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mercoledì 17 dicembre 2014

Azerbaijan: la libertà macellata - Continue violazioni dei diritti umani

Osservatorio Balcani e Caucaso
Non è il primo e non sarà l'ultimo. L'arresto di Kadhija Ismayilova, giornalista investigativa azera, si inserisce in una lunga serie di azioni per mettere a tacere attivisti e giornalisti critici nei confronti del regime di Aliyev. Mentre i difensori dei diritti umani internazionali alzano la voce, i governi tacciono

“Mi hanno già fatto la cosa peggiore che potessero farmi. E' per questo che la prigione non mi spaventa”. Khadija Ismayilova non aveva paura dell'arresto. Anzi, se lo aspettava. Prima o poi era convinta sarebbe accaduto. Era consapevole che questa sarebbe stata la conseguenza del suo lavoro investigativo. In una delle interviste che ha recentemente rilasciato lo ha ben chiarito: “Non desidero andare in prigione ma sopravviverò. Sopporterò la situazione e continuerò a fare ciò che sto facendo”.

Il 5 dicembre, per una decisione della corte di Sabail, a Khadija Ismayilova sono stati comminati due mesi di detenzione pre-processuale. L'accusa contro di lei non poteva essere più fantasiosa: “incitamento al suicidio”, in base all'articolo 125 del codice penale. Se venisse confermata l'accusa, rischia dai 3 ai 7 anni di prigione.

Tural Mustafayev, un giornalista con all'attivo une breve collaborazione con Azadliq Radio, in Azerbaijan, ha accusato Khadija Ismayilova di averlo spinto verso il suicidio nell'ottobre scorso, interferendo con la sua carriera professionale e minacciandolo via Facebook.
Continue intimidazioni

Lo scorso febbraio Khadija Ismayilova è stata accusata da alcuni media e funzionari statali di essere una spia statunitense. In un'intervista rilasciata a Meydan TV, la Ismayilova affermò di essere riconoscente del fatto che non era stata ancora accusata di possesso di stupefacenti, truffa o altre banali accuse come è stato nel caso dell'imprigionamento di altri giornalisti, difensori dei diritti umani o attivisti politici: “Mostra da parte loro rispetto nei miei confronti se mi accusano di spionaggio piuttosto che di crimini più ordinari”.

E in febbraio, temendo che il suo arresto fosse vicino, Khadija Ismayilova pubblicò un commento dove chiaramente vi erano indicazioni su cosa fare nel caso di un suo arresto. Nel frattempo però continuò il suo lavoro investigativo.

Nel corso dell'estate ha poi pubblicato due nuove inchieste. Una evidenzia collegamenti tra le due figlie del presidente Aliyev ad un'azienda telefonica (un'inchiesta riguardante le figlie di Aliyev era già stata pubblicata nel 2010). La seconda inchiesta svela invece gli affari di Ali Hasanov, a capo del dipartimento socio-politico dell'amministrazione presidenziale dell'Azerbaijan.

E' indubbio che rivelando tutte queste connessioni e scoprendo società off-shore i cui proprietari sono personalità molto vicine alla famiglia presidenziale e mettendo in luce grandi affari di corruzione Khadija Ismayilova mette nei guai le autorità azere.

Ed è a partire dal 2009 che le autorità azere, per evitare ulteriori indagini da parte di giornalisti, hanno avviato vari emendamenti legislativi. Sono state adottate misure drastiche che vanno dal concedere piena immunità all'attuale presidente e a quelli del passato (incluse le loro mogli) al garantire la segretezza sulla proprietà delle aziende del settore dei media. Una parte di legislazione non ancora cambiata - ma che le autorità pianificano di modificare - è quella che vieta a funzionari pubblici di possedere aziende od essere coinvolti in attività commerciali (per non nominare lo sfruttamento di risorse pubbliche in tali attività....).

Nonostante quanto messo in luce da Khadija Ismayilova nelle sue inchieste, mai nessun funzionario è stato chiamato a rispondere delle accuse che venivano mosse. E' accaduto invece il contrario. Giornalisti, difensori dei diritti umani, bloggers, attivisti che hanno osato mettere in luce la corruzione nel paese e la condotta criminale della autorità sono finiti in prigione, a scontare lunghe pene. Secondo il governo - ed emerge dalle sentenze emesse nei loro confronti - sono tutti dei criminali: violenti, tossici e via dicendo. La cosa preoccupante è che sono ancora tutti in prigione, nonostante siano chiare le prove della loro innocenza.

[...]

Non è esagerato affermare che presto non vi sarà nessun dissidente in Azerbaijan. Sono ormai in carcere quasi tutti quelli che si battevano per la gente dell'Azerbaijan. Sono in carcere quelli che si battevano per i diritti di coloro i quali sono stati ridotti al silenzio, nell'evidenziare le ingiustizie, nell'aiutare i bisognosi. Tristemente ora non c'è più nessuno al loro fianco.

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