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mercoledì 4 ottobre 2017

Il dramma dei Rohingya nel racconto dei volontari: un dramma senza fine

Globalist
Una catastrofe che colpisce soprattutto i bambini, 300 mila sul mezzo milione di rifugiati. Equipe di psicologi e pediatri cercano di aiutarli nel difficile ritorno ad una normalità che per molti di loro non sarà mai vera.


C'è una intera comunità - sono già cinquecentomila - che fugge dalla violenze e c'è un Paese poverissimo che, nonostante tutto, li accoglie cercando di offrire loro assistenza nonostante la penuria di mezzi. 

Ma, dopo i soldati del Bangladesh che fungono da primo filtro, sono spesso i volontari delle Ong internazionali quelli che i rifugiati Rohingya incontrano per primi. E sono i volontari a raccogliere le loro testimonianze, che rivelano al mondo quanto sta accadendo al di là del confine, dove, nonostante gli inviti della comunità internazionale (cui il governo birmano, Aung San Suu Kyi in testa, sembra non prestare attenzione) , le operazioni dell'esercito a caccia di fantomatici terroristi somigliano, sempre di più, ad una pulizia etnica nei confronti di una comuntà minoritaria musulmana da sempre invisa ai buddisti.
Matthews Wells, americano, rapppresenta Amnesty international in questa zona di crisi e da un paio di settimane cerca di documentare la situazione. Pochi giorni fa era sulla spiaggia sulla quale sono arrivati, in barcone, circa mille Rohingya. Un uomo gli ha detto che, vedendo i soldati arrivare, è scappato lasciando nella sua capanna la figlia disabile. ''Dall'alto di una collina - ha raccontato l'uomo a Matthews - ho visto i soldati mettere a fuoco il mio villaggio. Anche la casa dove mia figlia si trovava''.
Secondo le immagini satellitari che Amnesty International ha raccolto, nello Stato di Rakhine, dove i Rohingya erano stanziati, centinaia di villaggi sarebbero stati bruciati dall'Esercito birmano. Alcuni testimoni hanno raccontato che il fumo che si levava dai villaggi in fiamme era visibile al di là del confine, come accade dal campo di Kutupalong.
Jean-Jacques Simon, di Montreal, è direttore delle comunicazioni dell’Unicef in Bangladesh, dove si trova da quattro mesi, certificando quella che per lui è ormai ''una crisi umanitaria che colpisce soprattutto i bambini''.
Delle 500 mila e più persone arrivate, dice, circa 300 mila sono bambini. Alcuni hanno bisogno di un rifugio, altri di cibo, acqua, medicinali, ma molti sono abbandonati a loro stessi, senza protezione.
Molti dei bambini sono orfani e sono sono stati lasciati dai loro genitori durante il pericoloso viaggio verso il Bangla Desh. L'Unicef a Cox’s Bazar, nel sud del Bangla Desh, ha organizzato degli spazi dove i bambini possono giocare insieme e con l'aiuto di psicologi pediatrici condividere e gestire meglio tristezza e traumi.
E i racconti dei bambini sono talvolta ancora peggio degli incubi. Matthew Wells racconta una storia, purtroppo diventata troppo comune: qualche giorno fa è arrivata una ragazzina di 12 anni, che portava in braccio la sorellina di quattro mesi. Il resto della sua famiglia non esiste più: il padre, la madre, il nonno ed un'altra sorellina sono morti. Lei è ormai il capo di quel che resta della sua famiglia.

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