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sabato 29 febbraio 2020

Siria. La Turchia spinge i profughi verso l'Europa. Reazione di Ankara dopo l'uccisione di 33 soldati turchi a Idlib. Riparte l'esodo, gas per fermarli.

Avvenire
Durissima la reazione di Ankara dopo l'uccisione di 33 soldati turchi a Idlib: "Abbiamo colpito oltre 300 soldati siriani". Riaperti i confini con l'Unione Europea ai migranti, già partito l'esodo.



Nuovi venti di guerra a Idlib, nel Nordovest della Siria al confine con la Turchia, dove da settimane si fronteggiano le forze turche con l'esercito di Damasco, sostenuto dalla Russia. 


A innescare il rischio concreto di una escalation fatale è stato l'attacco aereo di Damasco contro i turchi nella regione, che ha ucciso almeno 33 soldati di Ankara. Il presidente Recep Tayyip Erdogan - che ha sentito telefonicamente il collega russo Vladimir Putin - ha subito convocato un Consiglio di sicurezza straordinario per decidere la controffensiva. E in questa riunione, con i vertici militari del Paese, è stato deciso anche di aprire i confini dell'Ue ai migranti e non trattenerli più nel Paese.

Dalle Nazioni Unite arriva il monito che "il rischio di una maggiore escalation cresce di ora in ora" se non si interviene in Siria. Gli sfollati da Idlib sono già centinaia di migliaia. Sul campo, il portavoce della presidenza turca, Fahrettin Altun, ha comunicato che "tutte le posizioni note del regime siriano sono state prese di mira dalle unità di terra e aeree" turche "per vendicare i soldati turchi uccisi".

venerdì 28 febbraio 2020

Francia. Asia Bibi, simbolo della lotta contro la legge sulla blasfemia, ora è cittadina onoraria di Parigi. E ringrazia anche l'Italia.

Avvenire
La mamma pachistana, simbolo della lotta contro la legge sulla blasfemia, spera di potersi stabilire nella capitale. E dice: «Vorrei incontrare papa Francesco»


«L’Italia? Vi ringrazio tutti per avermi così tanto aiutata. Vorrei venire, vorrei incontrare il Papa. Spero che questo momento possa giungere presto». 

Al tramonto, sullo sfondo della Cattedrale di Notre-Dame in cantiere, in un salone d’onore al piano superiore del Municipio di Parigi, Asia Bibi è stata appena ricoperta d’applausi dalle autorità civili e religiose presenti, giunte per assistere alla consegna ufficiale del titolo di cittadina d’onore della capitale francese.

Proprio quella Francia in cui la perseguitata pachistana sogna di stabilirsi, come ha già fatto sapere. Ma al microfono di Avvenire, giornale che si impegnato in ogni modo per la sua liberazione, seguendo passo passo tutta la sua vicenda, la madre di famiglia condannata a morte nel proprio Paese, poi in cella per anni solo perché cristiana, non dimentica il sostegno anche degli altri Paesi, Italia in testa.

Ci stringe la mano a lungo, ha un sorriso di una calma quasi sconcertante, quando si pensa al calvario vissuto a partire dal 2009 a seguito di accuse fantasiose di blasfemia piombate come una mannaia. Ma adesso, riceve gesti calorosi da tutti, si lascia fotografare, giganteggia nel suo vestito tradizionale marrone nonostante la sua statura così minuta. Intanto, con aria fra il timido e il trasognato, il marito e i figli restano ad ammirare quest’abbraccio simbolico fra la grande capitale, avamposto dell’Europa e di tutto l’Occidente, e il pilastro della loro famigliola. 

Daniele Zappalà

USA, Colorado abolisce la pena di morte: via libera del Parlamento controllato dai democratici. 22esimo stato americano senza pena capitale dal primo luglio

La Repubblica
Lo stato americano diventerà il 22esimo senza pena capitale, il decimo ad eliminarla dal 2004. La legge entrerà in vigore a partire dal primo luglio, le modifiche non si applicano agli attuali tre condannati.

Il Colorado diventerà il 22esimo Stato americano ad abolire la pena di morte. Ieri, è arrivato il via libera definitivo del Parlamento, controllato dai democratici, con il voto 38-27 alla Camera, che ha mandato il provvedimento sulla scrivania del governatore Jared Polis, che lo firmerà.

La legge si applicherà a partire dal 1° luglio 2020 ma non inciderà sul destino di tre uomini nel braccio della morte che subiranno l'esecuzione per iniezione letale, tra i quali anche ra cui Nathan Dunlap, che uccise quattro persone in un ristorante 'Chuck E. Cheese' di Aurora nel 1993. Il governatore dem Polis ha già detto che potrebbe prendere in considerazione la grazia.

"Tutte le richieste di grazia sono decisioni importanti che il governatore giudicherà in base ai meriti individuali", ha dichiarato il portavoce di Polis, Conor Cahill. I parlamentari del Colorado hanno ripetutamente tentato di abolire la pena di morte dalla sua restaurazione nel 1979, ma finora non avevano avuto successo.

La decisione di ieri è arrivata dopo 11 ore di dibattito, i senatori hanno discusso fino a tardi lunedì e di nuovo, molto presto, martedì. L'abolizione della pena di morte è stata molto contestata, in particolare dall'opposizione repubblicana. A corto di argomenti, un rappresentante repubblicano, Steve Humphrey, ha letto la Bibbia per quasi 45 minuti. "Sono rimasto impressionato e commosso dalla testimonianza e dai dibattiti che abbiamo ascoltato", ha dichiarato il leader della maggioranza democratica, Alec Garnett. "Spero in una società in cui le risorse vengano spese per la riabilitazione, nel trattamento della dipendenza, non in iniezioni letali ", ha detto in una nota ai media locali.

L'ultima esecuzione del Colorado risale al 1997, quando Gary Lee Davis fu ucciso con iniezione letale per il rapimento, lo stupro e l'omicidio avvenuto nel 1986 della sua vicina di casa, Virginia May.

L'anno scorso sono state registrate 22 esecuzioni negli Stati Uniti, concentrate in sette Stati, quasi tutti nel sud conservatore e religioso del paese, in particolare in Texas, dove ci sono state nove esecuzioni. Movimenti e disegni di leggi per l'abrogazione della pena capitale iniziano a pesare anche in Wyoming, Utah e Ohio.

Migranti - Nelle isole greche di Lesbos, Chios e Samos l'esasperazione dei profughi alla base di manifestazioni e scontri

AnsaMed
E' di almeno 50 feriti, 40 agenti di polizia e 10 manifestanti, il bilancio degli ultimi due giorni di scontri nelle isole greche di Chios, Samos e Lesbos, dove sono in corso violente proteste contro la decisione del governo di Atene di costruire centri di raccolta chiusi per i migranti. 
Lo riferiscono i media greci, aggiungendo che per cercare di "calmare" la situazione, che sta assumendo i contorni di una guerriglia urbana, il governatore della regione del Nord Egeo e i sindaci di Chios, Lesbos occidentale e Mitilene sono stati convocati oggi pomeriggio ad Atene per una riunione con il governo.

La rivolta è scoppiata quando a Lesbos e Chios sono stati inviati centinaia di agenti antisommossa per proteggere i lavori di costruzione degli hotspot. La polizia ha usato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e bombe fumogene contro i dimostranti. 

Alcuni testimoni e un operatore italiano che lavora con una Ong a Lesbos hanno riferito che alle manifestazioni partecipano anche membri dell'estrema destra di Alba Dorata e di gruppi dell'estrema sinistra. Le stesse fonti riferiscono che gruppi di dimostranti hanno fatto irruzione ieri sera in un albergo dove erano alloggiati parte dei poliziotti mandati da Atene. Mentre ancora media locali riferiscono di un attacco alla base militare di Kyriazis, dove erano alloggiati altri agenti.

mercoledì 26 febbraio 2020

Il card. Bassetti, Presidente CEI, alla presentazione del libro sulla guerra in Etiopia organizzata da Sant'Egidio, contro il clima d'odio: "Il nazionalismo portò a esaltare la guerra".

Globalist
Il presidente della Cei è intervenuto alla presentazione del volume 'Debre Libanos 37' sulla guerra in Etiopia del '37 organizzata da Sant'Egidio.

