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mercoledì 28 febbraio 2018

La crisi dimenticata del Sudan. Da 15 anni non c'è pace e rispetto dei diritti umani in Darfur

Corriere della Sera
Il conflitto iniziò il 26 febbraio del 2003. Con un assalto al quartier generale dell'esercito del Sudan a Golo, nel distretto del Jebel Marra, il Fronte di Liberazione del Darfur sferrava il primo attacco pianificato contro una postazione militare strategica del Governo del presidente Omar Hassan Al Bashir.

"A 15 anni dal primo atto significativo del conflitto nella regione sud-orientale del Sudan, uno dei Paesi più estesi del continente africano, il Darfur non sembra destinato a conoscere la parola pace. Quest'area, grande quattro volte l'Italia, è stata ed è tutt'ora teatro di una delle "partite" politiche più importanti del globo, un'area in cui si incontrano, ma soprattutto scontrano, gli interessi delle cosiddette potenze mondiali" scrive Antonella Napoli nel rapporto Sudan 2017-2018 presentato lunedì 26 febbraio nella sede della Fnsi a Roma.

Stati Uniti e Cina si contendono l'accesso ad una regione con grandi risorse di acqua e potenzialmente ricca di giacimenti petroliferi. La situazione umanitaria non accenna a migliorare. 

Nel 2017, secondo Ocha (l'ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari), 4,8 milioni di persone hanno richiesto assistenza umanitaria, tra cui 3,1 milioni nel Darfur. Oltre 3 milioni e mezzo di persone sono state aiutate sotto il profilo alimentare e hanno ricevuto sostegno per il sostentamento minimo quotidiano, mentre 2,2 milioni di bambini sotto i cinque anni sono a tutt'oggi malnutriti. In tanti, nelle aree inaccessibili ai cooperanti non ricevono alcun aiuto. Altri rifugiati arrivano dai Paesi limitrofi: 500mila solo dal Sud Sudan tra il dicembre 2013 e l'inizio del 2017. E c'è anche un flusso continuo di sfollati, richiedenti asilo e migranti provenienti dalla Repubblica Centrafricana, dal Ciad, dall'Eritrea, dall'Etiopia, dalla Siria e persino dallo Yemen.

La repressione della libertà di stampa - Il 2017 e i primi mesi del 2018 in Sudan sono stati caratterizzati da un'intensificazione della repressione della libertà di stampa con continui arresti di giornalisti e sequestro di copie dei giornali "responsabili" di aver pubblicato notizie avverse al Governo. Gli ultimi fermi gli scorsi 16 e 17 gennaio, quando i Servizi Segreti e di Sicurezza Nazionale (NISS) hanno prelevato separatamente sette giornalisti mentre erano in piazza per raccontare le proteste contro l'inflazione, che ha portato a un aumento esponenziale di viveri di prima necessità, nella capitale Khartoum.

La persecuzione dei cristiani - Nel 2017 e nei primi mesi del 2018 è sensibilmente aumentata la persecuzione nei confronti dei cristiani. Il Governo ha promulgato leggi di pianificazione edilizia finalizzate alla distruzione delle chiese e degli edifici di proprietà delle comunità cristiane. Oltre 20 chiese sono state chiuse nell'ultimo anno. Nello stesso periodo, secondo l'organizzazione internazionale Open Doors che opera nella difesa dei cristiani perseguitati in 60 Paesi nel Mondo, almeno tre cristiani sono stati uccisi sebbene i numeri esatti siano difficili da ottenere. Centinaia gli arresti, decine sono ancora in carcere.

La libertà negata alle donne e le violazioni dei diritti umani - Per tutto il 2017 sono stati registrati in Sudan innumerevoli arresti di attivisti per i diritti umani, di oppositori e di donne. Un inasprimento verso le libertà e i diritti dei cittadini sudanesi talmente vasto che il Parlamento Europeo a fine gennaio ha espresso una dichiarazione di condanna e ha chiesto la liberazione di tutti coloro che erano detenuti per motivi politici o per aver partecipato alle proteste contro l'aumento dei prezzi nel Paese, come per il caso di Salih Mahmoud Osman, vincitore del premio Sakharov per la libertà di pensiero. Il vicepresidente del Parlamento europeo, Heidi Hautala, e il presidente della Sottocommissione per i Diritti Umani, Pier Antonio Panzeri, hanno condannato l'arresto arbitrario di Osman, vicepresidente dell'Associazione degli Avvocati del Darfur e degli altri difensori dei diritti umani in Sudan. 

Proprio dagli avvocati nella capitale del Nord Darfur, El Fasher, è arrivata nei mesi scorsi la denuncia di una campagna delle forze di polizia militare incaricate della protezione nella regione della fustigazione arbitraria di donne e ragazze accusate di indossare abiti indecenti nei mercati e nelle strade pubbliche. 

I residenti di El Fasher hanno affermato di aver visto un centinaio di donne, per lo più universitarie e impiegate che andavano al lavoro o a scuola, frustate a sangue nella pubblica piazza. La campagna, che è durata per giorni, ha rappresentato una flagrante violazione della legge e della costituzione sudanese. L'associazione degli avvocati del Darfur ha chiesto alle autorità competenti di indagare immediatamente sugli incidenti e assicurare i colpevoli alla giustizia. 

Anche nella capitale del Sudan Khartoum non sono mancati arresti e condanne nei confronti di donne colpevoli di aver indossato abiti non conformi alle disposizioni della legge islamica, la Sharia. Molte donne sono state processate ai sensi dell'articolo 152 del codice penale del Sudan che si applica a "chiunque compia in un luogo pubblico un atto indecente o un atto contrario alla morale pubblica, indossi un vestito osceno o non conforme ai dettami della sharia e causi fastidio ai sentimenti pubblici" con la conseguente pena della fustigazione, in media quaranta frustate, a volte accompagnate da una multa.

Monica Ricci Sargentini


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