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giovedì 30 novembre 2017

Bangladesh: Amnesty chiede al governo di “non trasferire i Rohingya su un'isola inabitabile”

SIR
Amnesty international ha chiesto al governo del Bangladesh di abbandonare il progetto che prevede di trasferire oltre 100.000 rifugiati Rohingya su un’isola inabitabile. Il 28 novembre il governo di Dacca ha approvato uno stanziamento equivalente a 280 milioni di dollari per trasferire provvisoriamente, in attesa del rimpatrio in Myanmar, i rifugiati Rohingya sull’isola di Thenger Char, isolata, inabitabile e soggetta a inondazioni. 


“Sarebbe un terribile errore trasferire i rifugiati Rohingya su un’isola inabitabile, lontana da ogni altro insediamento di rifugiati e soggetta a inondazioni”, ha dichiarato Biraj Patnaik, direttore di Amnesty per l’Asia meridionale. 

Dopo aver aperto le porte a oltre 600.000 Rohingya negli ultimi tre mesi, il Bangladesh oggi rischia di compromettere la loro protezione e di rovinare la reputazione internazionale che aveva meritato. Nel disperato intento di vedere i Rohingya fuori dai campi e infine rientrati in Myanmar, le autorità di Dacca stanno mettendo a rischio la loro sicurezza e il loro benessere”, ha aggiunto Patnaik. 

Thenger Char, nota anche come Bhashan Char, è emersa dal mare solo 11 anni fa. Durante la stagione dei monsoni, è fortemente a rischio di inondazione. 

La settimana scorsa, i governi di Bangladesh e Myanmar hanno firmato un accordo per rimpatriare gli oltre 700.000 rifugiati Rohingya fuggiti da uccisioni illegali, stupri e incendi di interi villaggi nel corso di operazioni militari condotte nel nord dello stato di Rakhine tra l’ottobre 2016 e l’agosto 2017. 

Amnesty ha recentemente pubblicato un’analisi sulle cause di fondo della sofferenza dei Rohingya, giungendo alla conclusione che questa popolazione è stata intrappolata in un crudele sistema di discriminazione istituzionalizzata e promossa dallo Stato “che equivale ad apartheid”. 

“Il Bangladesh dovrebbe posticipare ogni accordo sui rimpatri fino a quando non vi saranno le condizioni per il ritorno volontario dei rifugiati in condizioni di sicurezza e dignità”, ha concluso Patna.

Sos Méditerranée: "Costretti da Roma ad aspettare le navi libiche con il rischio di assistere inermi alla morte dei migranti"

Il Manifesto
L'Ong: "Costretti ad aspettare l'arrivo delle navi libiche senza poter fare niente". In 420 sbarcano a Catania, 98 sono bambini. La nave Aquarius della Ong Sos Méditerranée, che ha a bordo gli operatori di Medici senza frontiere, è arrivata a Catania con 420 migranti, salvati sabato da un barcone sul punto di affondare. 



Un bambino eritreo di 3 anni è stato portato via in elicottero prima dell'attracco perché soffriva di crisi epilettiche e respiratorie. Uomini, donne e i 98 minori, erano tutti sofferenti per le condizioni in cui sono stati tenuti per mesi.

I volontari dell'Aquarius, all'arrivo in porto, hanno messo sotto accusa l'Italia e il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma per come sono state gestite le operazioni in mare. 

Venerdì all'alba l'Aquarius ha individuato un primo gommone in pericolo in acque internazionali, a 25 miglia dalla costa, a est di Tripoli, e poi un secondo gommone ma ha ricevuto l'ordine da Roma di restare in stand-by, il coordinamento delle operazioni era stato assunto dalla marina libica. "La nostra proposta di assistenza è stata declinata dalla Guardia costiera libica - ha spiegato Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi di Sos Méditerranée -. Durante le quattro ore di stand-by le condizioni meteo sono peggiorate, il gommone poteva rompersi e affondare da un momento all'altro". 

Sophie Beau, vicepresidente dell'Ong, spiega: "I nostri team sono stati costretti a osservare impotenti operazioni che conducono a rimandare indietro persone che fuggono da campi che i sopravvissuti descrivono come un inferno. Non possiamo accettare di vedere esseri umani morire in mare né di vederli ripartire verso la Libia quando la loro imbarcazione è intercettata dalla Guardia costiera libica".

Si schiera contro il Centro di coordinamento di Roma anche Msf: "All'Aquarius è stato impedito il soccorso di gommoni che stavano per fare naufragio - ha spiegato Luca Salerno -. Eravamo in acque internazionali, invece di essere autorizzati a intervenire ci hanno messo in stand-by per ore in attesa dell'arrivo di motovedette e navi libiche. Adesso i migranti possano tornare in mano ai trafficanti, a correre nuovamente rischi in mare oltre a torture e altro".

Gli accordi voluti dal ministro Marco Minniti con Tripoli stanno rendendo più pericolose le operazioni di Ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Il sei novembre la Ong Sea Watch ha accusato la Guardia costriera libica di aver causato la morte di almeno 50 migranti durante le operazioni di salvataggio. Il primo novembre la stessa Guardia costiera libica ha esploso alcuni colpi di avvertimento in direzione della fregata tedesca Mecklemburg-Vorpommern, a 50 miglia dalla costa africana, per poi scusarsi ufficialmente.

I migranti che riescono ad arrivare in Italia raccontano le loro storie. I 420 sbarcati ieri hanno descritto abusi sessuali e violenze, sigarette spente sulla pelle mentre dall'altra parte del telefonino ci sono i parenti per convincerli a pagare per la loro liberazione. "Quasi i due terzi sbarcati ieri - spiega Luca Salerno - hanno la scabbia, segno della mancanza di igiene e d'acqua a cui sono stati costretti durante la detenzione nelle prigioni in Libia. Il 40% sono donne: una ha il bacino fratturato e altre due hanno partorito nelle prigioni, i bambini hanno 3, 5 giorni".

L'Aquarius nell'ultima settimana ha soccorso 808 migranti: 387 tra mercoledì e giovedì scorsi; 421 sabato. La maggioranza, riferisce la Ong, "mostra le cicatrici delle violenze subite, segni di malnutrizione, disidratazione e stanchezza estrema". I naufraghi intercettati sabato erano parte di uno gruppo detenuto a Sabratha, poi trasferito a Bani Walid, uno dei centri del traffico di esseri umani. "Eravamo nella stessa prigione a Sabratha - ha raccontato un eritreo -. Un mese fa, a causa della guerra, siamo stati separati in gruppi di 20 persone, caricati su dei furgoni e trasferiti a Bani Walid e poi ammassati in un'altra prigione. Venivamo picchiati con cavi elettrici, eravamo proprietà dello stesso boss, altre 600 persone appartenevano a un altro boss". Venerdì il viaggio è ripreso: "Siamo stati trasferiti su una spiaggia, costretti ad aspettare in pieno sole, senza acqua né cibo. Il barcone ha lasciato la Libia sabato all'alba. Alcuni hanno pagato mille dollari, uno mi ha detto di averne pagati 6mila".

di Adriana Pollice

mercoledì 29 novembre 2017

Messico, uccisa Yendi Guadalupe Torres Castellanos la procuratrice che difendeva le donne vittime di violenza

La Repubblica
Yendi Guadalupe Torres Castellanos, 35 anni, capo della procura speciale per reati sessuali trovata uccisa a colpi d'arma da fuoco nella sua auto. Indagava sulle donne stuprate e uccise nello stato orientale di Veracruz.


Città del Messico - Una procuratrice che stava indagando sulle donne stuprate e uccise nello stato orientale di Veracruz è stata assassinata ieri a colpi d'arma da fuoco. Stando a quanto riferito dalle autorità locali, Yendi Guadalupe Torres Castellanos, 35 anni, capo della procura speciale per reati sessuali e crimini contro la famiglia dello stato di Veracruz, è stata trovata "colpita da diversi proiettili" all'interno della sua autovettura, davanti al suo ufficio nel comune di Panuco.

L'assassinio è stato condannato dal governatore di Veracruz, Miguel Angel Yunes, come "infame e codardo". Una fonte dell'esercito messicano ha detto alla France Presse che sulla scena del delitto è stata rinvenuta una lettera di minacce contro i funzionari della procura. L'assassinio è avvenuto in un contesto di violenza dilagante. In questo fine settimana solo nello Stato di Veracruz, affacciato nel golfo del Messico, porto sicuro per i traffici internazionali di stupefacenti, sono stati registrati 26 omicidi. E parallelamente alla violenza criminale, si sono moltiplicati gli assassini di donne in tutte le regioni del Messico.