Ancora una volta un monito contro il sovranismo intollerante: "Bisogna essere attenti alle passioni nazionaliste che non fanno vedere la realtà". Lo ha messo in guardia il presidente della Cei Gualtiero Bassetti, intervenendo alla presentazione del volume 'Debre Libanos 37' sulla guerra in Etiopia del '37 organizzata da Sant'Egidio.


"La passione nazionalista negò la verità storica e portò ad esaltare la guerra", ha osservato il porporato.

In quegli anni, ha denunciato ancora, "ci fu un accecamento credendo che fosse il bene per l'Italia. Ci furono anche Vescovi cattolici a sostenere la guerra di Etiopia. Il Papa non voleva la guerra di aggressione all'Etiopia e fu abbastanza isolato. Sembra che la storia si ripeta".

martedì 25 febbraio 2020

Milano - Coronavirus: la solidarietà non si ferma, ma aumenta la responsabilità per tutelare i più poveri e i più fragili.

Web Lombardia
In ottemperanza all’ordinanza emanata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, di concerto con il Ministro della Salute, Roberto Speranza, e secondo le indicazioni ricevute dalla Curia milanese in merito all’emergenza epidemiologica da CODIV-19, Caritas Ambrosiana ha suggerito di tenere aperti i servizi seguendo nuove modalità che hanno lo scopo di tutelare tanto gli assistiti quanto gli operatori e volontari, mantenendo ferma l’attenzione agli ultimi.


In seguito a questa decisione ha diffuso oggi ai volontari e operatori delle caritas territoriali queste indicazioni:

i centri di ascolto nelle parrocchie e gli sportelli restino aperti ma evitando assembramenti con ricevimento su appuntamento;

le mense continuino a funzionare distribuendo il cibo attraverso sacchetti evitando di consumare il pasto nelle strutture;

le accoglienza residenziali e/o notturne restino aperte e, ove possibile, estendano il servizio durante la giornata, avvalendosi delle figure mediche presenti in grado di fare da filtro all’ingresso;

empori e botteghe solidali distribuiscano le spese su appuntamento con le singole famiglie inviate;

vengano sospese le attività di doposcuola e le scuole di italiano.

«In questo momento difficile, siamo chiamati ad agire con un ancora maggiore senso di responsabilità. Le decisioni che abbiamo preso di concerto con la Curia a seguito alle ordinanze delle autorità pubbliche intendono evitare la creazione di assembramenti che possono favorire il contagio e al tempo stesso assicurare l’assistenza necessaria ai soggetti socialmente più deboli. Mentre invitiamo volontari e operatori ad attenersi scrupolosamente a queste indizioni estendiamo a loro e a tutta la popolazione l’invito del nostro Arcivescovo ad evitare allarmismo e rassegnazione, coltivando invece prudenza e senso del limite. Occorre evitare che gli effetti di questa situazione di emergenza ricadono fatalmente sui più deboli, a cui non deve venir meno la prossimità degli operatori, dei volontari e delle comunità tutte»,
 dichiara Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.

domenica 23 febbraio 2020

In Libia 600 persone sparite e spunta un'altra prigione segreta, ennesimo luogo di tortura da cui si può uscire solo pagando le guardie

AvvenireIl segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, era stato chiaro: «La Guardia costiera libica trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali»


Un’altra prigione segreta, dove nascondere i migranti catturati in mare e tenerli alla larga dalle verifiche delle organizzazioni internazionali. L’ennesimo luogo di tortura da cui si può uscire solo pagando le guardie. «Mi hanno chiesto 700 euro», dice uno dei migranti che con pochi altri è riuscito a scappare dopo aver fatto arrivare attraverso amici in Europa e parenti in patria il riscatto di mille dinari libici.

Grazie a queste testimonianze è stato possibile individuare un’area, alla periferia di Tripoli e lungo la strada per Zawiyah, nella quale i migranti sarebbero stati ammassati dalle autorità libiche. Le coordinate geografiche indicano una serie di edifici a est della capitale, non lontano da un’arteria costiera in mezzo a edifici governativi e quartieri densamente popolati. La struttura, però, non risulta in nessun elenco ufficiale noto dalle organizzazioni internazionali.

A denunciare ufficialmente la scomparsa di centinaia di persone erano stati i funzionari delle Nazioni Unite. A settembre il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, era stato chiaro: «La Guardia costiera libica trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali», dove si ritiene che funzionari del governo «vendano i migranti ai trafficanti di uomini».

Solo nelle prime due settimane di gennaio «circa 1.000 migranti sono stati riportati in Libia e 600 di loro sono stati trasferiti in una struttura controllata dal ministero dell’Interno libico. Di questi migranti non si ha più notizia». L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato un appello alla comunità internazionale, a cominciare dall’Unione Europea, affinché si trovino «alternative e meccanismi di sbarco sicuri».

Altri rifugiati sono stati spostati nella famigerata prigione di Triq al Sikka, in passato al centro di gravi episodi di sevizie e scontri con i guardiani. «A dieci mesi dall’inizio del conflitto – dice l’Oim – in Libia la situazione umanitaria continua a peggiorare. Oltre 2.000 migranti sono ancora detenuti in condizioni drammatiche, e gli operatori umanitari hanno sempre più difficoltà pratiche nel fornir loro assistenza».
Al 21 febbraio 1.737 rifugiati e i migranti sono stati intercettati in mare dalla cosiddetta Guardia costiera e riportati in Libia in violazione delle norme internazionali sul respingimento.

«La Libia in alcun modo può essere considerato un Paese sicuro di sbarco per migranti e richiedenti asilo», ribadiscono le Nazioni Unite. «Il 18 febbraio c’è stato un netto aumento» delle attività «con tre operazioni registrate quel giorno, per un totale di 535 persone», annota l’ultimo report di Unhcr-Acnur. «La maggior parte sono stati trasferiti in centri di detenzione delle autorità libiche», si legge nell’aggiornamento dell’alto commissariato per i rifugiati.

La maggioranza dei migranti intercettati proviene dal Sudan, dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Etiopia e dalla Palestina, tutte nazionalità che avrebbero diritto alla protezione umanitaria in Europa.

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venerdì 21 febbraio 2020

Tennessee - Pena di morte - Messo a morte con la sedia elettrica Nicholas Sutton di 58 anni. Quarta esecuzione in USA del 2020

Fanpage
Nicholas Sutton di 58 anni, è stato messo a morte nel Tennessee nonostante i suoi legali avessero chiesto una sospensione dell’esecuzione.

I suoi legali avevano chiesto una sospensione per buona condotta: aveva salvato una guardia – Per il detenuto, nel tentativo di salvarlo dalla sedia elettrica, era stata presentata anche una richiesta di grazia al governatore repubblicano del Tennessee, Bill Lee. Richiesta di grazia, supportata da membri dell'amministrazione carceraria, in cui veniva sottolineato che Sutton era intervenuto in diverse occasioni per proteggere i dipendenti delle carceri e i compagni di cella, in particolare "salvando" una guardia durante una rivolta nel 1985.

È la quarta esecuzione negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno – Quella di Nicholas Sutton registrata ieri sera rappresenta la quarta esecuzione negli Usa dall'inizio dell'anno ed è la quinta nel Tennessee dal novembre del 2018. Il cinquantottenne ha scelto la sedia elettrica anziché l'iniezione letale.

Due operatori Oxfam uccisi in un attacco in Siria

Oxfam Italia
Due operatori di Oxfam, impegnati nella risposta umanitaria alla crisi siriana, sono stati uccisi il 19 febbraio  in un attacco al veicolo su cui viaggiavano, da parte di un gruppo armato rimasto finora non identificato. Il tragico episodio si è verificato alle 14:00 ora locale, nel governatorato di Dar’a, nel sud della Siria, tra Nawa e Al-Yadudah.
Le vittime sono Wissam Hazim, responsabile della sicurezza del personale e l’autista Adel Al-Halabi. Nel corso dell’attacco è rimasto ferito anche un altro volontario di Oxfam, che era con loro.
“Siamo devastati dalla perdita di due preziosi colleghi che sono stati uccisi mentre lavoravano per fornire aiuti ai civili coinvolti nel conflitto siriano. Il nostro più sincero affetto e i nostri pensieri sono con le loro famiglie. Condanniamo con forza questo episodio. È essenziale che tutti le parti in conflitto garantiscano la sicurezza e l’incolumità degli operatori che lavorano ogni giorno per soccorrere la popolazione”.
 Moutaz Adham, direttore di Oxfam in Siria

giovedì 20 febbraio 2020

Turchia - Osman Kavala filantropo anti-Erdogan assolto ieri nel processo Gezi Park , arrestato di nuovo per tentato golpe

Ansa
La procura di Istanbul ha emesso un nuovo mandato d'arresto per Osman Kavala, l'imprenditore e filantropo assolto oggi nel processo Gezi Park, che doveva essere liberato dopo 840 giorni di carcerazione preventiva. 


