Yemen, sei anni di guerra. 18.557 vittime civili, 4,3 milioni di sfollati, sistema sanitario al collasso.

Corriere della Sera
Nel nord del Paese, la situazione più critica riguarda la provincia ricca di petrolio di Marib. A Taiz i civili esposti a mine, ordigni e cecchini. L'inviato Onu: una battaglia inutile. Sei anni di guerra e un conflitto che si allarga mentre i civili sono allo stremo. 


Lo Yemen prosegue nella sua spirale verso una nuova escalation di violenza che sta coinvolgendo sempre più fronti: dallo scontro tra ribelli sciiti Houthi e governo riconosciuto di Aden, al confronto tra filo-sauditi e separatisti del sud, alla guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran. 

Sullo sfondo di questa crisi, il divario sempre più ampio tra l'Arabia Saudita e gli Stati Uniti, in particolare dopo la decisione dell'amministrazione Biden di sospendere il sostegno alla coalizione araba guidata da Riad nella lotta contro i ribelli sciiti e cancellare dalla lista dei gruppi terroristici il gruppo Ansar Allah a cui fanno riferimento gli insorti sciiti filo-iraniani.

La crisi umanitaria dunque non si ferma, con oltre 18.557 vittime civili segnalate tra marzo 2015 e novembre 2020, 4,3 milioni di sfollati e una forte recessione economica che ha lasciato più di 24,3 milioni di persone (80% della popolazione) bisognosa di assistenza umanitaria.
Solo nel 2020 i fronti sono aumentati da 33 a 49, provocando 172mila nuovi sfollati interni in un anno. In totale oggi sono 4milioni gli sfollati interni, di cui il 76% sono donne e bambini. Il conflitto è la causa della povertà e miseria cronica in cui vive il paese da anni, a questo si aggiungono le inevitabili conseguenze di una totale assenza di controllo statale, servizi infrastrutturali inefficaci o inesistenti, carenza di beni primari come acqua, cibo e medicinali. Secondo la comunità internazionale, nel 2021 si prevede che 16,2 milioni di persone nello Yemen dovranno affrontare alti livelli di insicurezza alimentare acuta.

"Il sistema sanitario nazionale è al collasso", è l'allerta lanciata da Medici Senza Frontiere. La popolazione non ha accesso a cure mediche di base e servizi essenziali e la situazione è aggravata dalla crisi economica e problemi di sicurezza. 
[...]
Il conflitto impedisce alla popolazione di accedere ad acqua potabile e cure tempestive, e malattie curabili e prevenibili diventano cause di morte. Tra queste ci sono epidemie di morbillo, colera o decessi in gravidanza.

Marta Serafini

lunedì 22 marzo 2021

783 milioni di persone al mondo non hanno acqua pulita. ONU: 115 persone muoiono ogni ora per acqua contaminata in Africa subsahariana e Asia meridionale

Africa Rivista
Dei 783 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua pulita nel mondo, il 40%vive nell’Africa subsahariana. È quanto risulta dalle statistiche fornite dalle Nazioni Unite in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che si celebra oggi, 22 marzo. L’acqua tocca molti aspetti delle vita umana. Il primo è quello igienico-sanitario.


Le strutture igienico-sanitarie separano in modo sicuro i rifiuti umani dal contatto umano, ma quando le persone non hanno accesso a servizi igienici sicuri, sono costrette a fare i loro bisogni all’aperto e i rifiuti umani vengono trasferiti nuovamente nelle risorse alimentari e idriche delle persone. 

Circa un quarto delle persone che non può godere dei servizi igienici vive nell’Africa subsahariana. 


L’uso di acqua potabile contaminata e cattive condizioni igieniche determina una maggiore vulnerabilità alle malattie trasmesse dall’acqua, tra cui diarrea, colera, dissenteria e tifo. 

Più decessi si verificano tra i bambini di età inferiore a 2 anni che vivono in Asia meridionale e Africa subsahariana. 
Secondo le Nazioni Unite, 115 persone in Africa muoiono ogni ora per malattie legate a scarsa igiene, scarsa igiene e acqua contaminata. Le malattie diarroiche, causate principalmente da acqua non sicura e scarsa igiene, uccidono più bambini sotto i 5 anni rispetto a malaria, Aids e morbillo messi insieme. La diarrea uccide un bambino ogni 60 secondi.
Quando una persona non ha accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari, è anche a rischio di diminuzione della frequenza scolastica, giornate lavorative perse, malnutrizione e povertà. 

Si stima che ogni anno vengano persi 400 milioni di giorni di scuola a causa di malattie legate all’acqua, con 272 milioni persi solo a causa della diarrea.

In Africa, in particolare nell’Africa subsahariana, più di un quarto della popolazione impiega più di mezz’ora per viaggio per raccogliere l’acqua. Il compito di andare a prendere l’acqua tende a ricadere sulle donne, e questo fardello può anche impedire alle ragazze di frequentare la scuola. Nell’Africa subsahariana, le donne e le ragazze trascorrono 40 miliardi di ore all’anno per procurarsi l’acqua.

