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lunedì 5 febbraio 2018

Filippine - Diritti Umani - Sempre più evidente la frizione tra la Chiesa e Duterte

Vatican Insider
Massacro di innocenti, abusi dei diritti umani, cambiamento della Costituzione, legge marziale, matrimoni gay: si moltiplicano i punti di frizione tra vescovi e Presidente.


Tra la Chiesa filippina e il presidente Rodrigo Duterte il feeling non è mai sbocciato. Punti controversi e differenze di vedute sulla vita della nazione si sono fatte sentire ben presto ma oggi, a quasi due anni dalla sua elezione (avvenuta a maggio 2016), il divario tra il presidente «Castigatore», come viene soprannominato, e l'episcopato filippino sembra allargarsi in modo quasi irreversibile.

La recente elezione dell'arcivescovo Romulo Valles come presidente della Conferenza episcopale delle Filippine aveva fatto ben sperare, data la comune provenienza dalla città di Davao, dove Duterte è stato per 18 anni sindaco, ma le premesse non si sono realizzate e gli auspici non sembrano rivelarsi favorevoli. In una delle prime uscite pubbliche, Valles ha fieramente criticato - come da tempo fanno i vescovi - la campagna di lotta alla droga che Duterte sta pervicacemente proseguendo, dando ordini alla polizia di «ripulire» la nazione da trafficanti e spacciatori di droga. L'Arcivescovo ha lanciato un accorato appello perchè «non si sciupino più vite umane nel Paese» e ha chiesto alla polizia di rispettare lo stato di diritto nell'esercizio delle proprie funzioni e responsabilità

La sanguinosa campagna, intanto, prosegue anche se i vertici della polizia hanno assicurato che le rinnovate linee guida faranno sì che si evitino spargimenti di sangue e violazioni dei diritti umani. La linea, ribadita in mille modi e in mille discorsi dalla Chiesa filippina, in tutte le sue articolazioni, è chiara: urge interrompere la scia di omicidi che, in poco più di un anno, ha causato, secondo dati ufficiali, la morte di almeno 4.000 persone innocenti (ma altrettante sono le vittime dei famigerati «squadroni della morte»), mentre occorre iniziare un processo di «guarigione della nazione».

Una seconda questione che ora sta attraversando il dibattito politico nazionale vede la Chiesa su posizioni piuttosto lontane dal presidente: la possibile riforma della Costituzione repubblicana. Il governo ha proposto un cambiamento della Carta per adottare il federalismo come nuovo sistema di governo e nuovo assetto della nazione.

«È necessario cambiare la Costituzione per decentrare il potere? Molti esperti costituzionalisti e giuristi non sembrano pensarla così. Ciò che è veramente necessario è una piena attuazione della Costituzione, e approvare leggi che tutelino i diritti delle popolazioni indigene, in modo che si realizzi l'autodeterminazione e il decentramento dei poteri, sia politici che finanziari», hanno scritto i vescovi in un comunicato a conclusione della loro assemblea annuale.

La critica radicale dei vescovi al Movimento per il cambiamento della Carta si basa su quattro principi-guida per il giudizio morale dei battezzati: il principio della dignità umana e dei diritti umani; il principio di integrità e verità; il principio di partecipazione e solidarietà; il principio del bene comune. Una possibile riforma costituzionale, notano i presuli «dovrebbe portare a una migliore difesa e promozione di questi valori morali».

Gli stessi valori che oggi la Chiesa cattolica sull’isola di Mindanao denuncia come patentemente violati in nome di un provvedimento draconiano: il 13 dicembre scorso, su richiesta del presidente Duterte, infatti, il Congresso delle Filippine ha approvato l’estensione della legge marziale sull’isola di Mindanao fino alla fine del 2018. La legge marziale era stata dichiarata il 23 maggio 2017, giorno in cui il gruppo Maute, autoproclamatosi affiliato allo Stato islamico, aveva preso con le armi e aveva occupato la città di Marawi. Le Forze armate filippine hanno poi liberato la città dopo cinque mesi di assedio, che ha fatto più di 1.100 morti e provocato un’estesa distruzione nella città. Il periodo iniziale di legge marziale, limitato a sessanta giorni come previsto dalla Costituzione del Paese, era stato prorogato fino alla fine del 2017 e ora si allunga per un altro anno. Rappresentanti ecclesiali come il cardinale Orlando Quevedo hanno criticato il provvedimento che ricorda i tempi bui del dittatore Marcos e dà la stura ad abusi dei diritti umani da parte dei militari.

La disputa tra la Chiesa e Duterte, poi, ha investito ben presto il delicato piano etico-morale, perchè il Presidente non ha fatto mistero, spesso in modo sprezzante, di sposare posizioni contrarie alla morale cattolica, specialmente riguardo alla dottrina della difesa della vita umana (dall’aborto fino alla pena di morte), criticando in modo violento e perfino volgare il clero filippino. Duterte di recente ha dichiarato anche di essere «favorevole al matrimonio gay». «Il problema è che bisogna cambiare la legge. Ma noi possiamo farlo», ha detto, incoraggiando la comunità omosessuale a nominare un proprio rappresentante che possa prendere parte ai lavori del governo per attuare la riforma.

Paolo Affatato

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