Il nuovo mandato è stato emesso nell'ambito di indagini sul fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016.

mercoledì 19 febbraio 2020

Turchia: tutti assolti al processo Gezi Park. Anche il noto imprenditore e filantropo turco Osman Kavala.

AnsaMed
Il tribunale di Silivri a Istanbul ha assolto tutti gli imputati nel processo contro alcune delle figure di maggior spicco delle proteste antigovernative di Gezi Park del 2013. Tra questi anche il noto imprenditore e filantropo turco Osman Kavala, in carcerazione preventiva da oltre due anni, che rischiava l'ergastolo.


I giudici hanno deciso l'assoluzione di tutti i 16 imputati - 7 dei quali processati in contumacia - per "assenza di prove sufficienti" rispetto all'accusa di aver tentato di rovesciare il governo di Recep Tayyip Erdogan, decretando anche il rilascio immediato di Kavala, l'unico ancora in detenzione cautelare in carcere.

La sentenza giunge al termine di un processo fortemente criticato dalle ong locali e internazionali per i diritti umani e la libertà d'espressione, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch. Ad assistere all'udienza c'erano oggi in aula deputati di opposizione e rappresentanti diplomatici di diversi Paesi europei, oltre che di Usa e Canada.

Il Governo inglese "deporta" gli ex condannati in Giamaica. Violazione dei diritti umani.

TIO
È decollato l'11 febbraio alla volta della Giamaica il primo volo con a bordo 20 ex condannati di origine familiare caraibica, ma residenti fin da piccoli in Gran Bretagna, espulsi all'atto della scarcerazione e dopo aver scontato la pena su ordine del governo di Boris Johnson.

Il provvedimento, contestato dalle opposizioni in Parlamento e da organizzazioni per i diritti umani, è stato difeso come rispettoso della legge e giustificato da ragioni di «sicurezza dei cittadini» dalla ministra dell'Interno, Priti Patel.


In teoria sarebbero dovuti partire 50 ex detenuti, ma per 30 di loro è stato imposto un rinvio: a causa del verdetto urgente emesso ieri sera da una giudice incaricata di occuparsi di casi d'immigrazione in base a un ricorso per mancata assistenza legale. 


La ministra ombra laburista Diane Abbott ha intanto contestato la decisione del governo, parlando apertamente di «deportazione» e sollevando dubbi sia sulla portata meno grave dei reati commessi di alcuni di loro rispetto a quanto affermato da Patel, sia sul fatto che si tratta di persone sempre vissute nel Regno Unito e senza legami con la Giamaica. 

Ad alimentare le polemiche è pure il ricordo dello scandalo della cosiddetta Windrush Generation, a cui in anni recenti i governi conservatori avevano negato diritti acquisiti da decenni a causa di documenti mancanti o banali disguidi burocratici, salvo essere costretti a far marcia indietro e a scusarsi in seguito alle denunce pubbliche. 

Uno scandalo evocato in questi mesi come potenziale precedente allarmante per il futuro della promessa tutela dei diritti post Brexit dei cittadini di Paesi Ue già residenti nel Regno.

Alessandra Ferrara

martedì 18 febbraio 2020

Bosnia Erzegovina - Tuzla, la stazione sulla rotta balcanica, centinaia di profughi arrivano ogni giorno. La società civile si mobilita.

Osservatorio Balcani e Caucaso - Transeuropa
La Bosnia Erzegovina si sta lentamente convertendo in una zona-cuscinetto per i migranti. La situazione a Tuzla è al limite dell'emergenza. Lo scaricabarile istituzionale per fortuna è compensato efficacemente dagli attori della società civile locale. Ancora per quanto?



Secondo Dargadan, i migranti e rifugiati che passeranno la notte qui sono “circa 280“, una cifra vicina al massimo raggiunto in passato e circa il doppio della media di quest'inverno. Il totale di quelli che si trovano attualmente nella città di Tuzla e zone limitrofe, che include coloro che dimorano nei parchi, nelle case abbandonate e in strutture coordinate dalle associazioni, potrebbe aggirarsi “tra i 400 e i 500”, principalmente provenienti da Afghanistan e Pakistan, ma anche da altri paesi. Sono dati da confrontare con l'ultimo rapporto UNCHR , secondo cui migranti e rifugiati in Bosnia Erzegovina nel dicembre 2019 erano 7.141, di cui solo 350 nei cantoni di Tuzla e Mostar messi insieme.

Tuzla è uno snodo nevralgico della rotta balcanica. È il primo grande centro urbano che le persone in transito trovano in Bosnia Erzegovina, dopo avere attraversato il confine dalla Serbia nell'area tra Bijeljina e Zvornik. “Là non c’è quasi nulla, sono solo alcune persone che aiutano spontaneamente lungo la strada, ma niente di organizzato. In Bosnia orientale questo è il primo luogo dove c'è una parvenza di struttura. La gente arriva qui stanca e affamata. Chiede un riparo, una tenda”, spiega Dardagan. È noto che l'attenzione di stampa e organizzazioni internazionali attorno alla rotta in Bosnia Erzegovina non è all'altezza della gravità della situazione; ma quando vi è, si concentra per lo più su quanto accade alla frontiera Bosnia-Croazia, per motivi anche comprensibili: le presenze maggiori, la militarizzazione del confine, i respingimenti violenti. Di Tuzla si parla molto poco, anche se i numeri non sono così trascurabili e media indipendenti, attivisti e operatori umanitari da tempo segnalano che la situazione in città si trova al limite dell’emergenza.

Se la crisi umanitaria è stata contenuta, lo si deve alla mobilitazione della società civile locale. Sono numerose le organizzazioni coinvolte nella gestione degli aiuti, che abbracciano religioso e laico, umanitario e politico, sociale e privato: dalla musulmana Merhamet alle cattoliche Emmaus e Caritas, la Croce Rossa, i sindacati, le associazioni di quartiere, singoli volontari e attivisti, esercizi commerciali. Si creano soluzioni per l'alloggio e reti di ospitalità per famiglie, soggetti vulnerabili, donne incinte, bambini, malati.

Il governo statale che si è insediato da poco a Sarajevo, una coalizione modello “tutti-dentro” tra i principali partiti nazionalisti del paese, non sembra avere né la volontà politica, né gli interessi comuni, né le competenze per affrontare le questioni. Si resta quindi nel reciproco limbo di sempre: da una parte la “provvisorietà senza fine” (magistrale definizione di Aleksandar Trifunović) in cui sono bloccate le istituzioni della Bosnia Erzegovina, dall’altro la “transitorietà permanente” delle persone impigliate negli scaricabarili continentali e nazionali della rotta migratoria. Nemmeno dal “modello Tuzla” si vede, al momento, una via d’uscita.

Alfredo Sasso  - Tuzla
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Siria, nei campi di Idlib migliaia di bambini al gelo per sfuggire ai bombardamenti: ''E' in corso un'ecatombe''

La Repubblica
Più di 800.000 siriani, per lo più donne e bambini, sono fuggiti dalle loro case durante la campagna militare siriana, appoggiata dalla Russia, lanciata a dicembre per eliminare l'opposizione nella Siria nord-occidentale.



Funzionari delle Nazioni Unite affermano che nei campi profughi di Idlib, cui si riferiscono queste immagini, è in corso un'ecatombe di bambini, che muoiono perché denutriti e perché costretti a dormire al gelo, in rifugi di fortuna. 