Il numero di persone che vivono nell’Africa subsahariana è quasi raddoppiato negli ultimi 25 anni, ma l’accesso ai servizi igienico-sanitari e all’acqua, secondo le Nazioni Unite, è migliorato minimamente, lasciando milioni indietro. Anche dove sono stati apportati miglioramenti nell’accesso all’acqua pulita e alle infrastrutture fognarie, un numero enorme di africani vive senza queste necessità. Nei Paesi dell’Africa subsahariana con i migliori tassi di copertura idrica, una persona su quattro non dispone ancora di servizi igienici adeguati. I residenti nelle aree rurali stanno spesso peggio dei residenti urbani quando si tratta di mancanza di accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, e il finanziamento è irregolare e insufficiente nell’area.

domenica 21 marzo 2021

Congo - Nord Est, regione del Kivu e Ituri - Negli ultimi mesi, continui attacchi dei gruppi armati: 200 morti e 40.000 sfollati in maggior parte donne e bambini

La Repubblica
Il richiamo dell'UNHCR per le sue attività d'aiuto nella Repubblica Democratica del Congo. Uccise oltre 200 persone e costrette alla fuga altre 40.000 nella provincia del Nord Kivu e di Ituri

L’UNHCR, Agenzia Onu per i Rifugiati, avverte che il numero di attacchi da parte di un gruppo armato contro i civili nelle zone nord-orientali della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sta crescendo a ritmi allarmanti. 

Da gennaio, gli attacchi imputati al gruppo armato Forze Democratiche Alleate (ADF), hanno ucciso quasi 200 persone, ferito decine di altre e costretto alla fuga circa 40.000 persone nel territorio di Beni nella provincia del Nord Kivu e nei villaggi vicini della provincia di Ituri. 

In meno di tre mesi, l’ADF avrebbe fatto irruzione in 25 villaggi, incendiato decine di case e sequestrato oltre 70 persone. Tutto ciò si aggiunge ai 465 congolesi uccisi in attacchi attribuiti all’ADF nel 2020.

La maggior parte sono donne e bambini. Attacchi e frequenti, diffuse violazioni dei diritti umani continuano anche in altre parti della provincia del Nord Kivu. Le ragioni principali di questi attacchi includerebbero ritorsioni da parte dei gruppi armati contro le operazioni militari, la ricerca di cibo e medicine, ed accuse contro le comunità di condividere informazioni sulle posizioni dell’ADF. 

Le persone che questo mese sono state costrette alla fuga si sono dirette nelle città di Oicha, Beni e Butembo nel territorio di Beni. La maggior parte sono donne e bambini, mentre gli uomini restano a proteggere le proprietà, esponendosi al rischio di ulteriori attacchi.

Manca acqua pulita e garanzie d'igiene. Chi è stato costretto ad abbandonare la propria casa vive in condizioni terribili senza riparo, cibo, acqua o assistenza sanitaria. In un contesto caratterizzato dal rischio di contrarre Ebola e COVID-19, la mancanza di accesso a servizi igienici, acqua pulita, sapone e prodotti per l’igiene femminile è particolarmente preoccupante. Inoltre, le famiglie non dispongono di oggetti di uso quotidiano come coperte, stuoie per dormire o materiale per cucinare.

Circa 100 mila gli sfollati interni. Prima degli esodi recenti, erano circa 100.000 gli sfollati interni che necessitavano di protezione e di aiuto per trovare un riparo a Beni. 

La carenza di fondi ha ridotto la capacità dell’UNHCR di intervenire con assistenza umanitaria, alloggi compresi. Nel 2020, l’UNHCR è stato in grado di costruire più di 43.000 rifugi per famiglie nella RDC orientale. Nel 2021, con i fondi attualmente disponibili, potranno essere assistite solo 4.400 famiglie su centinaia di migliaia che ne avrebbero bisogno. Sono necessari finanziamenti aggiuntivi anche per riprendere un programma di assistenza in contanti per donne sfollate a rischio che ha dovuto essere tagliato.

L'appello dell'UNHCR. L’Agenzia Onu ha bisogno urgente di 2 milioni di dollari per rafforzare gli interventi di protezione e la risposta umanitaria a Beni, nel Nord Kivu e nel territorio di Irumu nell’Ituri. Attualmente, l’UNHCR ha ricevuto solo il 5,5% dei 33 milioni di dollari necessari per far fronte ai bisogni in tutta la RDC orientale.

sabato 20 marzo 2021

Afghanistan, ondata di attacchi contro i difensori dei diritti umani. Morti 21 difensori dei diritti umani e 20 giornalisti uccisi lo scorso anno.

Corriere della Sera
Circa tre mesi fa, un decreto della presidenza dell’Afghanistan ha istituito laCommissione congiunta per la protezione dei difensori dei diritti umani, col mandato di “rafforzare la cultura dei diritti umani e venire incontro alle preoccupazioni nazionali e internazionali sulla situazione dei diritti umani nel nostro paese”.

