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venerdì 24 giugno 2022

Etiopia, 200 i civili di etnia ahmara uccisi a Gimbi nella regione dell'Oromia.

Blog Diritti Umani - Human Rights
Testimoni in Etiopia hanno riferito che domenica 19 giugno più di 200 persone, per lo più di etnia Amhara, sono state uccise in un attacco nella regione dell'Oromia del paese e stanno incolpando un gruppo ribelle, che lo nega.


È uno degli attacchi più gravi avvenuti di recente su base etnica nel paese vittima di gravi tensioni.

“Ho contato 230 corpi. Temo che questo sia l'attacco più mortale contro i civili che abbiamo visto nella nostra vita", ha detto all'Associated Press Abdul-Seid Tahir, residente nella contea di Gimbi, dopo essere sfuggito a malapena all'attacco di sabato. “Li stiamo seppellendo in fosse comuni e stiamo ancora raccogliendo corpi. Ora sono arrivate unità dell'esercito federale, ma temiamo che gli attacchi possano continuare se se ne vanno".

Un altro testimone, che ha fornito solo il suo nome, Shambel per i timori per la sua incolumità, ha affermato che la comunità locale di Amhara sta ora cercando disperatamente di essere trasferita da qualche altra parte "prima che avvengano altre uccisioni di massa". Ha detto che l'etnia Amhara che si stabilì nell'area circa 30 anni fa in programmi di reinsediamento è vittima di queste uccisioni.

Sulle responsabilità ci sono scambi di accuse sulle responsabilità delle uccisori di massa.

L'Etiopia sta vivendo diffuse tensioni etniche in diverse regioni, la maggior parte delle quali a causa di rimostranze storiche e tensioni politiche. Il popolo Amhara, il secondo gruppo etnico più numeroso tra gli oltre 110 milioni di abitanti dell'Etiopia, è stato preso di mira frequentemente in regioni come Oromia.

La Commissione etiope per i diritti umani nominata dal governo domenica ha invitato nella zona il governo federale a trovare una "soluzione duratura" per evitare l'uccisione di civili e proteggerli da tali attacchi.

ES

mercoledì 15 giugno 2022

Inghilterra - Corte europea dei diritti dell’uomo blocca in extremis il volo che stava deportando i primi 7 rifugiati in Rwanda

Corriere dalla Sera
Sette richiedenti asilo erano già a bordo del Boeing che stava per trasferirli in Africa quando Strasburgo ha comunicato la decisione. Il piano di Boris Johnson per «delocalizzare» i migranti e le proteste.


La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha bloccato questa sera in extremis un aereo che doveva trasferire dal Regno Unito al Ruanda un gruppo di richiedenti asilo, in base a un piano da tempo annunciato dal governo di Boris Johnson

Quest’ultimo intende «delocalizzare» nel Paese africano la gestione dei rifugiati che approdano al di là della Manica; ma le organizzazioni umanitarie si sono sempre opposte a questo piano. Strappando all’ultimo istante una vittoria legale che ora potrebbe avere forti conseguenze. Il volo, al momento sarebbe comunque solo «sospeso».

Lo stop da parte dei giudici di Strasburgo è arrivata quando già il gruppo di migranti (sette in tutto, di varie nazionalità) era già a bordo del Boeing che stava per decollare da una base militare di Boscombe nei pressi di Salisbury. La partenza era prevista perle 22.30 (ora locale) e le speranze di chi stava per subire il trasferimento forzato in Africa sembravano ormai evaporate: la Corte poche ore prima aveva respinto il ricorso di alcuni richiedenti asilo. Inutili anche le proteste del movimento «Stop Deportations» che avevano bloccato alcune uscite all’aeroporto londinese di Heathrow per impedire ad altri migranti di essere imbarcati. Due manifestanti sono stati arrestati dalla polizia britannica. Il ministro degli Esteri Liz Truss ha insistito sul fatto che lo schema è legale e ha un «ottimo rapporto qualità-prezzo».

