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venerdì 9 luglio 2021

India il rispetto dei diritti umani in grave crisi! Stan Swamy, gesuita anziano e malato, difensore degli aborigeni arrestato senza prove da 8 mesi e morto di Covid in carcere.

La Repubblica
Swamy, 84anni, lottava per le cause di aborigeni e Dalit Arrestato in ottobre senza prove con la legge antiterrorismo

Padre Stan Swamy  - morto a 84 anni in carcere

Bisogna essere affetti da una grave forma di incurabile crudeltà per lasciar morire in carcere un prete gesuita di 84 anni, malato di Parkinson, che non era più in grado di mangiare, bere o lavarsi da solo. 

Ci vuole un certo livello di ostinata stupidità per maltrattare un malato, il più anziano indagato per terrorismo in India, che in prigione è stato contagiato dal Covid-19 ed è deceduto dopo otto mesi di prigionia, senza alcuna vera prova di colpevolezza. 

Padre Stan Swamy è stato eliminato, questa è la parola giusta, grazie a una legge antiterrorismo manipolata per soffocare il dissenso al governo, norma piegata a mero strumento per imbavagliare le critiche, pugno di ferro contro le minoranze.

Quando a ottobre 2020 un’agguerrita task force antiterrorismo dell’Agenzia investigativa nazionale irrompe nella casa comune a Ranchi, capitale dello Stato di Jharkhand nell’India dell’est, dove abitava il paladino dei diritti delle popolazioni aborigene degli Adivasi e delle caste più basse dei Dalit, non trova nulla di incriminante, ma lo arresta lo stesso, con altri 15 avvocati, scrittori, poeti e militanti. 

L’accusa è aver fomentato violenze intercasta nel 2018, nel caso “Bhima Koregaon”, e avere collegamenti con i ribelli maoisti naxaliti nella pianificazione dell’assassinio del premier Narendra Modi. Di nuovo: parliamo di un prete gesuita 84enne con il Parkinson, che per mezzo secolo ha difeso gli ultimi contro gli interessi e gli abusi delle grandi società minerarie aiutate da funzionari corrotti. 

Padre Stan era difatti noto per la militanza nel fornire assistenza legale gratuita agli Adivasi nella difesa dei loro diritti costituzionali a terreni, fiumi e sorgenti. Ciò ha sempre dato molto fastidio ai poteri forti. E non si è trovato di meglio che escogitare un pretesto per togliersi dai piedi il prete, come si è fatto con decine di professori universitari, autori e poeti in galera, grazie alla Legge per la prevenzione delle attività illecite con la semplice accusa d’aver guidato manifestazioni o aver postato messaggi di critica politica sui social.

In una conferenza video che padre Swamy era riuscito a trasmettere poco dopo l’arresto, il gesuita aveva chiesto clemenza: «A causa dell’età ho delle complicazioni. Ho cercato di comunicarlo alle autorità e spero che prevalga un senso di umanità». Non è stato così. 

In quel video si notava già il tremolio delle mani di questo figlio di contadini del Tamil Nadu divenuto novizio già da adolescente. Non riusciva più a mangiare e a lavarsi e aveva chiesto al tribuna- le di poter avere una tazza con can- nuccia per nutrirsi da solo. Richiesta negata. Solo dopo una mobilitazione sui social, grazie alla quale centinaia di sostenitori hanno acquistato per lui tazze e cannucce inviandole al tribunale, e postando la ricevuta: solo dopo un mese le autorità hanno ceduto. Un inutile accani- mento, considerando oltretutto che una squadra americana che un hacker ha usato un software per istallare 22 files incriminanti nel computer di uno degli accusati. Proprio in questi file posticci ci sarebbero le prove usate per arrestare Swamy.

«Questa non è stata una semplice morte», ha accusato la scrittrice Meena Kandasamy, «è stato un assassinio giudiziario e sono tutti complici». «Non è morto, è stato ucciso», le fa eco l’autrice Sonia Faleiro. 

Lo storico Ramachandra Guha parla anche lui di «omicidio giudiziario». E un giudice a riposo della Corte suprema indiana, Madan Lokur, è affranto: «Da due anni osservo la disintegrazione totale dei diritti umani in India, una tragica discesa culminata con questa morte».

Ma padre Swamy lo sapeva. Nel suo ultimo messaggio video si era dichiarato pronto al martirio: «Questo è un processo che mette in questione i poteri forti. Sono pronto a pagarne il prezzo. Qualunque sia».

Carlo Pizzati

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