Murale in Afghanistan dedicato al coraggio dei difensori dei diritti umani
Quell’iniziativa si è rivelata vuota, priva di una strategia di attuazione, di condivisione delle informazioni, di attivazione di meccanismi di denuncia e di misure concrete di protezione (scorte, trasferimenti in altre città ecc.)
In Afghanistan, le donne e gli uomini che difendono i diritti umani continuano a morire. Come prima, più di prima.
Dal 12 settembre 2020, quando sono iniziati i negoziati di pace, al 31 gennaio 2021 sono morti almeno 21 difensori dei diritti umani: come Mohammad Yousuf Rasheed, direttore del Forum per elezioni libere e regolari in Afghanistan, assassinato il 23 dicembre nel centro di Kabul insieme al suo autista; o come l’attivista per i diritti delle donne Freshta Kohistani, uccisa insieme a suo fratello a Kapisa.

L’anno scorso sono stati assassinati almeno 20 giornalisti, tra cui molte donne: come la nota giornalista televisiva Malalai Maiwand, uccisa col suo autista a Jalalabad praticamente in concomitanza con l’istituzione della Commissione congiunta. Il 2021 rischia di terminare persino peggio
.

Secondo l’Unama, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2021 sono stati uccisi 32 difensori dei diritti umani.

Riccardo Noury 

Myanmar: centinaia di rifugiati si riversano in Thailandia in fuga dal colpo di stato. Morte 217 persone nelle manifestazioni

Sicurezza Internazionale
Centinaia di persone avrebbero lasciato il Myanmar dal colpo di Stato del primo febbraio scorso per dirigersi in Thailandia, nell’area di confine tra i due Paesi controllata da milizie locali.


La notizia è stata diffusa dall’incaricato per gli affari esteri di uno tra i gruppi armati, Karen National Union (KNU), Padoh Saw Taw Nee, il 18 marzo. 

L’uomo ha dichiarato a The Straits Times che nel territorio controllato dalla KNU vi sarebbero quasi 1.000 persone fuggite dal Myanmar. Tra essi, alcuni sarebbero leader degli scioperi avvenuti nel Paese, altri farebbero parte del movimento di disobbedienza civile, altri ancora sarebbero ex-impiegati statali, legislatori e membri delle forze dell’ordine e dell’esercito. Secondo il membro di KNU, in altre aree controllate da altri gruppi poi vi sarebbero ancora altri rifugiati.

Al confine tra Myanmar e Thailandia vi sono più di venti gruppi armati indigeni, alcuni dei quali hanno condannato il colpo di stato dell’Esercito. Da tale evento KNU ha affermato che i negoziati per un cessate il fuoco con il governo birmano sono stati interrotti.

Intanto, le autorità thailandesi hanno disposto aree in grado di accogliere fino a 43.000 rifugiati . L’Esercito thailandese ha incrementato i controlli al confine.

In Myanmar, intanto, dallo scorso 6 febbraio, in tutto il Paese, sono ancora in corso proteste contro la giunta militare al potere che sono spesso sfociate in violenza, con la polizia che ha sparato sui manifestanti. 

Ad oggi, sarebbero state 217 le persone che hanno perso la vita in tale contesto, secondo dati rilasciati dall’organizzazione Assistance Association for Political Prisoners. Ciò nonostante i manifestanti stanno continuando a portare avanti il movimento. A detta della giunta militare al potere, le autorità starebbero evitando quanto possibile di reprimere con la forza quelle che definisce “rivolte” che danneggiano la sicurezza e la stabilità nazionali.

venerdì 19 marzo 2021

Oxfam - Migliaia di migranti allo stremo nelle isole greche. Fallimento delle politiche UE per i migranti dopo 5 anni dall'accordo con la Turchia'

ANSAmed
A 5 anni esatti dall'annuncio dell'accordo tra Ue e Turchia, siamo di fronte a un totale fallimento delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, che hanno di fatto calpestato i diritti fondamentali di decine di migliaia di innocenti. 


Da allora infatti non è passato un giorno senza che moltissime famiglie rimanessero intrappolate nei campi sulle isole greche, in condizioni disumane. 

È la denuncia lanciata oggi da Oxfam, "in occasione dell'infausto anniversario di un accordo, nato con l'esplicito obiettivo di bloccare i migranti in Grecia per poi rispedirli indietro verso la Turchia". 

Una politica che non ha prodotto altro che condizioni di vita spaventose, episodi di violenza sui migranti alle frontiere e ritardi enormi nelle richieste di asilo, rendendole impossibili in molti casi. Tutto questo nonostante le famiglie arrivate sulle isole greche provenissero spesso da paesi in conflitto da molti anni, come Siria, Afghanistan o Iraq.


Nel 2021 gli arrivi in Grecia sono stati 1068 di cui 566 via mare. Da qui l'appello in una lettera aperta diretta all'Unione europea e agli Stati membri, firmata da altre 7 organizzazioni umanitarie, per un radicale cambio di rotta, che implichi uno stop definitivo alla costruzione di nuovi campi nelle isole greche, come prevede proprio il nuovo Patto europeo.

martedì 16 marzo 2021

Birmania: Onu, almeno 149 uccisi da 1 febbraio, ma sono segnalati molti più morti

ANSA
E' salito ad almeno 149 morti il macabro bilancio delle persone uccise in Birmania (Myanmar) dall'inizio delle proteste pacifiche contro il colpo di stato del primo febbraio. Lo ha denunciato oggi a Ginevra l'Alto commissariato Onu per i diritti umani, precisando che si tratta di un dato prudente.


