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mercoledì 31 dicembre 2014

Is giustizia 120 dei suoi combattenti stranieri, volevano andare a casa.

La Repubblica
Beirut - Negli ultimi tre mesi lo Stato islamico- Is ha "giustiziato" almeno 120 dei suoi militanti, quasi tutti combattenti stranieri che cercavano di tornare a casa. Lo ha riferito l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra e che conta su una vasta rete di attivisti in Siria. 

In una dichiarazione al quotidiano The Independent, il fondatore dell'Ong, Rami Abdurrahman, ha detto: "Possiamo confermare che 120 combattenti sono stati uccisi dall'Is, ma dalle nostre fonti sul campo riteniamo che il numero sia superiore a 200": tra loro, sempre secondo Abdurrahman, 116 sarebbero 'foreign fighters' che volevano fuggire dalla Siria per tornare a casa. L'Osservatorio ha detto di non poter confermare età e nazionalità dei combattenti, ma è noto che alcuni di loro erano europei.[...]

Siria: centinaia detenuti politici a Homs in sciopero della fame, denunciano anche abusi e torture

Ansa
Centinaia di detenuti politici siriani rinchiusi nel carcere di Homs, nel centro del Paese, sono da quattro giorni in sciopero della fame per denunciare la lunga detenzione, per lo più senza accuse né condanne formali, abusi e torture.

Lo riferisce oggi l'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), secondo cui dal 2011 a oggi sono oltre 200mila i prigionieri di coscienza arrestati dal regime con l'inizio delle proteste pacifiche scoppiate circa quattro anni fa e le conseguenti violenze. 

Tra i detenuti politici, circa 12mila sono morti in carcere per le torture e le pessime condizioni sanitarie e alimentari. 

Il regime smentisce queste cifre e afferma che le persone arrestate dal 2011 a oggi sono "terroristi" o "collaborazionisti di Paesi stranieri che hanno complottato contro la Siria".



Medio Oriente: Ong; 300 palestinesi arrestati da Israele a Gaza nel 2014

Aki
Le autorità israeliane hanno arrestato almeno 300 palestinesi nella Striscia di Gaza nel 2014. Lo rende noto l'Associazione per i prigionieri e gli ex prigionieri palestinesi, spiegando che due terzi degli arresti sono avvenuti durante i 51 giorni dell'offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza tra luglio e agosto scorsi.

La maggior parte degli arrestati, ha poi detto l'ong, è stata rilasciata entro alcuni giorni dopo essere stati sottoposti a "torture e interrogatori approfonditi". 

Degli arrestati quest'anno a Gaza, 22 restano ancora dietro le sbarre. In totale, sono più di settemila i palestinesi attualmente in carcere in Israele, secondo dati del governo palestinese con sede a Ramallah.

Carcere 2014: calano del 20% i detenuti e calano anche i reati del 7,7%. Meno carcere più sicurezza?

Radio Vaticana
Nella conferenza stampa di fine anno il premier Matteo Renzi si è soffermato su vari temi e, in particolare, sulle risposte date dal governo per affrontare la crisi del sistema penitenziario. Renzi ha ricordato alcuni dati, tra cui la riduzione del 20% dell'affollamento nelle carceri, l'aumento del 10% dei posti nelle celle e il calo del 7,7% dei reati.
Sono questi miglioramenti sufficienti? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Patrizio Gonnella presidente dell'Associazione Antigone, impegnata nel tutelare i diritti nel sistema penale

"Dei miglioramenti ci sono: nell'ultimo anno sono calati di 10 mila i detenuti. E questo è il segno di una condanna europea che è avvenuta anche perché - lo ricordo - molte associazioni come Antigone hanno presentato centinaia di ricorsi per trattamento inumano e degradante. Avevamo un tasso di affollamento in Europa elevatissimo.

Ci superava solo la Serbia!
Questo non significa che i problemi siano risolti. Abbiamo ancora più detenuti rispetto ai posti letto regolamentari, c'è la questione dell'umanizzazione della vita detentiva, c'è la questione dei diritti, tra cui quelli della salute. La salute va assicurata, tantissimi detenuti ci scrivono perché sono in stato di abbandono terapeutico. C'è ancora un carcere che è organizzato in modo antico.

C'è un dato positivo che rassicura l'opinione pubblica: diminuiscono i detenuti e non crescono i reati. Vuol dire che le politiche che vanno nel segno di una maggiore apertura non producono questioni che ci devono allarmare dal punto di vista della sicurezza".

Questo nonostante la crisi che, invece, potrebbe alimentare i reati...

E questo è segno di una grandissima civiltà. Tutti fanno grande fatica, ma non c'è la tentazione di superare la crisi facendo del male agli altri, rubando agli altri. Io penso - non lo dico perché sono su Radio Vaticana - che un grande contributo sicuramente è di Papa Francesco, perché ha dato un messaggio di solidarietà che è arrivato alle persone. C'è un nesso causale evidente nel messaggio pubblico di quelli che possiamo riconoscere come i grandi opinionisti di massa. E sicuramente, tra questi, c'è il Pontefice. Ci sono anche i massimi vertici dello Stato e ha avuto un grandissimo ruolo in questo senso il presidente Giorgio Napolitano che noi rimpiangeremo: non è frequente che un capo dello Stato, per vari anni, abbia posto il tema della giustizia, del carcere, degli ospedali psichiatrici giudiziari al centro della sua agenda pubblica. L'unico messaggio alle Camere, in dieci anni, è stato su questo terreno, rivolto agli ultimi. Noi dobbiamo evitare, invece, che chi - come nella politica - per prendere quattro voti di più, parli alla pancia delle persone alimentando intolleranza, paura, violenza. Quei discorsi li dobbiamo bandire dal nostro discorso pubblico.

Il premier Renzi ha anche fatto capire che l'amnistia e l'indulto non sono le riposte più adeguate al sovraffollamento nelle carceri...

Noi dobbiamo non emettere provvedimenti emergenziali "una tantum" che poi, tutto sommato, non sono delle vere soluzioni. E noi lo sappiamo. Però, penso che effettivamente un po' sia vero che dobbiamo guardare al sistema nella sua complessità. Ad esempio, ha fatto molto bene al sistema l'abrogazione del reato in ottemperanza all'obbligo di espulsione del questore, per quanto riguarda gli immigrati irregolari. Andare a finire in carcere solo perché non avevi il documento a posto, era un eccesso punitivo e violento nei confronti di chi già proveniva da un percorso di vita fatto di sofferenze. Nel 2011 erano entrate 15 mila persone con questo titolo di reato, nel corso dell'intero anno. Fortunatamente, ora questo titolo di reato non c'è più: quella persona, solo per questo "reato" andava in carcere e conosceva un mondo di criminalità che di certo lo aiutava ad entrare in circuiti di illegalità ben più significativi. È proprio un errore, anche dal punto di vista economico.

Mafia capitale, si cerca di mettere una toppa ai buchi dell'emergenza freddo. Un morto di freddo all'Esquilino

Redattore Sociale
Centinaia di posti di accoglienza notturna ancora bloccati per l’indagine su “Mafia Capitale”: si cercano alternative in altre strutture. Radicchi (Help Center stazione Termini) chiede una pianificazione certa: “Ma dobbiamo chiederci quanto davvero vogliamo investire sugli emarginati, che non portano voti”
Roma - In azione per “mettere una toppa” al blocco dei posti previsti dal Piano freddo, tuttora bloccati come effetto collaterale dell’indagine su “Mafia Capitale”. Temperature rigide a Roma e piena emergenza per le persone senza dimora e in condizioni di povertà estrema, con la nuova responsabile dell’assessorato alle Politiche sociali, Francesca Danese, che chiede la collaborazione del mondo dell’associazionismo e di quello religioso, con l’appello rivolto alle parrocchie di offrire supporto nell’assistenza. Viste le condizioni date, un impegno da apprezzare, secondo Alessandro Radicchi,che è presidente dell’Osservatorio sul disagio nelle stazioni e a Roma è responsabile dell’Help center della stazione Termini, collegato al centro diurno “Binario 95”. Radicchi spiega la situazione attuale ma soprattutto allarga lo sguardo pensando al futuro, illustrando ciò che servirebbe e chiedendo: “Vogliamo davvero investire sugli emarginati che non portano voti?”

“Il nuovo assessore si muove con il massimo impegno e si sta confrontando con tutto il terzo settore: il problema è che ci troviamo davanti un’emergenza notevole e bisogna correre ai ripari con soluzioni estreme”. Quest’anno il Piano freddo prevedeva 800 posti in più rispetto al passato, ma la programmazione effettuata in anticipo è saltata di fronte alle conseguenze dell’indagine su “Mafia capitale” che tiene bloccati (per verifiche sulle cooperative coinvolte) almeno 500 di quei posti, per di più per la quasi totalità riferiti ad accoglienze notturne, quelle di cui si sente maggiormente il bisogno. “Bisogna mettere le toppe – dice Radicchi – e fare di tutto, anche l’apertura notturna delle stazioni delle metropolitane, che peraltro è evidentemente solamente un palliativo”.

