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domenica 29 dicembre 2019

L'esodo infinito degli eritrei. Nel limbo dei campi al confine: “Per noi non c’è pace”

Redattore Sociale
REPORTAGE dal Tigray, zona di confine. Al primo ministro Abiy Ahmed Ali il premio Nobel per la pace, ma per chi vive sotto il regime di Afewerki la situazione non è cambiata. Si continua a scappare: in Etiopia il numero di rifugiati sfiora il milione. Da qui partito anche il primo corridoio dall’Africa di Caritas e Cei

SHIRE - La strada di terra arsa che si perde all’orizzonte è intervallata solo da qualche curva, alcune costruzioni di mattoni e una collina: a destra c’è Mereb il fiume che segna il confine, a sinistra Badamè, la zona contesa per oltre vent’anni. “Lì dopo quella curva c’è l’Eritrea: le persone passano da lì, attraversano la frontiera a piedi, ogni giorno. Camminano fino a Dabaguna, dove c’è il primo centro e lì vengono registrati. Ci sono quindi ingressi circa, si stimano fino a circa 300 passaggi al giorno”, dice Alganesh Feassaha, presidente della Fondazione Gandhi, che ci accompagna nel viaggio insieme agli operatori di Caritas Italiana.


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