Poi all’improvviso la situazione si è capovolta. La Cedu ha accolto il ricorso di un cittadino iracheno di 54 anni che aveva chiesto asilo politico a Londra e destinato a essere trasferito in Ruanda: una commissione medica, dopo averlo visitato, aveva confermato che l’uomo aveva subito torture in patria. L’iracheno era arrivato in Gran Bretagna il 17 maggio scorso. La Cedu ha rilevato che è trascorso troppo poco tempo per l’esame della domanda di protezione internazionale .

«Il nostro team legale sta esaminando ogni decisione presa su questo volo e la preparazione per il prossimo volo inizia ora», ha detto il ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, Secondo quanto riporta la Bbc, ha definito «sorprendente» che la Corte europea sia intervenuta «nonostante i ripetuti successi ottenuti in precedenza nei tribunali nazionali». «Ho sempre detto che questa politica non sarà facile da attuare e sono delusa dal fatto che i ricorsi legali e le richieste dell’ultimo minuto abbiano impedito al volo di oggi di partire», ha aggiunto il ministro.

Tutti i passeggeri che erano sul volo sono subito stati fatti scendere dopo che la Corte ha notificato la sua decisione. Tra i sette dovrebbero esserci anche persone fuggite da Iran e Vietnam. Il governo di Boris Johnson non sembra però intenzionato ad arrendersi. Lo ha affermato la ministra dell’Interno, Priti Patel, sottolineando che Londra va avanti «imperterrita» sul proprio piano. A questo punto è prevedibile una lunga battaglia legale tra Londra e Strasburgo.

Boris Johnson aveva annunciato il 14 aprile scorso l’accordo sottoscritto con il Ruanda per spedire lì tutti gli immigrati entrati illegalmente nel Regno Unito. «Il Ruanda è uno dei paesi più sicuri e dinamici dell’Africa» aveva dichiarato il premier nell’occasione, proprio mentre il suo governo sottoscriveva con quello di Kigali un piano di cooperazione da 120 milioni di sterline. Quella che attraversa la Manica è diventata d’altra parte una delle rotte più trafficate da parte dei migranti: secondo i dati di Frontex nei primi quattro mesi del 2022 oltre 12.700 sono state le persone sbarcate fuori dalle vie legali, numero di gran lunga superiore a quello registrato su tutte le altre «direttrici» del Mediterraneo.

Claudio Del Frate

martedì 14 giugno 2022

Inghilterra - Iniziano i primi voli che "deportano" in Rwanda i rifugiati richiedenti asilo

TIO
Iniziano i primi voli per il progetto del Governo di Londra di «spostare» in Africa i richiedenti l'asiloUna strategia che non piace affatto a numerose associazioni di tutela dei diritti umani, e nemmeno all'ONU


Niente stop ai primi voli del contestato piano concordato dal governo di Boris Johnson con quello del Ruanda per il trasferimento nel Paese africano di una parte d'immigrati illegali sbarcati nel Regno Unito in attesa delle decisioni britanniche sull'iter delle loro richieste di asilo.

Lo ha confermato la corte d'appello, ribadendo oggi l'ok alle partenze in calendario a partire da domani già dato in primo grado e rigettando l'ultimo ricorso presentato in extremis da organizzazioni di tutela dei diritti umani col sostegno dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr).

«Rischiano danni irreparabili»
I legali dei ricorrenti, fra cui l'associazione pro migranti Care4Calais, avevano chiesto alla giustizia britannica di sospendere cautelativamente le operazioni di partenza, fino al giudizio di merito previsto per fine luglio sulla presunta illegalità del progetto governativo: evocando in caso contrari il rischio di danni «irreparabili» ai diritti delle persone «deportate» frattanto nel Paese africano. Ma i tre giudici d'appello Rabinder Singh, Ingrid Simler e Jeremy Stuart-Smith hanno avallato il dispositivo con cui venerdì un loro collega di primo grado, Jonathan Swift, aveva rigettato la sospensiva, definendone «ragionevoli» le argomentazioni giuridiche e osservando quindi di non poter «interferire sulle sue decisioni».

