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martedì 3 maggio 2016

Torino immigrato del Marocco, espulso con mani e piedi legati in aereo: il pilota si rifiuta di partire

nuovasocieta.it
Legato mani e piedi e caricato su un aereo in partenza per il Marocco. Martedì 26 è il giorno del suo rimpatrio. Le nuove manette di velcro lo cingono al punto che il giovane marocchino si lamenta. Chiede di essere ammanettato “normalmente”. Richiesta rifiutata.

Viene caricato così legato su un aereo di linea. È quello che lo riporterà a casa. Ma non vuole viaggiare e soprattutto arrivare in patria come Hannibal Lecter. In aereo il marocchino si lamenta, chiede ancora la cortesia di un normale ammanettamento. C’è una colluttazione, quattro agenti lo bloccano. Due sopra il busto, due alle gambe, tra gli sguardi attoniti dei passeggeri. La confusione richiama l’attenzione dell’equipaggio. Interviene il capitano, che si rifiuta di trasportare il marocchino legato in quel modo.
Agenti e giovane sono invitati a scendere. Niente volo, niente rimpatrio. Viene portato in una stanza dell’aeroporto di Malpensa dove, denuncia il ragazzo, per un’ora non gli sono risparmiati maltrattamenti. Botte che avrebbero lasciato segni su tutto il corpo.
Poi di nuovo nella macchina della polizia verso Torino, corso Brunelleschi, il Cie. Anche in auto schiaffi e minacce da parte degli agenti. Tornato al Cie il marocchino chiede di essere visitato da un medico, ma dal referto risulta che l’unica a vederlo è una infermiera, che gli propone una iniezione di antidolorifico.
Ricondotto nella stanza che da due mesi è la sua casa, il giovane chiama il 118, vuole una visita completa. Il centralino del 118 telefona al Cie per conferma, ma dall’altro capo del telefono negano, nessuno necessita di cure. Anche i compagni di stanza del giovane effettuano chiamate per chiedere soccorso ma, ancora una volta, il Cie risponde al 118 che non c’è bisogno del loro intervento. Il giovane inghiotte delle monete per costringere le forze dell’ordine a portarlo in ospedale. Gli dicono che tanto le evacuerà.
La sera di giovedì 28 gli agenti scovano il cellulare che il marocchino teneva nascosto. Le continue chiamate al 118 disturbano i sorveglianti perché le sue richieste d’aiuto stanno creando troppa confusione. Glielo sequestrano, senza un provvedimento formale. La sottrazione dell’unico mezzo per contattare la famiglia causa la reazione del giovane. Piange, urla, chiede che gli sia restituito il telefonino. Infine spacca un televisore e minaccia di fulminarsi coi cavi scoperti. Ma non accade niente.
Oggi in tribunale ha raccontato la sua storia, il giudice ha deciso per l’obbligo di dimora a Torino fino alla conclusione del processo. È accusato di resistenza a pubblico ufficiale per gli episodi di Malpensa. A Torino dovrà rispondere di danneggiamento aggravato ma, a questo punto, forse, si dovrà decidere anche se c’è stata violenza e violazione dei suoi diritti. Il giovane è difeso dall’avvocato Gianluca Vitale.

di Enrico Mugnai

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