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martedì 16 agosto 2016

Libia: Sirte, le milizie risparmino le vite dei prigionieri

Corriere della Sera
Daesh compie efferatezze orrende da punire con rigore, ma eliminare i nemici catturati non deve essere abitudine anche per quanti hanno il merito di combattere contro l'autoproclamato Califfato. 


Combattenti del milizie a Sirte
I combattimenti comportano morti e distruzioni, per natura non sono delicati. La battaglia di Sirte contro l'autoproclamato Califfato di Daesh o Isis, per la quale l'Italia appoggia giustamente le milizie libiche alleate del governo di Fayez Serraj, non può portarci però ad assecondare in silenzio disumanità.

Da entrambe le parti, riferiscono le corrispondenze di Lorenzo Cremonesi, è abitudine non fare prigionieri. "Isis ci taglia la testa. Noi, se li prendiamo vivi (ma è rarissimo perché si fanno saltare in aria) prima li interroghiamo, poi li eliminiamo con un proiettile", ha detto un miliziano all'inviato del Corriere. Non è stato il solo a raccontarlo.

Daesh compie efferatezze orrende. Da punire con rigore. Che sia annientato il suo dominio su terre nelle quali ha straziato innocenti è positivo. Benché aiutate dai bombardamenti dei droni statunitensi, per sconfiggerlo milizie libiche sacrificano vite, occhi, braccia, gambe di propri ragazzi. Non deve essere facile sorvegliare i catturati. La Libia è tuttora priva di consistenti forze militari regolari, può essere arduo controllare le retrovie. Ma neppure la vita dei peggiori nemici, per altro in mancanza di processi equi, merita di essere spenta all'istante o per mezzo di torture quando questi non sono più in grado di infliggere perdite.

Sarebbe opportuno da parte dell'Italia informare Serraj che la regola del non fare prigionieri è estranea allo Stato di diritto verso il quale ci auguriamo approdi il suo tentativo di governo di unità nazionale. "Arrendersi o perire" era la scelta secca di fronte alla quale esortava a porre i soldati tedeschi l'ultimatum preparato dal Comitato di Liberazione nazionale alta Italia per l'insurrezione del 25 aprile 1945. Il comunicato non indicava che perire dovesse essere l'unica possibilità lasciata all'invasore in rotta. Allora si combatteva una guerra contro forze militari regolari di uno Stato, ma pur sempre di un regime feroce come quello della Germania nazista.

di Maurizio Caprara

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