Il vero problema è la carenza di strutture adatte. Per trovarle le strade sono diverse. C’è la via del coinvolgimento religioso, cioè conventi e strutture non utilizzate, oltre che le parrocchie: secondo Radicchi potrebbe essere possibile supportare le parrocchie che scegliessero questa strada mettendo a disposizione degli operatori specializzati, “anche di concerto con la Santa Sede, visto che l’elemosiniere aveva fatto sapere che mettere a disposizione della liquidità per questo problema non sarebbe stato un problema”. Dieci parrocchie con dieci posti ciascuna sono già cento posti: C’è poi da esplorare la via di possibili accordi con militari (Esercito e non solo) e con la Protezione civile. E poi la ricerca di alberghi abbandonati o vuoti, con appositi accordi con le relative proprietà.

Ma dal responsabile dell’Help Center della stazione Termini arriva anche una domanda: “Bisogna capire una volta per tutte quanto si vuole investire sugli emarginati di cui quasi nessuno si occupa e che non portano voti”. E riferendo il caso di un uomo “che solo alcuni giorni fa, dopo otto anni di lavoro, siamo riusciti a convincere ad accettare un’accoglienza e un’assistenza medica”, spiega meglio: “Alcune persone, che hanno situazioni particolarmente gravi, hanno bisogno di alte professionalità per periodi lunghi di tempo per essere avvicinate e accolte: poiché anche questo è un costo (un operatore, a 15 euro l’ora, per 4 ore a settimana, cioè 200 all’anno, pesa 3.000 euro), dobbiamo capire se consideriamo ne valga la pena”. In pratica, dice Radicchi, va trovata la giusta via di mezzo fra la necessità di prestare assistenza e quella di evitare di accanirsi su chi non vuole essere assistito: tutto questo però dentro un sistema che al momento svolge soprattutto un servizio di pura emergenza.

[...]

martedì 30 dicembre 2014

Myanmar - Risoluzione Onu: “Piena cittadinanza per i Rohingya”

MISNA
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato ieri una risoluzione che esorta il governo del paese a proteggere i diritti di tutti gli abitanti dello stato Rakhine (Arakan) e permettere la “parità di accesso alla piena cittadinanza per la minoranza musulmana Rohingya”. 

La risoluzione, non vincolante, è stata adottata per consenso da un gruppo di 193 nazioni, un mese dopo che è stata approvata dal Comitato per i diritti. La risoluzione esprime “grave preoccupazione” per la situazione dei Rohingya nello stato Rakhine, dove oltre 140.000 sfollati vivono reclusi in squallidi campi dopo la violenza scoppiata tra buddisti e musulmani nel 2012.

Nell’ambito di un controverso piano sostenuto dal governo, i Rohingya sarebbero costretti a identificarsi come bengalesi, termine visto come dispregiativo e contrario alla storia del paese, al fine di richiedere la cittadinanza. “La cittadinanza non sarà concessa a coloro che non hanno diritto ai sensi della presente legge e non importa chi applica pressione su di noi. E’ nostro diritto sovrano” aveva detto il mese scorso il portavoce del governo Ye Htut, in un comunicato.

La risoluzione esortata il governo del Myanmar ad accelerare gli sforzi per affrontare la discriminazione, la violenza, discorsi di odio, gli attacchi contro i musulmani e altre minoranze religiose e la deprivazione economica che colpisce varie minoranze etniche presenti nel paese. Nonostante le critiche del trattamento del Rohingya, la risoluzione accoglie “continui sviluppi positivi in Myanmar” verso la riforma e rileva che il governo sta facendo sforzi per affrontare la “situazione complessa nello stato Rakhine.”

La risoluzione chiede inoltre di aprire “ senza indugio” nel paese un ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Egitto: al Sisi incarica Ministro Interno di verificare situazione degli studenti detenuti

Nova
Il presidente egiziano Abdul Fatah al Sisi ha incaricato il ministro dell'Interno Mohamed Ibrahim di riesaminare la situazione degli studenti detenuti. 


Lo riferiscono i media statali, secondo cui al Sisi avrebbe proposto la formazione di un comitato per ispezionare le carceri egiziane e controllare le condizioni dei detenuti. 

"Ogni innocente sarà rilasciato", ha promesso il presidente egiziano. Decine di studenti sono stati arrestati per i disordini seguiti alla deposizione dell'ex presidente Mohamed Morsi del luglio 2013.

Freddo, paura per i senzatetto. L'appello di Sant'Egidio

Radio Vaticana
In Italia è arrivata l'ondata di gelo e già si registra la prima vittima per il freddo: un clochard a Milano. Anche quest’anno, dunque, l’inverno si presenta come il grande nemico dei senzatetto: solo a Roma ben 2500 persone non hanno riparo. Al microfono di Corinna Spirito, Augusto D'Angelo, responsabile dei senza fissa dimora per la Comunità di Sant'Egidio, sottolinea la necessità di passare dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto:


R. – È una cosa che ci chiediamo con la Comunità di Sant’Egidio, perché questo problema del freddo e dell’inverno viene sempre affrontato con la parola “emergenza”. E abbiamo scoperto che attraverso l'emergenza si è aperta una crepa attraverso la quale il malaffare, la speculazione sul più debole, si è insinuata anche nelle amministrazioni. Ma noi sappiamo benissimo che l’inverno, il freddo vengono tutti gli anni, quindi penso che ci sia lo spazio per far sì che le azioni da fare per aiutare chi è senza fissa dimora, davanti al gelo e davanti al freddo, debbano essere programmate per tempo e realizzate.

D. – Quest’anno, se pensiamo alla città di Roma, c’è anche un ulteriore intoppo, quello delle indagini per “Mafia Capitale”…


R. – A Roma abbiamo calcolato, anche con i dai Istat, che le persone senza dimora sono 7800, di queste: 1560 trovano rifugio presso parrocchie, associazioni di volontariato, religiosi; 1200 presso dei centri convenzionati con Roma Capitale. Erano previsti 600 posti in più, che dovevano essere aperti all’inizio di dicembre per l’emergenza freddo, che appunto viene tutti gli anni. Le inchieste hanno bloccato quest’apertura. Pare che adesso ne abbiano aperti 300. Debbo dire che l’altra sera due senza fissa dimora hanno telefonato di fronte a me al numero verde e gli hanno detto che non c’erano posti. Questo vuol dire che attualmente si stima che a Roma circa 2500 persone non trovano riparo per la notte e altre 2000 vivono invece in alloggi di fortuna.

D. – Come si deve agire per evitare altri morti?

R. – Io le posso dire l’esperienza di Sant’Egidio che, nella sua dimensione non enorme, ha elaborato un suo modello. Quest’anno, come tutti gli ultimi anni, per il periodo invernale abbiamo aperto un piccolo spazio di accoglienza al centro di Roma, che dispone di un numero limitato di letti. Queste persone vengono accompagnate nei mesi fino alla primavera inoltrata, affinché man mano si superino i problemi che li hanno portati in strada. Alla fine ci siamo resi conto che l’80 per cento delle persone che passano per questa nostra iniziativa non tornano più in strada. Alla fine del periodo, infatti, rimuovendo le cause delle difficoltà, che qualche volta sono non avere assolutamente un lavoro - e allora trovando un piccolo lavoro - non avere un riparo - e allora trovando una stanza o un’altra soluzione - si riesce a far sì che l’essere senza fissa dimora non sia una condizione senza ritorno, ma possa essere soltanto una condizione di un periodo della propria vita. Per far questo ci vuole un’esigenza importante, che è quella di passare dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto, cioè non far sì che si dia soltanto un tetto per il periodo invernale e poi non ci si pensi più, ma far sì che il momento di accoglienza invernale diventi il momento di rilancio delle vite delle persone più in difficoltà.

D. – E per le persone per cui invece, purtroppo, non ci sono letti, come si muove la comunità di Sant’Egidio?

R. – Noi, in questi giorni, stiamo incrementando la distribuzione di coperte. I nostri gruppi sparsi per le città vanno a trovare le persone, che noi andiamo a visitare settimanalmente per controllare come stanno. La sera del 31, poi, staremo con i nostri amici, in tutte le stazioni e in tutti i luoghi dove loro si trovano, per portare una cena calda, un gesto di vicinanza, per stappare con loro lo spumante della notte di Capodanno e anche lì portare nuovamente coperte, guanti, cose che possono servire per ripararsi dal freddo.