Sant'Egidio, pena di morte. «Il boia non ferma il terrorismo»

Avvenire
Nel 2017 l’applicazione della pena di morte si è ridotta di un terzo rispetto a un anno fa. Impagliazzo: «Rispondere con la violenza alla violenza, legittima chi ne fa uso»
Per Sant’Egidio il fronte abolizionista cresce. Orlando: serve più impegno contro la paura.


Non c'è incongruenza più grande che combattere con la pena capitale chi celebra la morte, compiendo stragi e immolandosi. Eppure, di fronte al terrorismo, la tentazione si fa strada. «Molti sono i Paesi che pensano di ripristinare la pena di morte dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando e anche in Europa davanti agli atti terroristici si è tornato a invocare il ripristino della pena di morte». 

Per il Guardasigilli il rischio c'è. E «per impedire che questa impostazione ci riporti indietro è necessario rafforzare la cooperazione nazionale sulla repressione dei fenomeni criminali per rispondere alla paura». Il no del Guardasigilli alla pena capitale è tutt'altro che una resa al crimine. Orlando lo ribadisce al X Congresso internazionale «Un mondo senza pena di morte», organizzato alla Camera dalla Comunità di Sant'Egidio, con i contributi dei ministri della Giustizia arrivati da 30 Paesi. C'è anche il ministro del Marocco, Mohamed Aujjar, 

Paese che ha ridotto a pochissimi reati quelli puniti con la pena capitale. Abolizionista de facto con l'ultima esecuzione nel 1993, il Marocco che ha cancellato di recente la pena di morte per gli apostati, cioè chi abbandona l'islam. All'incontro invia un suo intervento il premier Paolo Gentiloni, che conferma l'impegno dell'Italia come capofila dei Paesi impegnati per la moratoria universale, approvata nel 2007 dall'assemblea delle Nazioni Unite: «L'Italia, con l'Unione Europea, continuerà a farsi promotrice di questa campagna, per vincere insieme la sfida di un mondo finalmente libero dalla pena di morte». 

Da quel primo sì «questa battaglia fondamentale per i diritti umani è proseguita con risultati significativi in tutto il mondo». Orlando sottolinea che dal 2014 a oggi il numero di Paesi abolizionisti è passato da 79 a 107. E le esecuzioni nel 2017 sono state un terzo in meno rispetto all'anno precedente. Anche Marco Impagliazzo dice no all'occhio per occhio di Stato: «Proprio perché ci confrontiamo con il culto della morte espresso dal terrorismo suicida e dal diffondersi della violenza estrema avverte il presidente della Comunità di Sant'Egidio appare chiaro che difendere la vita è rifiutare ogni logica basata sulla soppressione di un essere umano. 

Fosse anche quella del terrorista». Per Impagliazzo «la pena di morte rappresenta la vittoria di quel nemico che si vorrebbe tenere lontano ed esorcizzare. Con la pena capitale il nemico ha vinto perché è entrato dentro di noi». Rispondere alla violenza con una violenza di segno opposto «per quanto legalizzata», sarebbe un modo per «banalizzare lo spargimento di sangue. La pena di morte non è una medicina, ma un veleno». Mario Marazziti, presidente della commissione Affari sociali della Camera, ricorda i passi avanti: nel 1975 solo 16 Paesi avevano abolito la pena di morte, «l'anno scorso solo 23 su 200, comprese le entità territoriali che non siedono all'Onu, hanno compiuto esecuzioni capitali». Molto c'è ancora da fare. 

Negli Stati Uniti dove il presidente Donald Trump ha invocato la pena di morte per l'autore della strage del 31 ottobre a Nwe York il boia non solo uccide, ma discrimina: «Negli Usa gli afroamericani sono il 13% della popolazione, ma salgono al 61% tra gli innocenti condannati al posto di altri». Perché «un innocente nero ha sette volte le probabilità di un bianco di essere condannato a morte innocente».

Luca Liverani

lunedì 27 novembre 2017

Honduras - Discarica come supermarket per sopravvivere e si scoprono anche dei cadaveri

Globalist
A San Pedro Sula, nell'Honduras, molte persone cercano di sopravvivere cercando qualcosa nelle discariche. E ogni tanto spunta una persona assassinata.



La globalizzazione è un processo inevitabile. Internet collega il mondo con un click. Aerei, treni, autostrade velocizzano sempre più i trasporti e quindi lo spostamento delle persone e delle merci.


Non tra poco, ma tra non molto sulla luna si potrà arrivare in meno tempo rispetto al quale i nostri padri si spostavano da Roma a Milano in macchina.

Peccato solo che, al momento, la globalizzazione ha reso ricchissimo chi già era ricco e poverissimo chi già era povero.

Così in una discarica alla periferia di San Pedro Sula, in Honduras, le persone che per vivere raccolgono la spazzatura hanno trovato il corpo di una donna che è stata rapita e torturata a morte e il corpo gettato come fosse immondizia. 

Quella discarica è il loro supermarket: molte visono nelle periferie delle città violente dopo essere fuggiti dalle condizioni di vita impossibili nella campagna, dove non c'è acqua e poco da mangiare. 

La fame alimenta la violenza, perché sempre più persone in preda alla disperazione scelgono la strada criminale. 

I livelli estremi di violenza in Honduras stanno spingendo semore più persone fuori dal paese. Molti tentano un viaggio rischioso verso gli Stati Uniti.

Lì ora c'è il muro di Trump, ossia uno di miliardari che sono parte integrante del sistema di sfruttamento e di diseguaglianze che sta condannando gran parte del mondo a vivere e a morire nell'immondizia.

Emergenza nei campi profughi nel Sahara Occidentale in Algeria - Crollo degli aiuti, i saharawi non hanno più cibo.

Il Manifesto
Sahara occidentale. Drastico calo degli aiuti internazionali ai campi profughi in territorio algerino. E gli effetti sono impietosi: il 40% dei bambini fino a cinque anni mostra un ritardo della crescita, il 60% delle donne in gravidanza soffre di anemia.



«Negli ultimi anni vi è stato un drastico calo degli aiuti economici: dal 2012 ad oggi, si è passati da diciassette a nove milioni di euro all’anno. Questa situazione sta influendo pesantemente sulle condizioni di salute di tutta la popolazione saharawi, in particolar modo quella adolescenziale e infantile».

A pronunciare queste parole è Buhubeini Yahya, presidente della Mezzaluna Rossa Saharawi (Mlrs), durante la conferenza stampa svoltasi a Roma lo scorso lunedì 20 novembre, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

L’incontro è avvenuto presso la sede nazionale della ong Cisp – Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, che dal 1984 è presente nei campi profughi saharawi in territorio algerino.

Il quadro socio-sanitario dipinto da Yahya racconta della attuale drammaticità, testimoniata da cifre che parlano di una riduzione drastica del 48% dei finanziamenti internazionali in aiuto ai rifugiati, con conseguenze disastrose. La più grave racconta della progressiva difficoltà nel reperire acqua potabile e cibo fresco da parte delle centinaia di migliaia di profughi presenti nei campi.

A picco l’apporto vitaminico pro capite, passato negli ultimi cinque anni ad un quinto di quello standard. Lo stato di malnutrizione è preoccupante: il 40% dei bambini fino a cinque anni mostra un ritardo della crescita, il 60% delle donne in gravidanza soffre di anemia, in rialzo anche la mortalità infantile e l’insorgenza di patologie di vario genere dovute alla carenza alimentare. La quale incide in modo più pesante proprio nell’area materno-infantile: l’allattamento al seno diviene sempre più difficoltoso, mentre in contemporanea l’indice di variabilità della dieta per i bambini sotto i due anni è nettamente insufficiente, in quanto soltanto il 14% riesce a raggiungerlo.

Tra tutti i dati, proprio questo risulta essere in prospettiva il più allarmante. In riduzione netta anche qualità e accessibilità alle cure sanitarie e al servizio scolastico, anche a seguito dell’urgenza umanitaria verificatasi nei campi profughi nell’ottobre del 2015, quando le piogge torrenziali vessarono l’area per giorni, causando migliaia di senza tetto e la perdita di infrastrutture scolastiche e ospedaliere.

All’incontro erano presenti anche Paolo Dieci, presidente del Cisp e Lyes Kesri, rappresentante della ong nei campi, i quali a diverso titolo hanno documentato i progetti in corso, documentandone l’andamento e le criticità.


