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mercoledì 24 aprile 2019

Arabia Saudita - Pena di morte - 37 esecuzioni, uno crocefisso

La Repubblica
La maggior parte delle vittime, accusate di terrorismo, è stata decapitata, un uomo è stato crocefisso

Trentasette persone accusate di terrorismo sono state mandate a morte ieri in Arabia Saudita nella più grande esecuzione di massa avvenuta nel Paese dal gennaio 2016, quando l'esecuzione di 47 persone, per la maggior parte sciite, aveva provocato scontri nella parte orientale del Paese e violenze dall'Iran al Pakistan.
Uno degli uomini, secondo il comunicato dell'agenzia di stampa saudita, è stato crocefisso: una delle modalità di esecuzione usata in Arabia Saudita. Gli altri sono stati uccisi seguendo le regole islamiche, il che significa decapitati. In un caso, uno dei cadaveri è stato lasciato con il corpo da una parte e la testa mozzata da un'altra: un monito per la popolazione raramente usato in Arabia Saudita negli ultimi anni e che conferma la volontà, da parte della leadership, di mandare un messaggio di tolleranza zero. 

Le persone uccise erano in carcere da tempo: dalla lista letta in tv, si capisce che si tratta di esponenti della minoranza sciita ma anche di membri di importanti tribù sunnite conosciute per le loro visioni conservatrici. 



Tutti sono accusati di aver attentato alla sicurezza dello Stato preparando attentati. Le esecuzioni arrivano a pochi giorni dalla scoperta di una cellula dell'Isis che, secondo il ministero dell'Interno, si preparava ad agire nel Paese. 

A firmare le condanne è stato re Salman ma per gli analisti l'operazione porta la firma di Mohammed bin Salman, il principe ereditario che guida il Paese, al centro delle critiche per il ruolo nell'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso a ottobre nel consolato saudita di Istanbul. "MbS manda un brutto messaggio: non c'è limite alla brutalità dello Stato e alla repressione", dice Madawi Al Rasheed, attivista e studiosa dell'Arabia Saudita alla London School of Economics.

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