D. – Il singolo cittadino come può comportarsi invece per aiutare?

R. – Ieri ho ricevuto un sms di una mia collega di lavoro, la quale mi ha detto: “Questa sera, con i miei vicini di casa, del mio condominio, abbiamo deciso di portare una cena calda e delle coperte alle persone che stanno per strada e che vivono vicino a casa nostra”. Ecco, questa è una cosa che possono fare tutti; e, a mio giudizio, rientra anche in quella dimensione che ha indicato Papa Francesco, che è rivolta ai cristiani, ma è rivolta anche a tutti gli uomini di buona volontà, e cioè che di fronte ai poveri in questa stagione bisogna far provare la tenerezza e la consolazione di Dio; a tutti quelli che si incontrano. E i più deboli sono quelli da cui bisogna cominciare.

Ristretti Orizzonti - Numero speciale dedicato a Papa Francesco: "Apriamo il carcere a vita, pena di morte nascosta"

Ristretti Orizzonti
Numero "speciale" dedicato a Papa Francesco, aiutandoci in una distribuzione che vorremmo raggiungesse più persone di quanto normalmente riusciamo a fare.


Le ragioni per cui vi facciamo questa richiesta sono tante:
- Il discorso del Papa ai giuristi dell’Associazione Penale Internazionale, che riportiamo integralmente, non DEVE essere dimenticato perché ci stimola tutti, credenti e non credenti, a una riflessione più profonda sul senso che dovrebbero avere le pene.
- A commentare le parole del Papa abbiamo chiamato persone esperte (Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale nell’Università Cattolica di Milano, e don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani carcerari), e poi tante persone detenute, che hanno cercato di cogliere ogni sfumatura di quel discorso.
- L’hanno commentato alcuni ergastolani, che più di tutti hanno tratto da quel discorso un motivo di piccolissima speranza (ci piace sottolineare che la definizione dell’ergastolo come “pena di morte nascosta” data dal Papa non si discosta molto da quella di Carmelo Musumeci, ergastolano, per cui l’ergastolo è una “pena di morte viva”).
- Ora ci piacerebbe che lo commentassero tanti nostri lettori, per esempio GIORNALISTI e MAGISTRATI, chiamati in causa con una certa severità da Papa Francesco.
- E ci piacerebbe che tante persone credenti, e tanti politici cattolici esprimessero il loro pensiero sulle parole di Papa Francesco, parole che richiamano a una idea di Giustizia non vendicativa, ma che ripara e risponde al Male con il Bene.
Grazie se accoglierete la nostra richiesta, e grazie comunque anche se non lo farete, con la speranza però che TUTTI leggiate le parole del Papa.
Ancora Buon Natale, e buon 2015, che sia l’anno in cui gli ergastolani e le loro famiglie possano tornare a sperare in una Giustizia meno crudele.

La redazione di Ristretti Orizzonti

Bahrain: Shaikh Ali Salman opposition leader detained after demonstration

ANSAmed
Roma - Yesterday Bahraini authorities detained Shaikh Ali Salman, the recently re-elected head of the kingdom's main opposition group Al-Wefaq, Bahrain Center for Human Rights (BCHR) reports today.
His arrest comes after he led a peaceful rally near the capital city of Manama on Friday in protest against last month's general elections, which the opposition boycotted. The Ministry of Interior is accusing Al-Salman of inciting hatred against the government and calling for its overthrow by force.

After Al Salman was detained by criminal investigators, scattered clashes broke out on the streets Sunday evening between protesters and government forces, which led to 56 arbitrary arrests, including 5 children, BCHR also reports.

Since last week, human rights defender Nader Abdulimam has been facing further charges for founding the human rights organization 'Ensaf'. Abdulemam has been serving a six-months prison sentence since August 2014 for "publicly insulting a religious figure of worship". The new charges against him are a clear violation of the principles of human rights, especially those relating to freedom of expression, peaceful work and establishing civil society organizations.

The Bahrain Center for Human Rights believes that Nader Abdelimam is being targeted because of his high-profile human rights activism online and on his blog. Further, the BCHR joined with several other NGOs to express strong concern over the extradition of Bahraini citizen Ali Haroun from an immigration detention center in Thailand into the custody of authorities in Bahrain last week. There is strong concern that he will be further abused by the authorities as he reportedly was in 2013 during a previous arrest and detention.

Last week, the BCHR was able to document a total of 56 arbitrary arrests, including 5 children under the age of 18. Five individuals was confirmed as released, leaving more than 3000 prisoners in arbitrary detention.

lunedì 29 dicembre 2014

L'allarme - L'Alto commissariato Onu e Sant'Egidio: «C'è il rischio che le vittime aumentino»

Corriere della Sera
Triton non va. «Era meglio Mare Nostrum». Così come non funziona la risposta a chi - almeno centomila quest'anno - ha chiesto rifugio ai Paesi dell'Unione Europea. 

«L'accoglienza va fatta prima che i profughi si imbarchino». Soprattutto se è vero che l'anno prossimo il flusso dei disperati - dalla Siria, ma anche dall'Iraq e dall'Africa subsahariana - aumenterà. E' questo il pensiero di agenzie e associazioni che si occupano di profughi e migranti al termine di un anno vissuto pericolosamente. In un pezzo di mondo - il Mar Mediterraneo - che non è soltanto la frontiera dell'Europa, ma anche «la più pericolosa al mondo», come sintetizza la Comunità di Sant'Egidio.

«Nel 2014 hanno attraversato il Mediterraneo 208 mila persone: di queste 170 mila sono approdate in Italia», calcola Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr, l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati. «Numeri che confermano che alcune crisi internazionali si sono aggravate. Siamo ormai al quinto anno della crisi siriana e l'ascesa dello Stato islamico costringe sempre più persone a salire in barca e tentare di arrivare in Europa. Non partono solo i siriani, ma da qualche mese anche gli iracheni».
L'anno prossimo, secondo l'Unhcr, la situazione non dovrebbe migliorare. «Temiamo che il flusso aumenti, soprattutto dalla Siria», spiega Sami. «Ci sono 9 milioni di persone in fuga e gli Stati che li accolgono - Libano, Giordania, Turchia - sono quasi al limite». «Ma da qualche settimana anche la Libia è un problema che dobbiamo affrontare sul serio», aggiunge Daniela Pompei, responsabile per gli immigrati della Comunità di Sant'Egidio.
Che ci tiene a ricordare: «La maggior parte delle 170mila persone arrivate in Italia ha diritto a chiedere asilo: di queste, poi, qui ne sono rimaste 62 mila», «A Milano quest'anno ne sono transitati 50 mila - calcola Carlotta Sami -: solo una quarantina ha chiesto asilo politico qui. Gli altri hanno preferito il Nord Europa».
C'è un punto, però, concordano tutti, su cui bisogna intervenire: le operazioni in mare. «C'è stata una polemica inutile secondo la quale la missione italiana Mare Nostrum incentivava l'arrivo dei migranti», ricorda la portavoce dell'Unhcr. «Ma i dati di novembre, in piena fase Triton, smentiscono questa diceria». All'Alto Commissariato Onu Triton non piace. «I mezzi sono più piccoli, la missione si occupa del pattugliamento e non del salvataggio. Temiamo un maggior numero di vittime». 

«Mare Nostrum era stata pensata per salvare vite, Triton no», sintetizza Daniela Pompei. «Speriamo che l'Ue torni sui suoi passi e riporti in vita la nostra operazione. Per questo la Marina militare italiana fa benissimo ad andare oltre il limite delle 30 miglia».
Che fare quindi? L'Unhcr propone di «avviare un piano europeo che permetta a chi scappa dalla guerra di arrivare da noi in sicurezza». L'altra tappa è quella di prevedere «piani di carico e scarico» dei richiedenti asilo tra i Paesi europei, in modo da ridistribuirli: «Ci sono Stati che non ne accolgono nemmeno uno», dice Carlotta Sami.
«Ma prima va cambiata la legge comunitaria che regola le richieste dei profughi», precisa la responsabile per gli immigrati della Comunità di Sant'Egidio. «Chi mette piede a Lampedusa o in Sicilia mette piede in Europa, non solo in Italia. Pensiamo poi anche a un nuovo modo di ingresso nell'Unione Europea: le persone dovrebbero chiedere asilo già nei Paesi in cui transitano, come Marocco ed Etiopia».
Un modo, questo, che dovrebbe evitare la traversata in barcone e, soprattutto, «di finire nelle mani dei trafficanti di uomini».

Leonard Berberi

Japan: 129 inmates remain on death row

Japan Today
Tokyo — Japan’s prisons had 129 inmates on death row as of Dec 26, according to a Justice Ministry report.
The ministry said that there were three executions in June and August, while five death-row inmates died of illnesses, including a 92-year-old man, TV Asahi reported Sunday.

A man believed to be the world’s longest-serving death row inmate, Iwao Hakamada, 78, was freed in March after the Shizuoka District Court ordered a fresh trial over the grisly 1966 murder of his boss and the man’s family.

Human rights group Amnesty International has criticized Japan’s use of capital punishment for being “shrouded in secrecy.”

