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mercoledì 11 dicembre 2019

Profughi . Roma, al Pigneto i 37 mila nomi di chi è morto per arrivare in Europa, scritti sulla strada ... come le pietre d'inciampo.

Avvenire
L'artista Fabio Saccomani scriverà su 80 metri di strada pedonale i nominativi di chi è morto nel Mediterraneo o sui Tir dal 1993 a oggi. «Non sono fatalità, ma il frutto di scelte politiche precise».



Sulla strada di una capitale europea tutti i nomi dei 37 mila migranti che hanno perso la vita cercando di raggiungere Fortezza Europa. Affogati nel Mediterraneo, per la gran parte. O soffocati nei container dei Tir. Comunque morti, nel disperato tentativo di fuggire dalla guerra e dalla miseria, anche a rischio della vita. 

Perché di fatto non esistono efficaci canali di immigrazione regolare o sufficienti corridoi umanitari. I nomi di chi è morto, 36.570 dal 1993 ad aprile 2019 - secondo l'infinita e comunque incompleta lista stilata da United for Intercultural Action, gruppo di 550 organizzazioni - verranno scritti nel tratto pedonale di via del Pigneto, a Roma. 

Riempiranno la strada in un'area lunga quasi centro metri. Circa 500 metri quadri per un'opera - avviata oggi, 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, per essere completata il 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato - che è stata ideata dall'artista Fabio Saccomani. Si intitola «(S)ink», con un gioco di parole in inglese tra Ink, cioé «inchiostro», e Sink, che vuol dire «affondare».

Particolarità dell'opera è che i nomi dell'ecatombe di migranti vengono scritti con una speciale resina che, una volta asciutta, è invisibile. Finché non vengono bagnati: «Allora emergeranno tutti, improvvisamente - spiega Fabio Saccomani - nel momento in cui piove. Questo palesarsi, veicolato dall’acqua che richiama il mare dove la maggior parte di queste persone è annegata, consente di far parlare i nomi, di inserirli in una dialettica visibile-invisibile che travolge lo spettatore, stravolge il senso del luogo ed il senso di sicurezza che conferisce l’ordinario e il familiare». 

Nella lista dei morti non sempre è stato possibile dare un nome a tutte le vittime di ogni singolo naufragio. In quel caso la lista riporta «no name» e la nazionalità. (S)ink è un progetto di Fabio Saccomani e della Biennale MArteLive 2019 prodotto da Scuderie MArteLive in collaborazione con "RomaBPA Mamma Roma e i suoi figli migliori".
Come le "Pietre d'inciampo", incastonate sui marciapiedi davanti ai portoni delle case dove vivevano gli ebrei deportati dai nazisti, così i nomi dei migranti affogati ricorderanno a chi li calpesta questa enorme tragedia. 

«Sì, ma con una grande differenza. Quest'opera - spiega l'autore - non propone la pacificazione prodotta da un monumento funebre, che nella sua stabilità cristallizza quella situazione. Questo è differente, è un monumento che purtroppo continuerà a crescere, non vuole essere conciliante come per un avvenimento concluso nel passato. Perché non è il mare che li ha uccisi, non sono catastrofi e fatalità, ma sono morti per colpa delle attuali scelte politiche dell'Europa e dei singoli stati». 

Secondo Saccomani «oggi assistiamo a una grande rimozione collettiva di questo dramma, e questa opera vuole denunciarlo. Più che di tragedia, dovremmo parlare di genocidio, morte in massa di poveri e fuggiaschi, accomunati non tanto da una religione o un’appartenenza etnica, ma da una condizione sociale ed economica».

A far scattare l'idea al giovane artista è la foto pubblicata nel 2015 su tutti i giornali del corpicino senza vita su una spiaggia turca di Alan Kurdi, bimbo siriano di 3 anni di etnia curda, affogato durante il tentativo di fuggire dalle violenze del Daesh, il sedicente Califfato islamico. «Era uguale a mio nipote Roberto quando dorme. Quell'immagine mi ha colpito, mi ha fatto male. E quando ho visto sul Manifesto la lista dei migranti morti, ho deciso che questi nomi dovevano essere monumentalizzati. Quando da studente andai ad Auschwitz - spiega - mi chiesi come era stato possibile che la gente avesse tollerato quell'orrore. Sono due tragedie assolutamente diverse, sia chiaro. Ma oggi che le informazioni circolano liberamente, a differenza di allora, come è possibile che sia tollerata questa brutalità? Come è possibile abituarsi ad accettarla?»

Luca Liverani

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