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domenica 5 ottobre 2014

Storia di Hawa la nonna che ha salvato 90mila profughi somali. Un racconto della Somalia di oggi

Corriere della Sera 27ora
«Mia madre sognava che diventassi una persona importante». E così è stato: Hawa Abdi Diblawe, medico e attivista per i diritti umani ha passato la vita ad aiutare i rifugiati e, nel 2012, è stata candidata al Nobel per la Pace. In oltre 22 anni passati nel Corridoio di Afgooye, travagliata regione a nord ovest della Mogadiscio, oltre 90mila persone hanno trovato un riparo nel campo profughi nato spontaneamente nel giardino di casa sua.

«Per lo più sono venuti donne e bambini in fuga dagli orrori della guerra civile. Fanno tutti ormai parte della mia famiglia. Le mie figlie, Deqo e Amina, sono diventate dottoresse e ora lavoriamo tutte insieme». 

A Cosenza, per ritirare il premio Cultura Mediterranea, Hawa (ormai la «nonna dei rifugiati») è arrivata proprio insieme a Deqo che ora gestisce la Fondazione nata da un piccolo ambulatorio di provincia per la salute delle donne. «Mia madre rimase incinta del suo settimo figlio quando io avevo appena 11 anni. Mentre la sua pancia cresceva, lei era sempre più debole e sofferente. La morte in Somalia può arrivare attraverso le violenze, le malattie o anche il parto – ricorda – È per questo che sono diventata un dottore, una ginecologa, perché volevo risparmiare ad altri le sofferenze che avevo patito io».

Con l’aiuto della Russia, Hawa si è laureata all’università di Kiev ed è diventata la prima ginecologa donna in Somalia. «Io sono cresciuta in tempi molto diversi, la Somalia era un Paese diverso –ricorda – La mia Mogadiscio era il posto migliore di tutta l’Africa. Nelle zone rurali, i bambini avevano latte fresco, carne fresca e aria fresca. La vita era molto semplice e molto tranquilla».

Ma nel 1991 tutto cambiò. «Quando il governo cadde, sempre più persone vennero all’ambulatorio e a casa in cerca di un rifugio dai combattimenti delle città. Mi sembrò doveroso dare a tutti un posto per dormire e sentirsi sicuri. Piano piano si sparse la voce e aumentava la gente che bussava alla nostra porta. Quando nella nostra casa non ci furono più letti liberi, le famiglie dormivano fuori sotto gli alberi del nostro giardino». È da quell’accampamento di fortuna che è nato il suo villaggio: «Non è sempre stato facile, negli anni abbiamo temuto per la nostra vita: più volte mi sono trovata di fronte ai guerriglieri».

La Somalia di oggi si sta avviando verso la normalizzazione, ma « il governo è ancora troppo debole. Non riusciamo ancora ad avere una stabilità, alcuna sicurezza. E le vere vittime di questa tragedia sono proprio le donne e i bambini – racconta Hawa – Il nostro Paese sta soffrendo da 22 anni ininterrottamente. L’emergenza oggi è la mancanza di lavoro. Con la guerra, era impossibile lavorare, produrre, sfamare la propria famiglia. E la conseguenza è che nei campi i bambini muoiono per fame. Non per malattie incurabili: è la malnutrizione che se li porta via».

Tra le emergenze, anche quella dell’educazione soprattutto per le bambine. «Nel nostro campo c’è una scuola elementare che di fatto copre fino alle medie, dalla prima all’ottava classe. Il prossimo anno creeremo anche una scuola superiore – dice Deqo che aiuta la mamma a organizzare le lezioni- Ovviamente dobbiamo fronteggiare diversi problemi: mancanza di fondi, di insegnanti, di spazi e attrezzature. Ma nonostante tutto, il 25% dei nostri bambini riceve un’istruzione di base».

Per le ragazze, poi, la situazione è ancora più complessa: «I figli sono fonte di reddito per le loro famiglie, soprattutto le bambine che si occupano, a loro volta, della gestione degli altri piccoli e della casa. Per questa ragione, stiamo cercando di aprire questa un asilo dove le famiglie possono portare i neonati. E finalmente anche le bambine potranno andare a scuola» conclude Deqo.

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