Japan and the United States are the only major industrialised democracies to carry out capital punishment, a practice that has led to repeated protests from European governments and human rights groups.

International advocacy groups say the Japanese system is cruel because death row inmates can wait for their executions for many years in solitary confinement and are only told of their impending death a few hours ahead of time.

Angola, un paese in espansione che attrae migranti africani accolti con arresti e torture

La Repubblica
E' la denuncia di nove organizzazioni che si battono per i diritti umani in Africa e della FIDH (Federazione Internazionale per i Diritti Umani). "Una vera e propria caccia ai migranti", soprattutto musulmani
Johannesburg - Nove organizzazioni africane e la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) hanno denunciato il destino di migliaia di immigrati dell'Africa occidentale in Angola, rastrellati nelle strade e poi riuniti in un centro di detenzione. 

"Le autorità angolane hanno intrapreso una nuova operazione di lotta contro l'immigrazione clandestina, che è simile ad una vera e propria caccia ai migranti" provenienti dalla Guinea, dal Mali, dalla Mauritania e dal Senegal, dice un comunicato della FIDH. 

"Negli ultimi dieci giorni, 3.000 persone sono state arrestate per le strade di Luandaoppure nelle loro case o nei posti di lavoro e poi trasferiti al centro di detenzione di Trinita, 30 chilometri dalla capitale angolana", hanno riferito molte associazioni per la difesa dei diritti umani.

La discriminazione contro i musulmani. "Sono trattenuti e trattati in moto crudele, inumano, umiliante e degradante. Li hanno stipati - si legge ancora nella denuncia della FIDH - in piccole celle, senza cibo né acqua. (...) sono stati riferite anche torture ed estorsione, mentre alcuni sono stati rimpatriati con la forza"

Queste violazioni dei diritti umani dei migranti vengono perpetrati fanno parte di una serie di attacchi contro gli immigrati in Angola. "Gli arresti - dice ancora il rapporto della FIDH - sono ispirati da profondi sentimenti di discriminazione etnica e religiosa. Lo si evince dal fatto che sono stati presi di mira cittadini per lo più musulmani, la maggiorparte dei quali provenienti dalla Guinea, dalla Mauritania, dal Mali e dal Senegal", dice la nota, sottolineando inoltre che i servizi di sicurezza angolani dedicati all'immigrazione, venerdì scorso 19 dicembre avevano anche circondato le moschee di Luanda.

L'attrazione dell'Angola, in rapida crescita. Le nove organizzazioni firmatarie chiedono alle autorità angolane di "porre immediatamente fine alla pratica di arresti e detenzioni arbitrarie, da parte delle forze di sicurezza.

Incoraggiano anche i paesi di origine dei migranti, oltre che l'Unione africana, a reagire. L'Angola, in piena espansione, dopo la fine della guerra civile nel 2002, attrae i cittadini delle nazioni vicine, ma anche i cittadini dei paesi dell'Africa occidentale. Ma le autorità angolane mettono in atto regolarmente ferree operazioni di lotta contro l'immigrazione, in particolare lungo la frontiera nord orientale che delimita in confini con la Repubblica Democratica del Congo.

History of Europe - 6013 years in 3 minutes - Video








Marcia del 1° gennaio 2015 - Pace in tutte le terre - Comunità di Sant'Egidio



domenica 28 dicembre 2014

Somalia: Al-Shabaab executes young man for suspected spying

Radio Bar-Kulan
Al-Shabaab militants have executed a young man for suspected spying for the Federal Government of Somalia.
The group executed the man in front of a crowd in Biyo Ade, 40 kilometer outside of Jowhar, the capital of central Shabelle region.

Eyewitnesses told Bar-Kulan the group invited a crowd to witness the execution of the man whom they suspected was on a spying mission for the Mogadishu government.

Witnesses said the executed man was a resident in the area, and there was no indication that he was working with the government.

Al-Shabaab militant group which is fighting to topple the government of Hassan Sheikh Mohamud has previously executed people it suspected of spying.

Moratoria: Ban Ki moon a Pakistan, stop esecuzioni

ONU Italia
New York – Il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon ha rivolto un appello al Pakistan perche’ ritorni alla moratoria della pena di morte. L’invito a Islamabad perche’ fermi le esecuzioni e’ stato al centro di una conversazione di Ban con il premier pakistano Muhammad Nawaz Sharif in il capo delle Nazioni Unite cui ha espresso le sue condoglianze per l’attentato alla scuola militare di Peshawar che ha indotto il governo del Pakistan a fare marcia indietro sulla moratoria per i reati di terrorismo.
Pur riconoscendo le difficili circostanze, il Segretario generale ha sollecitato il governo del Pakistan a fermare le esecuzioni”, ha detto un portavoce dell’Onu. Ban ha dato il benvenuto all’assicurazione di Sharif che “tutte le norme legali saranno rispettate”.

Il Pakistan, che ha la pena nei morte nei codici e la applica con l’impiccagione, aveva adottato la moratoria nel 2008. L’aveva abbandonata all’indomani dell’attentato a Peshawar e subito dopo il voto all’Onu sulla risoluzione che invita gli Stati a fermare le esecuzioni in vista della loro totale abolizione.

Iraq - Viaggio tra i bambini rifugiati di Erbil dove l'emergenza e la normalità

Euro News
Dall’inizio della crisi in Siria, 4 anni fa, 220.000 siriani sono fuggiti a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Si aggiungono agli oltre 2 milioni di iracheni in fuga dai fondamentalisti. I bambini rappresentano la metà di tutti i rifugiati. Il 2014, denuncia l’Unicef, è stato un anno devastante per milioni di bambini, vittime incosapevoli dei conflitti.
Tra loro, tanti piccoli siriani con meno di 5 anni. Rifugiati in Iraq, sono cresciuti nella guerra, nella violenza e nell’esilio, perdendo la nozione stessa di normalità.

“Quella che per noi è una situazione di emergenza, di crisi, per loro è la normalità. Vivere nell’emergenza è la loro quotidianità – spiega Jeffrey Bates, capo della Comunicazione dell’Unicef in Iraq – Quello che l’Unicef e i suoi partner cercano di fare, è offrire a questi bambini una vita normale. Un campo profughi non sarà mai una casa, ma se questi bambini possono avere un posto in cui giocare, andare a scuola, se possono stare al sicuro con i loro amici e le loro famiglie, questo darà loro la possibilità di crescere”.

Vedere i figli crescere è il desiderio più grande dei rifugiati dalla minoranza yazida. Qui è un’utopia.

“Non c‘è futuro per noi e per i nostri figli – spiega un padre fuggito con la sua famiglia da Qaraqosh – I fondamentalisti controllano ancora molte zone, quindi non possiamo pensare al futuro. È tutto così incerto”.

Il futuro significa educazione, un’opportunità che a Erbil non è garantita.

“Proprio di fronte a me, attaccata al campo profughi, c‘è una scuola – dice l’inviata di euronews a Erbil, Raphaële Tavernier – Una scuola che i bambini yazidi non possono frequentare, perché qui i corsi sono riservati ai bambini di Erbil. Ma anche perché le lezioni si svolgono in inglese e in curdo, mentre i rifugiati parlano solo l’arabo”.

La stessa situazione si vive nel campo profughi della comunità cristiana. Mancano 4.000 posti nelle scuole elementari e ancora di più nelle superiori. Numeri relativi alla sola comunità cristiana. Senza lezioni e lontano da casa, le giornate sono lunghe per questi bambini. E le attività previste dalle ONG non sono sufficienti a riempire le loro giornate.

“Prima avevamo la nostra dignità, la nostra casa, la nostra scuola – dice il piccolo Youssef – A Bachika non era così. Qui non abbiamo nulla”.

“Prima si viveva meglio – aggiunge Savio, un bambino che parla come un adulto – Avevamo le scuole, si viveva in prosperità. Che succede qui? Non c‘è nulla, non si fa nulla!”

“Voglio tornare a casa – dice la piccola Zina – tornare a Bachika, voglio tornare indietro”.

L’11 dicembre è stata inaugurata la prima scuola prefabbricata nel quartiere cristiano di Ankawa a Erbil. Un barlume di speranza. La costruzione di questo edificio fa parte di un programma di assistenza ai rifugiati di un’associazione cattolica francese. Entro fine gennaio, saranno operative otto scuole tra le città di Erbil e Dahuk.

Watch all the interview with Jeffrey Bates, Chief of Communications for UNICEF Iraq

sabato 27 dicembre 2014

La Libia dimenticata: crisi umanitarie e violazioni dei diritti umani.

