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sabato 26 ottobre 2019

Nuova recensione del libro "Liberi dentro" - «Adesso prendo tutti questi tuoi pensieri, li nascondo nella mia borsa e li porto fuori di qua. Li faccio diventare liberi. Possono correre e realizzarsi»

Voce Pinerolese
«Adesso prendo tutti questi tuoi pensieri, li nascondo nella mia borsa e li porto fuori di qua. Li faccio diventare liberi. Possono correre e realizzarsi». «I loro bigliettini usciranno insieme a me dal carcere e saranno depositati presso l'altare dei poveri si che si trova nella piccola chiesa di Sant'Egidio. Le loro intenzioni saranno così accolte in una preghiera più ampia».

Ezio Savasta pubblica per Infinito Edizioni, “Liberi dentro. Cambiare è possibile, anche in carcere” (2019). Professore di elettronica, si dedica “con tutto il cuore e con tutta l'anima”, come direbbe un pio ebreo (2 Re 23,3), al volontariato in carcere. Inanella una serie di storie narrate con la passione di chi è convinto che «ricevere una visita, fare un colloquio, è un modo di riallacciare dei legami che sono fili di speranza e anticipi di libertà». 

Al contempo, Savasta racconta l'esperienza della comunità di Sant'Egidio che organizza anche distribuzioni di generi di prima necessità, sempre con l'obiettivo di allargare la conoscenza. «Anche se la distribuzione è necessariamente veloce, ci teniamo che ognuno possa essere salutato personalmente e che a sua volta abbia la possibilità di individuarci, per potersi mettere in contatto e chiedere aiuto anche in seguito». 

Nel dipanarsi degli eventi, in cui alle procedure per ottenere l'autorizzazione alla visita (trasferimenti improvvisi obbligano a contattare diverse istituzioni carcerarie) si alternano lunghe camminate nei corridoi che separano i cancelli, Savasta si costruisce un'invidiabile conoscenza del mondo carcerario. Sa dove trovare indicazioni delle celle, come approcciarsi agli agenti di custodia, talvolta tenendo testa ai pregiudizi con cui infieriscono sui detenuti (cronaca di questi giorni, proprio a Torino). 

Parlando del diciottenne Mihai, ricorda come «attualmente il 70 per cento dei detenuti che scontano l'intera pena reclusi tornano a commettere reati» con buona pace dell'art. 27 Cost. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Emozionante il racconto dell'organizzazione sempre curata da Sant'Egidio del pranzo di Natale a cui partecipano le autorità giudiziarie, gli educatori («per un giorno si è tutti uguali e si mangia tutti allo stesso tavolo». Hassan, egiziano, assiste ai preparativi e pensa: «Mamma mia, oggi a Regina Coeli deve venire un pezzo gresso» per poi scoprire di essere lui il pezzo grosso invitato al pranzo.

Said cerca Savasta per ringraziare dell'azione di mediazione svolta nel 1994 dalla comunità di Sant'Egidio tra i leader dei maggiori politici algerini che non si vedevano da anni. Un momento difficile nella storia dell'amicizia con lui è il giorno della liberazione. «Attendo Said fuori dalla porta “carraia” di Rebibbia. Ha un saccone nero, quelli che si usano per la spazzatura, che contiene tutti i suoi averi». 

All'uscita dal carcere, c'è chi chiede di essere sostenuto anche solo nell'attraversare la strada ma le difficoltà principali consistono nel trovare una sistemazione, un'occupazione. Dopo qualche tempo, Said viene recuperato su indicazione di Giuseppe, un anziano barbone: “me sa' che dorme ar Tevere, sotto ponte Principe Amedeo”. 

Patrick chiede una Bibbia, «settimana dopo settimana è sempre più consumata, piena di sottolineature e contrassegnata da segnalibri, realizzati con pezzetti di carta, su cui scrive brevi appunti». Insieme ai suoi amici usano una traduzione del libro “La Parola di Dio ogni giorno” del card. Vincenzo Paglia. «Si sistemano in un angolo dello spazio dedicato all'ora d'aria, lui legge il brano del giorno, poi assieme ascoltano il commento, infine concludono con la recita del Padre Nostro». 

Altra preghiera viene animata con Petru nella stanza dove si fa scuola, Savasta distribuisce dei foglietti «dove scrivere i nomi dei familiari o dei malati che vogliono ricordare nella preghiera». Una chiave di lettura presentata nella premessa è il “kintsugi”, la pratica giapponese di ricomporre oggetti di ceramica andati in frantumi, utilizzando oro o argento per saldare i frammenti. Si ottiene un vaso originale, unico, più prezioso del precedente. «Non bisogna vergognarsi delle ferite, ognuna di esse, come ogni dolore e ciascuna imperfezione, possono, se affrontate, trasformarci in persone nuove, migliori, più sagge».

Firma l'introduzione Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati (XVII legislatura). «Il carcere, per definizione, è luogo separato. Luoghi invisibili. Umanità invisibili. La vita scorre e quelle mura alla fine risultano rassicuranti. “Tutto il male dentro e il bene fuori”». Per Savasta, «il volontario in carcere è portatore di un'altra cultura, di una pacificazione sociale, promuovendo un processo di riconciliazine tra la società e gli uomini che l'hanno ferita con i loro reati». Ancora Marazziti ricorda Giovanni XXIII nella “rotonda” di Regina Coeli, Paolo VI nel 1964, san Giovanni Paolo II nel 2000, Benedetto XVI nel 2011. Di papa Francesco cominciano ad apparire le immagini anche nelle celle, le sue parole nel Giubileo della misericordia (6 novembre 2016) sono state: “Perché loro e non io? Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. E l'ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c'è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinseriemnto della società”.

Piergiacomo Oderda


Fonte: Voce Pinerolese

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