Gianluca Diana

domenica 26 novembre 2017

"Matrimoni tra minori, fenomeno in aumento nei campi rom. Quei giovani vivono ghettizzati. Soltanto la scuola può salvarli" Intervista a Paolo Ciani

La Stampa
Dobbiamo farli uscire dai campiIl fenomeno dei matrimoni tra minori nei campi rom dell'estrema periferia di Roma «è molto peggiorato negli ultimi anni. Siamo tornati ai livelli di trent'anni fa». A denunciarlo è Paolo Ciani, responsabile dei servizi con i Rom e Sinti della Comunità di Sant'Egidio. E «sono impressionanti» i dati emersi dal report dell'Associazione 21 Luglio sugli sposi bambini.

Ciani, i dati dicono che abbiamo superato la percentuale di matrimoni tra minori del Niger. Questo passo indietro da cosa dipende?
«Si è abbandonato il percorso di scolarizzazione e di inserimento nella società delle comunità rom della Capitale, preferendo ghettizzarle. Alcune famiglie rom con cui lavoriamo ci hanno chiesto di farle uscire dai campi o le loro figlie finiranno per sposarsi troppo presto. I livelli di istruzione e integrazione incidono molto sulla consapevolezza di certe scelte».
Colpa delle vecchie generazioni o è un desiderio dei giovani?
«È un fenomeno che viene generalmente accettato dalla cultura rom. Certe volte sono proprio i minori a volersi sposare. In altri casi, questi matrimoni - che non hanno alcun valore legale ma sono solo autorizzazioni alla convivenza date dai genitori - vengono combinati tra le famiglie. Capita anche che i parenti dello sposo paghino una dote in beni o in denaro alla famiglia della ragazza. Pratiche, queste, che ricordano tempi antichi, ma che ormai si sono anche adattate alla modernità».
Cosa intende?
«I ragazzi rom ormai si conoscono anche sui social network, chattano e si frequentano online. Quando le famiglie lo scoprono, cercano spesso di sanare la situazione. Ma il motivo principale del matrimonio precoce è un altro: la mancanza totale di un'età della spensieratezza. L'adolescenza quasi non esiste. Così, anche il rapporto con l'altro sesso viene vissuto come un problema».
La soluzione qual è?
«Farli uscire dai campi, che sono luoghi disumani dove spesso non faremmo vivere nemmeno delle bestie. Molti ragazzi rom che lavorano con noi e vivono una realtà normale, ad esempio, arrivano a 24 o 25 anni senza sentire l'obbligo di sposarsi».
Che giudizio dà al nuovo piano per il superamento dei campi rom di Virginia Raggi?
«Le intenzioni sono positive, ma gli strumenti utilizzati finora non funzionano. Le famiglie devono trovarsi da sole un appartamento da affittare. Un metodo che ha dimostrato di essere inefficace». 

Nel resto del Paese la situazione è la stessa di Roma?
«Roma è la città con il più grande numero di campi. Non c'è una statistica documentata a livello nazionale, ma la percentuale nelle altre città è certamente legata all'obbligo scolastico. Dove non si tollera l'abbandono dell'istruzione dei minori, il fenomeno è residuale».


Da Strasburgo via libera alla riforma di Dublino: l’accoglienza non solo nel primo Paese d’arrivo

eunews
Movimento 5 Stelle vota contro, la Lega si astiene, il testo ora dovrà essere negoziato con gli Stati membri. Schlein (S&D): “Finalmente ci sarà un meccanismo automatico e permanente di ricollocamento”
Immigrati bloccati alla frontiera con la Francia a Ventimiglia
Strasburgo – Nonostante l’opposizione dei Paesi di Visegrad, non c’è stata nessuna sorpresa in Aula a Strasburgo e il Parlamento europeo ha dato il via libera al mandato negoziale per la riforma del regolamento di Dublino, il sistema d’asilo dell’Ue

Il testo, approvato con 390 voti in favore, 175 voti contrari e 44 astensioni, chiede innanzitutto il superamento del principio che il Paese di primo ingresso deba farsi carico della domanda del richiedente asilo. Nelle intenzioni dei deputati, gli aspiranti rifugiati dovranno essere ripartiti tra tutti i Paesi dell’Unione, grazie a un sistema di ricollocamento obbligatorio e automatico, e che preveda di ridurre l’accesso ai fondi Ue per gli Stati che si rifiutano di rispettarlo.

Il nostro obiettivo è garantire una ripartizione equa dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi membri”, ha dichiarato il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani. A suo parere, “il regolamento di Dublino, allo stato attuale, è un sistema inefficace e ingiusto”. È per questo che “deve essere immediatamente riformato”, ha spiegato. “Ora agisca il Consiglio, possibilmente in tempi rapidi”, ha intimato il presidente riferendosi al lavoro che gli Stati membri dovranno fare per definire la loro posizione.

“Siamo finalmente riusciti a cancellare il criterio ipocrita del primo paese d’accesso, e sostituirlo con un meccanismo automatico e permanente di ricollocamento cui tutti gli Stati sono tenuti a partecipare a pena di conseguenze sui fondi strutturali”, ha esultato la relatrice ombra per i socialisti Elly Schlein, spiegando che “le proposte innovative sono tante, con una nuova procedura accelerata di ricongiungimento familiare, il rafforzamento di tutti i criteri di responsabilità per far valere i legami significati dei richiedenti con gli Stati membri, e il rafforzamento delle garanzie procedurali per i richiedenti, in particolare i minori”,

Sul provvedimento, Matteo Salvini e la Lega hanno scelto l’astensione, mentre il Movimento 5 Stelle ha votato contro. “L’astensione della Lega sulla riforma del regolamento di Dublino è l’ennesima genuflessione di chi non vuole schiacciare i piedi al padrone Berlusconi. La nuova riforma è una gabbia perché obbliga l’Italia a gestire tutti i migranti economici arrivati. Per loro, non è previsto nessun ricollocamento, nessuna solidarietà europea, nessuna condivisione degli oneri. È quello che voleva la Merkel”, ha attaccato Laura Ferrara a nome del Movimento.

Dopo questo voto inizierà la parte più difficile, i negoziati con gli Stati membri in Consiglio, dove le opposizioni al superamento del principio del primo Paese di ingresso non saranno poche.

sabato 25 novembre 2017

Migranti, naufragio davanti alle coste della Libia: “Almeno 25 morti, bilancio destinato a crescere”

Il Fatto Quotidiano
I sopravvissuti sono stati trasportati al porto di Tripoli, ha riferito la guardia costiera. Marco Minniti, ministro dell'Interno: "Dobbiamo sconfiggere il traffico illegale dei migranti e il Paese in questo senso deve essere unito"


È di almeno 25 morti il bilancio di un naufragio avvenuto al largo delle coste della Libia occidentale. “Ma il bilancio è destinato a crescere – dice il portavoce della Marina libica Ayub Ghasem, portavoce della Marina libica – Abbiamo individuato diversi corpi. Ci sono decine di dispersi”. I sopravvissuti sono stati trasportati al porto di Tripoli, ha riferito la guardia costiera.

Si stima che quest’anno siano circa tremila i migranti che sono morti o sono scomparsi nel tentativo di raggiungere l’Europa, la maggior parte dei quali approda sulle coste italiane, in Sicilia. 
[...]

Sopravvissute all'inferno libico: 'Stuprate, torturate, costrette a morire di parto'

Globalist
Una di loro trovata senza vita in un gommone ad est di Tripoli. Quelle che ce l'hanno fatta, soccorse dalla nave Aquarius, hanno raccontato il massacro: 'Sodomizzano anche i bambini'.


Sono testimonianze feroci. Terribili. Sono le voci delle donne migranti soccorse negli ultimi giorni. Ex detenute nelle prigioni libiche. Le sopravvissute all'inferno sono state soccorse dalla nave Aquarius di Sos Mediterranee tra mercoledì e giovedì, ad est di Tripoli. Erano su un gommone, in fondo al quale c'era una giovane loro compagna morta. Ad assisterle i personale medico di Msf che ha raccolto i loro racconti.

Secondo le testimonianze la ragazza alcuni giorni prima dell'imbarco aveva partorito un bambino nato morto. Ad ucciderla forse la setticemia.