EuroOpinione
La situazione dei cittadini libici, a tre anni dalla caduta di Gheddafi, è ben lungi dall'essere migliorata. Solo negli ultimi mesi sono state oltre 200 mila le persone dislocate, mentre le strutture mediche peggiorano giorno dopo giorno. Incessanti, anche, le violazioni del diritto umanitario e internazionale
Il 23 dicembre, l’Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights e la United Nations Support Mission in Libya (UNSML) hanno rilasciato un aggiornamento sulla situazione umanitaria nel paese, alla luce delle evoluzioni degli ultimi tre mesi.
Una dimensione critica di quello che, oramai, è un conflitto civile a 360°. Un conflitto che Europa e Stati Uniti sembrano avere dimenticato troppo in fretta, dopo aver contribuito a disegnare lo scenario attuale e a scardinare – forse troppo frettolosamente – il regime di Gheddafi, senza essere in grado, o avere la volontà, di condurre il paese ad una transizione effettiva e sicura.

Lo scenario appare poco omogeneo, anche a causa dei diversi gruppi che si spartiscono, oggi, il territorio. Cominciando dalla capitale, Tripoli, da una parte, la situazione umanitaria è migliorata: vi è un’evidente riduzione della presenza militare, ma non tutto è positivo. Le milizie di Alba Libica hanno infatti instaurato un clima estremamente repressivo, sin dal giorno successivo al loro ingresso in città. L’UNSML evidenzia diversi casi di minacce, assassinii e rapimenti che hanno colpito attivisti e giornalisti – obbligando molti di loro a fuggire, soprattutto verso la Tunisia. Perfino il National Council for Civil Liberties and Human Rights, l’associazione nazionale libica per i diritti umani, è stata obbligata a chiudere.

A Warshafana, nell’ovest, la situazione è critica. L’area è sede di gruppi che hanno tentato di contrastare le milizie di Alba Libica. La reazione, tra agosto e ottobre, non si è fatta attendere. Dopo aver ottenuto il controllo della capitale, le milizie hanno inaugurato un’operazione militare contro la regione. Non sono mancate le violazioni del diritto internazionale. Molte le scuole utilizzate, nei centri abitati, come base per il lancio di missili. Negli scontri sono morti almeno 100 civili e altri 500 sono rimasti feriti, mentre diverse strutture, case, fattorie, ma anche istituti ospedalieri, sono state bruciate e distrutte.

Fin qui, i numeri, sembrerebbero limitati. Se non fosse che gli scontri hanno portato ad una vera e propria emergenza umanitaria: almeno 120 mila persone – molte delle quali hanno trovato rifugio nelle città più vicine – sono attualmente in uno status di IDP(Sfollati interni), con scarsa disponibilità di cibo e medicinali. Una situazione che si è ripetuta, simile, anche nella zona dei monti Nafusa, seppur in misura più contenuta: circa 170 le vittime da ottobre, mentre 5700 le famiglie dislocate, molte delle quali a Tripoli.

Nell’est, a Bengasi, lo scenario è andato subendo un’escalation negativa sin da metà ottobre. L’Operazione Dignità, decisa dal Generale Haftar, ha avviato la conquista della città, sotto il controllo del Benghazi Revolutionaries’ Shura Council. L’UNSMIL ha ricevuto segnalazioni di bombardamenti e raid aerei indiscriminati. Il risultato è stato il danneggiamento di strutture fondamentali per garantire la salute dei cittadini, come l’Hawari General Hospital, l’Hawari Mental Hospital, o il Benghazi Medical Centre. In aggiunta a ciò, ed oltre allo scarseggiare di medicinali, le strutture sono state prese di mira da Ansal al-Shari’a e da altri gruppi armati.

A seguito del rapimento di diversi medici, parte del personale ha smesso di svolgere la propria attività, mentre diversi cecchini si sono stabiliti sui tetti di alcuni degli edifici. Più di 15 mila famiglie sono state sfollate, ed anche in questo caso, le violazioni del diritto internazionale sono state costanti: ad ottobre Ansal al-Shari’a ha utilizzato un’ambulanza per un attacco suicida, mentre alcune delle forze fedeli ad Haftar sono state segnalate – oltre che per aver indossato divise della Lesotho Red Cros Society durante alcuni scontri – per aver occupato la stessa sede dell’organizzazione, abbandonata dopo due settimane grazie all’intervento della comunità internazionale.

Nel Sud, ad Awbari, i bombardamenti hanno danneggiato scuole, banche, uffici governativi e case, ed oltre 140 persone sono state uccise tra fine ottobre e metà dicembre. 3500 famiglie sono state dislocate, mentre gli uomini di alcune etnie, come i Tuareg, sono stati arrestati e sono sotto detenzione dei gruppi armati per sospetta associazione con i gruppi rivali. Proprio questo è un aspetto tra i più critici: sono state centinaia le segnalazioni di civili rapiti da ogni forza in gioco – solamente per l’affiliazione, anche sospetta, a una certa tribù, famiglia o religione, in aperta violazione del diritto internazionale – così come quelle di abusi e torture, tristemente “normali” in uno scenario di guerra civile.

Insomma, in Libia la realtà è più critica di quanto molti possano pensare, nonostante sia stata relegata ad un ruolo marginale dai media mondiali. A farne la spesa sono, come al solito, anche e soprattutto i civili, mentre regna il silenzio tra chi, solo poco tempo fa, si faceva paladino della democrazia, proponendosi ed impegnandosi per ribaltare il regime di Gheddafi. A tre anni dalla sua morte, la situazione è ancora ben lontana dall’essere risolta.

Comune Roma Rebibbia - Bambini 0-3 anni in carcere. Sconcerto! Sospesi i "sabati di libertà" per mancanza fondi

Ansa
Dall'1 gennaio 2015 verrà interrotto il servizio di navetta, assicurato ogni anno dall'assessorato ai servizi sociali del Comune di Roma, per il trasporto dei bambini da 0 a 3 anni "detenuti" con le loro madri nella Sezione Nido della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia.

Lo ha comunicato l'Atac all'Associazione di volontariato A Roma Insieme: la motivazione consisterebbe nel taglio dei fondi destinati al servizio sociale di Roma Capitale da parte del Comune, tanto che l'Atac avrebbe messo in vendita le vetture destinate a questo tipo di convenzioni. La conseguenza immediata - spiega l'associazione di volontariato - sarà che a partire da sabato 3 gennaio i bambini che vivono in carcere, non potranno più usufruire dell'unico giorno da passare "in libertà" fuori dal carcere insieme ai volontari dell'associazione, che da più di vent'anni li va a prendere con il pullman dell'Atac, messo a disposizione dal Comune di Roma.

"Questa decisione, se confermata come sembra purtroppo dalle nostre richieste di chiarimento - commenta la presidente dell'associazione, Gioia Passarelli - ci sconcerta e anche ci indigna. Il taglio del Comune, infatti, coinvolge, soggetti "deboli" per definizione e non trova alcuna giustificazione nell'esigenza che nessuno nega della razionalizzazione delle spese. 


Il sindaco Marino, che in altre circostanze ha mostrato sensibilità sulla condizione dei bambini detenuti non deve sottrarsi al nostro richiamo. Questo nostro appello - ha concluso la Passarelli - si rivolge a tutti gli altri soggetti del mondo del volontariato affinché si prendano iniziative unitarie contro un palese atto di ingiustizia".

Tunisia: arrestato il blogger Yassine Ayari, aveva "screditato" l'esercito su Facebook

La Repubblica
L'attivista era stato condannato in contumacia per la diffamazione di quadri militari. È stato prelevato dagli agenti al suo arrivo in aeroporto dalla Francia. È stato uno dei leader della rivoluzione dei gelsomini. 

L'attivista tunisino Yassine Ayari è stato arrestato ieri sera tardi al suo arrivo dalla Francia all'aeroporto di Tunisi. Lo riportano la stampa locale e quella francese. Radio France Internationale cita come fonte l'avvocato di Ayari, Samir Ben Amor, il quale spiega che l'arresto giunge perché l'attivista il 18 novembre scorso era stato condannato in contumacia a tre anni di prigione dalla giustizia militare con l'accusa di avere screditato l'esercito con dei post su Facebook. Il blogger si è opposto adesso alla condanna e l'udienza è stata fissata per il 6 gennaio. Il legale precisa però che il blogger non era stato avvisato né del processo a suo carico né della condanna, e sostiene che si tratti di un attacco al giovane per le sue posizioni politiche.

Samir Ben Amor punta il dito contro l'ancien regime di Ben Ali e sostiene che il suo cliente sia perseguito solo per le sue opinioni dal momento che ha annunciato l'appoggio al Cpr del presidente uscente Moncef Marzouki, il quale non è stato rieletto e nelle elezioni presidenziali di domenica è stato battuto dal leader di Nidaa Tounes, l'88enne Beji Caid Essebsi.

La procura militare, riporta la stampa francese, ha precisato che a carico del giovane ci sono tre capi di accusa: diffamazione di funzionari e quadri del ministero della Difesa, pubblicazione di indiscrezioni che rischiano di provocare confusione nelle unità militari e accuse di presunti responsabili di infrazioni finanziarie e amministrative senza presentazioni di prove.