"Ci sono molte altre segnalazioni di ulteriori uccisioni che non siamo stati ancora in grado di confermare", ha detto la portavoce Ravina Shamdasani.

lunedì 15 marzo 2021

10 anni di guerra in Siria - Decine di migliaia di bambini non hanno vissuto un giorno di pace

 Blog Diritti Umani - Human Rights

15 marzo 2011 - 15 marzo 2021 - 10 anni di guerra in Siria

Questi bambini nati in guerra non hanno vissuto
un giorno nel loro paese in pace


Venezuela - Indagini Consiglio dei diritti umani ONU su 200 esecuzioni extragiudiziali commesse quest'anno dalle forze di polizia

Sicurezza Internazionale
Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato, mercoledì 10 marzo, che sono in corso indagini su 200 omicidi presumibilmente commessi dalle forze di polizia venezuelane nel corso di quest’anno. Gli esperti dell’ONU stanno valutando, nello specifico, se si tratti di esecuzioni sommarie.

Foto: Reuters

Esprimendo seria preoccupazione per le uccisioni illegali, gli esperti hanno sottolineato che, nei casi sotto indagine, le autorità non hanno rilasciato certificati di morte, hanno effettuato pagamenti per le autopsie e hanno consegnato i corpi in bare chiuse “con l’istruzione di non aprirle”. 

La delegazione venezuelana, dal canto suo, respinge le accuse ma si rifiuta di affrontarle nel dettaglio. “Ancora una volta la missione di accertamento dei fatti presenta informazioni politicizzate prive di equilibrio e correttezza”, ha affermato Hector Constant Rosales, ambasciatore del Venezuela presso le Nazioni Unite a Ginevra.

Marta Valinas, capo di una missione conoscitiva delle Nazioni Unite, ha affermato che il bilancio di 200 morti includeva decine di persone uccise in una grande operazione di polizia nel quartiere La Vega della capitale, Caracas, dal 7 al 9 gennaio. “Le nostre indagini preliminari indicano che almeno alcune delle persone uccise sono state vittime di esecuzioni extragiudiziali”, ha detto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. 

Almeno 23 persone sono morte durante quel fine settimana in uno scontro tra polizia e bande locali, secondo media e attivisti. Il Brasile e gli Stati Uniti, parlando al consiglio di Ginevra, si sono detti preoccupati per quello che l’incaricato d’affari statunitense, Mark Cassayre, ha definito il “massacro” di La Vega. 

sabato 13 marzo 2021

Guerre dimenticate - Yemen si riaccende il conflitto dopo che la presidenza Biden ha cambiato gli equilibri nella zona

Osservatorio Globalizzazione
Nelle ultime settimane nello Yemen abbiamo assistito ad una forte offensiva delle forze ribelli Houthi. Le forze antigovernative stanno marciando senza sosta verso il governatorato di Marib, provincia ricca di gas e petrolio con l’obiettivo di soggiogare l’intero territorio e poter occupare l’omonima capitale. 

Secondo quanto dichiarato da Arab News le forze houthi che hanno circondato la capitale sono ormai a circa 10 km dalla periferia della capitale Marib.

L’esito dei primi scontri a fuoco tra i ribelli e le forze governative dell’Irg (internationally-recognized government) sta arridendo alle forze di Ansar Allah, le quali dopo aver posto in stato di assedio la prigione di Marib si sono assicurati la liberazione dei ribelli incarcerati. 

Come riporta il centro studi Jamestown la provincia del Marib è considerata strategica per gli interessi di tutte le forze in gioco in terra yemenita. L’eventuale occupazione di Marib sarebbe un duro colpo per il Presidente Abdrabbuh Mansur Hadi alfiere delle mire egemoniche ed imperialiste dell’Arabia Saudita, nonché unico interlocutore ufficiale per la comunità internazionale.

Nonostante le pesanti diffamazioni di Hadi sugli houthi accusati di terrorismo e codardia, gli eventi recenti ci mostrano come la presa di Marib possa causare nel futuro prossimo uno stravolgimento degli equilibri e dei ruoli nel piccolo paese della penisola arabica. E anche oltreoceano dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden sia l’Irg che l’Arabia Saudita godono di scarso consenso. Le posizioni bellicose di Riyad, nei confronti degli houthi per voce del ministro degli esteri saudita da lui definiti disprezzanti per i luoghi di culto e i soli responsabili dello spargimento di sangue in Yemen, non trova supporto a Washington. La politica Usa in Medio Oriente con Biden è cambiata.