Una donna del Camerun soccorsa dall'Aquarius ha spiegato ai volontari di Sos Mediterranee che era stata per 5 mesi in prigione a Sabratha, insieme al suo bambino nato un anno e mezzo fa nel deserto del Niger. "In prigione le donne morivano - ha detto - Una è deceduta dopo aver partorito, il cordone era stato tagliato col filo; non c'è niente, niente medicine, cure". "Non ci si poteva lavare, l'acqua non era potabile. La tratta dei neri esiste in Libia, dove tutti sono armati, anche i bambini. Prendono le donne, e imprigionano, le torturano, le spogliano. Gli uomini e i bambini erano sodomizzati. Spezzavano le dita alle ragazze serrandole nelle porte. I trafficanti ci hanno spinto in mare dicendoci: 'Andate a morire nel Mediterraneo'".

Non si può rimanere ancora silenti davanti a questo genocidio. Non si può.

28 e 30 novembre due grandi appuntamenti a Roma per dire al mondo #PENADIMORTEMAI

Blog Diritti Umani - Human Rights
Due grandi appuntamenti a Roma per costruire un mondo un mondo senza pena di morte organizzati da Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale italiano, Comunità di Sant'Egidio, Confederezione Svizzera.

Il 28 Novembre il 10° Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia dal titolo: "A WORLD WITHOUT DEATH PENALTY"


Il 30 Novembre, alle 18.30, Concerto al Colosseo, con la partecipazione di Max Giusti e tanti amici dello spettacolo, della musica e dello sport, come Noemi, Pier Davide Carone, Daiana Lou & Sermonti, Marco Morandi, Giulia Luzi, Vanessa Jay Mulder & Henry Padovani, la Super Max Band con Sara Jane Ologh , Giorgio e Gabriele del Trio Medusa…e tanti altri che in queste ore stanno aderendo tutti insieme per dire #PENADIMORTEMAI


Gli appuntamenti: 

Roma, 28 Novembre
10° Incontro Internazionale dei Ministri della giustizia 
''Un mondo senza pena di morte''
Nuova Aula dei Gruppi parlamentari
Camera dei deputati
Via del Campo marzio, 78
Per poter partecipare all'evento è necessario confermare entro venerdì 24 novembre 2017 
la propria adesione al numero di telefono 39 06 585661 o scrivendo una email a eventi@santegidio.org

Roma, 30 Novembre
18.30 Colosseo - Arco di Costantino 

Max Giusti

venerdì 24 novembre 2017

Nuova Guinea. Violento raid della polizia nel "carcere" per rifugiati dell'isola di Manus

La Repubblica
Caos e violenze sull'Isola di Manus: dove la polizia ha fatto irruzione nel famigerato centro di detenzione per richiedenti asilo che fin dal 2012 ospita i migranti che tentavano di raggiungere l'Australia dai paesi dell'Asia sud-orientale. 


Dichiarato incostituzionale, il centro era stato chiuso lo scorso 31 ottobre, ma centinaia di persone avevano rifiutato di lasciarlo affermando di temere per il loro futuro e la loro sicurezza. Secondo le prime notizie decine di persone sarebbero state arrestate, compreso il portavoce dei richiedenti asilo, il giornalista iraniano Behrouz Boochani.

Il centro di Manus era nato in virtù di quella "Pacific Solution" firmata nel 2001 dove di pacifico c'era solo l'Oceano che i disperati tentavano di attraversare, ma che di fatto era una soluzione estrema per dissuaderli a raggiungere l'Australia. Il governo di Canberra aveva infatti firmato un accordo con la vicina Papua Nuova Guinea affinché, in cambio di aiuti economici, l'arcipelago si facesse carico dei rifugiati diretti in Australia. Nel 2012 erano nati così due centri di detenzione: quello di Manus, appunto, esclusivamente maschile e quello di Nauru per donne e bambini. Qui in teoria le persone sarebbero dovute rimanere il tempo di esaminare le loro domande d'asilo. Ma di fatto nessuna delle persone entrate è mai riuscita ad ottenere il visto d'entrata in Australia. I centri in breve tempo si sono trasformati in lager: tanto che sia Amnesty International che l'Unhcr ne avevano denunciato più volte sovraffollamento, soprusi, e violenze fra le diverse etnie, visto che nel campo c'erano iraniani, pachistani, siriani, afghani ma anche persone fuggite da Myanmar, Sri Lanka e perfino dalla Somalia.

Dopo la sentenza di un tribunale di Port Moresby arrivata dopo che nel 2014 violente proteste all'interno del centro erano sfociate nell'uccisione di un migrante iraniano e la condanna arrivata perfino dalle Nazioni Unite, ad agosto 2016 i governi di Australia e Papua Nuova Guinea avevano concordato la chiusura di Manus. Una scelta diventata esecutiva solo alla fine di ottobre 2017. Su seicento rifugiati presenti, però, almeno quattrocento avevano rifiutato di lasciare il centro di detenzione lamentando che il loro futuro era troppo incerto. Poco appetibile l'offerta di essere spostati in un altro campo a Lorengau, sempre sull'isola di Manus, tanto più dopo le minacce nei loro confronti da parte della popolazione locale. E anche le altre possibilità offerte non avevano nulla di convincente visto che si parlava o di rimpatrio o di trasferimento in altri paesi come la Cambogia. "Non vogliamo altre prigioni" avevano protestato i profughi occupando illegalmente il centro.

Nel raid di stanotte, denunciano i migranti attraverso foto e video postati su Facebook e Twitter, ci sono stati tafferugli, la polizia ha fatto numerosi arresti e ha distrutto i pochi beni di quelle persone affinché non avessero nulla a cui tornare. "Hanno bruciato le nostre scorte di cibo e le nostre coperte e distrutto la riserva d'acqua pulita".

Parlando alla radio poche ore fa, il ministro dell'immigrazione australiano Peter Dutton, l'evacuazione è avvenuta senza violenze, ma ha confermato la linea dura: "I contribuenti australiani hanno speso 10 milioni di dollari per una nuova struttura e vogliamo che si spostino". Al momento la situazione sembra essere sotto il controllo della polizia: secondo quanto riportato da Tim Costello, capo dell'associazione umanitaria World Vision Australia, presente fuori dal campo "la polizia ha costretto le persone rimaste a salire su dei bus che sono poi partiti".




di Anna Lombardi

giovedì 23 novembre 2017

La lezione del Ruanda all'Occidente: fratelli migranti in Libia vi accogliamo noi

Globalist
La solidarietà è questo. Uno dei Paesi più poveri del mondo che 'spalanca le porte'. Scrive il ministro degli Esteri: 'Non possiamo rimanere silenti quando esseri umani sono venduti all'asta come bestie'.

Notizie controtendenza. Il Ruanda, uno dei paesi più poveri al mondo, si è dichiarato disposto ad accogliere i migranti bloccati in Libia . 

"Data la filosofia del Ruanda e la nostra storia, non possiamo rimanere silenti quando esseri umani sono maltrattati e venduti all'asta come bestiame", ha dichiarato il ministero degli esteri di Kigali in una nota pubblicata sul suo sito internet.

Il riferimento è al video rilanciato dalla Cnn una decina di giorni fa in cui vengono mostrati due migranti vengono venduti all'asta in Libia. "Il Ruanda potrebbe ospitare fino a 30 mila migranti africani al momento bloccati in Libia dove sono sottoposti a ogni tipo di abuso, incluso essere venduti apertamente in mercati degli schiavi", scrive il sito del quotidiano ruandese The New Times sintetizzando dichiarazioni in esclusiva della ministra degli Affari esteri Louise Mushikiwabo.

Il Ruanda è uno dei Paesi più densamente popolati in Africa, ma conosce al momento una straordinaria crescita economica: + 6% nel 2016.

Come sottolinea la stampa francese, dovrebbe riuscire a integrare con successo queste persone nell’economia nazionale. Scrive il ministero degli Esteri: "Noi siamo inorriditi per le immagini della tragedia che si consuma attualmente in Libia dove uomini, donne e bambini africani che erano sulla via dell'esilio sono stato bloccati e trasformati in schiavi. Siamo solidali con i nostri fratelli e sorelle africani ancora tenuti in cattività". 

Nell 1994 il Ruanda fu teatro di un genocidio etnico di cui furono vittima circa 800 mila Tutsi e Hutu moderati, ricorda il sito della Bbc. Il paese è 167/o su 187 nella classifica mondiale 2017 del Pil pro capite espresso in parità di potere d'acquisto (Ppa) stilata dalla Banca mondiale.

Messico - 150 omicidi a Pedras Negras carcere degli orrori, base dell'organizzazione criminale "Zeta"

euronews.it
Un carcere statale controllato da una delle più temute organizzazioni criminali del paese e usato come base per assoldare sicari e gestire il traffico di droga con gli Stati Uniti. Tutto questo con la complicità delle autorità locali.