Secondo Ginevra Elisabeth Byrs del World Food Program, l'esodo dovrebbe continuare, con migliaia di persone in movimento e intere città e comunità che fuggono verso la sicurezza nelle aree vicino al confine turco, ha detto ai giornalisti.
"Le famiglie si stanno spostando verso nord verso campi già sovraffollati vicino al confine tra Siria e Turchia. Più di 140.000 persone sono state sfollate in una sola settimana, tra il 2 e il 9 febbraio"
ha detto Byrs. Le famiglie che fuggono dagli attacchi aerei cercando riparo a Idlib stanno dormendo all'aperto e bruciando fasci tossici di immondizia per cercar di scaldarsi.
Reuters

lunedì 17 febbraio 2020

I migranti irregolari e senza diritti fonte di mano d'opera per il caporalato anche in Veneto: pagati 3 euro all’ora per 11 ore di lavoro al giorno

Fanpage
Nelle province di Venezia, Padova e Rovigo lavoratori immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno venivano costretti a lavorare nei campi per undici ore al giorno in cambio di un salario di appena tre euro all’ora. Gli operai erano senza contratto, senza protezioni e non godevano di nessun giorno di riposo.

Nei campi per undici ore al giorno in cambio di una retribuzione di appena tre euro all'ora. L'ennesima storia di sfruttamento arriva dal ricco nordest, dove due giorni fa i carabinieri della Tutela del lavoro di Venezia con il supporto dell’Arma territoriale di Venezia, Padova e Rovigo, a conclusione dell'indagine “Miraggio”, hanno eseguito quattro misure cautelari consistenti nell’obbligo di dimora nei confronti di altrettanti cittadini marocchini responsabili di aver costituito un’associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera. 

Le indagini hanno consentito di accertare come i "caporali" impiegassero 13 loro connazionali, alcuni irregolari, nella raccolta dell’uva e potatura dei vigneti privi di ogni dispositivo di protezione.

L'inchiesta ha permesso di scoprire un'organizzazione che operava nella zona di Cavarzere e nelle province di Padova e Rovigo attraverso un'impresa agricola che reclutava la manodopera per lavorare in aziende della zona. Il "business" della società si concentrava nello sfruttamento di operai extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno. A finire sotto la lente d'ingrandimento dei militari sono stati cinque uomini marocchini: uno era il titolare dell'azienda, un altro aveva il compito di pagare i lavoratori, mentre gli altri svolgevano le funzioni proprie del "caporale", cioè reclutando, trasportando e sorvegliando la manodopera nei campi. Fondamentali per smascherare l'organizzazione sono state le testimonianze di numerosi lavoratori, oltre a servizi specifici di controllo e pedinamento.

Le indagini hanno portato alla luce un'associazione per delinquere che approfittava dei bisogni e della vulnerabilità dei lavoratori, che venivano reclutati con l'inganno di un contratto regolare di lavoro dipendente. In realtà, la manodopera era ridotta ad uno stato di soggezione lavorativa continuata, senza riposo settimanale e ferie. Dei contratti non c'è mai stata traccia e i lavoratori erano costretti ad operare senza le minime precauzioni di sicurezza, salute ed igiene, sotto la minaccia di perdere il lavoro.

domenica 16 febbraio 2020

USA - Trump manda le truppe speciali a caccia di migranti rifugiati nelle città santuario San Francisco, Los Angeles, Atlanta, Houston, Boston

Avvenire
Un centinaio di agenti, anche delle forze speciali, fino a maggio saranno schierati nei centri che offrono ospitalità ai profughi senza documenti: San Francisco, Los Angeles, Atlanta, Houston, Boston.
Una retata di immigrati irregolari della Homeland Security a San Francisco - Ansa
Non ha più freni e con l'approssimarsi del voto di novembre, il presidente Donald Trump vuole dimostrare di essere ciò che ha promesso di essere: il cacciatore degli illegali. A un anno dalle norme che impediscono ai profughi di entrare negli Stati Uniti dall'America Latina per chiedere il visto, ieri sera la Casa Bianca ha annunciato l'inasprimento delle misure per dare la caccia agli illegali che già si trovano sul territorio statunitense.

L'Amministrazione Trump ha deciso di inviare nelle "città santuario" agenti specializzati (si parla di un centinaio di persone che si affiancano al personale federale di controllo delle frontiere, Ice, e della Homeland Security) per contrastare l'immigrazione illegale. 

Gli agenti specializzati, tra cui anche appartenenti a corpi d'assalto, verranno spostati dal confine con il Messico in città come New York, Chicago e altre che hanno dichiarato pubblicamente di non voler perseguire i cittadini sprovvisti di documenti legali. 

Altri agenti sono attesi a San Francisco, Los Angeles, Atlanta, Houston, Boston, New Orleans, Newark e Detroit. 

La decisione arriva dopo l'annuncio dei dipartimenti di Giustizia e Sicurezza interna dell'adozione di misure speciali per colpire gli immigrati. Gli agenti verranno dislocati nei vari centri fino a maggio inoltrato. 

Obiettivo dell'amministrazione è lanciare una grande campagna contro l'immigrazione clandestina e contrastare il boicottaggio attuato da molte città che starebbe "rendendo più difficile" il lavoro di contrasto degli irregolari.

Coronavirus - Aiutare ora la Cina è un banco di prova per l'umanità. Spazzare via razzismi e sovranismi non è solo un'opportunità ma una necessità.

Globalist
C'è qualcosa di diabolico in ciò che sta accadendo in Cina. Tutti stanno fuggendo dalla Cina ma la Cina non può fuggire da tutti noi. La Cina è la nazione più popolata del mondo, è la nazione più industrializzata, e i cinesi sono dappertutto in mezzo a noi.



Il panico non serve. È urgente guardare in faccia la realtà. Mentre le voci di cittadini infetti si rincorrono ai quattro angoli del globo viene da pensare all'Africa, continente in cui i cinesi sono massicciamente presenti, dove ancora non si segnala nemmeno un caso di corona virus. Ma sappiamo bene quali sono le condizioni igieniche africane e non occorre una fervida immaginazione per intuire cosa potrebbe accadere se il virus si diffondesse anche in Africa.

Da quando è esploso il problema del cambiamento climatico, il nostro pianeta ci appare sempre più piccolo e problematico. I problemi riguardano tutti, senza nessuna eccezione, e li possiamo risolvere soltanto lavorando tutti insieme.
Tutti i paesi industrializzati che fanno affari in Cina, dopo aver messo in salvo tutti i loro connazionali, dovranno pensare al più presto a come aiutare la Cina. Non avremmo mai immaginato che potesse accadere qualcosa del genere ma è accaduto. 

Vedevamo la Cina come un gigante spavaldo e inattaccabile, ma eccola in ginocchio. E se la Cina dovesse precipitare, la sensazione è che potremmo precipitare tutti insieme nello stesso baratro.
Ecco un banco di prova importante per tutta l'umanità. Ecco l'occasione giusta per spazzare via razzismi e sovranismi. Ma non è soltanto un'opportunità. È soprattutto un obbligo. Non c'è tempo da perdere.

venerdì 14 febbraio 2020

Siria - Campo profughi - Iman, bambina di 1 anno e mezzo muore di freddo nelle braccia del padre

Adnkronos
Morta di freddo a un anno e mezzo in un campo profughi nel nord-ovest della Siria. Quella della piccola Iman Mahmoud Laila è solo una delle tante tragiche storie della catastrofe umanitaria che affligge il Paese, dove secondo le ong è ormai in corso un'ecatombe di bambini. 
A riportare la vicenda della piccola Iman, è la Rete siriana per i diritti umani che racconta come la bambina e i suoi genitori, scappati dalla Ghouta orientale, alla periferia di Damasco, avevano trovato rifugio in un improvvisato centro per sfollati nel villaggio di Ma'rata, a ovest della città di Afrin, nella provincia di Aleppo.

Le rigide temperature e le nevicate degli ultimi giorni hanno fatto ammalare la bambina e ieri, quando la piccola ha cominciato ad avere problemi respiratori, il padre ha deciso di portarla all’ospedale Al-Shifa di Afrin, distante pochi chilometri. L'uomo ha avvolto la figlia in una coperta e, stringendola al petto, ha camminato per circa due ore prima di raggiungere la clinica, dove però è arrivata priva di vita.