Nicola Francavilla

venerdì 12 marzo 2021

Siria - Impatto devastante di 10 anni di guerra sui bambini. Unicef: Metà non va a scuola, 90% necessita assistenza sanitaria

Ansa
Dopo dieci anni di violenze armate in Siria, l'impatto sui bambini e, in generale, i minori, è stato devastante. Lo rivela oggi il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef), secondo cui il 90% dei bambini ha bisogno di assistenza umanitaria, con un incremento del 20% rispetto allo scorso anno.

Secondo i dati Unicef raccolti tra il 2011 e il 2020, più di 12mila minori sono stati uccisi o feriti, più di 5.700 bambini, alcuni anche di 7 anni, sono stati reclutati nei combattimenti, più di 1.300 strutture sanitarie e scolastiche, con il relativo personale, sono stati attaccati dalle parti in conflitto. 

Nel comunicato diffuso ai media, Unicef afferma che la guerra lunga un decennio in Siria ha avuto conseguenze devastanti sui bambini e sull'infanzia. "All'interno della Siria ci sono 6 milioni di bambini che hanno bisogno di assistenza, molti sono nati durante la guerra e non hanno conosciuto altro se non conflitto, sfollamento e perdite". 

L'agenzia dell'Onu ricorda che "solo lo scorso anno, il numero di bambini indicati con stress psicologico è raddoppiato, indice delle conseguenze di lungo periodo che la guerra continua ad avere sulla salute mentale e sul benessere dei bambini. Metà dei bambini della Siria non va a scuola: una scuola su tre in Siria non può essere utilizzata perché danneggiata, distrutta, utilizzata come rifugio per le famiglie sfollate o usata a scopo militare". 

L'Unicef non dimentica gli effetti negativi della pandemia che "ha ulteriormente complicato la situazione dei bambini della Siria. Il numero di persone che ha bisogno di aiuto è aumentato del 20% solo lo scorso anno, il 65% delle famiglie riportano di non poter rispondere ai bisogni di base e circa l'80% delle persone in Siria vive in povertà". ondo".

giovedì 11 marzo 2021

Etiopia: si combatte, si muore e si fugge ancora per la guerra nel Tigray, ormai è piena catastrofe umanitaria

La Repubblica
La lotta per il potere tra TPLF tigrino e governo federale vede coinvolta anche l’Eritrea; nella regione si susseguono eccidi e stupri. L'indagine di Amnesty International

Foto: AFP
Migliaia di morti, decine di migliaia di profughi, quattro milioni e mezzo di persone che hanno bisogno di acqua, cibo, medicine. E’ il bilancio di quattro mesi di combattimenti tra forze armate etiopiche e partito al potere nel Tigray, che rischiano di destabilizzare l’intero Corno d’Africa e che hanno già coinvolto l’Eritrea (implicata nel conflitto con i suoi uomini) e il Sudan (paese verso il quale fuggono i rifugiati).

Caterina Castaldi

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mercoledì 10 marzo 2021

Si continua a morire nel Mediterraneo - Ieri 39 migranti morti al largo delle coste tunisine tra loro donne e bambini. La Guardia Marina di Tunisi: nell'ultima settimana centinaia di immigrati salvati ma decine di corpi recuperati.

Notizie Geopolitiche
Il ministero della Difesa tunisino ha annunciato il recupero di 39 corpi di immigrati clandestini di origine africana e il salvataggio di 165 in due distinte operazioni al largo di Sfax, nel sud del Paese.
Foto di archivio di un naufragio in Tunusia - Gazzetta del Sud

Il ministero ha riportato in un comunicato che “Martedì mattina un’unità marittima ha salvato 70 immigrati clandestini di nazionalità africana, tra cui tunisini, che stavano cercando aiuto nel sito dell’affondamento del loro barcone, a nord di al-Ataya (un’area sull’isola di Kerkennah)”. 

Ha poi spiegato che tre unità marine, con da una squadra di sommozzatori, in una seconda operazione nella stessa regione hanno salvato 52 immigrati clandestini di nazionalità africana, tra cui tunisini, che stavano per annegare, e recuperato 9 corpi.

Nella stessa operazione le unità della Guardia Marina hanno salvato 24 persone e recuperato 30 corpi, mentre un peschereccio che era presente nel sito ne ha salvate altre 19.

Solo una settimana fa il portavoce della Guardia Nazionale, Houssam El Din El Gabbeli, ha detto all’agenzia di stampa tunisina che 14 corpi di migranti irregolari sono stati recuperati e altri 140 sono stati salvati al largo della costa di Sfax, dopo che due barche sono affondate. 

Ha aggiunto che “due barche sono affondate al largo della costa di Karatin, sull’isola di Kerkennah a Sfax”, sottolineando che “gli immigrati erano di diverse nazionalità africane, compresi tunisini”. Al-Jabbali ha indicato che “le operazioni di ricerca continuano ancora in coordinamento con l’Esercito Nazionale”. Ha riferito che “le due barche sono salpate dalle coste di Sfax, la scorsa notte, verso le coste europee”.

La migrazione irregolare verso l’Europa continua, a causa delle crisi economiche e umanitarie che stanno attraversando la maggior parte dei popoli della regione.

