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venerdì 7 giugno 2019

Sudan cento dimostranti uccisi nello scontro tra militari e organizzazioni della società civile.

Il Dubbio
Feroce repressione della giunta militare: i corpi ripescati nel Nilo. Con oltre cento persone uccise si aggrava sempre di più il bilancio di sangue degli scontri tra i militari e le organizzazioni della società civile sudanese. 


Dopo la deposizione del presidente Omar Bashir, avvenuta l'11 aprile scorso, la popolazione guidata principalmente dallo Spa (Associazione dei professionisti sudanesi) non ha mai smesso di occupare le piazze della capitale Karthoum, da settimane erano in corso trattative con l'esercito per concordare un periodo di transizione che avrebbe portato il paese verso elezioni democratiche.

I negoziati, almeno nelle intenzioni, prevedevano un lasso di tempo di tre anni durante i quali il governo sarebbe stato gestito dai esponenti non militari. Lunedì però si è verificato un radicale cambio di rotta. I generali, attraverso una dichiarazione del leader, Abdel Fattash al- Burhan, hanno fatto sapere che ogni dialogo sarebbe stato interrotto e che si sarebbe tornati alle urne entro nove mesi, immediatamente dopo è iniziata una violenta repressione.

Ieri la BBC ha aggiornato la macabra contabilità dei morti parlando di almeno 60 vittime, il doppio rispetto solo a due giorni prima. Secondo moltissime testimonianze dei manifestanti la repressione è stata affidata ai famigerati gruppi paramilitari dei Janjaweed, che si distinsero per la loro efferatezza già durante il conflitto in Darfur nel 2003. 

Questa milizia è poi stata integrata nelle Forze Armate sudanesi come forza di intervento rapido. Uno dei suoi compiti, ad esempio, è quello di bloccare i migranti che tentano di arrivare il Libia. Dietro la mossa dei militari si nasconde probabilmente il tentativo da parte del vecchio apparato di mantenere intatto il suo potere. Bashir era ormai diventato impresentabile e la sua destituzione appare ora come un "male necessario" per conservare l'equilibrio preesistente. In questo contesto un reale protagonismo popolare riformatore non trova evidentemente spazio.

Un ragionamento rilanciato anche da diversi osservatori come l'analista ed ex ambasciatore britannico in Sudan, Rosalind Marsden il quale parlando al Newsday della BBC, ha argomentato che le elezioni anticipate "avrebbero semplicemente spianato la strada a gran parte del vecchio regime per tornare al potere". I militari inoltre possono contare su un contesto internazionale frammentato. 

Nonostante Regno Unito e Germania abbiano diffuso una bozza di dichiarazione al Consiglio di sicurezza dell'Onu che condanna la morte di civili e sollecita i militari e i manifestanti a "continuare a lavorare insieme" verso una soluzione, Cina e Russia hanno subito respinto ogni tentativo di mettere in pratica misure concrete.

di Alessandro Fioroni

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