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martedì 15 marzo 2016

Vedova del carabiniere ucciso perdona il ragazzo che uccise il marito: "Non stia in carcere è inutile"

Blog Diritti Umani - Human Rights
"Si deve perdonare, il rancore ti condanna sempre all'istante del passato. Io ho cominciato a perdonare vivendo prima in pieno il mio dolore e tutta la rabbia"
Uccise carabiniere a bastonate, vedova perdona il ragazzo: non stia in carcere
Dopo una lettera di riconciliazione scritta dalla madre di Matteo Gorelli, le due donne hanno stretto un'amicizia che ha portato alla importante scelta del perdono.


La vedova Santarelli a e la madre di Matteo Gorelli
Dalla rabbia al perdono. E' arrivato dopo cinque anni dalla morte dell'appuntato carabiniere Antonio Santarelli, ucciso a bastonate nel 2011 per aver fatto una multa per guida in stato di ebrezza nei confronti dell'allora 18enne, Matteo Gorelli, di ritorno, insieme ad altri ragazzi, da un rave nel Grossetano. Il primo passo è stato fatto dalla madre del killer con una lettera per il perdono.

Le due donne si sono subito volute incontrare e la strada del perdono è stata quella percorsa dalla vedova, che invitò la madre di Gorelli all'ospedale di Montecatone dove era ricoverato il marito, che ha passato un lungo anno di agonia in coma prima di morire.

E' nata un'amicizia e anche l'unico modo per guardare al futuro con dignità, spiega Claudia Francardi a La Repubblica. Le due donne hanno deciso di organizzare un rave per il 24-25 aprile (giorno del tragico evento), "non di sostanze, ma di sostanza". Ci saranno anche l'ex magistrato Gherardo Colombo e Guido Bertagna, gesuita che ha scritto "il libro dell'incontro".

"Matteo non dovrebbe stare in carcere", afferma la vedova dell'appuntato perché "per come è organizzato oggi non lascia spazio all'affettività e al dialogo". Il ragazzo ora 22enne si trova nel carcere di Bollate, nel Milanese, dove deve scontare una condanna a 20 anni, in appello. Scrive poesie, dà esami di Scienze dell'Educazione, seguito dall'Università Bicocca.

La donna ha incontrato Gorelli dopo aver conosciuto la madre. "Non è stato facile - racconta -, lui non aveva dormito la notte prima, io ero in ansia. Ci siamo guardati, ci siamo abbracciati, nessuno trovava le parole, ma abbiamo trovato subito molte lacrime". E infine, "io gli ho raccontato chi era l'uomo che aveva ucciso. Bisogna guardare in faccia le cose per quelle che sono".

Le due amiche hanno in comune un filo conduttore e indissolubile, dal quel 25 aprile 2011. Ma non solo. Dalla loro parte ci sono "la voglia di essere persone nuove, di dialogare e andare avanti. Speriamo vengano molti giovani a Repescia, ci saranno anche i 99 Posse. Noi li aspettiamo", conclude la Francardi.

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