Pagine

martedì 18 febbraio 2020

Bosnia Erzegovina - Tuzla, la stazione sulla rotta balcanica, centinaia di profughi arrivano ogni giorno. La società civile si mobilita.

Osservatorio Balcani e Caucaso - Transeuropa
La Bosnia Erzegovina si sta lentamente convertendo in una zona-cuscinetto per i migranti. La situazione a Tuzla è al limite dell'emergenza. Lo scaricabarile istituzionale per fortuna è compensato efficacemente dagli attori della società civile locale. Ancora per quanto?



Secondo Dargadan, i migranti e rifugiati che passeranno la notte qui sono “circa 280“, una cifra vicina al massimo raggiunto in passato e circa il doppio della media di quest'inverno. Il totale di quelli che si trovano attualmente nella città di Tuzla e zone limitrofe, che include coloro che dimorano nei parchi, nelle case abbandonate e in strutture coordinate dalle associazioni, potrebbe aggirarsi “tra i 400 e i 500”, principalmente provenienti da Afghanistan e Pakistan, ma anche da altri paesi. Sono dati da confrontare con l'ultimo rapporto UNCHR , secondo cui migranti e rifugiati in Bosnia Erzegovina nel dicembre 2019 erano 7.141, di cui solo 350 nei cantoni di Tuzla e Mostar messi insieme.

Tuzla è uno snodo nevralgico della rotta balcanica. È il primo grande centro urbano che le persone in transito trovano in Bosnia Erzegovina, dopo avere attraversato il confine dalla Serbia nell'area tra Bijeljina e Zvornik. “Là non c’è quasi nulla, sono solo alcune persone che aiutano spontaneamente lungo la strada, ma niente di organizzato. In Bosnia orientale questo è il primo luogo dove c'è una parvenza di struttura. La gente arriva qui stanca e affamata. Chiede un riparo, una tenda”, spiega Dardagan. È noto che l'attenzione di stampa e organizzazioni internazionali attorno alla rotta in Bosnia Erzegovina non è all'altezza della gravità della situazione; ma quando vi è, si concentra per lo più su quanto accade alla frontiera Bosnia-Croazia, per motivi anche comprensibili: le presenze maggiori, la militarizzazione del confine, i respingimenti violenti. Di Tuzla si parla molto poco, anche se i numeri non sono così trascurabili e media indipendenti, attivisti e operatori umanitari da tempo segnalano che la situazione in città si trova al limite dell’emergenza.

Se la crisi umanitaria è stata contenuta, lo si deve alla mobilitazione della società civile locale. Sono numerose le organizzazioni coinvolte nella gestione degli aiuti, che abbracciano religioso e laico, umanitario e politico, sociale e privato: dalla musulmana Merhamet alle cattoliche Emmaus e Caritas, la Croce Rossa, i sindacati, le associazioni di quartiere, singoli volontari e attivisti, esercizi commerciali. Si creano soluzioni per l'alloggio e reti di ospitalità per famiglie, soggetti vulnerabili, donne incinte, bambini, malati.

Il governo statale che si è insediato da poco a Sarajevo, una coalizione modello “tutti-dentro” tra i principali partiti nazionalisti del paese, non sembra avere né la volontà politica, né gli interessi comuni, né le competenze per affrontare le questioni. Si resta quindi nel reciproco limbo di sempre: da una parte la “provvisorietà senza fine” (magistrale definizione di Aleksandar Trifunović) in cui sono bloccate le istituzioni della Bosnia Erzegovina, dall’altro la “transitorietà permanente” delle persone impigliate negli scaricabarili continentali e nazionali della rotta migratoria. Nemmeno dal “modello Tuzla” si vede, al momento, una via d’uscita.

Alfredo Sasso  - Tuzla
Leggi l'articolo completo >>>

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.