Roma - Cittadinanza? Nessuna. È il limbo in cui vivono 15 mila persone in Italia, 15 mila persone che hanno perso la cittadinanza d’origine o che una cittadinanza non l’hanno mai avuta. Eppure solo 606, a causa delle falle della legge italiana, hanno ottenuto lo status di apolidi, gli altri sono invisibili e quindi privi di diritti, da quello di riconoscere i propri figli a quello di avere documenti, da un lavoro regole all’assistenza sanitaria.

Come una sorta di maledizione, questa condizione si tramanda di generazione in generazione. L’hanno ereditata ieri e oggi, ad esempio, figli e nipoti degli sfollati dall’ex Jugoslavia in Italia, che pure essendo cresciuti qui ora non possono accedere, per vari motivi, alla cittadinanza italiana. Oggi e domani potrebbe succedere ai nuovi profughi e ai loro figli, se l’Italia non si doterà di una legge organica sull’apolidia.
Un disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide è stato presentato il 25 novembre dalla Commissione Diritti Umani del Senato, in collaborazione con il Cir e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ma il suo iter in Parlamento non è ancora iniziato. L’obiettivo è “garantire una procedura semplice e accessibile per il riconoscimento dello status di apolidia, facilitando quindi l’identificazione delle persone apolidi presenti in Italia e assicurando loro il godimento dei diritti fondamentali e una vita dignitosa”, definendo regole chiare sia durante l’iter che dopo il riconoscimento.
“L’apolidia è in sé una condizione estremamente complessa e dolorosa, perché presuppone l’inesistenza, la negazione del legame più importante che unisce un individuo al suo Stato: la cittadinanza. Ma questa condizione può divenire addirittura drammatica se non riconosciamo a queste persone identità e diritti. Tutti gli esseri umani hanno diritto ad avere una nazionalità, e coloro che ne sono sprovvisti hanno comunque diritto ad una protezione adeguata.” denuncia Fiorella Rathaus, direttrice del CIR.
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