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lunedì 29 gennaio 2018

Tora, la Guantanamo di al-Sisi: entri e poi muori - Nel carcere di massima sicurezza leader politici, religiosi e dissidenti

Il Fatto Quotidiano
Nel carcere di massima sicurezza finiscono leader politici, religiosi e dissidenti: la sezione Scorpione è la più letale. 


Il muro di cinta del complesso carcerario di Tora, alla periferia sud del Cairo, è punteggiato di torrette da dove spuntano fucili di precisione. I nuclei detentivi sono protetti da almeno tre file di barriere. Fuori è un brulicare di poliziotti, soldati e guardie.

Occupano tutti i tavolini dei due bar proprio davanti all'ingresso, sorseggiano tè o caffè turco. Gli unici civili sono i parenti in visita ai detenuti. Tra questi Mohamed Abu Zeid, fratello di Mahmoud, più noto come Shawkan, il fotoreporter arrestato il 13 agosto 2013 e da allora in cella in attesa di giudizio.

È il giorno dell'ennesima udienza in cui si spera che il giudice decida finalmente per la scarcerazione. Ma l'attesa è vana: anche ieri il caso Shawkan non è stato discusso. Decisione rimandata al 30 gennaio. Il Cairo somiglia a Milano in autunno: foschia densa e l'aria gelata. Alle 8 in giro solo poche auto. Dalla metropolitana di piazza Tahrir, stazione Sadat, si sale a bordo della linea blu. Il treno si dirige verso sud costeggiando la Corniche del Nilo.

Nove fermate, quasi tutte in superficie, e si arriva alla stazione di Tora el-Balad, area degradata della capitale. All'uscita subito una piazzetta occupata da venditori di cibo e bevande e dalla diffusione di una preghiera cantata. Assieme a Mohamed Abu Zeid percorriamo a piedi il chilometro e mezzo fino al cancello della prigione.

Le guardie ci fermano, chiedono i documenti, ma è proprio Mohamed a sbrogliare la matassa: "È un amico, ci stiamo salutando, tranquilli se ne va". Attivisti e giornalisti, specie se stranieri, non sono ben visti in Egitto. Due ore dopo Mohamed esce da Tora: "Mio fratello dentro quel carcere ci sta morendo. È denutrito, ha contratto l'epatite C. Non ce la fa più. A tenerlo su di morale è la vicinanza della gente dal mondo intero. Gli ho detto che ci siamo visti qui fuori e lo salutavi, si è commosso: non vede l'ora di incontrarti quando uscirà".

"Tora, il quartiere della sofferenza. Una città carceraria dove esiste sempre un girone peggiore di quello in cui sei finito". Specie se il destino ti riserva la sezione Al-Aqrab, "Scorpione". A dirlo è Hassan Mustafa Osama Nasr, l'ambiguo personaggio egiziano noto alle cronache italiane come Abu Omar, prelevato per strada a Milano nel 2003 attraverso una extraordinary rendition, trasferito proprio nell'enorme complesso di Tora.

Le celle dei quattro padiglioni che formano la 'tombà oggi ospitano personaggi di rilievo. A partire dall'ex presidente, Mohamed Morsi, leader della Fratellanza Musulmana, arrestato nel 2013 su ordine di Abdel Fattah al-Sisi e da allora chiuso nella sezione El- Maz raa per prigionieri politici. Stesso spazio in cui hanno trascorso del tempo un altro ex presidente egiziano, Hosni Mubarak, e i due figli Alaa e Gamal.

A El-Mazraa, l'anno scorso, c'è finito anche Murtada (nome di fantasia, preferisce restare anonimo), un attivista del Cairo: "Ho vissuto due settimane in isolamento. Una cella di 3 metri quadrati, luce sempre accesa, solo un materasso e una coperta e un buco a terra come gabinetto. Nessun effetto personale concesso, il cibo me lo facevo comprare fuori dai miei familiari. È stato durissimo, ma c'è a chi va peggio".

Quelli della sezione Al-Aqrab. Il 10 settembre scorso, c'è finito Ibrahim Metwaly, consulente legale della famiglia Regeni al Cairo e fondatore di un'associazione per la ricerca degli scomparsi: "L'ha creata dopo che si sono perse le tracce del figlio - racconta il suo avvocato, Halem Henish - l'altro ieri il giudice ha prorogato il suo fermo di altri 15 giorni. Viene picchiato e torturato. Lo hanno arrestato ufficialmente per l'associazione, in realtà si stanno accanendo su di lui perché seguiva il caso della morte di Giulio".

Francesco Curzi

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