Secondo quanto ha scritto il dottor Housam Adnan su Facebook, Iman era morta per assideramento un’ora prima, tra le braccia del padre. "Questa mattina presto, una bambina è arrivata nel nostro ospedale di Afrin – si legge nel post – l’ha portata suo padre dalla tenda in cui vivono a pochi chilometri da qui perché accusava problemi respiratori. Gli ha messo addosso tutto ciò che possedeva per tenerla al caldo. Ha fatto tutto il possibile per scaldare il suo cuoricino. L’ha abbracciata forte e piangendo ha camminato dalle cinque del mattino nella neve e nel vento. Ha camminato tra le macerie del suo Paese. I suoi arti erano congelati, ma il suo cuore continuava ad abbracciarla. Ha camminato per due ore prima di arrivare al nostro ospedale. Quando siamo riusciti a separarlo dalla figlia, abbiamo visto il viso angelico della bambina, sorridente. Ma immobile. Abbiamo provato a sentire i battiti del suo cuore ma era morta! Un’ora fa! Quest’uomo ha portato il corpo della figlia senza saperlo".

giovedì 13 febbraio 2020

Bangladesh, almeno 15 morti e 50 dispersi in naufragio rifugiati Rohingya.

TGCOM24
E' di almeno 15 morti e una cinquantina di dispersi il bilancio delle vittime del naufragio al largo delle coste del Bangladesh di un'imbarcazione carico di rifugiati Rohingya. 

A bordo del peschereccio, lungo 13 metri, si trovavano 138 persone. L'incidente è avvenuto nelle vicinanze dell'isola di Saint-Martin, nei pressi della costa del distretto di Cox's Bazar in cui circa un milione di rifugiati vivono in campi profughi.

Rapporto ONU - Nel mondo 300 mila bambini soldato in 20 conflitti armati, 12.000 bambini uccisi o mutilati nel 2018

Redattore SocialeNel rapporto ONU del 2019, contenente dati relativi alla situazione nel 2018, risulta che le violazioni a danno di minore siano state 24 mila, in almeno venti conflitti armati, i bambini uccisi o mutilati erano più di 12 mila, mentre quelli arruolati superavano le 7 mila unità. I bambini soldato operativi nel mondo, invece, risultano ancora moltissimi, si stima tra le 250 mila e le 300 mila unità. 

L’Unicef ha dichiarato il 12 febbraio la giornata internazionale contro l’uso dei bambini sodato, un fenomeno che a lungo si è tentato di combattere, ma che purtroppo è ancora diffuso in diverse parti del mondo. “Se in passato i bambini venivano rapiti per essere impiegati nei conflitti, oggi si assiste a veri e propri reclutamenti volontari, frutto di un indottrinamento e di un generale deterioramento delle condizioni economiche tale per cui la vita sotto le armi è paradossalmente meglio di quella civile”. 

A scrivere una nuova pagina sul fenomeno è una ricerca pubblicata in Iriad Review, il periodico online dell’Istituto di ricerche internazionali di Archivio Disarmo, con un articolo a firma di Serena Doro.

“A livello giuridico arruolare minori è vietato da diverse convenzioni e trattati internazionali (come la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, lo statuto della Corte Penale Internazionale, i Principi di Parigi del 2007 o la Carta Africana sui Diritti e il Benessere del Bambino), ma a livello pratico, purtroppo, sono ancora moltissime le organizzazioni nel mondo che ricorrono a manodopera infantile per svolgere compiti direttamente legati ai conflitti armati si legge -. Non esiste a livello internazionale nessuno strumento che sanzioni chi si macchia di tali crimini senza aver ratificato le sopracitate Carte di Diritti, essendo quest’ultime, espressione del diritto pattizio e pertanto vincolanti solo per i contraenti”.


mercoledì 12 febbraio 2020

Trump distrugge le tombe dei nativi americani protette dall’Unesco per costruire il muro al confine col Messico.

Il Fatto Quotidiano
Esplosioni all’interno della riserva naturale dell’Organ Pipe Cactus National Monument, protetta dall’Unesco, in Arizona, che colpiscono anche antichi siti di sepoltura dei nativi americani. Ad autorizzarlo è stata l’amministrazione guidata da Donald Trump allo scopo di costruire quasi 70 chilometri del muro di separazione tra Stati Uniti e Messico, fortemente voluto dal presidente americano. 
Dopo la denuncia delle comunità locali e delle associazioni, anche le autorità hanno confermato che “esplosioni controllate” sono già iniziate nella zona. Niente hanno potuto le leggi a tutela dei beni culturali e paesaggistici, visto che il tycoon ha invocato motivazioni di sicurezza nazionale.
A esporsi per primo contro la decisione dell’amministrazione è stato Raul Grijalva, Deputato democratico dell’Arizona a capo del Comitato sulle risorse naturali della Camera, che ha parlato di un atto “sacrilego”, spiegando che le autorità non si sono nemmeno preoccupate di avvertire la tribù locale Tohono O’odham. È proprio in questi luoghi, ha poi spiegato, che i nativi americani locali seppellivano i corpi dei rivali Apache, in segno di rispetto. Ed è sempre in quell’area che sono stati ritrovati manufatti risalenti a 10mila anni fa.

A preoccupare i movimenti ambientalisti, però, non sono solo i danni ai siti di sepoltura, ma anche quelli alle falde acquifere e le conseguenze sulle specie selvatiche che popolano la zona desertica, diventata famosa perché esempio di ecosistema intatto tipico del deserto del Sonora. E ad essere distrutti, hanno riferito i locali, sono stati anche degli antichi cactus che caratterizzano l’area e che per i nativi rappresentano la reincarnazione dei propri avi.

FQ

martedì 11 febbraio 2020

Brasile. Bolsonaro non si ferma più: miniere nelle terre dei nativi. Le comunità indigene insorgono

Avvenire
Le comunità indigene insorgono contro il progetto che apre a impianti di scavo e a pozzi petroliferi nelle aree remote dell’Amazzonia, dove vivono le tribù «incontattate», tutelate dalla Costituzione
Un «sogno», l’ha definito il presidente Jair Bolsonaro. Una «legge storica», al pari di quella che ha liberato gli schiavi nel 1888, ha aggiunto il capo di gabinetto, Onyx Lorenzoni. Con queste premesse, non sorprende che il capo dello Stato abbia scelto una data simbolica – i primi quattrocento giorni di mandato – per presentare al Parlamento il progetto numero 191. Il testo apre alla possibilità di realizzare attività economiche – minerarie, estrazione di idrocarburi o gas, impianti idrici per creare energia elettrica – all’interno delle «terre indigene » dell’Amazzonia.

Aree di proprietà dello Stato nazionale che, però, in base alla Costituzione del 1988, quest’ultimo dà in usufrutto permanente ai 305 popoli nativi brasiliani. Ad essi, viene riconosciuto un diritto originario sui terreni da loro abitati da tempo immemorabile e progressivamente sottratti, durante e dopo la colonia. In realtà, negli ultimi 32 anni, restituito meno di un terzo – 436 – dei 1.296 appezzamenti indicati è stato restituito ai legittimi usufruttuari. Almeno, però, finora, la riconsegna o «demarcazione» delle terre – come viene definita – li aveva messi al riparo da interessi economici esterni, garantendo ai soli indigeni la possibilità di utilizzarne le risorse. Con il disegno di legge 191 – che ufficialmente dovrebbe dare attuazione al dettato costituzionale – Bolsonaro, come più volte promesso, ha cominciato a far cadere il “muro legale” eretto a protezione degli indios e dell’Amazzonia. Là, il governo potrà autorizzare la realizzazione di impianti idro e termoelettrici, pozzi petroliferi o altri mega progetti. I nativi colpiti saranno «ascoltati» ma niente di più: solo in caso di attività mineraria è concesso loro il potere di veto. Per il resto, dovranno adeguarsi. Il presidente non ha dubbi che lo faranno volentieri. «Sono esseri umani come noi», ha detto candidamente, «hanno i nostri stessi desideri e necessità».

Le critiche – ha ironizzato – «verranno dagli ambientalisti che, se potessi, manderei al confino in Amazzonia, tanto loro amano l’ambiente». Il movimento indigeno, in realtà, è deciso a ostacolarne in ogni modo l’approvazione. «Il sogno di Bolsonaro è quello di rispondere agli interessi economici che lo hanno eletto e appoggiano il suo governo, a costo di violare le leggi nazionali e internazionale», ha tuonato l’Associazione dei popoli indigeni.Forti critiche sono state espresse anche dal Consiglio indigenista missionario (Cimi) della Chiesa brasiliana. La discussione in Parlamento si profila rovente, anche per la contrarietà dell’86 per cento della popolazione. Bolsonaro, che non ha la maggioranza, spera nel sostegno della “bancada ruralista”, il gruppo trasversale di rappresentanti dei latifondisti, in gran parte appartenenti alle sette evangelicali. Queste ultime sostengono da anni la necessità di «incorporare» gli indigeni al resto della società, nonostante la Costituzione riconosca loro il diritto alla differenza. Per questo preoccupa e non poco, la recente nomina dell’ex missionario evangelicale Ricardo Lopes Dias alla guida del settore della Fondazione nazionale per i nativi (Funai) che si occupa di indios in isolamento volontario. «Popoli non contattabili» per legge. Almeno finora. Perché la designazione di Lopes Dias rischia – per il Cimi – di modificare la situazione.