Yassine Ayari, attivista già sotto il regime di Ben Ali, ha continuato a operare anche dopo la Rivoluzione dei gelsomini. Figlio del colonnello dell'esercito Tahar Ayari, ucciso a maggio del 2011 negli scontri con un gruppo di jihadisti a Rouhia nel nordovest della Tunisia, negli ultimi mesi si è mostrato molto critico nei confronti del partito Nidaa Tounes e del suo leader Essebsi, denunciando per esempio in un video il disprezzo per i martiri della rivoluzione espresso da alcuni sostenitori di Essebsi.

USA - Arizona e Oklahoma sfidano Onu. Giudice, ok a iniezione letale: "è più umana della forca"

Ansa
Oklahoma e Arizona sfidano l'Onu: entrambi gli Stati hanno dato nuovamente il via alle esecuzioni, fermate dopo la morte di due condannati sul lettino dell'iniezione letale dopo prolungate agonie. 


"L'iniezione letale è più umana della forca", ha giustificato il verdetto il giudice Stephen Friot della Corte Federale Distrettuale di Oklahoma City. 

La settimana scorsa l'Assemblea Generale dell'Onu aveva esortato gli Stati membri ad adottare una moratoria della pena di morte.

Mauritania, un giovane di 30 anni condannato a morte per aver criticato Maometto sul web

fanpage.it
Condannato a morte per aver criticato pubblicamente l’Islam. 

È quanto accaduto a un giovane mauritano, Mohamed Cheikh Ould Mohamed, condannato alla pena capitale per apostasia dell’Islam da un tribunale di Nouadhibou, nel nordest del paese africano. In particolare il giovane di 30 anni aveva scritto un articolo pubblicato su alcuni siti internet nel quale aveva criticato delle decisioni prese da Maometto argomentando le sue opinioni sull’Islam. 

Per questo motivo il giovane era stato arrestato circa un anno fa con l’accusa di aver “parlato con leggerezza del Profeta” e per lui era stata chiesta la pena di morte. Il codice penale mauritano infatti in caso di apostasia dell’Islam prevede la pena di morte. Durante il processo sono state diverse le manifestazioni nel paese che chiedevano la condanna a morte per il giovane e un avvocato locale che lo difendeva aveva rinunciato all’incarico per le minacce subite.

Il ragazzo si era scusato
L’uomo durante il processo si è scusato per le sue frasi e ha spiegato il perché avesse scritto quelle cose, ma purtroppo non è servito a risparmiargli la condanna. “Non volevo offendere Maometto, ma difendere uno strato della popolazione maltrattato, i fabbri” aveva spiegato il ragazzo, aggiungendo: “Se dal mio testo si è potuto comprendere quello di cui sono accusato io lo nego completamente e me ne pento apertamente”. 

In effetti nel suo articolo Ould Mohamed criticava in generale la società mauritana di perpetuare un “ordine sociale iniquo ereditato” dai tempi del Profeta. Al momento non si sa se la condanna sarà eseguita perché in Mauritania è in vigore la legge islamica e la pena di morte è ancora prevista, ma non è più stata applicata dal 1987.

Due suicidi in carcere tra Natale e Santo Stefano: negli ultimi 5 anni 19 detenuti si sono tolti la vita durante le festività natalizie

Ristretti Orizzonti
Il giorno di Natale, alle 7 di mattina, Cataldo Bruni, di 31 anni, si è impiccato con una corda rudimentale nel carcere di Trani (Bat). Stava scontando una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti, pena che sarebbe terminata a febbraio prossimo.



Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre Massimiliano Alessandri, 44 anni, si è suicidato nel carcere Pagliarelli di Palermo impiccandosi con un lenzuolo. L’uomo aveva origini fiorentine, lavorava a Palermo come giardiniere, ed era appellante dopo una condanna in primo grado.

In 5 anni (2009-2014) ben 19 detenuti si sono tolti la vita nel periodo delle festività natalizie (24 dicembre-6 gennaio). Una frequenza doppia rispetto al resto dell'anno. 


I motivi vanno ricercati nell’accentuato senso di solitudine per la lontananza dalle famiglie, nella assenza di proposte “trattamentali” (con la sospensione dei corsi scolastici e delle attività lavorative) e nella riduzione, causa ferie, di un personale già sotto-organico durante il resto dell’anno (gli agenti di Polizia penitenmziaria salvano la vita a centinaia di detenuti ogni anno, spesso togliendo loro letteralmente la corda dal collo).

Da inizio anno salgono a 43 i detenuti che si sono tolti la vita: avevano un’età media di 40 anni, 37 gli italiani e 6 gli stranieri, 2 le donne. 

[...]

Le carceri nelle quali si sono registrate più vittime sono Napoli Poggioreale (4) e Padova Casa di Reclusione (3).

giovedì 25 dicembre 2014

Les étudiants bloqués à Gaza demandent à Israël la réouverture des points de passage

Info-Palestine.eu
Rasha Abou Jalal
Ville de Gaza, Bande de Gaza – La fermeture continue du passage frontalier de Rafah menace l’avenir des étudiants Palestiniens devant voyager à l’étranger pour poursuivre leurs études.


Cette situation a conduit à un mouvement estudiantin à Gaza qui appelle à la nécessité d’ouvrir le passage de Rafah sinon, le cas échéant, les autoriser à faire le voyage via le passage d’Erez qui est sous contrôle israélien.

Mohib Izz al-Din est un exemple parmi tant d’autres. Bloqué à Gaza, cet étudiant de 22 ans a réussi à obtenir une bourse d’études en Médecine en Ukraine. Cependant, la fermeture du passage frontalier de Rafah l’empêche d’avancer dans ses études.

Il raconte à Al-Monitor : « Nous comprenons parfaitement que la situation sécuritaire dans le Sinaï est compliquée, néanmoins, les autorités égyptiennes doivent elles aussi comprendre que nous avons droit à l’éducation et de ce fait, l’obligation d’atteindre nos universités. Nous, étudiants Palestiniens, ne représentons aucune menace pour la souveraineté et la sécurité égyptienne. »

Et d’ajouter : « Mon Visa pour l’Ukraine expire dans sept jours. Si je reste bloqué, le billet et son prix que j’ai dû emprunter à des proches partiront en fumée. Et ce n’est pas tout, la nouvelle année universitaire a déjà commencé et je ne suis pas en mesure de rattraper le retard, ce qui bouleversera nettement et sensiblement mes résultats et mon niveau. »

« Pourquoi sommes-nous interdits de voyager pour poursuivre nos études? Le droit international ne garantit-il pas les droits de chacun à étudier là où il souhaite? » s’indigne Izz al-Din.

Bassam Jadallah est un autre étudiant qui souffre du verrouillage des passages frontaliers. Si cela persiste, il craint que son diplôme et son cursus ne soient remis en cause, c’est pourquoi, il a décidé de créer une page sur les sites des réseaux sociaux pour mobiliser et appeler les étudiants bloqués à organiser un sit-in.

Dans son interview avec Al-Monitor, Jadallah a expliqué : « Les promesses ne manquent jamais. Cela fait plus de deux mois qu’on nous promet la réouverture de Rafah. Pourtant, rien n’a changé et nous réalisons que les autorités égyptiennes n’accordent aucune importance à n’importe quel besoin humanitaire palestinien. C’est dans cette optique que nos regards se tournent désormais vers l’option du passage d’Erez. »

Jadallah dit avoir collecté 1500 demandes d’étudiants pris au piège à Gaza, qu’il a ensuite transmis au Département des Affaires Civiles Palestiniennes, chargé de l’enregistrement des citoyens désireux de voyager par le passage d’Erez. « Toutefois, à ce jour, aucune décision nous autorisant à voyager à travers Erez ne nous a été délivrée, notamment à cause des complications énormes qu’Israël impose à ceux qui veulent traverser le passage, » souligne Jadallah.

Selon le Centre Juridique pour la Liberté de Circulation, Gisha, « Depuis mars 2006, la politique adoptée par Israël empêche les habitants de Gaza de traverser le passage d’Erez, à l’exception des cas humanitaires jugés extrêmes et exceptionnels. »

Le Centre ajoute : « Depuis juillet 2010, le nombre de Gazaouis enregistrés à Erez a atteint les 3000 citoyens par mois. Il s’agit principalement de commerçants et de malades voyageant avec leurs accompagnateurs afin de se faire soigner dans les hôpitaux d’Israël et de Cisjordanie. Ce chiffre a considérablement baissé depuis le déclenchement de la Seconde Intifada où, à l’été 2000, les Palestiniens circulant par Erez étaient estimés à plus de 26000. »

Pour Jadallah, la fermeture du passage frontalier de Rafah ne fait que compliquer le voyage et le déplacement des étudiants. Il explique : « Dans le cas où le passage d’Erez nous est ouvert, nous devrons d’abord traverser le territoire israélien et la Cisjordanie pour entamer de nouvelles procédures qui nous emmèneront en Jordanie. Tout cela pour que nous puissions à la fin rejoindre un aéroport à partir duquel nous voyagerons vers nos différentes universités étrangères. »

C’est donc le 20 novembre que Jadallah, en compagnie d’une dizaine d’autres étudiants bloqués, a protesté devant le Département des Affaires Civiles du Ministère des Affaires Étrangères. Les protestataires ont demandé au Président Palestinien Mahmoud Abbas d’intervenir en leur faveur pour qu’ils puissent voyager, dans les meilleurs délais, via le passage israélien.

