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giovedì 11 agosto 2016

Russia: quei 900mila detenuti negli ex gulag di Stalin, freddo e lavori massacranti

Il Dubbio
Gelide oasi in cui sono costretti migliaia di alienati, obbligati ai lavori coatti con orari massacranti, paghe da fame e senza il permesso di coprirsi, a 30-40 gradi sotto zero, con indumenti caldi che non siano il cappotto poco imbottito fornito dai carcerieri. Parliamo delle famigerate colonie penali sparse in Siberia. 



Nella Russia di Putin, formalmente esistono solo sette carceri ordinarie, il resto dei detenuti - che sono oltre 900 mila - vengono dislocati in queste strutture ereditate dai Gulag staliniani.

La condizione delle detenute - Sono circa 750 le colonie penali e le donne, secondo i dati dell'autorità penitenziaria di Mosca, rappresentano una minoranza di oltre 47 mila detenute, spedite in 46 colonie femminili. E le donne subiscono delle torture che ricordano descrizioni non molto diverse dai quadri dei gulag tratteggiati dal grande romanziere Aleksandr Solgenicyn, rinchiuso nel 1950. 

Una delle testimoni è Nadezda Andreevna Tolokonnikova, anche nota come "Nadja Tolokno", un'attivista e cantante russa, nonché membro del gruppo punk rock Pussy Riot, finita in galera per aver cantato per mezzo minuto un inno contro Putin sull'altare della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Quando è uscita dalla colonia ha deciso di intraprendere una battaglia di mobilitazione per il sistema carcerario russo. Con altre attiviste ha creato la piattaforma "Justice Zone": la base per l'azione collettiva di persone accomunate dall'interesse per il destino di quelle detenute le cui vite si stanno sgretolando sotto il sistema penale russo. Molte sono le testimonianze. 

Una è di Kira Sagaydarova, attivista di Justice Zone che nel passato aveva vissuto il dramma dei gulag "moderni".
Questi sono solo alcuni degli episodi che Kira ha vissuto: "Per i primi sei mesi ti uccidono lentamente. Rizhov, direttore della zona industriale, vuole che i supervisori dei laboratori di cucito raggiungano una certa quota di produzione, ma i supervisori non raggiungono la quota finché le nuove ragazze non imparano a cucire. Perciò i supervisori le picchiano. Una volta ti picchiano, poi magari ti strappano i capelli, ti sbattono la testa contro la macchina per cucire o ti portano in una cella punitiva, dove ti prendono a botte e calci usando mani e piedi, oppure tolgono la cinghia dalla macchina per cucire e ti colpiscono con quella".
Dice, ancora: "I supervisori sono i responsabili della maggior parte delle violenze che avvengono nella colonia penale. Fanno quello che vogliono e dispongono a loro piacimento della vita delle persone. Mi hanno colpito sulla schiena con tutta la loro forza, o sulla testa, non fa differenza. Più volte sono crollata e ho pianto, e non riesco nemmeno a elencare tutte le cose che succedevano lì. A loro non importa nulla. C'è stato un periodo in cui ci versavano addosso acqua gelida in una cella punitiva ghiacciata in pieno inverno!
".

Le condizioni maschili e la famigerata "Aquila nera" - Ma per gli uomini è ancora peggio. Una delle peggiori colonie penali, la numero 56, viene chiamata anche Aquila Nera: è una delle carceri di massima sicurezza per i condannati all'ergastolo. Per un quarto di secolo i detenuti non hanno mai messo piede fuori da questo luogo. Per il rifornimento d'acqua, il carcere è collegato con tubature ad un lago, mentre l'energia nelle celle e nei recinti elettrificati è garantita da una serie di generatori. Non esistendo il sistema fognario, gli ergastolani devono svuotare il loro secchio nell'ora d'aria giornaliera in un fosso su cui si affacciano tutti i cortili. I reclusi trascorrono 23 ore al giorno dentro la cella, e hanno diritto a trascorrere solo un'ora fuori ma all'interno di una sala scoperta, senza tetto. Sono costretti a dormire con la luce accesa e durante il giorno è proibito restare a letto. Nel resto delle colonie, formalmente, l'obiettivo della reclusione nei campi è quello di abbinare la rieducazione allo sconto della pena, secondo il principio - travisato dai nazisti - per cui il "lavoro rende liberi". La realtà è che i detenuti sono costretti a turni asfissianti di lavoro e pulizie, in strutture che sono le stesse dai tempi di Stalin. E con salari miseri di 20 rubli al giorno, non più di 70 euro al mese. Il compenso serve a coprire i costi delle uniformi e del rancio quotidiano.
[...]
di Damiano Aliprandi

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