La prigione di Pedras Negras
Un'inchiesta di oltre 1.500 pagine appena presentata a Città del Messico svela nel dettaglio le attività criminali degli Zeta nella prigione di Pedras Negras, nello stato di Coahuila, distante appena sei chilometri dal confine con il Texas.

Il periodo considerato è il biennio 2010-2011, durante il quale gli Zeta avevano un controllo totale della prigione. I suoi componenti potevano entrare e uscire a piacimento, in molti casi con l'aiuto dei secondini. Gli altri detenuti vivevano sotto la loro costante minaccia.

Il carcere era usato anche come campo di sterminio. Al suo interno gli Zeta sequestravano, torturavano e assassinavano le loro vittime, bruciando i loro resti. Nell'inchiesta si legge che sono più di 150 gli omicidi commessi a Pedras Negras. 

Attività criminali portate avanti con la complicità delle autorità dello stato di Cohauila, che non consentivano al governo federale di entrare a Pedras Negras senza il consenso del direttore del carcere, che era però nominato dagli Zeta.

L'arresto del leader Omar Treviño Morales nel 2015 ha dato il via a una guerra intestina nell'organizzazione, che si è scissa in due gruppi in lotta tra loro per il controllo del territorio. Formatisi a metà anni 90 come gruppo paramilitare, gli Zeta sono stati per anni il braccio armato del Cartello del Golfo. Nel 2010 la fine del periodo di alleanza ha segnato il loro ingresso nel mondo del narcotraffico.

mercoledì 22 novembre 2017

Cina - 2 anni di carcere all'avvocato Jiang Tianyong per aver denunciato torture sui detenuti

Il Giornale
La sentenza che conferma il giro di vite meso in atto da Pechino contro i critici del regime. L'ultima vittima dall'arrivo al potere di Xi Jinping è Jiang Tianyong, attivista e avvocato cinese condannato a due anni di prigione per "incitamento alla sovversione contro lo stato". Il motivo? Il 46enne avrebbe criticato la retata attraverso la quale più di 200 avvocati o attivisti per i diritti umani sono stati interrogati o fermati a partire dal 9 luglio 2015.

Jiang Tianyong
Le torture in prigione - Secondo quanto riporta Le Figaro, la Corte di giustizia cinese ha dichiarato che l'avvocato avrebbe gradualmente cercato di sovvertire il sistema politico dopo essere stato influenzato da alcune "forze straniere anticinesi" durante un viaggio fuori dal Paese. Inoltre, l'uomo avrebbe aiutato un altro avvocato a rendere pubbliche alcune affermazioni in cui quest'ultimo raccontava di aver subito delle torture durante la sua detenzione.

Il giro di vite - La sentenza che conferma il giro di vite messo in atto da Pechino contro i critici del regime. Jiang, 46 anni, in passato si era occupato anche di dossier delicati, come i seguaci del Falun Gong, le proteste in Tibet e le vittime del 2008 per il latte contaminato. Nel 2009 era stato destituito dall'ordine degli avvocati, ma aveva continuato a lavorare come attivista. A novembre dello scorso anno era stato portato via dalla polizia, dopo aver fatto visita alla moglie del collega avvocato Xie Yang vittima della repressione, e da allora i familiari non sono più riusciti a contattarlo.

Dopo un processo che l'organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha definito "una farsa", la corte ha giudicato Jiang "colpevole di incitamento alla sovversione contro i poteri dello Stato e diffamazione del governo", accusandolo anche per i suoi viaggi all'estero e per i suoi contatti con organizzazioni straniere. "Jiang Tianyong è stato a lungo influenzato dalle forze straniere anti-cinesi", ha detto il giudice. La corte ha anche ritenuto colpevole il 46enne di aver usato i social media per attaccare il governo cinese per incitare altri a manifestare in pubblico.

Eugenia Fiore


Viaggio tra i profughi Rohingya, fuggiti dal Myanmar. Intervista ad Alberto Quattrucci della Comunità di Sant'Egidio

Radio Vaticana
A Cox’s Bazar, la cittadina del Bangladesh al confine con il Myanmar che ospita i più grandi campi profughi improvvisati dei Rohingya, sta arrivando l’inverno. E i 500mila di Kutupalong, l’insediamento che si è riempito dopo l’esodo iniziato dal 26 agosto, cominciano a tremare di freddo. Ecco la testimonianza di Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio, che all’inizio del mese ha visitato i campi per portare medicinali, macchinari sanitari e alimenti di prima necessità.

R. - “La situazione è di gente cui ancora manca cibo, mancano in questo momento anche i vestiti, perché comincia con le piogge a diventare tutto fango, la notte la temperatura si abbassa, mancano medicinali, ci sono infezioni, perché non c’è acqua. 250 mila, forse 300 mila bambini, sono famiglie numerosissime, molto piccoli, totalmente nudi, che muoiono perché bevono l’acqua del mare. Quindi è una situazione veramente drammatica dove molte Ong hanno cominciato a lavorare, ma manca assolutamente un coordinamento e c’è un grande bisogno ovviamente immediato e poi con un grande punto interrogativo sul futuro di questo popolo dei Rohingya di oltre un milione ormai di persone, considerando i primi arrivi, quelli del 1982, quando il Myanmar gli tolse la cittadinanza. Sono da allora apolidi, il più grande numero di apolidi nel mondo oggi, più di un milione di persone, tra quelli arrivati nell’’82, nel 1991 e gli oltre 600mila arrivati dal 25 agosto a oggi. E non è finita questa emorragia, perché ancora 250mila, forse 300mila sono nel Rakhine, la zona al confine, e probabilmente staranno arrivando”.

D. - Ma per il futuro quale può essere la soluzione per questa popolazione? Cercare di integrarsi in Bangladesh, oppure rientrare in Myanmar?

R. - “Quello che loro chiedono è avere la cittadinanza di nuovo, per poter tornare nel Rakhine, tornare nelle loro case e quindi tornare indietro, ma questo è molto improbabile, da quello che si vede e si sente, perché pare che quella zona in Myanmar sia in qualche modo già data ad altre destinazioni, dal punto di vista economico. La mia impressione , da questo primo viaggio, è che loro possono integrarsi molto bene in Bangladesh, non solo per un fatto di lingua, e anche per un fatto di fede e religione islamica, ma anche perché effettivamente è gente che lavora molto… si entra in questi campi e non si vede uno fermo, si costruiscono col bambù, con le plastiche che trovano continuamente ripari, cercano l’acqua anche se non c’è, dove la trovano, è una popolazione molto attiva, e tra l’altro in una situazione del Bangladesh, che è così povero, potrebbero costituire in qualche modo, grazie ai tanti aiuti internazionali, attirati dai riflettori oggi puntati sui Rohingya, che in realtà puntano anche sul Bangladesh, una possibilità di futuro comune. Io parlavo con il direttore sanitario del piccolo ospedale di Cox’s bazar, la cittadina intorno alla quale si sono creati questi campi profughi: è un ospedale che cade a pezzi, che necessita di tanti aiuti, di macchinari, di letti. Quell’ospedale potrebbe essere ricostruito, con gli aiuti internazionali, i costi non sono altri. E quindi potrebbe esserci sviluppo per il paese e insieme vita e futuro per i Rohingya. Questa è secondo me è una formula molto importante. Certo si tratta di una volontà politica, di una saggezza che in questo momento sarebbe estremamente necessaria”.

martedì 21 novembre 2017

Sbarchi record in Spagna, 23.187 arrivi da gennaio. Rotta Mediterraneo occidentale è tornata a essere la più battuta

Ansa
Madrid - Le continue ondate di sbarchi di migranti sulle coste spagnole o via terra, attraverso le enclavi in Marocco di Ceuta e Melilla, confermano che la rotta migratoria del Mediterraneo occidentale è tornata a essere la più battuta, a fronte di un declino di quelle del corridoio centrale e orientale del Mare Nostrum. 


E questo, secondo alcune Ong impegnate nell'assistenza ai rifugiati, è dovuto alla difficoltà crescente per i subsahariani di attraversare la Libia o il Niger per tentare di arrivare dal Nord Africa alle coste del sud Europa.
Dall'inizio dell'anno al 19 novembre, 23.187 migranti sono giunti in territorio spagnolo, 19.983 dei quali via mare, mentre altri 3.204 attraverso Ceuta e Melilla, secondo i dati diffusi dal ministero degli Interni. Nello stesso periodo, 161 persone sono morte annegate nel tentativo di raggiungere le coste iberiche, le ultime tre all'alba di domenica di fronte a Ceuta.

