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venerdì 19 luglio 2013

Presente difficile, futuro incerto, per i rifugiati Rohingya in Thailandia

Corriere della Sera - Amnesty International
È passato ormai più di un anno dall’esplosione di violenza tra la comunità buddista e quella musulmana nello stato birmano di Rakhine.

Una violenza asimmetrica, con le autorità centrali affatto neutre e per niente impegnate a pacificare gli animi. Una violenza che ha tra le sue cause profonde proprio le politiche ufficiali di discriminazione contro la minoranza rohingya, non riconosciuta come gruppo etnico, privata dello status di cittadinanza e limitata nella libertà di movimento e nell’accesso all’istruzione e al lavoro.

La maggior parte dei 140.000 sfollati prodotti da un anno di scontri è costituita da rohingya. Decine di migliaia di uomini, donne e bambini hanno lasciato le loro terre per dirigersi, in barca, in Malaysia e Thailandia.

Quest’ultimo paese non è parte della Convenzione Onu sullo status di rifugiati del 1951 e non garantisce protezione legale ai richiedenti asilo e ai rifugiati, che spesso finiscono nelle grinfie dei trafficanti di esseri umani e subiscono violenze indicibili. Vi è il sospetto che funzionari pubblici siano coinvolti nel traffico: a gennaio, l’esercito ha sospeso per poi trasferirli ad altra sede un colonnello e un sottotenente che erano stati accusati di ciò.

Centinaia e centinaia di rohingya si trovano nei rifugi governativi e altri 1500, bambini compresi, sono ammassati nei centri di detenzione per migranti. Da gennaio, sette di loro sono morti.

Per i rohingya profughi in Thailandia, il futuro è incerto. Alla fine di luglio dovrebbero terminare i sei mesi di assistenza umanitaria garantiti dal governo di Bangkok.

Continuare a garantire assistenza a migliaia di persone non è certo facile, ma la soluzione non può essere quella di rimandarle in patria a rischiare il carcere, la tortura o la morte. La comunità internazionale dovrebbe contribuire a trovare una soluzione sostenibile, duratura e rispettosa dei diritti umani ma i rohingya non vanno di moda.

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