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lunedì 1 aprile 2019

Braccianti nell'agricoltura, nuovi schiavi. «1.500 morti in 6 anni, fermate la strage»

Avvenire
I medici del Cuamm al British Medical Journal: sfruttamento sovraumano nei campi agricoli d'Italia. Ecco tutte le patologie che sono all'origine di una tragedia dimenticata. La ferocia del caporalato


«Esiste una ferocia nello sfruttamento del lavoro dei migranti che è la causa di condizioni disumane e, quindi, di patologie: di fronte a questo tutti dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e non far finta di niente». 

La denuncia arriva da Francesco Di Gennaro, giovane medico specializzando in malattie infettive al Policlinico di Bari, volontario del Cuamm, i Medici per l’Africa, già impegnato in missioni in Sierra Leone e Mozambico. Di Gennaro è, insieme alla palermitana Claudia Marotta, al docente dell’Università Cattolica di Roma Paolo Parente, a Giovanni Putoto, responsabile della programmazione di “Medici con l’Africa Cuamm” e a Davide Mosca, già direttore del Migration Health Departmentall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, uno dei medici italiani autori di un articolo pubblicato sul British Medical Journal, autorevole rivista scientifica inglese.

Dodici euro per 8 ore di lavoro. Si tratta di un articolo nel quale si rilancia un dato che fa riflettere: sono infatti oltre 1.500 i braccianti agricoli extracomunitari morti negli ultimi 6 anni in Italia a causa del loro lavoro. «Bisogna fermare lo sfruttamento dei migranti che lavorano nell’agricoltura in Italia e vengono pagati appena 12 euro per 8 ore di lavoro, schiavi dei campi che consentono di portare pomodori italiani a basso prezzo sulle tavole di tutto il mondo tutto l’anno – è l’appello dei medici italiani –. A questi morti, inoltre, si aggiungono altre vittime, quelle uccise dal “caporalato”». Queste persone, provenienti soprattutto dall’Africa sub-sahariana, «vivono qui in baraccopoli senza acqua, senza servizi igienici senza accesso ai servizi sanitari di base».

Sin dal 2015 il Cuamm, in partnership con istituzioni locali, fornisce anche servizi sanitari di base a questo popolo di migranti – circa 100mila – sparsi per tutta l’Italia, che affollano baraccopoli e tendopoli e che, nonostante la legge di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo (la n. 199 del 2016), sono completamente privi di protezioni e tutele. «Salute, migrazione, economia, sviluppo sostenibile e giustizia sono tutti aspetti del nostro mondo tra loro interconnessi – scrivono i medici – ed è un dovere per la comunità scientifica e clinica prendersi cura e dare voce a queste persone “mute”. Tutti dobbiamo batterci contro lo sfruttamento, la discriminazione, il razzismo e l’egoismo, in qualsiasi forma si presenti», concludono i medici. Il Cuamm è un’organizzazione non governativa impegnata in 8 Paesi africani con oltre 2.200 operatori “sul campo”, sia europei che locali.

Francesco Di Gennaro è uno dei medici della Ong che prestano il loro servizio una volta alla settimana, a bordo di un camper attrezzato, anche nei ghetti della Puglia in cui vivono i migranti braccianti, come Borgo Mezzanone, realtà tristemente nota alle cronache per il ghetto in cui sono ospitati centinaia di persone. E proprio la Puglia è stata teatro l’estate scorsa di una serie di tragedie avvenute a bordo dei "pulmini della morte", dove venivano trasportati braccianti che lavoravano per 12-14 ore sotto il sole. Ammassati sui mezzi di trasporto, pesantemente sfruttati nei campi, rinchiusi in spazi angusti per le (poche) ore di riposo: questa è la situazione, più volte documentata da Avvenire nei mesi scorsi.

Le patologie più diffuse. «Le patologie che rileviamo tra gli abitanti dei ghetti sono soprattutto quelle correlate al massacrante lavoro che sono costretti a svolgere: la disidratazione, in particolare d’estate, quando nei campi di pomodori ci si espone al sole e a una fatica prolungata che può durare anche 10-12 ore al giorno, e i dolori articolari, dovuti ai continui piegamenti del corpo e agli sforzi continui nel trasportare le pesanti cassette; d’inverno invece – prosegue il medico del Cuamm – sono diffuse polmoniti, bronchiti e altre malattie da raffreddamento, perché nelle baracche fa freddo». «L’articolo sul British Medical Journal – precisa Di Gennaro – rilancia dati già conosciuti e vuole favorire un dibattito anche a livello internazionale, nel mondo scientifico e culturale, sul fenomeno dello sfruttamento del lavoro e del caporalato in Italia, per impedire, per quanto possibile, questa inaudita ferocia. Il nostro compito, come Cuamm – conclude – è quello di essere, insieme ad altre associazioni, a parrocchie e gruppi di volontariato, dei “cani da guardia” che difendono gli ultimi e gli sfruttati, i più fragili».

Fulvio Fulvi

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