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giovedì 4 aprile 2013

Giustizia: fino a tre detenuti per un solo posto, in cella mai così tanti

Avvenire
Un atto d'accusa durissimo. Le carceri italiane "sono più affollate oggi che prima dell'indulto del 2006" e "lo sono più che le carceri delle altre democrazie europee", in alcuni istituti italiani "si superano i 3 detenuti per posto" e "l'80% degli istituti ha più detenuti che posti regolamentari", il sovraffollamento carcerario "non dipende dall'aumento dei detenuti: Paesi con livelli di crescita della detenzione più alti del nostro controllano meglio di noi il sovraffollamento carcerario".

Come racconta una ricerca, comparata a livello europeo, sulla popolazione penitenziaria e sulle condizioni detentive della Fondazione Istituto Carlo Cattaneo. Le carceri italiane ospitano mediamente "140 detenuti ogni 100 posti disponibili in base alla capienza regolamentare" (dati primo bimestre 2013) - si legge, ma "in alcuni istituti si supera anche quota 300" e quindi per ogni posto si contano 3 detenuti. Anche grandi penitenziari "come San Vittore a Milano o la Dozza a Bologna superano quota 200".

Così, nel complesso - annota la ricerca -"su 209 istituti presi in esame, 23 registrano oltre 200 detenuti per 100 posti e ben 167, l'80%, ha più detenuti che posti a disposizione". E solo il 20% delle carceri italiane ha posti a disposizione sufficienti rispetto ai detenuti ospitati. Sul fronte comparativo, secondo l'Istituto Cattaneo "non solo l'Italia ha livelli di sovraffollamento carcerario ben superiori a quelli delle altre democrazie europee, ma anche gli attuali livelli del nostro Paese sono l'esito di una tendenza decennale alla crescita del tutto anomala rispetto al resto d'Europa". Ed a sorprendere è soprattutto l'osservazione di quanto accade a partire dal 2006: "Il Parlamento votò un provvedimento di indulto che ebbe come effetto immediato la riduzione drastica del sovraffollamento". E per quell'unico anno l'Italia "passò dalla prima all'ultima posizione per livello di sovraffollamento carcerario tra i Paesi presi in considerazione", cioè Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna.

Quanto avvenuto negli anni successivi "mostra chiaramente" gli effetti di quella decisione: "Già nel 2008 gli effetti dell'indulto furono riassorbiti e, a partire dal 2009, la crescita del sovraffollamento riprese la sua corsa riportando l'Italia in testa alla graduatoria e allargando la forbice tra il nostro e gli altri quattro Paesi". C'è infine una relazione tra sovraffollamento e crescita della popolazione penitenziaria?

Stando alla ricerca non ci sono prove dell'esistenza di questa relazione. Paesi come Regno Unito e Spagna in cui il tasso di detenzione (numero di detenuti rapportato alla popolazione) è aumentato, non hanno registrato alcuna crescita del sovraffollamento carcerario. In Spagna, ad esempio, i tassi di detenzione sono cresciuti sensibilmente all'inizio del secolo, ma il sovraffollamento, dopo un periodo di crescita, adesso inferiore a quello del 2000. Nel Regno Unito è addirittura diminuito. E se Francia, Spagna e Regno Unito hanno tassi di detenzione superiori a quelli italiani, in nessuno di questi Paesi il numero di detenuti supera il numero di posti disponibili nelle carceri.

Codice di procedura penale da riscrivere, di Luca Liverani (Avvenire)
Depenalizzazione dei reati, percorsi alternativi, rieducazione e lavoro per abbattere i tassi altissimi di recidiva, comunità terapeutiche per i tossicodipendenti, accordi diplomatici per il rimpatrio dei condannati stranieri. Può stupire solo chi del carcere ha una visione molto parziale che le soluzioni al sovraffollamento siano le stesse, sia per i cappellani e il volontariato che per gli agenti penitenziari. "È un'equivalenza sciocca pensare che a ogni reato debba corrispondere una risposta carceraria", dice Luisa Prodi, la presidente del Seac, il Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario. "In carcere finisce di sicuro il topo d'appartamento e il piccolo spacciatore. Chi fa grandi abusi edilizi o speculazioni finanziarie spesso resta impunito.

Perché oggi in Italia il carcere è il ricettacolo di reati semplici fatti da persone "complicate": immigrati, rom, tossicodipendenti. È una discarica sociale per persone difficili da gestire". Il nodo allora "è quello delle pene alternative: l'impianto legislativo offrirebbe moltissime potenzialità". Il solito buonismo del volontari?

"L'80% di chi si fa tutta la condanna " dentro" - esemplifica la presidente del volontariato - quando esce delinque di nuovo. Chi invece usufruisce di pene alternative o regime non carcerario ci ricasca solo nel 14% dei casi". Insomma: "Costruire tante carceri per farci marcire la gente non solo è ingiusto - e da cristiana dico anche immorale - ma nemmeno conveniente economicamente".

Due i piani su cui intervenire, secondo l'ispettore generale dei cappellani nelle carceri, don Virgilio Balducchi: "Va riscritto il codice penale: il carcere deve essere l'extrema ratio". Delinquenti a spasso? "Niente affatto. Bisogna trovare forme di responsabilizzazione, di riparazione del danno causato, a livello personale e pubblico. Perché rimanere in cella non ripara il male fatto. E la recidiva crollerebbe. Il ministro Severino ci aveva provato con la messa alla prova...". E l'altro pianto di intervento? "Facilitare tutto quello che già oggi è permesso dalla normativa: lavoro esterno, sospensione della pena, affidamenti in prova". Senza dimenticare la prevenzione: "Il 70% di chi delinque viene dall'esclusione sociale e dalla povertà".

Concorda il segretario aggiunto del Sappe, Giovanni Battista De Blasis: "Sono anni che lo ripetiamo: serve un intervento strutturale", dice il sindacalista degli agenti di polizia penitenziaria. "Già papa Wojtyla- ricorda -per il Giubileo chiese un gesto di clemenza. Ma va riscritto il codice di procedura penale: decarcerizzazione, espulsioni degli stranieri condannati, malati e tossicomani fuori dal carcere. Gli indulti hanno solo un effetto placebo".

E il piano carceri? "L'allora guardasigilli Alfano promise 11 nuovi penitenziari e 40 padiglioni. In quattro anni non è stato posato un mattone. In Germania i detenuti affrontano un percorso formativo, escono persone diverse, con un lavoro. E la recidiva così crolla. Da noi in 11 anni si sono spesi centinaia di milioni per una trentina di braccialetti elettronici".

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