Lucia Capuzzi

lunedì 10 febbraio 2020

Patrick Zaky studente master Univ. di Bologna arrestato in Egitto, i legali denunciano: "Torturato con l'elettroshock".

Globalist
Lo studente iscritto a un master all'università di Bologna era rientrato in patria per far visita alla famiglia. Eʼ accusato di istigazione alle proteste e diffusione di notizie false.
Assume dei contorni seriamente preoccupanti la vicenda di Patrick George Zaki, studente all’università di Bologna e attivista egiziano arrestato al suo arrivo al Cairo con l’accusa di istigazione alle proteste e diffusione di notizie false e successivamente trasferito al carcere di Mansoura.

Zaki nelle prime 24 ore tra arresto e detenzione stando quanto riferito da Eipr è “è stato picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato sul suo lavoro e sul suo attivismo”. La procura egiziana ha ordinato poi quindici giorni di custodia cautelare.

Riccardo Noury, presidente di Amnesty Italia, che si sta occupando di seguire il caso di Zaki cercando di raccogliere e filtrare più informazioni possibili, ha espresso la sua preoccupazione: “se parte questo stillicidio dei 15 giorni di detenzione rinnovabili rischia di essere dimenticato". Noury si è comunque voluto mostrare un minimo ottimista: “Non sottovalutiamo di aver fatto questo 'rumore'" per Patrick: "E' una deterrenza per chi pensa che nessuno nel mondo sappia cosa succede e che quindi crede di poterlo trattare come gli pare, come accaduto con Giulio”

Inevitabile dunque che la mente non torni al caso Regeni, dal quale sono passati quattro anni. Nel frattempo la Farnesina si è attivata direttamente per la vicenda.

"Giorno del ricordo" - Mattarella: «Le foibe una sciagura nazionale, l’avversario è l’indifferenza»

Corriere della Sera
Il presidente della Repubblica usa parole decise: «Le foibe furono una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono — per superficialità o per calcolo — il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi».
Memoria
Ieri, alla vigilia del «Giorno del Ricordo», il capo dello Stato Sergio Mattarella ha partecipato al Quirinale a un concerto in memoria degli italiani torturati uccisi nelle foibe, alla presenza di esponenti delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Il capo dello Stato ha invitato a coltivare la memoria «per combattere piccole sacche di deprecabile negazionismo militante», nella consapevolezza che «oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è l’indifferenza che si nutre spesso della mancata conoscenza». «L’angoscia e le sofferenze delle vittime restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali », rilancia il presidente Mattarella, mentre da Marina di Carrara arriva la notizia del danneggiamento di due targhe di marmo per ricordare le vittime delle foibe. 


Le celebrazioni
«Questi atti vandalici confermano la necessità di mantenere viva la memoria», è il commento di Federico D’Incà, il ministro dei Rapporti con il Parlamento del Movimento Cinque Stelle che stamattina rappresenterà il governo alle celebrazioni che a Basovizza vedranno riuniti un nutrito gruppo di parlamentari bipartisan. Fra questi, oltre al leghista presidente della Regione Massimiliano Fedriga, ci saranno il leader della Lega, Matteo Salvini, la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, e gli esponenti dem, Luigi Zanda, Debora Serracchiani e Tatjana Rojc. Prevista anche la presenza del senatore azzurro Maurizio Gasparri. Le celebrazioni cominceranno alle nove e mezza con la deposizione di corone di alloro al monumento della Foiba di Monrupino (Trieste), per poi proseguire alle ore dieci e trenta circa, con la cerimonia solenne al Sacrario della Foiba di Basovizza, monumento nazionale. 


Storia
«La ricerca storica è l’arma più potente contro ogni strumentalizzazione», ha detto Luigi Zanda membro del Senato della Repubblica, dove oggi pomeriggio ci sarà una commemorazione in ricordo delle vittime delle foibe. Alle quattro anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte arriverà a Palazzo Madama per la cerimonia insieme al presidente della Camera Roberto Fico e a quella del Senato Maria Elisabetta Casellati.

Alessandra Arachi

domenica 9 febbraio 2020

Migranti, 80 persone soccorse da una ong spagnola Maydayterraneo al largo della Libia dando seguito ad un allarme lanciato da Allarm Phone. Altri 91 in pericolo su un barcone.

TGCom24
La nave spagnola Maydayterraneo ha effettuato il salvataggio su richiesta del servizio Alarm Phone che ha lanciato anche lʼallarme su unʼaltra imbarcazione "in grave difficoltà".
Immagine di archivio

Ottanta persone sono state soccorse su un'imbarcazione in difficoltà al largo della Libia. Lo fa sapere la ong spagnola Maydayterraneo, intervenuta con la nave Aita Mari per recuperare i migranti al largo della Libia. A lanciare la richiesta di aiuto in mare era stato il servizio Alarm Phone.

"Persone in mare" - Se 80 persone sono state messe al sicuro, ancora di più sono però quelle che restano in difficoltà. 

A essere in pericolo, infatti, è un barcone con 91 persone a bordo. E' questo l'allarme lanciato dalla piattaforma Alarm Phone che sul profilo twitter ha scritto che queste persone sono fuggite dalla Libia. "Ci hanno riferito che l'acqua sta entrando nella barca e ci sono già persone in mare. Abbiamo informato le autorità alle 4.24, ma non hanno ancora preso provvedimenti sufficienti. Le persone hanno bisogno di aiuto immediatamente!", ha fatto sapere il servizio.

Siria - La foto - Il "giocattolo" del bambino rifugiato nelle tende dei campi profughi siriani

Blog Diritti Umani- Human Rights
I bambini nei campi profughi in Siria, senza scuola, al freddo, con cibo poco e inadeguato, senza le cure sanitarie necessarie, ogni giorno con una minaccia incombente sulla loro vita, i più piccoli non hanno mai conosciuto un giorno di pace ... ma la voglia di giocare cerca di restituisce in parte la loro realtà, essere bambini. 
I giocattoli come tante altre cose mancano nelle tende dei rifugiati fuggiti dagli ultimi bombardamenti in Siria, ma i bambini sono risoluti e riescono comunque a costruirseli: una vecchia bottiglia, tappi di plastica, del fil di ferro, e un gioco frutto della fantasia che parte dal nulla che possiedi diventa un gioco bellissimo, bello perchè le sofferenze della vita in tenda, gli orrori della guerra, non sono comunque riusciti a negare il loro essere bambini. 
 E un giocattolo così semplice e bello aiuta a guardare ad un futuro migliore dove poter essere bambini e crescere, un futuro di pace che i "grandi" devono costruire guardando ai bambini.

ES

Serbia. Rotta Balcanica. Vietato aiutare i migranti: violenze e fogli di via contro i volontari.

Il Manifesto
In Serbia chi aiuta i migranti non è il benvenuto. Lo hanno constatato a proprie spese tre attivisti dell'Ong No Name Kitchen che opera dal 2017 lungo la rotta balcanica. Il 1 febbraio i tre, tra cui l'italiano Adalberto Parenti, dopo essere stati aggrediti da un gruppo di nazionalisti cetnici, sono stati trattenuti dalla polizia che li ha accusati di disturbo della quiete pubblica, oltre che di non avere i permessi in regola

Parenti, 37enne bolognese, in Serbia da ottobre, e la sua collega Leonie Sofia Neumann sono stati condannati a una multa di quasi 200 euro, mentre un'altra attivista tedesca, Marina Bottke, è stata assolta dalle accuse. A tutti è stato però consegnato un foglio di via dalla polizia serba: entro oggi dovranno lasciare il paese.

