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sabato 17 aprile 2021

Diritti umani. La scure di Pechino su Hong Kong, condanne da 8 a 18 mesi di carcere agli oppositori democratici

Avvenire
Da otto a 18 mesi di reclusione ad avvocati, parlamentari, attivisti. Con loro anche il magnate Jimmy Lai. Dei nove «puniti» solo per aver manifestato pacificamente nel 2019, cinque sono cattolici


In quella che è forse la sentenza più dura nel colpire il movimento democratico di Hong Kong, ieri nove dei suoi leader – 5 dei quali cattolici – sono stati condannati a pene variabili da otto a 18 mesi di reclusione per la partecipazione alle manifestazioni che il 18 e 31 agosto 2019, hanno sfidato le pretese di controllo di Pechino sull’ex colonia britannica e aperto un periodo di forti tensioni, con punte di quasi rivolta e una repressione che ha sfiorato l’intervento militare.

Ieri era la giornata prevista per la lettura della sentenza per sette degli accusati condannati il primo aprile, ma ad essi se ne sono aggiunti altri due, giudicati per gli stessi reati. Secondo il giudice Amanda Jane Woodcock, tutti i condannati erano «consapevoli di violare la legge» partecipando alle proteste e intervenendo pubblicamente. 

Ancor più grave «considerando l’instabilità di quei giorni» e di conseguenza, ha indicato il giudice del tribunale di West Kowloon, dove un intero piano era stato riservato a media e osservatori locali e stranieri, «il caso implica una sfida diretta all’autorità della polizia. La marcia del 18 agosto era premeditata e ha causato interruzioni del traffico. E anche se era pacifica, c’era un rischio latente che potesse finire in violenza».

Nel contesto attuale, dominato dall’imposizione – dallo scorso giugno – della Legge sulla sicurezza nazionale cinese, le pene sono risultate relativamente “leggere”, considerando i cinque anni di detenzione potenzialmente applicabili per questi reati, e per cinque dei condannati, tra cui l’ottuagenario avvocato e fondatore del Partito democratico, Martin Lee, e la combattiva Margaret Ng, pure avvocato, condannati rispettivamente a 11 e 12 mesi di carcere, la pena è stata sospesa per 24 mesi.

Che questo avvenga nonostante le pressioni di Pechino resta positivo, ma nulla toglie alla gravità di provvedimenti che colpiscono personalità impegnate a chiedere il rispetto delle garanzie stabilite negli accordi che hanno accompagnato il passaggio di Hong Kong alla Repubblica popolare cinese il primo luglio 1997 e nella Legge base che ne avrebbe dovuto garantire per 50 anni un’ampia autonomia. Leggi non ignote ai condannati, quasi tutti avvocati, oltre che parlamentari, sindacalisti o attivisti, ma piegate per quanto possibile agli ideali repressivi. Non a caso, decine di leggi per almeno 600 pagine di testo, sono in via di revisione a Pechino per adeguarle alla nuova realtà di Hong Kong. 

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