Si tratta del maggiore numero di sbarchi dal 2006, quando 31.678 'sin papeles' arrivarono all'arcipelago delle Canarie e altri 7.500 al sud della Spagna. Sebbene numericamente superiori per numero di sbarchi, le rotte dalla Libia all'Italia e dalla Turchia alla Grecia registrano nello stesso periodo una diminuzione: la prima, con 114.606 migranti da gennaio al 17 novembre scorso, rispetto ai 167.828 dello stesso periodo del 2016 (-31,7%), secondo i dati diffusi dal ministero italiano degli interni; la seconda con una caduta ancora più significativa da 170.679 nel 2016 a 25.614 migranti dall'inizio di quest'anno.
Dei flussi giunti in Spagna, i migranti di origini marocchine sono i più numerosi, pari al 23,1%, seguiti dagli algerini (20,9%) e da quelli di origini subsahariane - ivoriani, guineani, camerunensi, malesi, nigeriani, - pari al 55,8% del totale. Dopo il fronte marocchino le fonti del ministro degli interni, citate dai media iberici, confermano l'apertura di quello algerino: nella provincia di Murcia sono sbarcati 519 migranti algerini, che viaggiavano su 49 imbarcazioni salpate dal paese magrebino, soltanto nell'ultimo fine settimana.
Un'"incursione migratoria" senza precedenti, come ha rilevato ieri il prefetto della regione, Francisco Bernabé, che l'ha definita "un attacco coordinato contro le nostre frontiere". Alla luce dell'ondata di sbarchi, il ministro degli interni, Juan Ignacio Zoido ha chiesto pubblicamente ad Algeri di rafforzare la vigilanza sulle coste e ha annunciato per questa settimana una riunione con l'ambasciatrice dell'Algeria in Spagna, Taoud Feroukhi, per affrontare l'emergenza dell'"allarmante ondata di sbarchi". 

Nelle prime due settimane di novembre, sono ripresi anche gli sbarchi sulle coste della Canarie, che non si registravano da anni, con l'arrivo di tre imbarcazioni con a bordo 45 migranti provenienti dalla Mauritania e 47 di origini senegalesi.

Americano e messicana si sposano sul varco del muro ed entrano finalmente insieme negli USA

Globalist
Grazie alle nozze, Evelia potrà raggiungere il marito negli Stati Uniti. Lui, Brian, l'ha preso in braccio facendole così attraversare il muro, aperto solo per un'ora per le nozze.

Alla fine lo sposo, americano, ha preso in braccio la sposa, messicana, e, invece che portarla dentro casa, le ha fatto attraversare il confine tra Stati Uniti e Messico.
La sposa, originaria dello Stato di Guerrero, nel sud del Messico, non poteva andare negli Stati Uniti, perché non aveva i documenti richiesti, un problema che sta per essere risolto con il matrimonio .

"Per chi si vuole bene questo muro non esiste. L'amore non conosce i confini ", ha detto la sposa, Evelia Reyes, che indossava il tradizionale abito bianco, con tanto di velo. La coppia ha scambiato i voti matrimoniali alla presenza di un giudice messicano, davanti alla "porta della speranza", un'apertura nella recinzione che separa i due Paesi a Playas de Tijuana, e che è stata lasciata aperta per un'ora dalle guardie di frontiera statunitensi.

La cerimonia è stata organizzata dai Border Angels, una ONG che difende i diritti degli immigrati, e si è svolta sotto l'occhio vigile delle guardie di frontiera americane e alla presenza di pochi parenti e amici.
Evelia ha detto di avere incontrato il marito, Brian Houston, tre anni fa a Tijuana. Tuttavia, non poteva andare negli Stati Uniti perché priva dei necessari documenti.
La cerimonia si sarebbe potuta tenere in Messico, ma, secondo il San Diego Tribune, Brian Houston non poteva andare a Tijuana per ragioni non meglio spiegate. Al rito ha presenziato anche la moglie del sindaco di Tijuana.

Enrique Morones, dei Border Angels, ha lamentato il fatto che le famiglie riunite per l'evento "possono stare insieme solo per cinque minuti: questa è la cosa più triste".

Turchia - Altri 945 arresti per "terrorismo" e uccisi 45 militanti curdi

Ansa
Istanbul - Non si fermano in Turchia gli arresti di massa con accuse di "terrorismo" sotto lo stato d'emergenza post-golpe. Sono 945 le persone finite in manette nell'ultima settimana, secondo quanto riferisce il ministero degli Interni. 

Come accade regolarmente dal colpo di stato fallito del luglio 2016, la maggior parte (666) è sospettata di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. 

Altre 206 sono state invece arrestate in operazioni contro il Pkk curdo, durante le quali, sempre secondo Ankara, sono stati "neutralizzati" 58 militanti, di cui 45 uccisi. 

Detenuti anche 63 sospetti affiliati all'Isis e 10 a gruppi illegali di estrema sinistra. Dal tentato putsch, gli arresti per presunti reati di terrorismo in Turchia sono oltre 50 mila.

lunedì 20 novembre 2017

Calais, un anno dopo: centinaia di migranti ancora nella terra di nessuno

Riforma.it
I numeri di migranti presenti è calato, ma restano comunque centinaia di persone in una terra di nessuno, fra forze di polizia che abusano del ruolo e autorità locali e nazionali che negano il problema.

La "chiesa" della baraccopoli di Calais
Il 24 ottobre 2016 veniva smantellata la gigantesca baraccopoli di Calais, in cui erano stipate in condizioni spaventose migliaia di persone, 7.400 per l’esattezza al momento della conta finale da parte delle autorità. Molti altri però si erano già allontanati nei giorni precedenti, alla notizia della chiusura di questo avamposto sulla Manica, ultimo insormontabile ostacolo prima dell’agognata Gran Bretagna, e quindi la contabilità risulta per difetto ( si stima fosse di oltre 10 mila persone la capienza media).

Le 7.400 donne, uomini e bambini sono stati trasferiti nei 301 Centri di accoglienza e orientamento (Cao) sparsi su tutto il territorio francese. Creati nel 2015 i Cao sono i luoghi in cui preparare e affrontare i primi passi per la legalizzazione: vi si presentano le domande di asilo per poi venire spostati nei meno improvvisati centri di accoglienza per i richiedenti asilo (Cada).

Secondo i dati dell’Ufficio francese per l’immigrazione e l’integrazione (Ofii) il 42% fra queste persone ha ottenuto il diritto di asilo o una qualche forma di protezione sussidiaria, mentre il 46% è ancora nelle liste di attesa in attesa di un giudizio definito. 

Il 7% sarebbe la percentuale dei rimpatriati perché senza i requisiti necessari. 5466 donne e uomini sono stati accompagnati nei Cao, 1952 minori non accompagnati sono finiti nei centri a loro dedicati. 515 fra questi ultimi, a seguito di un accordo con l’Inghilterra volto a favorire i ricongiungimenti dei minori con le famiglie, sono stati trasferiti oltre Manica, ma di contro di 709 si sono perse le tracce, fuggiti prima che la loro situazione venisse chiarita.

Dopo alcuni mesi di relativa calma, dalla primavera di quest’anno i migranti hanno ricominciato ad arrivare, provenienti principalmente da Eritrea, Etiopia e Afghanistan.

Secondo i dati forniti dal governo francese al momento a Calais sono ancora presenti 500 migranti, ma sia le Organizzazioni non governative (che parlano di 700) sia il sindaco (che fissa la cifra al migliaio) hanno riscontri più elevati.

Se il turismo e le attività portuali hanno ripreso un minimo di respiro e se gli attori economici hanno notato un lieve miglioramento, la situazione dei profughi è invece nettamente peggiorata. Non esistono più presidi fissi in cui rifugiarsi, nutrirsi, beneficiare degli aiuti umanitari disponibili. Ora i volontari per distribuire cibi e vestiti devono spostarsi fra i vari luoghi di aggregazione improvvisati, e l’inverno glaciale di queste latitudini è alle porte. Sono almeno 4 i luoghi in cui si raccoglie chi arriva qui, spesso raggruppati per nazionalità e provenienza, ad attendere furgoni che li raccolgono per condurli verso lavori saltuari.
[...]
«Misure dissuasive sono prese nei confronti delle associazioni e dei privati cittadini che aiutano i migranti. Insieme ad altri chiediamo la costruzione di luoghi di sosta, di “case dei migranti” in transito, mentre le autorità negano semplicemente che esistano. 