Ils ont également brandi des banderoles où les slogans appelaient le Secrétaire-Général de l’ONU, Ban Ki-Moon, à intervenir pour mettre fin à leur souffrance et à œuvrer sérieusement à résoudre leur cause humanitaire.

Par ailleurs, une source officielle du Département des Affaires Sociales à Gaza a confié à al-Monitor : « Les Palestiniens autorisés à voyager à travers le passage d’Erez sont principalement des malades, des commerçants et des personnes de nationalités étrangères. »

La source qui a requis l’anonymat a poursuivi : « S’agissant des étudiants restés bloqués à Gaza, des discussions intensives entre la direction de l’Autorité Palestinienne et les autorités israéliennes sont en cours. L’enjeu est de permettre à ces étudiants de traverser Erez. Bien qu’aucun résultat n’ait à ce jour mené à une décision sérieuse, la partie israélienne a promis d’étudier le cas. »

La source a expliqué qu’ « Israël pourrait donner son accord pour certains étudiants et rejeter les demandes des autres. La question de qui peut voyager via Erez est soumise aux standards israéliens qui s’inscrivent souvent dans le cadre des prétextes liés à la sécurité. »

Rami Abdo, directeur du Réseau Euro-Méditerranéen pour les Droits de l’Homme à Gaza, a expliqué à al-Monitor : « Nous référant au droit international qui garantit le droit à l’éducation de chacun, nous estimons que le droit des étudiants palestiniens doit être protégé et préservé et que les points de passage doivent être ouverts afin de leur permettre de voyager et de ne pas se voir refuser le droit à l’éducation. »

Abdo a ajouté que les étudiants disposent du droit de voyager via le passage d’Erez, néanmoins, il confirme qu’Israël utilise des « prétextes peu convaincants liés à sa sécurité, » rien que pour empêcher les Gazaouis, toutes catégories sociales confondues, de voyager, chose qui le rend responsable juridiquement du blocage des citoyens car il doit assumer sa responsabilité envers le peuple palestinien sous occupation.

Il a également appelé la communauté internationale à « assumer sa responsabilité quant à la fermeture des passages dans la Bande de Gaza, à mesurer la nécessité d’exercer la pression sur Israël, à ne pas faire la sourde oreille et rester les bras croisés devant ce qui se passe, à ne pas permettre à Israël de punir les civils et à continuer d’accomplir ses tâches et fonctions qu’elle ne cesse de prôner en termes du besoin de l’application et du maintien des droits de l’homme. »

  • Appello Confindustria tedesca: "Possiamo crescere solo con l'immigrazione - No al razzismo, accogliamo i rifugiati"

    stranieriinitalia.it
    Ulrich Grillo (Bdi): "A causa della nostra evoluzione demografica, possiamo assicurarci crescita e prosperità solo con gli immigrati. No al razzismo, accogliamo i rifugiati"
    Berlino - "Siamo da lungo tempo un paese di immigrazione e dobbiamo continuare ad esserlo" dice Grillo. Non Beppe, che sulla questione ha posizioni un pò ondivaghe, ma Ulrich, presidente della Confindustria tedesca (Bdi).

    "A causa della nostra evoluzione demografica, possiamo assicurarci crescita e prosperità solo con l'immigrazione" ragiona l'industriale in un'intervista all'agenzia tedesca Dpa. Questo mentre la Germania, con 7,6 milioni di stranieri su 81 milioni di abitanti, continua a essere la principale destinazione degli immigrati in Europa.

    Non cè però solo l'immigrazione economica. "Siamo un paese prosperoso e anche per amore cristiano dovremmo permetterci di accoglierci piu' rifugiati" aggiunge Grillo.

    Parole importanti, mentre anche lo scorso lunedì a Dresda oltre 15 mila persone hanno sfilato contro l'islamizzazione della Germania. "Prendo chiaramente le distanze - sottolinea il presidente di Confindustria - dai neonazisti e dai razzisti che manifestano a Dresda e altrove. Dobbiamo opporci a tutte le forme di xenofobia".

    Mauritania: detenuto salafita denuncia "trattenuto in carcere anche dopo il fine pena"

    Nova
    Un detenuto islamico salafita mauritano, Taleb Ould Hamdanahu, ha denunciato di essere stato lasciato in carcere nonostante abbia scontato tutta la sua pena. 

    In un comunicato, ripreso dall'agenzia di stampa mauritana "Ani", l'uomo ha denunciato di essere ancora in carcere a più di due settimane dal termine della pena comminata dal tribunale di Nouakchott e di non sapere quando uscirà. 

    Hamdanahu era stato condannato a cinque anni di carcere per terrorismo e si era rifiutato di partecipare al dialogo tra i detenuti salafiti e lo stato. Le autorità mauritane temono che dopo la sua scarcerazione possa ritornare tra le fila dei gruppi armati islamici.

    Navi della Marina alla ricerca di naufraghi a sud est di Lampedusa. Salvati centinaia di migranti con loro alcune vittime

    La Repubblica
    La nave Driade e la nave Borsini della Marina militare sono impegnate in un intervento di ricerca e soccorso a circa 100 miglia a sud-est di Lampedusa su un'imbarcazione con circa 100 migranti. Lo ha reso noto la stessa Marina.

    Un'altra nave, la Orione, aveva ultimato ieri sera lo sbarco di 440 migranti e una salma nel porto di Augusta.

    Nel complesso le navi della Marina Militare hanno soccorso oltre mille migranti e stanno trasportando a terra i corpi delle quattro vittime già recuperate ieri. Sono stati oltre mille i migranti soccorsi, da ieri e durante questa notte, dalle navi della Marina Militare impegnate nel dispositivo di sorveglianza e sicurezza marittima nello Stretto di Sicilia, a Sud Lampedusa.

    Nel dettaglio - spiega un comunicato - sono state impegnate: la corvetta Driade ha recuperato 223 migranti, tutti uomini; Nave Etna ha recuperato oltre 363 migranti in diversi soccorsi e con il contributo di unità mercantili e delle Capitanerie di Porto. Nave Etna ha a bordo una salma recuperata in precedenza dalla motonave Happy Venture (Malta); il pattugliatore Orione Immigrati: domani a Pozzallo nave con profughi e un morto.

    Un'altra nave, "Foscari" arriverà domani alle 12 a Pozzallo in provincia di Ragusa, con 368 profughi a bordo ed un cadavere. Già allertati le forze dell'ordine, il personale medico e paramedico e la protezione civile.

    mercoledì 24 dicembre 2014

    Malawi: presidente grazia decine di detenuti per Natale

    MISNA
    Il presidente del Malawi, Peter Mutharika, ha concesso la grazia a 197 detenuti in vista della festività del Natale e del nuovo anno: lo ha annunciato il governo in un comunicato.
    Secondo le informazioni diffuse dal ministero degli Interni i prigionieri, che sono stati già rilasciati, avevano già scontato almeno metà della loro pena, avevano tenuto una buona condotta mentre erano in carcere e nessuno di loro era stato condannato per reati gravi.

    Il gesto di Mutharika è stato definito dallo stesso comunicato del ministero “un simbolo di perdono”. 

    Restano tuttavia preoccupanti le condizioni di vita all’interno delle carceri malawiane: secondo gli ultimi dati noti, risalenti al periodo tra dicembre 2011 e marzo 2012 un totale di 79 persone è morto in quei mesi negli istituti di pena nazionali, molti dei quali per malattia. 

    Tre casi, tuttavia, sono stati attribuiti dalla Commissione malawiana per i diritti umani a brutalità della polizia.

    I profughi iracheni cristiani festeggiano il Natale nei campi in Kurdistan

    Internazionale
    Circa 1.600 profughi iracheni di religione cristiana festeggeranno il Natale ad Arbil, in Kurdistan, dove si sono rifugiati per sfuggire alle violenze del gruppo Stato islamico a Mosul. 
    Ad Arbil i profughi vivono in un centro commerciale abbandonato dove mancano il riscaldamento e i servizi fondamentali. Da giugno del 2014 1,8 milioni di persone hanno lasciato le loro case per scappare dalle violenze dei jihadisti.

    martedì 23 dicembre 2014

    Angola, Luanda, migliaia arrestati per ‘immigrazone illegale’

    MISNA
    Oltre tremila persone sono state arrestate nell’ultima settimana a Luanda, capitale dell’Angola, nel quadro di un’operazione di polizia ufficialmente diretta contro il fenomeno dell’immigrazione clandestina.
    Secondo alcune testimonianze, tuttavia, le verifiche sulla regolarità dei documenti che molti dei fermati esibiscono vengono effettuate solo in un secondo momento. Prima i fermati, indipendentemente dal loro status, vengono trasferiti nel centro di detenzione di Trinita, a una trentina di chilometri dalla capitale: la permanenza qui può durare anche diversi giorni, in condizioni igieniche e di vita che i migranti descrivono come pessime, in particolare per la scarsità di cibo e acqua.