Bessem Ben Dhaou

martedì 9 marzo 2021

Terrorismo, l’Africa diventa l’epicentro della minaccia jihadista. In Mozambico, Tanzania, Kenia, Somalia e altri paesi africani

Difesa & Sicurezza
La minaccia del terrorismo di matrice jihadista non si è attenuata col Covid-19. E’ solo rimasta sotto traccia, ma ha continuato a dilagare ugualmente soprattutto in Africa

L’emergenza COVID 19 ha distratto la nostra attenzione dalla minaccia del terrorismo, facendoci ritenere che la stessa fosse stata ridimensionata dalla globale diffusione della pandemia. 

Purtroppo questa idea si è rivelata una fallace speranza, come confermano gli ultimi eventi soprattutto in Africa. Vaste aree del continente sono sempre più instabili, come conferma l’uccisione in Repubblica Democratica del Congo (RDC) dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista locale. 

Anche se gli elementi finora acquisiti sulla dinamica dell’evento sembrano escludere che non ci siano gruppi jihadisti dietro al fallito rapimento, occorre tuttavia considerare anche che l’area è, però, contigua alla zona est dell’Africa equatoriale. Quadrante caratterizzato dalla presenza di consistenti cellule dello Stato Islamico in Mozambico, Tanzania e Kenya (ISCAP), oltre che dalla ben nota struttura di Al-Shabaab (Gioventù), che ormai dominano quasi tutta la Somalia.


L’obiettivo dello Stato Islamico, dopo la disfatta in Medio Oriente, è creare un Califfato nel continente, con Wilayat dalla regione subsahariana (ISGS) a quella centrale (ISCAP)

La situazione in Sahel avvantaggia IS

Ci sono anche altri elementi “esterni” all’Africa sui rischi di un’escalation del terrorismo jihadista

Agli eserciti Occidentali servirà tempo per “tararsi” sul nuovo scenario

L’Africa Centrale e il Sahel sono punti cruciali nella filiera dei migranti verso l’Italia, porta per tutta l’Europa

L’Africa diventa epicentro della minaccia di matrice jihadista

sabato 6 marzo 2021

Ungheria - Nuove leggi anti-immigrazione. Anche chi da informazioni sui diritti può essere condannato ad un anno di reclusione

Global Voice
Alcune nuove leggi di recente approvate dal parlamento ungherese che criminalizzano i gruppi che aiutano i migranti stanno affrontando delle aspre critiche.

Immigrati alla frontiera con l'Ungheria
La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (meglio conosciuta come Commissione di Venezia, poiché si riunisce a Venezia), che è l'organo consultivo del Consiglio d'Europa in materia costituzionale ha stabilito che le leggi anti-migrazione “violano il diritto alla libertà di associazione e di espressione” e dovrebbero essere abrogate.

Inoltre, le nuove leggi creano un nuovo crimine chiamato “consentire l'immigrazione illegale” che potrebbe includere la fornitura di consulenza legale e informazioni sui diritti e le responsabilità dei migranti  e sanciscono a un anno di prigione come punizione.

Inoltre impongono una tassa del 25% sulle donazioni straniere alle ONG che sostengono la migrazione in Ungheria.

Come ha affermato Human Rights Watch, se il presidente ungherese firmasse i progetti di legge “a partire dal 1° luglio, i lavoratori dei diritti umani e i volontari della comunità potrebbero essere perseguiti e incarcerati fino a un anno per aver fornito servizi, consulenza o sostegno ai migranti.”

venerdì 5 marzo 2021

La guerra in Siria: scomparsi decine di migliaia di siriani, detenuti “arbitrariamente” nel corso del conflitto.

Sicurezza Internazionale - LUISS
Un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che decine di migliaia di siriani, detenuti “arbitrariamente” nel corso del conflitto, sono scomparsi e il loro destino è al momento ignoto.
Foto: syrianfamilies.org

Il rapporto, che si prevede verrà presentato al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu l’11 marzo prossimo, si basa su più di 2500 interviste condotte nel corso degli ultimi dieci anni. Il quadro presentato, definito “orribile”, include violazioni dei diritti umani, torture sistematiche, stupri e altri crimini perpetrati all’interno di circa 100 strutture di detenzione in Siria sin dallo scoppio del conflitto, il cui inizio risale al 15 marzo 2011. 

A detta degli autori della relazione, ovvero “investigatori” delle Nazioni Unite, molte di queste violazioni sono paragonabili a crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Quanto raccontato è stato poi definito un “trauma” che influenzerà la società siriana per decenni.

Stando a quanto riferito da un membro della commissione onusiana, Hanny Megally, la detenzione arbitraria ha rappresentato una forma di punizione impiegata contro oppositori e voci critiche legate ad entrambe le parti belligeranti, sebbene sia stata utilizzata soprattutto dal governo di Damasco affiliato al presidente siriano Bashar al-Assad. 