Il verdetto ha suscitato delusione fra gli attivisti, ma non cancella l'iter dell'azione legale intentata contro il contenuto del piano Ruanda in sé; né le critiche pesanti rivolte al governo Johnson per questa iniziativa non solo da parte delle opposizioni politiche o da varie ong, ma anche dai vertici Onu dell'Unhcr e persino dal principe Carlo, erede al trono britannico, stando a quanto egli avrebbe detto in conversazioni private attribuitegli giorni fa dal Times.

Johnson: «La via giusta»
Il progetto - la cui esecuzione è affidata alla ministra dell'Interno, Priti Patel, super falco della compagine Tory - è stato in ogni caso difeso oggi sia alla Camera dei Comuni dai banchi del governo, sia dal premier in persona in un'intervista radiofonica. Anche se il primo volo di domani è stato ridotto a un contingente iniziale di 11 "clandestini" richiedenti asilo, tutti uomini, alcuni dei quali provenienti da Paesi considerati a rischio come Iran o Siria.

Johnson ha evitato qualunque polemica con il principe Carlo - verso le cui prese di posizione a tutela dell'ambiente o dei diritti umani ha anzi rinnovato per bocca di un portavoce di Downing Street tutta la sua «ammirazione» - ma ha insistito nel giustificare la scelta d'inviare parte dei migranti in attesa di risposta in Ruanda come «la via giusta» per cercare di scoraggiare il traffico dei clandestini via Francia attraverso la Manica nell'ambito della promessa stretta dei controlli post Brexit ai confini dell'isola; non senza ribadire di considerarla alla stregua di un'iniziativa legale, temporanea e garantita in termini di rispetto dei diritti fondamentali di coloro che verranno trasferiti in Africa (a migliaia di chilometri di distanza) in attesa che Londra decida fra concessione dell'asilo e rimpatrio.

La denuncia dell'ONU


L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi ha condannato fermamente il piano del governo britannico di inviare in Ruanda i migranti arrivati illegalmente nel Regno Unito. «Questo accordo non funziona affatto per tanti motivi diversi», ha denunciato Grandi nel corso di una conferenza stampa a Ginevra.

Fonte ats ans elaborata da Robert Krcmar

lunedì 13 giugno 2022

Somalia, Etiopia, Kenya, 1,7 milioni di bambini in condizioni di grave malnutrizione, senza interventi la loro vita è in serio pericolo.

Africa Rivista
Una “esplosione di morti infantili” è probabile e imminente nel Corno d’Africa se la comunità internazionale non dovesse intervenire con urgenza per scongiurare tale scenario, garantendo aiuti per gli oltre 1,7 milioni di bambini in condizioni di grave malnutrizione acuti in Somalia, Etiopia e Kenya.


L’allarme è stato lanciato dall’Unicef, i cui operatori hanno raccontato alla stampa a Ginevra di aver incontrato genitori costretti a seppellire i propri figli lungo la strada mentre percorrevano centinaia di chilometri alla ricerca di assistenza medica.


Dopo quattro stagioni consecutive di mancate piogge nella regione orientale del continente africano, situazione che non si registrava da almeno 40 anni, nella sola Somalia sono almeno 386.000 i bambini che hanno urgente bisogno di cure salvavita a causa di una grave malnutrizione. 

Si tratta di una siccità peggiore di quella che colpì il Paese nel 2011, quando in Somalia si contarono 250.000 morti, soprattutto bambini, ha spiegato Rania Dagash, vice direttore dell’Unicef per l’Africa orientale e meridionale. “Le vite dei bambini nel Corno d’Africa sono a maggior rischio anche a causa della guerra in Ucraina e penso sia importante sottolinearlo, perché la sola Somalia importava il 92% del suo grano dalla Russia e dall’Ucraina, ma ora le linee di approvvigionamento sono bloccate”, ha rimarcato.