    Da parte sua il governo angolano ha fatto sapere che, delle 3.045 persone fermate, oltre 2.160 sono già state rimesse in libertà: a Trinita ne restano dunque 844. Le autorità di Luanda, in più, hanno annunciato provvedimenti imminenti contro quei cittadini angolani che “in forma criminalmente dolosa favoriscono” l’ingresso di stranieri con documenti non in regola.

    L’arresto di migranti non è raro in Angola e riguarda spesso persone provenienti dalla confinante Repubblica Democratica del Congo. Le operazioni di polizia per contrastare il fenomeno vengono spesso messe in evidenza dalla stampa di Stato. Nelle stesse comunicazioni ufficiali il governo descrive l’immigrazione clandestina come portatrice di “effetti negativi” per l’economia e il benessere dei cittadini, invitando questi ultimi a “collaborare nell’eliminazione di queste pratiche”.

    Germania - Monta la protesta contro i rifugiati

    Notizie Geopolitiche
    Anche a Berlino come a Roma sono in corso proteste per la decisione delle autorità di aprire un centro di accoglienza per richiedenti asilo: il quartiere interessato è quello periferico di Marzahn-Hellersdorf, dove residenti e gruppi di estrema destra sono scesi in piazza contro l’annunciata trasformazione di un vecchio campo di calcio in un istituto volto ad accogliere rifugiati.
    In realtà da settimane sono in corso proteste dell’estrema destra un po’ in tutto il paese, basti vedere l’incendio di tre edifici destinati all’accoglienza degli immigrati avvenuto a Norimberga lo scorso 12 dicembre, per fortuna senza che vi siano state vittime.
    Il quartiere di Marzahn-Hellesdorf, situato nella ex Berlino est, è un insieme di palazzoni che ospitano 300mila persone di cui il 20% in case popolari. 

    Le proteste sono animate dal movimento di estrema destra “Pro Deutschland”, con a capo Manfred Rouhs, il quale fa presa sulla popolazione denunciando il fatto che per gli immigrati ci sono soldi, ma non per l’amministrazione ordinaria, come la riparazione delle strade.
    Nel 2014 la Germania, meta molto ambita dagli immigrati, ha accolto 200mila rifugiati.

    Per volontà di Papa Francesco 15mila i posti per rifugiati e richiedenti asilo dagli istituti religiosi.

    Blitz Quotidiano
    Città del Vaticano – Papa Francesco ospita nei conventi 15mila rifugiati. Risponde con i fatti a chi, come la Lega, riguardo agli arrivi dei migranti e alla predicata accoglienza diceva: prendeteveli voi. Lui così ha fatto. 


    E così hanno fatto i sacerdoti e le suore di diversi conventi ed istituti di Roma e non solo.Era il 10 settembre 2013 quando il pontefice, in visita al Centro Astalli (associazione gesuita per l’accoglienza ai rifugiati), disse che i conventi vuoti non devono diventare alberghi per guadagnare soldi perché sono “per la carne di Cristo che sono i rifugiati”. Da allora sono stati molti gli istituti religiosi che hanno seguito l’invito.

    Al Centro Astalli, dietro la Chiesa del Gesù a Roma, a pochi passi da Largo Argentina, pieno centro storico, sono circa 400 i rifugiati che ogni giorno mangiano alla mensa. Ma sono oltre una dozzina i conventi che hanno deciso di accogliere gli immigrati.

    Nel centro di Roma c’è anche la casa delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Touret, che hanno ristrutturato la foresteria per accogliere rifugiati. Stessa decisione presa dalle suore della scuola di San Giuseppe di Chambéry al Casaletto, sempre nella capitale. Qui i migranti hanno a disposizione anche un orto in cui lavorare la terra e conoscersi.

    Nel complesso, dall’ultima ondata di arrivi del 2014, dopo la tragedia di Lampedusa nell’ottobre del 2013 e l’appello di papa Francesco, sono oltre 15mila i posti messi a disposizione di rifugiati e richiedenti asilo dagli istituti religiosi. Un po’ come fece Pio XII nel 1943, quando chiese alle comunità religiose di aprire le loro porte ai “fratelli perseguitati”. Così è stato fatto.

    lunedì 22 dicembre 2014

    Falluja, donne bottino di guerra 150 donne uccise dall'Isil perché rifiutano il matrimonio jihadista.

    Globalist
    Donne vendute al mercato del sesso per 10 dollari.
    Donne bottino di guerra. Donne schiave del sesso, vendute per 10 dollari agli schiavisti dell'Isil (Stato islamico in Iraq e nel Levante).
    E quelle che osano ribellarsi vengono uccise. L'ultimo massacro, denunciato dal ministro dei diritti umani iracheno, è avvenuto a Falluja, la cittadina alle porte di Baghdad, simbolo di martirio e di resistenza.
    Giovedì scorso un jihadista, identificato con il nome di Abu Anas al-Libi, ha ucciso più di 150 donne e ragazze, alcune delle quali incinta, perché si rifiutavano di contrarre il matrimonio jihadista (Jihad al Nikah, ovvero jihad del sesso), un matrimonio temporaneo per soddisfare gli appetiti sessuali dei combattenti. 

    Le donne massacrate sono poi state sepolte in fosse comuni nella periferia della città. Sempre a Falluja, la moschea di al Hadra al Mohammadiyyah è stata trasformata in una grande prigione dove sono stati richiusi centinaia di donne e di uomini. E le prigioni potrebbero proliferare visto che Falluja è chiamata la città delle cento moschee, ma certo non sono state costruite per diventare luoghi di detenzione. L'Isil sembra persino andare oltre la più ferrea applicazione della sharia.
    Considerare le donne bottino di guerra non è una novità, una fatwa che avallava questo trattamento era stata emessa dal leader algerino del Gia (Gruppi islamici armati) Ali Belhadj all'inizio degli anni '90. Con la guerra civile in Siria lo sfruttamento delle donne a scopo sessuale è stata sancita da una fatwa dell'imam saudita Muhammad al Arifi. 

    La fatwa aveva indotto ragazze, consenzienti o meno, a partire dalla Tunisia verso la Siria per contrarre il matrimonio jihadista e dare così il loro contributo alla guerra santa. Ma è con la proclamazione del califfato di al Baghdadi che la violenza ha subito una nuova escalation. Le vittime sono soprattutto donne e bambini.
    All'inizio di dicembre l'Isil ha diffuso un pamphlet in cui vengono indicati 27 consigli su come catturare e rendere schiave le donne per poi abusarne sessualmente. Un documento aberrante ma non sorprendente viste le testimonianze già raccolte dalle Nazioni unite. Tra le indicazioni: «stuprare le donne fatte prigioniere immediatamente» e l'autorizzazione a rapporti anche con giovani che non abbiano raggiunto la pubertà. Sono ammessi matrimoni jihadisti multipli anche con membri della stessa famiglia.
    Almeno 2.500 donne e bambini sono stati imprigionati e abusati sessualmente e poi buttati sul mercato degli schiavi. Questi mercati, che si trovano nell'area di al Quds a Mosul in Iraq e a Raqqa in Siria, sono diventati un modo per reclutare nuovi adepti del Califfato. Questi «schiavi» appartengono soprattutto alla minoranza yazida e vengono trattati come animali. 

    Si tratta di una pulizia etnica. Nei momenti di maggiore violenza tra le diverse componenti etnico-confessionali nell'Iraq ancora sotto occupazione americana vi era stata una divisione etnica per quartieri, soprattutto a Baghdad, così come la minoranza cristiana è stata cacciata dal sud del paese, a maggioranza sciita, ma non si era mai arrivati a lanciare una campagna di pulizia etnica contro i non-arabi e i non-musulmani sunniti.
    «La lista di violazioni e abusi perpetrati dall'Isil e dai gruppi armati a esso associati è sconvolgente, molti di questi atti costituiscono crimini di guerra o crimini contro l'umanità», sostiene l'Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al Hussein.
    Tuttavia, sebbene dal 2008 l'Onu consideri lo stupro crimine contro l'umanità e si sia impegnata a mettere fine all'impunità dei loro autori, raramente gli stupratori sono stati condannati. Nei conflitti in corso è molto più pericoloso essere donna che essere un combattente.
    di Giuliana Sgrena