Come precisato da Megally, scopo delle autorità siriane era intimidire e terrorizzare la nazione e, per fare ciò, i siriani detenuti sono stati vittima di “trattamenti brutali”. Sono migliaia i cittadini scomparsi con la forza, per mano del governo damasceno, i quali si pensa siano morti o giustiziati, mentre altri sono tuttora trattenuti in condizioni definite “disumane”.
[...]
Il perdurante conflitto siriano è oramai in corso da circa dieci anni. L’esercito del regime siriano è coadiuvato da Mosca, mentre sul fronte opposto vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia. Sono diverse le regioni tuttora oggetto di un clima teso. Tra queste, il governatorato Nord-occidentale di Idlib, il quale rappresenta l’ultima roccaforte posta ancora sotto il controllo delle forze di opposizione, al centro di una violenta offensiva fino al 5 marzo 2020. In tale data, il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, hanno concordato una tregua, volta a favorire il ritorno degli sfollati e rifugiati siriani. Tuttavia, le violazioni, seppur sporadiche, hanno spesso fatto temere il riaccendersi di tensioni.


giovedì 4 marzo 2021

Egitto - Pena di morte - Difensori diritti umani riferiscono 11 esecuzioni per reati comuni, dozzine nel 2020. Confessioni ottenute sotto tortura.

Blog Diritti Umani - Human Rights
Le autorità egiziane hanno messo a morte, martedì mattina, undici detenuti condannati per delitti comuni. I difensori dei diritti umani, riferendo fonti della sicurezza, denunciano dozzine di esecuzioni nel 2020.


Le nuove esecuzioni sono avvenute presso la prigione Borg el-Arab nei pressi di Alessandria, secondo la stessa fonte che specifica che i detenuti uccisi sarebbero stati "condannati per omicidi commessi negli ultimi anni nei governatorati di Alessandria e Beheira" .

Sabato altre cinque persone, tra cui tre donne, sono state uccise a Ismailia, anche loro per delitti comuni.

A dicembre, Amnesty International ha denunciato un incremento preoccupante di esecuzioni in Egitto con l'uccisione di dozzine di detenuti negli ultimi mesi del 2020.

Philip Luther, responsabile della "ONG pour le Moyen-Orient et l'Afrique du Nord", denuncia, oltre all'importante incremento di esecuzioni, che le condanne sono ottenute dopo confessioni ottenute sotto tortura.

Anche Human Rights Watch ha affermato che a ottobre 49 esecuzioni sono avvenute in 10 giorni nello stesso mese e ha chiesto la "fine immediata" delle uccisioni.

L'organizzazione stima che sotto la presidenza di Abdel Fattah al-Sisi, eletto nel 2014, l'Egitto sia diventato uno dei 10 paesi che eseguono più condanne a morte.

Le esecuzioni prendono colpiscono detenuti per reati comuni, ma anche oppositori politici accusati di atti di terrorismo.

Con l'ascesa al potere di Abdel Fattah al-Sisi, si è registrata una crescente repressione che ha colpito tutte le forme di opposizione, islamista o liberale.

ES
Fonte: AFP 

mercoledì 3 marzo 2021

I corridoi umanitari siano attivati subito - Di Andrea Riccardi

Andrea Riccardi - Il Blog
Italia e Ue hanno respinto i profughi, servendosi di entità private. Così è stato violato il diritto all'asilo

Sono passati 10 anni dall'inizio della rivolta in Libia contro Gheddafi, ucciso nell'ottobre 2011. Sembrava la liberazione dalla dittatura, ma il Paese non ha avuto pace in mano a milizie rivali. Il 6 febbraio scorso è stato annunciato un governo di unità nazionale grazie all'azione dell'Onu. Speriamo! È l'inizio di un processo difficile ma necessario, mentre Turchia e Egitto non sono troppo disposti a rinunciare alle posizioni acquisite. Intanto circolano, a servizio di gruppi o istituzioni, personaggi che, per i crimini commessi contro libici e rifugiati, andrebbero assicurati alla giustizia.

Se i libici sono ostaggio dei signori della guerra e delle influenze internazionali, i profughi sono i paria della situazione. L'ultimo fatto è la denuncia civile contro la Marina militare italiana per aver coordinato il respingimento dei migranti in Libia, non direttamente ma mediante privati. A citarla in giudizio sono cinque eritrei sostenuti da una Ong. 
Nell'atto si parla di 270 respingimenti in Libia, dove non esistono le minime condizioni di sicurezza. 

I fatti risalgono al luglio 2018. Si tratta delle "riammissioni informali"; pratica più volte stigmatizzata dai tribunali italiani e dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. Si impedisce ai migranti (che si presentano al confine, marittimo nel caso libico, terrestre nel caso balcanico) di chiedere la protezione internazionale, in violazione delle direttive europee, della Convenzione di Ginevra e dell'articolo 10 della Costituzione. Chiedere asilo è un diritto, ma per le rotte balcanica e mediterranea i Governi europei da due anni adottano i respingimenti indiretti ("riammissioni informali") con il trasporto delle persone - spesso tramite entità private - in uno Stato terzo, Bosnia o Libia. 