Ma dovremo lasciarli sedere e riposare da qualche parte senza che ogni dieci minuti ci sia qualcuno a molestarli e ad intimidire loro e chi desideri aiutarli. Il governo deve cambiare atteggiamento». L’inverno è alle porte, le temperature di notte scendono sotto lo zero già da alcuni giorni. Nel cuore dell’Europa un altro presidio di illegalità da parte di un governo si sta perpetrando nel silenzio quasi generale.

Claudio Geymonat

20 novembre - Giornata mondiale dei diritti dei bambini

Osservatorio Diritti
Oggi è la Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e ricorre l'anniversario della Convenzione dell’Unicef. Eppure le Nazioni Unite ricordano che oggi nessuno potrà impedire che muoiano 15 mila bambini sotto i 5 anni. O che 385 milioni restino in povertà assoluta


Una giornata per i bambini e fatta da bambini: con questo augurio l’Unicef, per celebrare la 28esima Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza(in cui ricorre l’anniversario dell’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza), ha proposto ai bambini in tutto il mondo di «prendere il posto degli adulti» nelle scuole, negli uffici, nelle loro comunità di appartenenza.

Eppure è sempre l’Unicef che ci ricorda che, anche nella giornata di oggi, nessuno potrà impedire che muoiano 15 mila bambini sotto i 5 anni, o che, a causa di una violenza, ogni 5 minuti muoia una bambina o una ragazza, e ogni 7 muoia un bambino o un ragazzo. La strada per una tutela reale dei diritti dei minori è ancora lunga.
Guerra e povertà: i nemici di bambini e adolescenti
La guerra è nemica giurata dell’infanzia, ricorda l’Unicef. Ancora di più se pensiamo ai conflitti di oggi, che hanno come obiettivo non tanto quello di conquistare un territorio, quanto di distruggere un nemico. Donne e bambini diventano così obiettivi bellici: sterminare bambini significa eliminare i nemici del domani; la violenza sessuale e l’arruolamento di bambini soldato sono armi sempre più diffuse, entrambe con devastanti conseguenze psicologiche sui minori.

La guerra si accompagna alla povertà, altra condizione che impedisce ai bambini di vivere serenamente il loro tempo. In tutto il mondo sono 385 milioni i minoriche vivono in condizioni di estrema povertà.

Tra loro, 8,5 milioni di loro sono siriani. Sono in condizioni difficili sia quelli rimasti con i propri familiari in Siria durante la guerra, sia quelli che hanno lasciato il paese e vivono ora da rifugiati nei paesi limitrofi. Tra questi milioni di bambini che vivono in estrema povertà ci sono anche tanti minori yemeniti, sud sudanesi, somali.

Dei bambini che vivono in aree di conflitto, 75 milioni hanno meno di 5 anni.
Infanzia: negato il diritto di nascere e crescere
La mortalità neonatale resta molto alta in particolare in due regioni del mondo: l’Asia meridionale (39%) e l’Africa subsahariana (38%). Eppure la nazione con la più alta percentuale di queste morti è l’India: qui si concentra il 24% dei casi.

Ci sono aree del mondo in cui sotto i 5 anni puoi morire anche per una semplice diarrea o una banale polmonite: ogni anno accade a 1,4 milioni di bambini.

Sono tanti i fattori che condizionano il corretto sviluppo celebrale di un bambino. Tra questi ci sono un ambiente sano e degli stimoli positivi. Purtroppo a molti bambini è negato anche questo: 300 milioni vivono in zone dove l’aria è tossica, mentre in 64 paesi un quarto dei bambini tra i 2 e i 4 anni non può giocare, cantare o leggere. In pratica non ha diritto all’infanzia.
Educazione violenta per bambini e adolescenti
La casa e la scuola dovrebbero essere i luoghi in cui ogni bambino trova rifugio e serenità. Purtroppo non è così. Secondo i dati Unicef raccolti in 30 paesi, 6 bambini su 10 di un anno di età sono regolarmente vittime di un’educazione violenta.

Anche a scuola la violenza fa parte del metodo educativo: 732 milioni di bambini in età scolare (il 50% del totale), vive in paesi in cui le punizioni fisiche a scuola sono ammesse. E anche nel nostro paese l’organizzazione Save the Children parla di “povertà educativa“.

Spose bambine, vittime di violenza e mutilazioni genitali
Nel caso delle bambine, l’educazione violenta si traduce in violenza sessuale: 15 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni hanno subito molestie o stupri. E nel 90% dei casi queste violenze non arrivano da uno sconosciuto.

I matrimoni precoci sono ancora una realtà difficile da sradicare: nel mondo un quarto delle bambine è costretta a contrarre matrimonio prima di aver compiuto la maggiore età. Una piaga ancora più terribile è il perpetrarsi della pratica delle mutilazioni genitali femminili: le hanno subite 63 milioni di ragazze e bambine.
Diritti dei bambini: in Italia cresce la povertà minorile
Carenza di cure sanitarie adeguate, condizioni abitative non idonee, alimentazione non corretta: ecco cosa significa per un bambino essere povero in un paese come l’Italia.

A questo si sommano anche la mancanza di accesso a luoghi di svago, a un’istruzione di alto livello, a una protezione sociale e di inclusione. La crisi economica ha impoverito le famiglie, la politica non ha saputo garantire questi diritti ai minori. Per questo oggi in Italia la povertà minorile continua a crescere: in termini reali si parla di 2.297.000 minorenni in povertà relativa e 1.292.000 in povertà assoluta.
Migranti: i minori stranieri non accompagnati
Nel 2016 più di 100 mila migranti minorenni hanno attraversato il Mediterraneoper arrivare in Europa. Molti di loro viaggiavano da soli, cioè senza un adulto che lo accompagnasse. Si chiamano “minori stranieri non accompagnati”.

Sono ragazzi e ragazze in fuga dal loro paese, scappano da guerre, povertà, regimi autoritari, violenze, mancanza di un futuro. Sono diretti in Europa e non sempre vogliono fermarsi in Italia. Sono sempre più giovani: hanno anche 12 o 13 anni. Negli anni sta aumentando la percentuale di ragazze che arrivano, quasi tutte nigeriane. Nel 2016 sono arrivati in Italia 26 mila minori stranieri soli. Quest’anno, fino al 25 ottobre, sono stati 14.579 e rappresentano il 90% di tutti i bambini arrivati in Italia.
Migranti minori facili prede della tratta di esseri umani
I migranti minori non accompagnati sono soggetti particolarmente vulnerabili, perché hanno affrontato grandi dolori e grandi cambiamenti. Spesso sono indeboliti, perché arrivano da un viaggio di privazioni e di violenze, e solo in Europa possono sperare di ricevere cure adeguate.

Sono facili prede della tratta: se in tutto il mondo i bambini che finiscono nelle mani dei trafficanti sono un quarto delle vittime totali, il 57% di loro viene subisce tratta mentre sta attraversando i confini: le rotte della tratta a livello globale si sovrappongono alle rotte migratorie.

Diversa la destinazione in base al sesso: il 72% delle vittime di sesso femminile subisce sfruttamento sessuale; l’86% delle vittime di sesso maschile rilevate viene sottoposto a lavori forzati.
Legge Zampa: modello europeo per minori stranieri soli
Nel marzo di quest’anno (dopo uno stallo di 3 anni), l’Italia ha approvato la legge Zampa (dal nome della deputata Sandra Zampa, prima firmataria del provvedimento), che mira proprio a tutelare i minori stranieri non accompagnati.

In sintesi, la legge: sottolinea che i minori soli non possono mai essere espulsi; limita a 30 giorni la permanenza del minore in una struttura di prima accoglienza e alza gli standard per le strutture di seconda destinazione; impone una procedura multidisciplinare per accertare l’età del minore; rafforza il diritto alla salute e all’istruzione; istituisce l’albo dei tutori volontari, per permettere a ogni minore di avere un adulto legalmente responsabile di lui, almeno fino alla maggiore età.

A sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la legge non è ancora completamente implementata, ma con la sua approvazione l’Italia è diventato il primo paese in Europa a dotarsi di un sistema organico che considera i bambini migranti, prima di tutto, bambini.

domenica 19 novembre 2017

Perché non se ne parla? Yemen: Ong: muoiono 130 bambini al giorno

Ansa
'Uno ogni 10 minuti, per fame e malattie. 50.000 bimbi a rischio'

"In Yemen 130 bambini muoiono ogni giorno per fame e malattie, uno ogni dieci minuti. Si stima che nel 2017 potrebbero perdere la vita 50.000 minori malnutriti sotto i 5 anni": lo denuncia Save the Children in un comunicato.

