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lunedì 23 maggio 2016

Australia: iraniano si dà fuoco, da tre anni rinchiuso nel Centro per rifugiati nell'isola di Nauru

La Repubblica
È accaduto nel luogo di detenzione di Nauru, un'isola sperduta a oltre 2 mila chilometri a nord ovest dell'Australia. Un'attesa infinita che ha portato Omid, un ventenne iraniano, a darsi fuoco per protestare contro le leggi che vietano anche ai richiedenti asilo di entrare in territorio australiano. La moglie denucia: "Cure mediche insufficienti".
Manifestazione dei rifugiati in Australia "reclusi" nelle isole di Papua Nuova Guinea 
Partito alla ricerca di una nuova vita, Omid Masoumali, un rifugiato iraniano di 23 anni è riuscito a varcare il confine australiano per morire coperto di ustioni di terzo grado. Un'ironia della tragica sorte e delle leggi che anche dall'altra parte del mondo costringono migliaia di persone a rinunciare ai propri sogni e alla speranza di una vita migliore lontani da guerre e persecuzioni.

L'ultimo viaggio. A 23 anni Omid Masoumali ha deciso di darsi fuoco. Un gesto dettato dalla disperazione. Partito nel 2012 dall'Iran, il giovane si è imbarcato per raggiungere l'Australia. Ma qui è rimasto vittima delle leggi stringenti del governo di Canberra. Come altre migliaia di persone che provano a raggiungere illegalmente il suolo australiano via mare, Omid è stato rinchiuso nel centro detentivo di Nauru, un'isola del Pacifico che riceve finanziamenti dall'Australia per "ospitare" migranti e rifugiati in attesa che siano trasferiti in paesi terzi o ricondotti nella terra d'origine. Lì Omid è rimasto per tre anni. Tra anni di incertezze, di sogni e rabbia fino al tragico epilogo.

Senza cure. Secondo quanto riportato dai media locali, il giovane si è dato fuoco durante la visita di tre ispettori dell'Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhr) giunti a Nauru da Canberra per verificare lo stato di detenzione dei richiedenti asilo. Inutili i tentativi di spegnere le fiamme che hanno avvolto velocemente il corpo dell'uomo. La moglie di Omid ha denunciato la mancanza di cure tempestive che avrebbero potuto salvare la vita del giovane. 

È lei infatti a raccontare alle testate australiane come il marito sia rimasto per due ore nel centro medico dell'isola senza esser visitato da un dottore e abbia sofferto dolori atroci per otto ore prima che gli venisse somministrata della morfina. Le condizioni di Omid sono apparse subito disperate. Dopo esser stato trasportato nell'ospedale di Brisbane con un'eliambulanza, il ragazzo iraniano è morto a causa delle ustioni presenti sull'80% del corpo.

La legge australiana. Omid è solo l'ultima delle vittime che con gesti disperati cercano di portare alla luce il dramma dei rifugiati. Mentre in Europa si parla di costruire muri e limitare l'accesso di migranti e richiedenti, l'Australia ha escogitato un modo per risolvere il problema dei flussi migratori in costante crescita. Infatti, per fronteggiare l'aumento degli sbarchi di disperati, il governo di Canberra ha adottato una serie di procedure che comportano la detenzione di coloro che tentano di arrivare via mare in due centri costruiti fuori dalla frontiera australiana. 
Il primo, quello dove era recluso Omid è a Nauru, un'isola di 10 mila abitanti che negli anni ha fatto fortuna vendendo alla Gran Bretagna i diritti sulle ricche miniere di fosfati.

L'isola di Nauru. Il campo di detenzione di Nauru è stato spesso al centro di denunce mosse da diverse organizzazioni non governative. "Come Amnesty sottolinea da anni - ha detto Patel Champa, consigliere di ricerca di Amnesty International per il Pacifico - il sistema [australiano] attuale è crudele e inumano. Abbiamo ricevuto segnalazioni di stupri, molestie sessuali e abusi fisici e psicologici avvenuti in questi centri. Quest'ultima vittima è solo l'esempio più recente di come l'Australia sta trattando alcune delle persone più vulnerabili del mondo".

L'altra isola di Manus. Il secondo campo di detenzione per rifugiati si trova nell'Isola di Manus in Papua Nuova Guinea. Lì ad oggi sono presenti circa 850 rifugiati e richiedenti asilo che per anni hanno atteso di conoscere il destino riservato loro dalla burocrazia australiana. Ma le costanti denunce di Ong e sentenze dei tribunali che riconoscevano l'irregolarità del centro di Manus hanno portato il presidente della Papua Nuova Guinea alla decisione annunciata il 27 aprile di chiudere definitivamente la struttura detentiva. "L'Australia - sottolinea Michael Garcia Bochenek di Human Rights Watch - ha rigettato i richiami internazionali e le conclusioni della Commissione per i diritti umani australiana che ha chiesto la fine delle detenzioni offshore di rifugiati e richiedenti asilo. La decisione del primo ministro O Neill di chiudere il centro di Manus dopo la sentenza del tribunale permette alla Papua Nuova Guinea di staccarsi dal famigerato regime di detenzione offshore dell'Australia. Ora, richiedenti asilo e rifugiati detenuti dovrebbero essere trasferiti in altri paesi - tra cui Australia - dove si potranno ricostruire le loro vite".

di Chiara Nardinocchi


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