Ma come fare riammissioni in uno Stato in guerra? Se ne discute in queste settimane al Parlamento europeo, dopo le accuse contro l'operazione mediterranea della Ue, Frontex, per relazioni con mercanti e lobbysti di armi tramite la guardia costiera libica, oltre che - in questo caso - di cooperazione nei respingimenti sulla rotta libica, balcanica e del mare Egeo. Non migliore è la situazione di quanti sono stati trasportati dalla Libia in Niger tramite l'Oim e si trovano ora bloccati nei villaggi costruiti attorno ad Agadez.

Il nuovo Governo Draghi, che si presenta con un vasto consenso e un volto riformatore, ha la responsabilità di prendere in mano coerentemente i drammatici problemi migratori: bisogna affrontare la questione dei rifugiati intrappolati da anni in Libia utilizzando i "corridoi umanitari"(coinvolgendo possibilmente i Paesi europei), ma anche costruendo un rapporto sano con la problematica migratoria. Occorre riaprire i flussi regolari e controllati dei migranti nel nostro Paese.

Infine, per accrescere la coesione sociale e l'integrazione, va risolta l'assurda realtà dei bambini, figli di stranieri, nati in Italia o che hanno studiato qui, i quali crescono senza cittadinanza nazionale, come meriterebbero essendosi formati (ius culturae) tra italiani. Sono scelte che i governi di centrosinistra hanno tralasciato e quelli di centrodestra avversato. Ma è venuto il momento di guardare a queste problematiche in modo serio, mettendo insieme l'interesse del Paese, motivi di umanità e una vera politica mediterranea.

Fonte: Andrea Riccardi, Il Blog

martedì 2 marzo 2021

Lavoro minorile, nel mondo 152 milioni di bambini vittime dello sfruttamento. Peggiora la situazione con l'abbandono scolastico per il Covid

La Repubblica
In Italia pochi dati, e le denunce all'Ispettorato del Lavoro si fermano a 243, anche se il fenomeno dovrebbe coinvolgere centinaia di migliaia di persone, e con il Covid è peggiorato, anche per via della chiusura delle scuole.


Nel mondo ci sono ancora oggi 152 milioni i bambini vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Sono vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo o accattonaggio forzato. Un fenomeno che rimane largamente sommerso, presente nei Paesi più avanzati, come l'Italia.

Nel nostro Paese il lavoro minorile è vietato dal 1967, ma è un fenomeno che non solo non è mai scomparso, ma che la pandemia, le scuole chiuse e l'allargamento delle aree di povertà ad essa dovute, rischia di aggravare. Sullo sfruttamento lavorativo dei minori esistono, poi, anche pochi dati, e soprattutto non esiste un monitoraggio continuo. Ci sono i dati dell'Ispettorato nazionale del lavoro, relativi alle sanzioni per la violazione della legge (nel 2019 sono state 243, ma a breve uscirà l'aggiornamento sul 2020), ma naturalmente sono la punta di un iceberg che rimane per la gran parte sommerso.

Gli ultimi dati di fonte attendibile risalgono al 2013 e sono quelli di una ricerca condotta dalla Fondazione Di Vittorio e da Save the Children, in collaborazione con l'Istat, che ha mappato in Italia una stima di 340.000 minori al di sotto dei 16 anni occupati illegalmente, vale a dire il 7% della popolazione in età di lavoro. Sono baby sitter, aiuto camerieri, baristi, giovani braccianti o manovali, dice l'indagine dopo la quale non è stato fatto più niente. Un vuoto statistico che andrebbe colmato per dare a questo fenomeno le risposte legislative e sociali che merita.

"La parola chiave per capire il fenomeno del lavoro minorile è 'sommerso' - spiega Antonella Inverno, responsabile Policy and Law di Save The Children - perché si riferiscono a pochi accertamenti di violazione, mentre sappiamo che il lavoro minorile è fenomeno più ampio e interessa sia stranieri che italiani". La scuola è il primo presidio a tutela dei bambini, sostiene Inverno: "Laddove le scuole rimangono aperte contrastano i rischi che i minori in situazione di disagio possono correre: e non si tratta solo di poter essere sfruttati in lavori pesanti, ma anche di finire nelle mani della criminalità", dice.

I bambini intercettati dall'Ispettorato del lavoro in Italia erano impiegati in maniera illecita per la gran parte nei servizi di alloggio e ristorazione (142 violazioni ), mentre 36 violazioni riguardavano il settore del commercio all'ingrosso e al dettaglio, 17 nell'attività artistica, sportiva, di intrattenimento e divertimento, 16 nella manifattura, 13 nel settore agricolo, 4 nell'edilizia (il restante in varie attività). L'emergenza sanitaria ha avuto un impatto significativo sulla gestione della filiera agricola e agroalimentare, facendo emergere con più forza che in passato la condizione di sfruttamento lavorativo a cui sono sottoposti i migranti nelle campagne italiane. Si tratta di persone giovani, che da anni versano in condizioni di sfruttamento nel settore agricolo e sono esposti alle dinamiche di intermediazione illecita (cosiddetto caporalato).

In tutto il mondo del resto la crisi innescata dal Covid ha peggiorato la situazione del lavoro minorile. Per questo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, in collaborazione con il partenariato mondiale dell'Alleanza 8.7, ha lanciato il 2021 Anno internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile. 

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