I membri dell'Ong operavano a Šid, nel sud-ovest della Serbia, vicino al confine con la Croazia. Come racconta Parenti, i volontari stavano rifornendo i migranti che si trovano fuori dai campi d'accoglienza ufficiali e che dormono dentro ad alcune tende nei dintorni della fabbrica abbandonata di Grafosrem, quando è avvenuto l'incidente. "Il sabato precedente (25 gennaio, ndr) erano già arrivate queste persone vestite militarmente, ufficialmente per fare pulizia nella boscaglia. Avevano dato fuoco alle pile di vestiti che trovavano - spiega - e quando abbiamo cercato di salvare il possibile, alcune attiviste sono state spinte".

La polizia, contattata il giorno seguente, aveva rassicurato i volontari invitandoli a informarli se si fossero presentati situazioni analoghe. Lo scorso sabato mattina, lo stesso gruppo, che ha issato sul tetto della fabbrica una bandiera serba e quella cetnica, è tornato. "Erano venuti per continuare la "pulizia". Un termine anche storicamente adatto", commenta l'attivista. Uno degli uomini ha dato fuoco a un telo di nylon e a una tenda dentro la quale c'era Bottke, una delle attiviste, riuscita miracolosamente a scappare. I tre, racconta Parenti, si sono allontanati, ma Neumann, l'altra ragazza tedesca che stava riprendendo la scena, è stata colpita con un petardo e il suo telefono distrutto con un manganello.

Una volta arrivata, la polizia ha però portato gli attivisti in caserma, da cui sarebbero usciti solo all'una di notte con l'ordine di lasciare il paese. Durante un veloce processo i tre sono stati messi a confronto con altrettanti componenti del gruppo di nazionalisti e le dichiarazioni di questi credute. "Il foglio di via è una decisione chiaramente politica, e oltretutto si basa su falsità", sostiene Parenti, che continua: "Ora stiamo combattendo per annullarlo. L'avvocato dice che ci vorrà almeno una settimana per una decisione". Nel frattempo cosa farà? "Starò qui a Šid, aiutando i ragazzi finché mi è legalmente possibile. Poi uscirò dal paese, ma resterò nelle vicinanze, con la speranza di tornarci a breve".

Parenti non è però stupito del comportamento della polizia serba e racconta che loro non sono i primi attivisti di No Name Kitchen ad avere avuto problemi. "Chiunque aiuti i migranti qui prima o poi è ostacolato, per usare un eufemismo", dice. Secondo l'attivista, come la Croazia, pagata dall'Ue, attua respingimenti illegali di persone verso la Bosnia, anche le autorità serbe devono mostrarsi intransigenti nei confronti dei migranti se vogliono sperare di entrare nell'Unione.

Intanto Parenti racconta di aver ricevuto dall'Italia molta solidarietà. "Ho anche avuto rassicurazioni dalle istituzioni italiane e da qualche politico", racconta l'attivista. "Speriamo qualcosa si muova. Noi seguimos luchando (continuiamo a lottare)".

Tommaso Meo

venerdì 7 febbraio 2020

Luciana Lamorgese: «L’odio è l’emergenza di questo Paese. L'assuefazione all’odio hanno già prodotto come effetto l’indifferenza che è peggio del negazionismo"

Open
La scritta antisemita a Mondovì, gli insulti a Liliana Segre, ma anche le minacce e i messaggi d’odio a Carlo Verdelli ed Eugenio Scalfari, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non ha dubbi: «È l’odio l’emergenza di questo Paese».
«È un’emergenza culturale e civile. Nell’odio in cui siamo immersi c’è spesso assenza totale di pensiero. Inconsapevolezza di quali ferite si aprano nel ridare corpo a certi fantasmi. Io a questo fallimento non voglio rassegnarmi e penso non sia giusto rassegnarsi», dice Lamorgese in un’intervista a Repubblica.
La ministra rivela che anche lei è stata oggetto di insulti in rete: «Io non ho account social, sono stati i miei figli a raccontarmi il florilegio di epiteti che mi è stato rovesciato addosso. “Feccia di donna” credo che sia stato il più garbato. Gli altri sono irripetibili». La sua “colpa” è l’aver autorizzato lo sbarco dei migranti a bordo della Open Arms.

Lamorgese non cita mai Matteo Salvini («di lui non parlo, è la regola che mi sono data»), ma afferma: «La politica, tutta, ha urgente bisogno di una igiene delle parole e dei comportamenti. Anche perché la mancanza di igiene e la progressiva assuefazione all’odio hanno già prodotto come effetto l’indifferenza».

«L’indifferenza è peggio del negazionismo e del riduzionismo», dice la ministra. E cita Liliana Segre: «Tempo fa ascoltai la sua testimonianza, quello che mi colpì fu il racconto dell’indifferenza che accompagnava le famiglie di ebrei ai vagoni verso i campi di sterminio. “Eravamo invisibili”, diceva Segre. “Ci vedevano portare via, ma era come se non esistessimo. Come se fossimo trasparenti”».

Per Lamorgese quello dell’odio è un fenomeno che richiede la collaborazione di «forze dell’ordine, famiglie, scuole». «La posta in gioco è il nostro futuro». Infine assicura: «Non sono un ministro indifferente, lavoro ogni giorno per combattere l’odio. Ho riattivato il centro di coordinamento delle attività di analisi e scambio che fa capo alla presidenza del Consiglio proprio per contrastare e contenere il contagio dell’odio. E quando posso, come ministro dell’Interno, vado nelle scuole».

«Cito ancora Segre perché ho visto ragazzi piangere mentre raccontava il viaggio verso i campi di concentramento con i buglioli destinati agli escrementi nei vagoni piombati, che ad ogni scossone investivano del loro contenuto gli essere umani accatastati. Ecco vedendo Segre non risparmiarsi sulla sua testimonianza, mi sono convinta ancora di più che questo sia il compito non solo di chi è nelle Istituzioni, ma di ciascuno di noi. Testimoniare. Non c’è libro, non c’è giorno della memoria, o ricorrenza che tenga, al confronto», conclude Lamorgese.

mercoledì 5 febbraio 2020

Migranti - L'invasione in Europa e in Italia non c'è, i dati reali sono molto più bassi e diversi da quelli percepiti frutto di fake-news

Il Manifesto
Gli stranieri in Europa sono 40 milioni, il 7,8% del totale della popolazione. Con una simile percentuale viene da pensare che l’unica «invasione» in corso sia quella di allarmi e fake news, soprattutto considerando che il dato include anche i cittadini comunitari residenti in altri paesi Ue. Come dire, i migranti siamo noi.

I numeri vengono dal rapporto Gli stranieri ci invadono? Analisi e considerazioni su dinamiche demografiche in corso in Italia e in Europa, pubblicato ieri dalla Fondazione Leone Moressa.


Anche rispetto all’italia, l’invasione è soprattutto nella testa, a livello percettivo. Secondo gli intervistati nell’indagine Eurobarometro 2018 la presenza straniera nel nostro paese era del 24,6%, il triplo del dato effettivo (8,5%). In numeri assoluti si tratta di 5 milioni e 225 mila di persone. Secondo lo stereotipo sono principalmente africani, maschi e musulmani. Ma tra i primi 20 paesi di provenienza solo Nigeria e Senegal si trovano in Africa (sette sono europei). Su genere e religione, poi, i numeri parlano chiaro: i migranti in Italia sono soprattutto cristiani (52,2%) e donne (51%)
Giansardo Merli

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martedì 4 febbraio 2020

Pakistan, Huma Younus, ragazzina cristiana di 14 anni, rapita e costretta al matrimonio. Per i giudici il matrimonio con il suo rapitore è legale

Globalist
La ragazzina cristiana di 14 anni è stata rapita a ottobre da Abdul Jabbar e costretta al matrimonio. Il padre: "Ennesima prova che lo Stato non considera i cristiani in Pakistan"
Si è tenuta il 3 febbraio, presso l'Alta Corte del Sindh a Karachi, in Pakistan, l'udienza sul caso di Huma Younus, la ragazzina cristiana di 14 anni rapita da Abdul Jabbar e costretta al matrimonio. E per i giudici, il matrimonio rimane comunque valido perché secondo la Sharia, la legge islamica, ogni bambina che ha già avuto il ciclo mestruale può contrarre matrimonio. 

Disperata la reazione di Nagheena Younus, padre della ragazza: "È l'ennesima sconfitta della giustizia e l'ennesima riprova che lo Stato non considera i cristiani dei cittadini pachistani". 