“Se il mondo non distoglie lo sguardo dalla guerra in Ucraina e non agisce immediatamente, nel Corno d’Africa sta per verificarsi un’esplosione di morti infantili”, ha detto Dagash. Perché il numero di bambini in condizioni di grave malnutrizione acuta è aumentato di oltre il 15% nell’arco di cinque mesi, e oggi in Etiopia, Kenya e Somalia si contano oltre 1,7 milioni di bambini che hanno urgente bisogno di cure. Ma non bastano gli aiuti salvavita, ha aggiunto, occorre investire in misure volte a rafforzare la resilienza, per salvare i mezzi di sussistenza delle persone e impedire loro di dover lasciare le proprie case, in cerca di cibo, acqua e assistenza sanitaria. Anche perché le ultime previsioni meteorologiche mettono in forse anche le piogge della stagione ottobre-dicembre, con la conseguente perdita di altri raccolti e di altri capi di bestiame per il venir meno delle fonti idriche.

Secondo l’Unicef, tra febbraio e maggio di quest’anno il numero di famiglie rimaste senza accesso ad acqua pulita e sicura è quasi raddoppiato, passando da 5,6 milioni a 10,5 milioni. Per aiutare le comunità a resistere alle sempre più frequenti siccità causate dai cambiamenti climatici, i team e i partner delle Nazioni Unite hanno dovuto scavare pozzi ancora più profondi di prima, in alcuni casi fino a due chilometri.

“Stiamo aiutando le famiglie rurali a rimanere dove si trovano garantendo trasferimenti di denaro salvavita per l’acquisto di beni essenziali come cibo, acqua e medicine, nonché beni di sussistenza”, ha detto da parte sua Etienne Peterschmitt, rappresentante della Fao in Somalia, sottolineando che al momento il sostegno richiesto per il 2022 per garantire questa forma di assistenza “non si è ancora completamente concretizzato e centinaia di migliaia di somali corrono un rischio molto reale di morire di fame”.

Stando all’ultima analisi della Fao, 7,1 milioni di persone, ovvero il 45% della popolazione somala, sono in condizioni di grave insicurezza alimentare.

Simona Salvi

lunedì 6 giugno 2022

Cina, nuove prove di violenze e torture contro la minoranza musulmana degli Uiguri

Blitz
Nello Xinjiang, Cina, sono emersi documenti e migliaia di fotografie di uiguri e altre minoranze turche nelle carceri dove sono segregati, dati hackerati dai server dei computer della polizia.


I dossier della polizia dello Xinjiang, come vengono chiamati, sono stati trasmessi alla BBC all’inizio del 2022. Dopo un impegno durato mesi per indagare e autenticare le persone, le foto offrono significative informazioni sull’internamento degli uiguri della regione e di altre minoranze turche.

La cache rivela, con dettagli senza precedenti, l’uso da parte della Cina dei campi di “rieducazione” e delle prigioni come due sistemi separati ma correlati di detenzione di massa per gli uiguri e mette seriamente in discussione la versione pubblica cinese su entrambi.


L’affermazione del governo secondo cui i campi di rieducazione costruiti in tutto lo Xinjiang dal 2017 non sono altro che “scuole” è contraddetta dalle istruzioni interne della polizia, dai turni di guardia e dalle immagini inedite dei detenuti.

L’uso diffuso di accuse di terrorismo, in base alle quali molte altre migliaia di persone sono state rinchiuse nei penitenziari, viene mascherato come pretesto per un metodo parallelo di internamento, con prospetti scritti della polizia pieni di sentenze arbitrarie e drastiche.

I documenti forniscono alcune delle prove fino a oggi più evidenti di una politica che prende di mira qualsiasi espressione di identità, cultura o fede islamica uigura e di una catena di comando che arriva fino al leader cinese, Xi Jinping.
[...]
Le immagini mostrano una politica progettata per prendere di mira deliberatamente le famiglie uigure per la loro identità e cultura e – come ha detto la Cina – per “spezzare le loro radici, il loro lignaggio, le loro connessioni, le loro origini”

Caterina Galloni