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lunedì 18 luglio 2016

Turchia - Le purghe di Erdogan - Sospesi 8 mila poliziotti - Bloccati i passaporti dei funzionari

Corriere della Sera
Non si fermano le epurazioni in Turchia dopo il fallito golpe di venerdì notte: dopo l’arresto di circa 6mila militari e 3 mila giudici, 7850 poliziotti hanno dovuto riconsegnare armi e distintivi. I sostenitori di Erdogan chiedono la pena capitale per i golpisti



Ammassati per terra seminudi e con mani e piedi legati, probabilmente nella palestra di un edificio militare: le immagini choc dei militari turchi puniti per il golpe, che circolano in queste ore sui social network, danno l’idea delle purghe in atto in Turchia. Il governo non ha pietà per chi ha pensato, organizzato o anche solo vagamente appoggiato il tentato colpo di Stato di venerdì notte.

Epurazioni di massa
Ma il giro di vite sta coinvolgendo anche tutti i dipendenti e i funzionari della macchina pubblica. Dopo militari e giudici, le epurazioni per il golpe fallito coinvolgono la polizia. Un totale di 7.899 agenti in tutto il Paese sono stati sospesi dai loro compiti la scorsa notte e costretti a riconsegnare armi e distintivi. Perquisizioni sono state effettuate anche nella base aerea di Incirlik, usata dagli Usa e dagli altri Paesi membri della coalizione internazionale che si batte contro lo Stato islamico per bombardare le postazioni dei jihadisti in Siria e in Iraq. La base sarebbe stata utilizzata per rifornire di carburante gli aerei e gli elicotteri dei quali si erano impadroniti i golpisti. E la tensione nel Paese resta altissima: spari davanti al tribunale di Ankara e nel centro di Istanbul: il vicesindaco del distretto di Sisli è morto per le gravi ferite riportate.


Sospesi prefetti e governatori, espatrio vietato per i dipendenti pubblici
Sospesi anche 30 prefetti su 81: in totale, i dipendenti del ministero dell’Interno sollevati dai loro incarichi sono 8.777. Oltre a poliziotti e prefetti, ci sono anche 614 gendarmi e 47 governatori di distretti provinciali. Ankara ha arrestato ad oggi 7543 persone, tra cui 6 mila militari e 755 magistrati e 650 civili sospettati di aver appoggiato un tentativo di colpo di stato, costato la vita a 312 persone - tra cui 145 civili, 60 poliziotti, 3 soldati e 104 golpisti- con 1491 persone ferite. Tra i militari arrestati, c’è anche l’addetto militare turco presso l’ambasciata del Kuwait, fermato in Arabia Saudita, e ci sono anche 103 generali e ammiragli delle forze armate: l’ufficiale più alto in grado è il generale Akin Ozturk, ex numero uno dell’Aviazione, che ha confessato di essere uno dei promotori del mancato golpe. Ma le purghe dopo il golpe fallito in Turchia toccano anche dipendenti pubblici non direttamente legati alla sicurezza: sono circa 1500 gli impiegati sollevati dai loro incarichi al ministero delle Finanze. Ed è stata introdotta una nuova regolamentazione che vieta l’espatrio ai dipendenti pubblici, con alcune eccezioni per alcuni passaporti speciali, che necessiteranno comunque della previa approvazione dell’istituzione presso cui si lavora. Secondo alcune stime, il provvedimento riguarderebbe quasi il 5% della popolazione turca. Sono aumentati anche i controlli negli aeroporti per impedire i viaggi dei funzionari «a rischio». E sono state cancellate le ferie annuali dei dipendenti pubblici: coloro che hanno già lasciato il posto di lavoro dovranno tornare ai loro uffici «il prima possibile». La misura riguarda oltre 3 milioni di persone.

La pena di morte? «Sbagliato prendere una decisione affrettata»
Alla paventata possibilità di ripristinare la pena capitale per i golpisti replicano i 28 ministri degli Esteri europei: «Il rifiuto inequivocabile della pena di morte è un elemento essenziale dei principi di fondo dell’Unione europea», hanno dichiarato ufficialmente i ministri, chiedendo alle autorità turche «moderazione». Una posizione già precisata dall’Alto rappresentante per la politica estera europea: «Nessun paese può diventare membro della Ue se introduce la pena di morte», ha chiarito Federica Mogherini, ricordando che «la Turchia fa parte del Consiglio d’Europa e in quanto tale è legata alla Convezione sui diritti umani». La reintroduzione della pena di morte in Turchia bloccherebbe il negoziato per l’adesione di Ankara alla Ue, ha ribadito la Cancelliera Angela Merkel al telefono con Erdogan. Anche l’appartenenza della Turchia alla Nato sembrava essere a rischio: ma l’avvertimento lanciato sulle pagine del Washington Post lunedì pomeriggio si è rivelato una gaffe. Il segretario di Stato americano, John Kerry, non ha mai definito a rischio l’appartenenza della Turchia alla Nato: lo afferma lo stesso giornale rettificando una propria breaking news. Kerry ha in realtà detto qualcosa di molto diverso, e cioè che «la Nato vigilerà sul comportamento democratico della Turchia». Anzi, lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha espresso il suo massimo supporto al presidente Erdoga. Il premier turco Binali Yildirim in ogni caso per ora si mantiene cauto: «Il desiderio della pena di morte espresso dai nostri cittadini per noi è un ordine, ma prendere una decisione affrettata sarebbe sbagliata», ha detto in conferenza stampa. Per poi aggiungere: gli autori del golpe dovranno «rendere contro di ogni goccia di sangue versato», ma comunque «nel rispetto del diritto».

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