In teoria esiste una legge, il Child Marriage Restraint Act, entrato in vigore nel Sindh nel 2014, ma fino a questo momento non è mai stato applicato. "Speravamo che la norma potesse essere applicata per la prima volta in questo caso - afferma l'avvocata Tabassum Yousaf - ma evidentemente in Pakistan queste leggi vengono formulate e approvate soltanto per accreditare il Paese agli occhi della comunità internazionale, chiedere fondi per lo sviluppo e commerciare gratuitamente i prodotti pachistani nel mercato europeo".
Vi erano molte aspettative da parte dei genitori della quattordicenne cattolica rapita il 10 ottobre scorso e della comunità cristiana in generale. Huma avrebbe dovuto presentarsi in aula, come richiesto dai giudici durante la precedente udienza del 16 gennaio al poliziotto incaricato delle indagini Akhtar Hussain. Interrogato sull'assenza della ragazza, stamattina l'agente si è limitato a dire che la giovane era stata convocata. Sin dall'inizio della vicenda Hussain ha mantenuto un atteggiamento ambiguo destando forti sospetti di una sua complicità con il rapitore Jabbar.

Nonostante ciò, proprio al poliziotto è stato dato mandato dai giudici di far effettuare una visita medica per attestare l'età di Huma, come richiesto ancora una volta stamattina dalla Yousaf. "È chiaro che essendo Hussain l'incaricato - afferma l'avvocatessa - vi è un'alta probabilità che i risultati del test vengano contraffatti. Ma la nostra speranza è di riuscire comunque a provare la minore età della ragazza così da farla almeno affidare ad un centro, allontanandola così dal suo aguzzino".

La prossima udienza è fissata per il 4 marzo, purtroppo però anche qualora fosse attestato che Huma è minorenne, la decisione dei giudici di ritenere il matrimonio valido, annulla qualsiasi possibilità che Jabbar venga punito per i reati di rapimento e matrimonio forzato.

lunedì 3 febbraio 2020

Libia - Italia conferma accordo sui migranti senza modifiche, ignorando le gravi violenze e violazioni dei diritti umani diventa complice

La Repubblica
L'accordo "blocca-immigrati": il testo del "Memorandum" con il Paese africano rimarrà così com'è, nonostante gli impegni per cambiarlo. "Il governo italiano ignora le violenze inflitte a migliaia di persone".

Il 2 febbraio, tre anni dopo la firma, il Memorandum d’intesa sulla migrazione tra Italia e Libia sarà rinnovato per altri tre anni senza modifiche. L’accordo prevede che l’Italia aiuti le autorità marittime della Libia a fermare imbarcazioni in mare e a riportare le persone a bordo nei centri di detenzione libici, dove queste sono trattenute illegalmente e subiscono gravi violenze, tra cui stupri e torture. 
“Nei primi tre anni dalla firma dell’accordo - ha detto Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa. - almeno 40.000 persone, tra cui migliaia di minori, sono state intercettate in mare, riportate in Libia e sottoposte a sofferenze inimmaginabili. Solo questo mese, sono state intercettate 947 persone”.
Una scelta che va oltre possibile comprensione. “Va oltre ogni comprensione - ha ggiunto Marie Struthers - il fatto che, nonostante le prove delle sofferenze causate da questo orribile accordo e a dispetto dell’escalation del conflitto in Libia, l’Italia sia pronta a rinnovare il memorandum. Invece, l’Italia dovrebbe pretendere dalla Libia il rilascio di tutti i migranti e i rifugiati che si trovano nei centri di detenzione e la chiusura di questi centri una volta per tutte". I migranti e i richiedenti asilo trattenuti nei centri libici sono soggetti a terribili condizioni di detenzione, in sovraffollamento, e rischiano gravi violenze, tra cui stupri e torture. Per di più, le loro vite sono messe in pericolo dall’aumento dell’intensità del conflitto.

L'UNHCR sospende ogni attività. Il 30 gennaio l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha annunciato la sospensione delle attività del suo centro di transito di Tripoli, aperto appena un anno fa, a causa dei timori per la sicurezza e la protezione delle persone ospitate nella struttura, del suo staff e dei suoi partner. Il Memorandum d’intesa è stato sottoscritto il 2 febbraio 2017 per impedire ai migranti e ai rifugiati di raggiungere le coste italiane, trattenendoli in Libia. L’Italia ha accettato di addestrare ed equipaggiare la guardia costiera e altre autorità libiche, collaborando con esse a raggiungere l’obiettivo di intercettare persone in mare e riportarle in Libia.

Il testo dell'accordo resterà così com'è. Nel novembre 2019 il governo italiano ha deciso di rinnovare l’accordo. Inizialmente, le autorità italiane si erano impegnate a negoziare dei cambiamenti al testo nell’ottica di una maggiore attenzione ai diritti umani dei migranti e dei rifugiati trattenuti in Libia, ma al momento del rinnovo il negoziato è ancora in corso e pertanto il memorandum verrà prorogato nella sua formulazione originaria. “Decine di migliaia di rifugiati e migranti sono intrappolati in una zona di guerra. Coloro che cercano di fuggire via mare rischiano di essere intercettati e riportati nei centri di detenzione. Collaborando a fermare le persone in mare e a trattenerle in Libia, l’Italia si è resa responsabile di questa situazione”, ha commentato Struthers.

Migranti climatici - Comitato dei diritti umani dell’Onu, sentenza storica: "non è possibile respingere soggetti che si trovano ad affrontare situazioni indotte dai cambiamenti climatici che violano il loro diritto alla vita."

Ambiente Bio
Il Comitato per i diritti umani dell’Onu, in una nota del 21 gennaio 2020, si è espresso sui migranti climatici, stabilendo che non è possibile respingere soggetti che si trovano ad affrontare situazioni indotte dai cambiamenti climatici che violano il loro diritto alla vita.
L’interpretazione di per sé non è vincolante ma lo sono gli strumenti giuridici cui fa riferimento il Comitato che controlla il rispetto, da parte degli Stati, del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
[...]
Come si è espresso il Comitato dei diritti umani dell’Onu
Il Comitato dei diritti umani dell’Onu ha sottolineato come, nel caso specifico di Teitiota, non vi era stata nessuna violazione del principio di non respingimento, affermando però che:
calamità improvvise ma anche processi più lenti come l’innalzamento del livello del mare possono favorire la mobilità di individui che ricercano protezione da questi eventi
senza un importante sforzo nazionale e internazionale gli effetti del cambiamento climatico negli Stati d’origine possono esporre soggetti a violare il loro diritto di protezione ex. artt. 6 e 7 della Convenzione di Ginevra,
trovando possibilità di applicazione il principio di non respingimento pur considerando che il rischio che un intero Paese venga sommerso dall’acqua è davvero un rischio estremo, le condizioni di vita nel Paese stesso possono diventare incompatibili con il diritto alla vita già prima che il rischio si realizzi.

Il Comitato ha però ritenuto legittime le previsioni del Tribunale e della Corte neozelandese le quali hanno statuito che un rischio che si materializza nei 10-15 anni futuri sia troppo speculativo per chiedere un protezione ora perché si tratta di un arco temporale che consente a Kribati , col supporto della Comunità internazionale, di adottare misure per proteggere e, se necessario, ricollocare la sua popolazione.
La forte influenza dei cambiamenti climatici sulle migrazioni

Tra i cambiamenti destinati a crescere nei prossimi anni troviamo:
  • riscaldamento globale
  • acidificazione dei ghiacciai
  • innalzamento del livello del mare
  • riduzione del permafrost
ed essi sono correlati con:
  • l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, inondazioni, cicloni, incendi boschivi)
  • l’alterazione dei sistemi idrici
  • il crescente tasso di estinzione di specie animali e vegetali
Uno dei più grandi effetti dei cambiamenti climatici è l’aumento delle migrazioni delle popolazioni più vulnerabili, cui conseguono altri gravissimi problemi connessi a:
gestione dei flussi delle persone in entrata
  • alloggi
  • infrastrutture di trasporto
  • servizi sociali
  • opportunità di lavoro
  • disoccupazione
  • inadeguato accesso all’acqua potabile e a servizi sanitari
  • inadeguata gestione dei rifiuti
  • limitato accesso a trasporti ed elettricità
Seppur non vincolante, la sentenza del Comitato dei diritti umani dell’Onu dovrebbe, dunque, farci riflettere sul futuro, per niente roseo, dei migranti climatici e, in generale, dell’umanità.

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