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giovedì 26 aprile 2018

Israele congela il piano per deportare migliaia di rifugiati dall'Eritrea e dal Sudan

La Repubblica
Dopo mesi di tentativi andati a vuoto, di fronte alla polemiche, il governo di Benjamin Netanyahu rinuncia al progetto di deportare migliaia di eritrei e sudanesi entrati illegalmente. 


Ma cercherà di far approvare dal Parlamento una nuova legge. Il governo di Benjamin Netanyahu congela il piano per la deportazione dei migranti africani entrati illegalmente in Israele. "Allo stato, la possibilità di procedere a espulsioni in Paesi terzi non è in agenda", si legge in una nota inviata dall'esecutivo alla Corte suprema dopo mesi in cui ha cercato in tutti i modi di arrivare alla deportazione di migliaia di persone, in maggioranza eritrei e sudanesi.

I migranti saranno quindi di nuovo autorizzati a rinnovare i permessi di residenza ogni 60 giorni. Nel frattempo il governo proverà a ottenere una nuova legge dalla Knesset, come si evince dalla comunicazione al massimo organismo giuridico laddove si ribadisce che lo Stato intende perseguire l'espulsione, volontariamente o con ogni altro mezzo consentito dalla legge. Netanyahu ha inoltre dato istruzioni volte a riaprire centri di detenzione per gli "infiltrati".

Gli irregolari e le associazioni per i diritti umani sostengono che si tratta di richiedenti asilo in fuga da guerre e persecuzioni. Il governo israeliano li considera invece migranti economici in cerca di lavoro e rivendica il diritto a proteggere i propri confini. Dal 2013 circa 4.000 africani hanno lasciato volontariamente lo Stato ebraico per il Ruanda e l'Uganda, ma Netanyahu è stato messo sotto pressione dai suoi elettori di estrema destra e ha puntato sul piano di deportazione. A un certo punto si era parlato anche di un accordo Onu per il trasferimento di 16 mila migranti in Stati occidentali, tra i quali l'Italia. L'intesa era poi naufragata sotto il peso delle polemiche e delle smentite dei Paesi chiamati in causa dall'esecutivo israeliano. E si era tornati al piano di espulsioni, contro il quale diverse associazioni erano ricorse alla Corte suprema.

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