Qualche giorno fa, l'Unicef ha stimato siano 400.000 i bambini che rischiano di morire per malnutrizione nel paese.
"Il blocco delle frontiere potrebbe far aumentare il bilancio delle vittime. Le scorte di cibo potrebbero esaurirsi in poche settimane", prosegue Save the Children.

Usa - Luisiana - Wilbert Jones arrestato a 19 anni libero dopo 46 anni in carcere innocente per un crimine che non ha commesso

TGCom24
Wilbert Jones, che era stato incarcerato quando aveva appena 19 anni per sequestro di persona e stupro di unʼinfermiera, si è sempre proclamato innocente.



Ha passato dietro le sbarre gran parte della sua vita. Wilbert Jones, della Louisiana (Usa), a 19 anni era stato arresto per sequestro di persona e stupro di un'infermiera. Ora dopo 45 anni e 10 mesi esce dalla prigione. Non perché ha finito di scontare la pena, ma perché non aveva mai commesso il fatto: era stato incarcerato per errore.

Jones durante i quasi 50 anni di carcere si era sempre proclamato innocente. E infatti è finito in prigione per un clamoroso errore giudiziario. Le accuse contro di lui si erano basate totalmente sulla testimonianza dell'infermiera. Inoltre la donna aveva detto alla polizia che l'uomo che l'aveva violentata era "più alto" e "aveva una voce più ruvida" di Wilbert. Ma le forze dell'ordine arrestarono lo stesso il 19enne.

Ora è emerso che a compiere il reato è stato un altro uomo, un pregiudicato già colpevole di un altro stupro e arrestato per rapina. La giustizia dello stato della Louisiana ha impiegato però più di 45 anni per capire di aver commesso un grosso errore.
"Dio mi ha confortato - ha detto Wilbert -. Non sono spaventato, la mia famiglia mi è sempre stata vicina. Il suo primo desiderio da uomo libero è un piatto di Gumbo(una pietanza tipica della Lousiana)".

Papa Francesco mette al centro della Chiesa e del mondo, nella "Giornata mondiale dei Poveri", chi vive in difficoltà . Una festa e la proposta di un impegno quotidiano.

Blog Diritti umani - Human Rights
Voluta da Papa Francesco come frutto del Giubileo della Misericordia è nata la Giornata mondiale dei Poveri,  è una giornata che vuole aiutare tutti ad  impegnarsi, la Chiesa, i credenti, la società civile per la vita di chi vive difficoltà, nelle proprie città ed in ogni angolo del mondo.
Oggi si vedono i frutti di un impegno quotidiano che oggi vede in una giornata tutti: associazioni, comunità, parrocchie, singoli cittadini, festeggiare l'amicizia di un anno ed in tanti casi di una vita tra chi è più fortunato e chi ha bisogno del sostegno degli altri per vivere.
Una festa ed una domanda posta a tutta la società civile per costruire una realtà resa più umana dalla solidarietà e quindi migliore per tutti.
La Stampa
Saranno scelti tra poveri, migranti e barboni i dodici ministranti che serviranno alla Messa del Papa, domenica 19 novembre, per la prima Giornata mondiale dei Poveri. 




«Si prevede che siano presenti in Basilica 6mila-7mila poveri, molti dei quali accompagnati delle organizzazioni caritative che si prendono cura di loro, ma anche da altre piccole realtà parrocchiali» informa la Sala stampa vaticana. I poveri provengono soprattutto dall’Europa (Italia, Francia, Spagna, Germania e Polonia) ma ci sono anche tanti migranti e rifugiati originari di ogni parte del mondo.

Uno dei lettori della Messa è un rifugiato siriano (Tony). Alla preghiera dei fedeli partecipano un peruviano e un brasiliano, entrambi bisognosi che sono riusciti a essere a Roma grazie a due borse di studio. All’offertorio sarà presente una famiglia bisognosa in precarie condizioni, proveniente da Torino, con una bimba piccola di un anno malata. Insieme all’acqua e al vino per l’Eucaristia, all’offertorio verrà portato il pane che quotidianamente una organizzazione di carità raccoglie e distribuisce nella mense dei poveri. Lo stesso pane sarà poi consumato durante il pranzo nell’«Aula Paolo VI».

sabato 18 novembre 2017

Bangladesh: zattere improvvisate in arrivo dal Myanmar, aumentano i rifugiati rohingya

La Repubblica
In un’area nota col nome di Block CC si contano 95.000 persone per chilometro quadrato. La densità di Dacca è di 44.500 persone per km quadrato. Il campo profughi di Kutupalong Extension Site è al limite con circa 335.000 nuovi arrivati.


Roma - A tre mesi dall’inizio della crisi che ha indotto migliaia di persone dell'etnia musulmana Rohingya a fuggire in Bangladesh, i rifugiati continuano a lasciare Myanmar (la ex Birmania) utilizzando metodi sempre più disperati: molti cercano di attraversare il delta del fiume Naf - dove passa il confine fra i due Paesi - aggrappati anche a taniche galleggianti.

Negli ultimi 10 giorni l’UNHCR - l’Agenzia ONU per i Rifugiati - ha fatto sapere di aver verificato l'uso di 30 zattere improvvisate in arrivo, appunto, dal Myanmar, con più di cento persone a bordo. 

Non potendo permettersi di pagare per effettuare la traversata, i rifugiati costruiscono zattere con qualsiasi materiale riescano a trovare – soprattutto canne di bambù e taniche vuote, il tutto legato insieme e avvolto in teli di plastica. Usando remi fatti di bambù e pezzi di plastica, alcune di queste zattere sono riuscite ad arrivare a Shahporir Dwip, in Bangladesh, una traversata di circa quattro ore. In questo punto l’estuario del fiume Naf è ampio circa tre chilometri.

Da agosto ad oggi fuggite 620mila persone. Dall’inizio della crisi, il 25 agosto scorso, si ha notizia di oltre 100 rifugiati Rohingya morti annegati in naufragi e incidenti navali. Ma il numero delle vittime potrebbe essere assai superiore. Coloro che sono arrivati più di recente, raccontano di aver atteso più di un mese in condizioni disperate sulle coste del Myanmar. Dicono che cibo e acqua scarseggiano. Dal 25 agosto, circa 620.000 rifugiati Rohingya sono fuggiti in Bangladesh. Il solo campo profughi di Kutupalong Extension Site, che è stato approntato subito dopo l’insorgere della crisi, è ora altamente congestionato, ospitando circa 335.000 nuovi arrivati – più della metà del flusso.

Una densità oltre 44.500 persone per km quadrato. In questo momento 13 delle 20 aree del Kutupalong Extension Site sono popolate più densamente di alcune zone di Dacca. Un’area nota con il nome di Block CC ospita oltre 95.000 persone per chilometro quadrato (secondo dati di UN Habitat la densità della popolazione di Dacca è di 44.500 persone per chilometro quadrato). Nonostante le operazioni congiunte mirate a portare ulteriori aiuti e servizi, il sovraffollamento e le condizioni di vita difficili nei campi e nei rifugi improvvisati incrementano i rischi di malattie, di incendi, di violenza e di traffici.

Occorrono terreni aggiuntivi. C’è urgente bisogno di terreni aggiuntivi e ulteriori spazi da destinare a rifugi e infrastrutture per fornire servizi salvavita e altri aiuti tra cui pozzi, latrine, lavatoi, punti di distribuzione, spazi per i bambini, spazi sicuri per donne e ragazze, centri ricreativi, ecc. Finora l’UNHCR ha consegnato centinaia di migliaia di aiuti, tra cui tende, teli di plastica, lenzuola, materassi, reti anti-zanzare, set da cucina, secchi e taniche. Con una così alta densità della popolazione di rifugiati, i rischi alla protezione crescono rapidamente, in particolare quelli legati alla violenza sessuale e di genere. L’UNHCR sta coinvolgendo tutti i segmenti delle comunità dei rifugiati in attività di sensibilizzazione e di prevenzione della violenza sessuale e di genere. In collaborazione con le agenzie partner, l’UNHCR è
al lavoro per attuare dei meccanismi di segnalazione per le donne, per i sopravvissuti alla violenza sessuale e di genere, e istituire spazi sicuri per donne e ragazze. I bisogni di protezione di ragazzi e ragazze adolescenti devono essere rafforzati in tutti i programmi umanitari.